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Autore: TimeFlies    09/07/2015    10 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a Paper Moon- capitolo 3  


                                         
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3. Scarlett



«Quello è carino.» Commentò Elisabeth facendo un cenno non proprio discreto verso un ragazzo biondo dall’altra parte del parcheggio.
Lanciai un’occhiata distratta nelle direzione che stava indicando. «Uhm… Ho visto di meglio.»
Si arrampicò sullo schienale della panchina dove ci eravamo buttate subito dopo le lezioni sedendocisi sopra come una qualche specie di sentinella. «Beh, quello è ovvio, ma bisogna sapersi accontentare.»
Mi lasciai sfuggire una risata: da un paio d’anni Beth era alla costante ricerca di un ragazzo. Ne aveva trovato qualcuno, ma non avevano mai superato il traguardo dei cinque o sei mesi insieme. Ora la stagione di caccia era aperta, e lei non perdeva tempo: aveva già adocchiato qualcuno anche se per il momento non c’era niente di certo.
Io invece avevo avuto solo storie brevi ed occasionali, superare i due mesi per me era un miracolo. E c’ero riuscita solo una volta con un certo Charlie: due mesi e una settimana. Poi era finito tutto e non mi era sembrata una tragedia, quindi c’ero passata sopra senza troppi problemi.
La licantropia, ovviamente, influiva sulle mie relazioni. Dovevo stare attenta a non correre troppo e ad evitare situazioni troppo "intense" perché al mio lupo interiore serviva poco per scattare: un bacio di troppo e potevo ritrovarmi zanne, artigli e compagnia bella. E avevo ragione di credere che non sarebbe stato facile spiegare ad un ragazzo perché all'improvviso i miei occhi erano diventati color oro o perché gli avevo infilzato la schiena. Grazie al cielo non mi era mai successo, però non abbassavo la guardia: era meglio limitarsi a qualche storia occasionale e non troppo lunga decisamente più facile da gestire.
Beth mi diede un colpetto sulla spalla. «Uh, quello, quello! Guarda.»
Intercettai l’oggetto della sua attenzione: un ragazzo piuttosto alto, con i capelli castani tirati su da un’abbondante quantità di gel, che indossava una maglietta dei Nirvana e dei jeans chiari. Accanto a lui ce n’era un altro con i capelli di un castano poco più scuro scompigliati che si stava mordendo un labbro. Socchiusi gli occhi per osservarlo meglio: jeans scoloriti, maglietta nera con le maniche lunghe tirare su fino al gomito, sorriso carino. Entrambi non erano per niente male.
«Questi te li faccio passare.» Mormorai continuando ad osservarli.
«Carini, eh?» Gongolò lei. «In fondo, ho gusto, non puoi negarlo.»
Ridacchiai. «In questo caso sì, ma di solito sei troppo frettolosa.»
«Disse quella che ci metteva due secoli a trovarsi un ragazzo.» Borbottò.
Le rifilai una gomitata nelle costole dopo essermi seduta sullo schienale accanto a lei. «Io voglio un ragazzo serio, mmh? Non il primo che passa.» La rimbeccai.
Alzò le mani in segno di resa ridendo sotto i baffi. «Oh, scusa, non pensavo che fossi così riflessiva.»
«Andiamo a parlarci?» Aggiunse dopo un po’ facendomi sobbalzare.
«Stai scherzando spero. Ci prenderanno per pazze se andiamo.» Risposi subito sperando di riuscire a farla demordere.
«Andiamo Scarlett, se non rischi non vivi. E poi quello che piace a me ieri l’ho visto con un’altra, quindi devo chiarire la situazione.» Insistette.
«Beh, vai solo tu, no? Io resto qui a farti da… supporto morale.» Inventai lì per lì.
Mi guardò con un sopracciglio alzato. «O vieni anche tu o non se ne fa nulla.»
«Allora credo proprio che sprecheremo quest’occasione.» Replicai stringendomi nelle spalle. «Scusa.»
In tutta risposta lei mi afferrò il braccio e cominciò a trascinarmi verso i due ragazzi con la grazia di un uragano. Puntai i piedi cercando di fermarla, ma quando ci si metteva sapeva essere forte quanto testarda. Anche perché aveva praticato un sacco di sport fino ad un paio di anni prima: rugby, hockey, football, basket… E com’era prevedibile usava questo vantaggio fisico a suo favore.
A dirla tutta, avrei potuto batterla facilmente se solo avessi lasciato che anche un minimo del mio essere lupo si scatenasse. Non lo facevo per paura di farmi scoprire e perché temevo che potesse prendere il sopravvento portandomi a combinare guai parecchio grossi.
