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Autore: Carme93    09/07/2015    1 recensioni
Una nuova generazione alle prese con la propria infanzia ed adolescenza, ma anche con nuove minacce che si profilano all'orizzonte. I protagonisti sono i nuovi Weasley e Potter, ma anche i figli di tutti gli amici che hanno partecipato alla decisiva Battaglia di Hogwarts. Da quel fatidico 2 maggio 1998 sono ormai trascorsi ventun anni...
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Famiglia Dursley, Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 1
Il passato ritorna sempre
L
La sveglia suonava già da qualche secondo ed una mano cieca vagava sul comodino nel tentativo di spegnerla . Finalmente ci riuscì e la stanza piombò di nuovo nel silenzio, mentre la luce del mattino entrava dall’ampia finestra, che apriva sulla parete di sinistra. La mano si ritrasse. Un uomo emerse dalle lenzuola e sedette sul letto, lasciando che gli occhi si abituassero alla luce. I capelli neri, folti e disordinati li ricadevano sugli occhi verdi smeraldo.
«Harry»
L’uomo si voltò a guardare teneramente la moglie, che s’era appena svegliata. Era bellissima. Dopo quindici anni di matrimonio era sempre uguale. Lì, distesa placidamente, quasi indifesa, sembrava la stessa ragazzina che aveva baciato per la prima volta a sedici anni. Si chinò a baciarla e percepì il suo profumo, che gli ricordava al tempo stesso la torta di melassa, l’odore del legno d’un manico di scopa e quello dei fiori della Tana, la casa dei suoi suoceri.
«Scusami, Ginny, amore, non volevo svegliarti» sussurrò.
Lei ricambiò il bacio e lo lasciò andare in bagno a farsi la doccia. Solo quando rientrò in camera si decise ad alzarsi. Si mise la vestaglia con l’intenzione di scendere al piano di sotto per preparare la colazione, ma prima si fermò per un momento a controllare la sua bambina, che a fine mese avrebbe compiuto undici anni. Quello era l’unico momento in cui la piccola peste era tranquilla. Era adorabile mentre dormiva stretta ad un peluche a forma di drago, un regalo del loro carissimo e grandissimo amico Rubeus Hagrid. Entrata in cucina si mise ai fornelli, riflettendo sulla giornata che stava cominciando: aveva un appuntamento alla redazione del giornale per cui lavorava ed avrebbe dovuto lasciare la bambina a qualcuno, poiché a casa da sola avrebbe rappresentato un pericolo per sé e per l’edificio. Non c’erano molte soluzioni: allo zio George, ai nonni o alla zia Audrey. Le avrebbe permesso di scegliere, anche se sicuramente non avrebbe minimamente preso in considerazione la terza possibilità. Naturalmente la piccola voleva bene alla zia, ma da sola con lei si sarebbe annoiata visto che le cugine erano ancora entrambe ad Hogwarts; senza dimenticare che avrebbe preferito evitare lo zio Percy. Suo fratello Percy era stato eletto da tutti i nipoti “Zio più noioso del secolo”, anche se nessuno di loro fino a quel momento aveva avuto il coraggio di consegnargli l’ambito premio. Ridacchiò. I ragazzi non avevano tutti i torti, suo fratello era sempre stato alquanto pedante fin da ragazzino ed aveva sempre giudicato severamente il comportamento dei suoi fratelli, che non erano precisi e rigorosi come lui. Ed ancora oggi si permetteva alle volte di intromettersi nel loro modo d’educare i figli e ciò le dava incredibilmente fastidio. Purtroppo Percy troppo spesso sembrava dimenticare che nella sua ossessiva tensione alla perfezione aveva commesso un grave errore da ragazzo: aveva giudicato i suoi genitori e ciò in cui loro credevano e per questo s’era allontanato dalla famiglia in un momento particolarmente difficile e cupo; dopo due anni, ammettendo finalmente il suo errore, era tornato in seno alla famiglia. Era stato riaccolto e perdonato da tutti. Nonostante l’apparenza lei, però, era certa che ancora il fratello si sentisse in colpa per quanto era avvenuto. Adesso quella storia era tabù, loro madre non ne sopportava nemmeno un accenno. Lei non sapeva se l’avesse raccontato alle sue figlie, ma sicuramente la moglie Audrey doveva esserne a conoscenza, in quanto si erano incontrati proprio in quel periodo. Il suono improvviso del campanello la riscosse dai suoi pensieri.