«Beth ti prego, devo anche lavarmi i capelli… Non puoi farmi questo.» Mugolai cercando di contrastarla e nello stesso tempo di tenere a bada il mio lato non umano.
«Andiamo Scarlett, ti sto facendo un favore.» Ribatté continuando a tirarmi.
Quando arrivammo più o meno a metà strada, si fermò e socchiuse gli occhi, come un segugio che punta la preda. Io mi massaggiai il braccio che lei aveva praticamente stritolato con la sua stretta ferrea guardandola male.
«Okay, ho cambiato idea.» Annunciò. «Io mi prendo quello con la maglietta nera.»
«E a me toccano i tuoi avanzi, mmh?» Borbottai cercando di darmi una sistemata.
«Ma se hai detto che non ti interessavano…» Commentò lei. «Comunque, ora andiamo.»
Questa volta non mi lasciai cogliere impreparata e sgusciai via dalla sua presa un attimo prima che mi artigliasse di nuovo. «Non oggi.»
«Scarlett!» Esclamò guardandomi con aria implorante.
«No, mi dispiace Beth, ma non vengo. Sì, insomma, sono carini solo che… Lo sai che combino solo disastri quando si tratta di ragazzi.» Ammisi.
Sospirò mettendosi le mani sui fianchi. «Questa è una cosa che devi superare, sai? E credo che quei due siano adatti a noi: non è la prima volta che li vedo insieme, credo siano amici quindi sono perfetti per noi due.»
«Oppure stanno insieme…» Ipotizzai cercando di evitare il suo sguardo.
«Oh andiamo, non distruggermi così! Sono così carini… Ne voglio uno.» Esclamò.
Inarcai un sopracciglio. «Guarda che non sono giocattoli: hanno dei sentimenti e dei bisogni. Se ne prendi uno devi preoccuparti che non gli manchi nulla. Tutti i giorni, non solo quando piace a te.»
Era lo stesso discorso che mi aveva fatto mia madre quando le avevo chiesto un cucciolo. Riadattarlo ad un ragazzo era più semplice del previsto, cosa che confermava molte delle mie teorie riguardo il genere maschile.
«Se prometto che lo farò mi accompagni?» La sua voce era diventata supplicante ed accondiscendente.
La guardai e le mise su l’espressione da cagnolino bastonato: era impossibile dirle di no, per mia sfortuna.
Sospirai lanciandole un’occhiata contrariata. «Okay, okay… Ma che sia l’ultima volta.»
Batté le mani con lo stesso entusiasmo di una bambina. «Grazie, grazie, grazie!»
Alzai gli occhi al cielo mentre lei mi trascinava di nuovo verso quei due poveri ragazzi ancora ignari del pericolo. Però, quando arrivammo sul marciapiede dove si trovavano, erano spariti, completamente scomparsi. Beth si lasciò sfuggire un mugolio di delusione. Le lanciai un’occhiata veloce prima di guardarmi intorno. Individua il ragazzo con la maglietta nera: stava guidando un’auto grigio scuro dirigendosi verso l’uscita del parcheggio. Si stava di nuovo mordendo il labbro con aria pensierosa.
«Sono andati via.» Si lamentò Beth aumentando la stretta sul mio braccio.
Distolsi lo sguardo dal ragazzo e lo riportai su di lei. «Eh già. Siamo arrivate tardi.»
«Domani sarà mio, poco ma sicuro.» Dichiarò sfregando le mani insieme come fanno i cattivi nei film.
«Uh… Se fai così lo spaventi però… Quindi hai deciso quale vuoi?» Chiesi.
Annuì. «Quello con la maglietta nera. Ha un fascino particolare che mi attira, lo ammetto.»
«Bene, è già qualcosa.» Commentai distrattamente.
Mi osservò con un sopracciglio inarcato. «Sabato vieni alla festa?»
«Oh… Certo, sì. Devo trovare qualcosa da mettermi, ma dovrei esserci.» Risposi.
Sorrise con aria soddisfatta. «Bene. Magari ci saranno anche loro…»
«Già… Magari…» Mormorai.

Il vestito nero di raso le stava a pennello, le fasciava il corpo mettendo in risalto i punti giusti. Aveva raccolto i capelli in uno chignon morbido che lasciva alcune ciocche libere di incorniciarle il viso. Al collo si era messa una catenina d’argento con un piccolo cristallo come ciondolo che le illuminava la pelle.
Fece una giravolta su se stessa, perfettamente a suo agio sui tacchi. «Allora? Che ne pensi?»
«Sei una bomba Beth.» Commentai ammirata. «Sul serio, farai un sacco di conquiste.»