«Vado io» disse Harry, che stava scendendo le scale.
Lo sentì parlottare con qualcuno, probabilmente il postino.
Harry chiuse la porta ed osservò la lettera. Il suo cuore perse parecchi battiti. Rimase immobile per qualche minuto. Si pizzicò, credendo di sognare. Si fece male.  Era sveglio, terribilmente sveglio.  Gli tremavano le mani, ma si fece forza e l’aprì. Era abbastanza breve:

Caro Harry,
come stai? Io bene ed anche mamma e papà. Lo ammetto è un modo stupido di cominciare, come se non fossero passati ventidue anni dall’ultima volta in cui ci siamo visti. Mi dispiace per quello che è accaduto in passato e vorrei ricominciare daccapo. Io mio sono fatto una bella famiglia, spero che a te sia successa la stessa cosa. In più ho bisogno anche del tuo aiuto, non saprei a chi altri chiederlo. Non mi prendere per ipocrita. Per quanto tu forse non ci crederai sono cresciuto e non sono più lo stesso ragazzo prepotente e viziato. Abito con i miei. Ci farebbe piacere se venissi a cena da noi sabato con la tua famiglia.
Tuo cugino,
Dudley Dursley

«Harry, ti senti bene?»
Ginny preoccupata aveva fatto capolino dalla cucina per capire il motivo per cui il marito si attardava nell’ingresso. Lui la osservò per un attimo. Dalla sua espressione comprese che doveva essere sbiancato. Annuì a fatica. I sentimenti più diversi si facevano strada dentro di lui.
«E’ la bolletta della luce?»
Harry scosse la testa e le porse la lettera. Lei la prese e cominciò a leggerla, ma dovette sedersi per la sorpresa. Cercò la sua mano, quasi a rassicurarlo come se volesse dirli che nessuno lo avrebbe più maltrattato come in passato. Insomma come accidenti quella gente poteva ancora farsi sentire dopo tutto le sofferenze che aveva inflitto ad Harry? Harry Potter loro non l’avevano mai compreso, meno che mai amato. La sfrontatezza di quello l’uomo la irritava: chiedergli un favore dopo averlo usato come punching-ball per ben dieci anni!!!!
«E’ successo qualcosa ad Al od a Jamie?»
Solo in quell’istante Ginny ed il marito si accorsero della presenza della figlia, che probabilmente aveva visto i loro volti agitati e s’era preoccupata. In più, essendo molto sveglia, aveva notato la lettera sul tavolo ed il primo collegamento che aveva fatto era con i fratelli lontani.
«No. E’ tutto a posto» la rassicurò, subito Harry.
«Jamie è finito di nuovo nei guai?» insistette lei. 
«No, tesoro. La lettera non viene da Hogwarts» rispose Ginny.
La bambina parve rassicurata. Al e Jamie erano i suoi fratelli maggiori ed era particolarmente legata ai due.
«La lettera è di mio cugino» sospirò Harry, ben consapevole che avrebbe fatto in modo di scoprire il contenuto della lettera in ogni modo.
Lei aggrottò la fronte riflettendo e poi disse:
«Quello di cui non ti piace parlare?»