Sorrise appena osservandosi nello specchio. «Lo sapevo che prima o poi mi sarebbe tornato utile quest’abito.» Si voltò verso di me con un luccichio malizioso negli occhi. «Ora tocca te.»
Alzai le mani. «Niente gonne per me, grazie.»
Aggrottò la fronte e si sfiorò il mento. «Uhm… Okay, credo di avere qualcosa.»
Si girò e si tuffò nel suo enorme armadio alla ricerca di chissà quale capo d’abbigliamento. Mi chiesi come facesse a stare in piedi con quei tacchi vertiginosi ai piedi.
Mentre aspettava mi guardai intorno: la camera di Beth era un po’ come quelle delle adolescenti nelle commedie romantiche, tutta rosa e lustrini. Il guardaroba era di legno bianco e occupava praticamente l’intera parete. In mezzo alla stanza c’era un letto in ferro battuto coperto da una trapunta viola chiaro. I cuscini invece erano rosa shocking. Il pavimento ai lati del letto ero ricoperto da un morbido tappeto fucsia, magliette, jeans e gonne. Appoggiata alla parete opposta c’era una scrivania di legno chiaro ricolma di libri, vestiti e sciarpe. La maggior parte della luce proveniva da una grande finestra che si trovava sul muro di fronte alla porta.
«Ecco qua!» Esclamò voltandosi di nuovo verso di me. Teneva in mano una canottiera di stoffa morbida e leggera di un bel viola e un paio di pantaloni stretti di… pelle nera? Pensava davvero che me li sarei messi? La sua espressione compiaciuta confermava le mie paure.
Deglutii nervosamente. «Ehm, Beth, mi sembrano pantaloni un po’ esagerati…»
«Guarda che non è pelle vera, è tutto sintetico. E addosso fatto tutto un altro effetto. Credimi ti staranno da Dio.» Replicò porgendomi i vestiti.
Li presi titubante. «Non sei obbligata a darmeli, se vuoi posso usare qualcosa di mio…» “Dimmi di sì, ti prego, morirò di vergogna con quei cosi addosso”, pensai.
«Andiamo Scarlett, se vuoi un ragazzo devi farti notare.» Insistette.
Sospirai rassegnata: mancava troppo poco alla festa, appena un giorno, perché riuscissi a farle cambiare idea quindi ormai era ovvio che mi sarei dovuta vestire in quel modo. Pelle vera o no, non mi sarei mai sentita a mio agio con quella sottospecie di pantaloni addosso.

Tornai a casa a piedi, come sempre visto che non avevo un’auto. Avevo infilato i vestiti di Beth nello zaino e mi sembrava che l’avessero appesantito di dieci chili come minimo: erano troppo appariscenti per me, nonostante fossero di colore scuro.
Litigai per cinque minuti buoni con la serratura prima di riuscire ad entrare. Mollai lo zaino in un angolo e mi lasciai cadere sul divano. Mamma era già ripartita per un altro viaggio e mi ero dimenticata di chiederle quando sarebbe tornata, perfetto. Mi dispiaceva sul serio, le volevo bene, solo che passava più tempo fuori che in casa.
A volte mi sentivo spaesata e sola, ma poi mi dicevo che dovevo essere forte: tutto quello che faceva era mirato a farmi avere una vita dignitosa, non avevo alcun diritto di aggiungere problemi a quelli che già aveva.
Una vocina nella mia mente mi ricordò che dovevo fare i compiti . La zittii senza troppi sforzi: l’ultima cosa che volevo fare era iniziare una guerra con l’algebra. Soprattutto con tutte quelle dannata lettere infilate a caso in mezzo ai numeri.
Mi sdraiai sulla schiena, lo sguardo fisso sul soffitto, un cuscino stretto al petto. Una crepa irregolare attraversava l’intonaco bianco partendo da un angolo della stanza e fermandosi poco più avanti. C’era sempre stata, fin da quando ero piccola e ormai era quasi diventata una certezza, una costante. La consideravo rassicurante da un certo punto di vista proprio perché c’era sempre, qualunque cosa succedesse fuori. Certo, era strano affezionarsi ad una crepa, ma visto che passavo buona parte del giorno da sola, tranne quando uscivo con Beth e con gli altri, non avevo molto altro da fare.
Dopo qualche minuto di riflessioni esistenziali, decisi di provare almeno a dare un’occhiata ai compiti per il giorno dopo. Mi tirai su a sedere, allungai un braccio e presi il libro di matematica dallo zaino. Scorsi velocemente le pagine fino a quella che mi interessava e feci una smorfia vedendo l’interminabile sfilza di numeri e lettere che dovevo affrontare.