«Quello»
Harry, quando i suoi figli avevano cominciato a fare domande come ogni bambino, aveva dovuto trovare il modo di rispondere a quelle che riguardavano la sua famiglia. Era stato difficile.  Harry Potter non era un uomo comune. Era quanto di più anormale si possa immaginare: era un mago. La sua natura non era mai stata accettata dalla famiglia Dursley, che l’aveva accolto all’età di un anno ormai orfano di entrambi i genitori, James e Lily Potter. Petunia Dursley era la sorella di sua madre e per questo motivo nel disegno dell’uomo che aveva affidato loro il bimbo avrebbero dovuto volerli bene. Ma così non era stato. L’ avevano sempre disprezzato e maltrattato. Per dieci anni era stato infelice, aveva ignorato la sua identità, la verità sui suoi genitori e la sua vera natura. Poi il giorno del suo undicesimo compleanno Rubeus Hagrid, Custode dei luoghi e delle chiavi di Hogwarts, una delle più prestigiose scuole di magia d’Europa, gli aveva racconto tutto. Era esistito un mago molto cattivo, il più cattivo di tutti i tempi, che aveva cercato di dominare il mondo magico gettandolo nella paura e nel dolore. Una profezia gli aveva ricordato ciò che ogni tiranno in cuor suo teme: un rivale, che avrebbe avuto un potere a lui sconosciuto e ne avrebbe potuto determinare la fine. Aveva designato lui, alla tenera età di un anno, “come suo eguale”. Aveva attaccato la sua famiglia. Aveva ucciso suo padre per primo, poi sua madre che si era frapposta tra lui ed il figlio. Un uomo cattivo difficilmente potrà mai capire il valore dell’amore e Lord Voldermort, questo il suo nome, o più semplicemente Tom Orvoloson Riddle, non l’aveva mai capito. Sua madre con quel gesto gli aveva donato l’arma che l’avrebbe salvato in futuro, decretando la definitiva sconfitta del mago oscuro.
«E che vuole?» chiese ancora la bambina.
«Vuole fare la pace. Ci ha invitati a casa sua sabato» spiegò Harry.
«Oh… ma non ci saranno Al e Jamie…»
I due figli maggiori frequentavano rispettivamente il secondo ed il terzo anno ad Hogwarts e sarebbero rientrati a casa per le vacanze estive solo la settimana successiva. Osservò la sua adorata figlia, che aveva ereditato i capelli rossicci della nonna ed aveva la stessa grinta di Lily Evans e della madre. Lei non aveva minimamente pensato che il padre stesse meditando di non andarci proprio, in quanto sia lui che Ginny le avevano insegnato l’importanza di preferire sempre la pace alla guerra e quindi dava per scontato che questo valesse anche per il famigerato cugino.
«Harry, che vuoi fare?» chiese Ginny.
Che il passato non si potesse mai eliminare e che alla fine sarebbe tornato a bussare prepotentemente alla porta di ciascuno di noi, l’aveva capito fin troppo bene quando non aveva raccontato nulla a Jamie ed ad Al sulla guerra contro Lord Voldermort. James l’aveva scoperto i primi giorni ad Hogwarts, scoprendo la fama del padre e conseguentemente notando come i compagni inizialmente lo trattassero diversamente, quasi con un misto di devozione e riverenza. L’anno successivo sull’Espresso di Hogwarts s’era premurato di raccontare tutto al fratello più piccolo ed alla cugina Rose. Visti i risultati e le conseguenti recriminazioni dei figli, aveva già raccontato tutto alla più piccola, dopo aver vietato ai grandi di farlo al suo posto. E così avevano fatto i suoi migliori amici e cognati Hermione e Ron Weasley con il loro secondogenito Hugo, il fratellino di Rose.
«Devo rifletterci…tu che cosa ne dici?»
«Non so…Devi fare quello che ti senti…che cos’è che diceva Silente? E’ più facile perdonare quando si ha ragione, che quando si ha torto?».
Harry la guardò. Erano le parole che Albus Silente aveva usato per spiegare alla suocera Molly Weasley come mai il figlio Percy, anche se s’era accorto che i genitori avevano ragione, non era ancora tornato a casa. Albus Silente, Preside di Hogwarts per quasi trent’anni ed uno dei più grandi maghi della storia, era stato per Harry un importante punto di riferimento nel suo percorso di crescita e preparazione ad affrontare il suo destino. Era un uomo straordinariamente intelligente, ma alle volte strano. Di consigli ne aveva dati parecchi, e molto raramente aveva sbagliato nei suoi giudizi.
«Mi stai dicendo che dovremmo andarci?»
«Silente avrebbe detto che è la cosa giusta da fare…anche se devo ammettere di non avere molta voglia di conoscerli»
Harry rimase qualche secondo in silenzio, poi disse: «Sabato andremo da mio cugino, Lily. Al e Jamie lo conosceranno un’altra volta, ma porteremo con noi anche Teddy e Victoire».
Teddy era il suo figlioccio ed aveva fatto in modo che si sentisse come uno dei suoi figli. Ed i quattro avevano imparato a trattarsi come fratelli. Era fidanzato con Victoire, la primogenita di suo cognato Bill, il fratello più grande di Ginny. Era un mago molto abile, portato particolarmente per la trasfigurazione tanto che la sua professoressa non solo l’aveva aiuto a diventare animangus (si tratta di una pratica molto difficile e pochi maghi ci provano) ma gli aveva anche promesso il suo posto al momento del suo pensionamento. Da poco il ragazzo aveva sostenuto gli esami finali presso l’Accademia Auror e tutti ne aspettavano con ansia i risultati. Nonché Harry avesse qualche dubbio sul risultato positivo. Era molto fiero del suo figlioccio.
«Ma ha figli?» indagò Lily
«A quanto pare sì»
«Della mia età?»
«Non lo so, Lily»
«Su, facciamo colazione» li esortò Ginny, prima che la bambina torturasse il padre con le sue domande.
                                        *
«Allora mi raccomando. Lily niente magie e niente giochetti strani. Teddy non cambiare aspetto e controlla il colore dei capelli…». Il suo figlioccio era un metamorphomagus, capacità che aveva ereditato dalla madre Ninfadora Tonks, ma ormai aveva imparato a controllare perfettamente i suoi poteri, anche se in momenti di particolare emozione perdeva il controllo. Il ragazzo sbuffò divertito, ma prima che potesse affermare qualcosa fu Ginny a parlare: 
«Harry, ti prego. Datti una calmata. Andrà tutto bene»
Erano più di dieci minuti che girava intorno al tavolino del piccolo soggiorno annesso alla cucina e ripeteva le stesse identiche istruzioni ai ragazzi, che ormai le conoscevano a memoria. Harry annuì e si mosse verso l’ingresso.
«Andiamo, su» esortò gli altri Ginny.
Harry guidò in silenzio per quasi tutto il tragitto, mentre i ragazzi seduti nel sedile posteriore ridevano e scherzavano. Lily aveva preso posto tra Victoire e Teddy e la sua figura minuta da bimba si perdeva fra i due ragazzi ormai grandi. Teddy aveva ventun anni e, nonostante lo sport e l’attività fisica che all’Accademia Auror certo non mancavano, era smilzo ed i muscoli non si notavano particolarmente sotto l’elegante camicia azzurra. Sorrideva divertito, mentre la sorellina acquisita lo aggiornava su quanto era accaduto nella lunghissima settimana in cui non si erano visti. Altrettanto attenta si mostrava Victoire, che aveva ereditato un ottavo di sangue Veela dalla madre e la sua bellezza ne era la conferma: i biondi capelli erano lunghi fino alla vita, gli occhi azzurri, ereditati invece dal padre, erano vispi ed intelligenti ed i lineamenti del viso erano delicati e graziosi. Ad Hogwarts la gran parte della popolazione maschile ci aveva provato, ma purtroppo per loro aveva occhi solo per Teddy; per questo quando si era diplomata i ragazzi non erano stati particolarmente dispiaciuti ed aveva rivolto subito tutta la loro attenzione verso sua sorella Dominique, altrettanto bella. In quel momento Harry provava un misto di emozioni diverse, che minacciavano di travolgerlo. Non riusciva a discernerle le une dalle altre e così si riducevano a nulla. Si sentiva vuoto. Le voci dei ragazzi lo raggiungevano come da un’altra dimensione. Percepiva su di sé lo sguardo di Ginny. Doveva stare tranquillo. Era insieme alla sua famiglia e sarebbe andato tutto bene. Che cosa avrebbero potuto farli? Ora era un uomo adulto, non potevano certo tiranneggiarlo come quando aveva tredici anni. E poi che cos’era quell’aiuto a cui Dudley aveva accennato?
«Harry. Harry, ma è vero?»
Lui si riscosse dai suoi pensieri al richiamo di Teddy.
«Che cosa?» chiese.
«Jamie in bichini» sghignazzò Lily.
Sbuffò, ma non poté fare a meno di sorridere anche lui.
«Sì, la professoressa McGrannit mi ha scritto la settimana scorsa»  
I tre risero più forte.
«Avevano fatto una scommessa con Freddie. Dovevano fare dalla Sala Comune al Lago Nero e ritorno; ma li ha beccati Gazza» spiegò. Per curiosità gettò uno sguardo dietro di sé e vide che avevano le lacrime agli occhi per il gran ridere.
«Qualcuno…li ha…fatto…una foto?» chiese Teddy a scatti.
«Sì, Dominique ha promesso di farne una copia per tutti» rispose Ginny, la cui ira per l’ultima bravata del figlio s’era ormai placata.
«Magari…ci …fanno…anche l’autografo» sghignazzò Lily.
Dopo un po’ arrivarono a Privet Drive numero quattro. La casa era sempre la stessa: perfetta e curata come se non fossero nemmeno trascorsi ventidue anni.
«Allora ragazzi, mi raccomando…» iniziò Harry dopo essere sceso dalla macchina.
«Niente magia e niente metamorfosi» conclusero loro in coro, ridendo.
«Andiamo» disse Ginny prendendolo per il braccio e spingendolo avanti.
Suonò il campanello in trepidante attesa. Il suo cuore perse qualche battito e si sentì stringere lo stomaco. Non era scappato davanti al mago più potente del mondo, ma l’avrebbe fatto molto volentieri in quel momento. Ad aprire la porta fu un bambino, così identico a Dudley, che se non avesse avuto circa una cinquantina di chili in meno rispetto al cugino da piccolo, anche se era un po’ paffuto, avrebbe creduto di essere tornato indietro nel tempo. Una donna alta e bionda lo seguiva e sorrise loro.
«Buonasera» salutò lei «Tu devi essere Harry»
«Ehm sì. Molto piacere»
«Il piacere è mio. Accomodatevi»
All’interno la casa aveva un altro aspetto diverso rispetto al passato, quantomeno dava tutta un’altra sensazione. Harry la seguì lungo lo stretto e famigliare corridoio che conduceva in cucina. Ignorò a fatica il ripostiglio del sottoscala dove aveva dormito per dieci anni.
«Scusatemi, non mi sono ancora presentata» disse la donna con un sorriso «Io sono Shary, la moglie di Dudley. E lui è Vernon».
Ginny le strinse la mano: «Sono Ginny, piacere».
Harry notò gli zii in un angolo, che li guardavano con sospetto e si chiese quanto li avesse forzati Dudley per convincerli ad invitarli a cena. Non erano felici di vederli. A zio Vernon pulsava già la vena sulla tempia, e per esperienza sapeva che era un segnale di pericolo, e zia Petunia era incredibilmente pallida. Entrambi, però, sembravano sollevati nel vederli vestiti normalmente. I maghi, infatti, come loro stessi avevano modo di vedere più volte in passato, indossavano lunghe vesti e tuniche dai colori spesso eccentrici. Negli ultimi tempi, però, le nuove generazioni preferivano di gran lunga vestire alla babbana (i maghi definiscono babbani coloro che non sono dotati di poteri magici). I suoi zii avevano sempre amato la normalità ed avevano cercato di custodirla gelosamente; con l’arrivo del nipote tra i piedi era diventato molto difficile. Shary sembrava a disagio, di solito avrebbe presentato gli ospiti ad i suoi suoceri, ma in questo caso si conoscevano già. A spezzare il silenzio ed il suo disagio, fu proprio Harry che sospirò e porse la mano agli zii, che con riluttanza la strinsero. Poi disse loro:
«Vi presento mia moglie Ginny e la mia figlia più piccola Lily…»
«Lily? L’hai chiamata Lily?» chiese basita la zia.
«Già, come mia madre» rispose lui in tono di sfida.
«E’ uguale a lei…voglio dire è uguale a mia sorella alla sua età, a parte gli occhi…».
«Ha gli occhi di Ginny» annuì lui «Gli occhi di mia madre gli ha ereditati solo il mio secondogenito Albus. Lui e James, il più grande, sono a scuola» dal tono in cui lo disse voleva far capire allo zio che si trattava di Hogwarts e dall’espressione che assunse capì di essere stato chiaro. Poi aggiunse:
«Lui è Teddy, il mio figlioccio, ma è come se fosse mio figlio e lei è la sua fidanzata nonché mia nipote, Victoire».
«Harry, benvenuto».
Harry si voltò. Riconobbe subito suo cugino, anche se era cambiato parecchio: era dimagrito e diventato molto più muscoloso. Sorprendendolo ancora una volta lo abbracciò. Dudley si presentò agli altri. Dietro di lui si nascondeva una bambina, anche lei all’incirca dell’età di Lily, come il maschietto.
«Ehi BigD, ti sei dato da fare» disse Harry usando il soprannome con cui i suoi amici lo chiamavano da ragazzo.
Lui rise.
«Lei è Petunia. Vedo che Vernon l’avete già conosciuto. Sono gemelli».
Harry a sua volta gli presentò la sua famiglia. Per un attimo scese un silenzio imbarazzato. Shary si allontanò con il pretesto di controllare la cena.
«Allora BigD come te la passi?» chiese Harry sforzandosi di fare conversazione.
«Bene, sono il vicepresidente nella ditta in cui lavorava anche papà. Ricordi la Grunnings?»
«Producete sempre trapani?» chiese Harry con un accenno divertito.
«Già. Ed ho anche continuato a lottare. Come dilettante, s’intende» sorrise Dudley «Mia moglie prima di rimanere incinta faceva gare di nuoto ad alti livelli».
«E quello…quello di voi che proteggeva il nostro primo ministro?» a parlare era stato zio Vernon nella speranza di portare il discorso nelle sue mani. Harry si sforzò di non sbuffare, davanti all’ennesima conferma che gli zii non erano cambiati poi tanto.
«Intendi Kingsley Schacklebolt? Sta bene, grazie. E’ stato nominato primo ministro per tre mandati di fila. S’è sposato ed ha avuto due figli».
«Ottimo, ottimo» commentò l’altro. Harry alzò gli occhi al cielo. Dudley fece per parlare, ma fu interrotto da una Lily eccitata:
«Oooooh, papà. Non avevi detto che loro non sono come noi?»
Harry si girò di scatto per vedere di che cosa stesse parlando la figlia. Per poco non gli prese un colpo: una pallina rossa volava davanti ai bambini. Il suo primo istinto fu quello di rimproverare la figlia, ma fu preceduto dal cugino:
«Ragazzi, vi prego smettetela».
«Non sono stata io. E’ Vernon» ribatté infastidita Petunia.
 La vena di zio Vernon minacciava di scoppiare, Dudley era impallidito.
«Volevo far vedere a Lily che cosa so fare…» si giustificò, ma all’occhiataccia del nonno tacque.
«Papà. Papà allora la possiamo usare la magia?» chiese Lily.
«No, Lily. Giocate senza magia per adesso» rispose Ginny, accorrendo in aiuto del marito ancora troppo scioccato.
«E-e-era questo il problema di cui dovevi parlarmi?» chiese Harry balbettando all’inizio. Shary, che aveva assistito alla scena, si sedette accanto al marito.
«Si, avrei voluto parlartene con calma dopo cena».
«Ci abbiamo provato» sbottò, però, zio Vernon «li abbiamo portati nei migliori ospedali del paese, nei centri psichiatrici più rinomati e costosi. Non abbiamo badato a spese. Prima Vernon e poi anche Petunia».
«CHE COSA?» lo interruppe Harry urlando e si alzò in piedi «COME HAI POTUTO? COME? VOLETE FAR PASSARE AI VOSTRI NIPOTI QUELLO CHE AVETE FATTO PASSARE A ME? AVETE GIA’ COMINCIATO A CHAMARLI “SPOSTATI”? “ANORMALI”? LA VERITA’ E’ CHE VOI NON CAPIRETE MAI!!!!! ZIA PETUNIA, VEDI CHE IO SO COME SONO ANDATE LE COSE. LO SO!!!! TU ERI GELOSA DI MIA MADRE, SARESTI VOLUTA ANDARE ANCHE TU AD HOGWARTS. HAI SUPPLICATO SILENTE, PERCHE’ TI PERMETTESSE DI ANDARCI. NEGALO SE NE HAI IL CORAGGIO» guardò la zia con occhi rossi.
La donna era completamente impallidita e con difficoltà chiese:
«C-co-come lo-lo sai?».
«Che te ne frega» sibilò «E’ la verità. ED ADESSO VOLETE FORSE MALTRATTARLI COME AVETE FATTO CON   ME? BEN VI STA. Si dice che il male che uno compie ritorna sempre. Avete la possibilità di rimediare ai vostri errori, fatelo». Tornò a sedersi e si coprì il volto con le mani nel tentativo di calmarsi. Di sfuggita vide le espressioni spaventate di Teddy, Vic e Lily. Nessuno di loro l’aveva mai visto perdere il controllo così. Ginny era rimasta impassibile.
«Non voglio che i miei figli siano infelici». Tutti osservarono Shary. Harry in quel momento ammirò la moglie del cugino, in quel momento era così simile a Ginny. Tutte le madri erano uguali, quando devono proteggere i figli. Era sicuro che sarebbe stata ben in grado di farlo anche senza l’ausilio di una bacchetta magica.
«Che cosa devo fare perché siano felici?».
Dudley teneva gli occhi fissi sulle ginocchia e sembrava sul punto di scoppiare a piangere, ma quando parlò la sua voce era ferma. Si rivolse direttamente ai suoi genitori.
«Mamma…papà…se i nostri figli sono maghi…non permetterò a nessuno di trattarli come dei mostri».
«Che cosa siamo noi?» chiese Vernon.
«Smettila di intrometterti nelle discussioni degli adulti» lo sgridò il nonno, guardandolo male.
«Maghi. Siete maghi» rispose Harry, ignorando lo zio «Chiedimi ciò che vuoi Vernon. E’ normale che tu sia confuso».
«Q-quello c-che faccio è magia?» balbettò, intimorito dal nonno.
«Che cos’è che fai?».
«Beh per esempio una volta ho desiderato che il vaso della nonna si aggiustasse e quello è tornato integro, come se non fosse mai stato colpito da una pallonata» sussurrò evitando lo sguardo degli adulti.
«Sì, è magia. Quando si è piccoli, si parla di magia inconsapevole. Solitamente quando si prova un’emozione intensa».
«Guarda» disse Teddy e con un gesto della bacchetta cambiò il colore della maglia del bambino da blu a rosso.
«Uao» approvò lui, mentre la sorella rimaneva in silenzio.
«Incantesimo cambia - colore» spiegò il ragazzo.
«Me lo puoi insegnare, per favore?»
«No» intervenne Harry «Imparerai ad Hogwarts, se vorrai andarci».
«Hogwarts?» chiese Shary, evidentemente preoccupata.
«Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Una delle più prestigiose scuole d’Europa».
«Io ci andrò a settembre» annunciò Lily eccitata.
«Perché non continuiamo la discussione a tavola?» propose Dudley.
«Shary, devi stare tranquilla, Hogwarts è un’ottima scuola» cercò di tranquillizzarla Ginny. La cena fu abbastanza piacevole e quando terminarono Petunia chiese alla madre se poteva mostrare la sua stanza a Lily. Lei acconsentì subito. Era palese che gli adulti volessero restare soli a parlare. Lily non ne fu contenta, preferiva ascoltare le loro conversazione di solito e quindi seguì la cugina di malavoglia. Salirono al piano di sopra e Petunia li condusse in una stanzetta, che Lily constatò fosse la metà della sua. Era molto graziosa ed ordinata.
«Che ne dici?» le chiese la cugina.
Lily era orripilata e l’unica cosa che riuscì a dire, con evidente disgusto, fu:
«E’ tutta rosa».
In effetti le tende, il copriletto, le mensole e vari peluche erano tutti rosa.
«Già, non è bellissima?».
Lily che non voleva essere scortese, si limitò ad un falsissimo: «E’ carina».
«Senti devi assolutamente rispondere ad alcune mie domande. Com’è Hogwarts? Devo saperlo. Sai, io sono sempre stata la migliore della mia scuola elementare. Anzi la migliore in tutto ciò che ho fatto. Sono sempre la migliore. Infatti i nonni mi adorano. Ora non voglio essere impreparata».
Aveva detto tutto ciò senza quasi riprendere fiato e contemporaneamente il fratello aveva assunto un’aria depressa, che Lily non era riuscita ad interpretare.
«Le scuole sono tutte uguali» rispose.
«Si, vabbè. In questa si studia la magia, no? Quindi non è come tutte le altre scuole».
«E’ più divertente in effetti. Il Quidditch è bellissimo, e i ragazzi dal secondo anno in poi possono provare ad entrare nella squadra della loro Casa» replicò eccitata. 
«Che cosa sono il Quidditch e le Case?».
«Il Quidditch è lo sport più diffuso tra i maghi, come il calcio per i Babbani. Si gioca su i manici di scopa, con tre palle diverse e vi sono diversi ruoli» disse con voce monotona, di solito non avrebbe mai smesso di parlare del suo sport preferito, ma Petunia le dava fastidio «Per quanto riguarda le Case, ad Hogwarts ne esistono quattro: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Prendono i loro nomi dai fondatori della Scuola. La prima sera ti smistano. Io voglio essere una Grifondoro come tutta la mia famiglia».
«Ci smistano?» chiese Vernon parlando per la prima volta, da quando erano saliti in camera.
«C’è un cappello magico, il Cappello Parlante, che ti legge la mente e scopre quali sono le tue qualità».
«Che tipo di qualità?».
«I Grifondoro sono i coraggiosi e puri di cuore, i Tassorosso sono quelli buoni ed onesti, i Corvonero quelli particolarmente intelligenti ed i Serpeverde sono quelli furbi ed antipatici».
«Che materie si studiano?» continuò l’interrogatorio ed intercettando l’espressione di Vernon aggiunse «E non alzare gli occhi al cielo, è perché non ti preoccupi per niente che sei sempre l’ultimo della classe».
Lily la guardò malissimo, ma la lite fu sviata da Shary che li chiamò dal piano di sotto. Lei obbedì immediatamente e gli altri due furono costretti a seguirla. Vernon, mentre si salutavano, sussurrò alla cugina: «Se ho bisogno di farti domande, posso chiamarti?».
La bambina colse la sua preoccupazione e capì che le parole di Petunia non contribuivano certo a tenere alta l’autostima di Vernon, sempre se ne aveva una. Prese un pennarello su un mobile e gli scrisse il numero di telefono sul braccio, senza che gli adulti se ne accorgessero. Gli diede un bacio sulla guancia e sussurrò:
«Sicuramente ci vedremo presto. Non fatti mettere sotto da Petunia».
Poi vide il padre scompigliarsi nervosamente i capelli: quella serata era durata troppo per lui. Gli si avvicinò e gli circondò la vita con un braccio, come a dirgli che lei era lì e doveva stare tranquillo. Lui comprese e ricambiò la stretta, mentre uscivano dalla villetta. Il muro tra i due mondi di Harry e dei Dursley, però, sembrava essere finalmente crollato.
re.
   
 
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