Mi passai una mano tra i capelli, gesto che mi ricordò che dovevo lavarli. «Uhm… Come diavolo faccio per il compito?»
Ci avevo provato più e più volte a farle, mi ero fatta aiutare da Beth, che era praticamente un genio in matematica, ma alla fine i risultati non erano cambiati. Probabilmente ero negata per l’algebra, era inutile girarci intorno, non l’avrei mai capita.
Mentre fissavo le pagine del libro, qualcosa attirò la mia attenzione: su un angolo avevo disegnato, in uno dei tanti momenti di noia, una luna piena che spuntava dalle nuvole. Aggrottai la fronte osservandola: mi metteva ansia come sempre anche se stavo imparando a gestirla. Beh, più o meno.
Mi faceva ancora perdere il controllo, ma avevo imparato come fare ad evitare di mettere in pericolo chi mi stava intorno: bastava che mi allontanassi il più possibile da tutti e da tutto. Vicino a Seattle c’erano molti boschi, bastava che andassi lì ed il gioco era fatto. Nonostante questo però, la furia del lupo che c’era in me era forte, sempre presente e temevo di poter far male a qualcuno anche prendendo delle precauzioni. Che poi, in fondo, lasciavano parecchio a desiderare.
Sospirai mordendomi il labbro. E all’improvviso mi tornò in mente il ragazzo che piaceva a Beth: era carino, sì, ma non mi sembrava avesse niente di così spettacolare. C’erano tanti di ragazzi come lui, piacevoli da guardare, magari anche gentili o simpatici, ma finiva lì. “O forse no”, commento una vocina nella parte più remota della mia mente.
L’occhio mi cadde di nuovo sul mio disegno e per poco non mi venne un infarto: il plenilunio sarebbe stato domenica. Un giorno dopo la festa. Questo voleva dire che ne avrei sentito gli effetti. Mentre ero in mezzo ad un sacco di persone. Tra cui ci sarebbe stata anche Beth.
Non potevo andarci, proprio no, dovevo proteggere la mia migliore amica e tutti quelli che sarebbero stati presenti. Però mi serviva una scusa più che inattaccabile per convincere Beth che non ci sarei stata: era testarda e aveva un grande intuito, avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava.
Mi passai una mano tra i capelli, lo facevo sempre quand’ero nervosa, e buttai il libro di matematica da una parte. Presi il cellulare dalla tasca dei jeans e scrissi un messaggio a Beth, sperando che capisse e non facesse domande: “Sabato non posso esserci, mi dispiace… Mia mamma non mi lascia venire, sai, devo recuperare algebra… Divertiti anche per me e fa’ strage di cuori.
La sua risposta mi arrivò poco dopo e, com’era prevedibile, non mi aveva creduto: “Scarlett Marie Dawson, che diavolo stai dicendo?! Tua madre non è neanche in casa adesso. Tu verrai, punto. Andiamo, sarai uno schianto con quei vestiti, e non posso fare conquiste da sola, lo sai. Se non vieni di tua spontanea volontà, ti passerò a prendere a casa e credimi, non sarà piacevole.
Imprecai tra i denti chiedendomi cosa avevo fatto di male per meritarmi una cosa del genere. Far cambiare idea a Beth era come convincere mia madre a lasciar perdere i sari: impossibile. Le scrissi velocemente un messaggio prima di lanciare il cellulare dall’altra parte del divano. Lo fissai torva finché la vibrazione non mi avvertì che avevo ricevuto una risposta da Beth: “Hai solo paura, ma fidati, non hai ne hai bisogno: sarai perfetta. Passo a prenderti io verso le nove e mezzo, okay?
Ero ancora in tempo per tirarmi indietro, potevo fingermi malata, potevo farmi mettere in punizione, potevo nascondermi da qualche parte. Però odiavo comportarmi da codarda quindi… Dovevo affrontare il mio essere lupo e sfidare la sorte sperando di non combinare disastri.
Okay. A sabato.”



SPAZIO AUTRICE: Possiamo dire che in questo capitolo c'è stato il primo "incontro" molto indiretto tra Scarlett ed Adam. Il vero primo incontro avverrà nel prossimo capitolo e sarà piuttosto bizzarro.
In più ho scoperto, diciamo così, che il prestavolto di Adam, Cody Christian, interpreta un licantropo -piuttosto ambiguo a dirla tutta- in Teen Wolf: evidentemente era destino che Adam avesse a che fare con il soprannaturale.
A parte questo, non so davvero come ringraziarvi: quando ho cominciato a scrivere questa storia non mi aspettavo che potesse piacere a qualcuno, né di riuscire a creare personaggi interessanti. Fin dal primo capitolo, invece, mi avete dimosrato molto entusiasmo e curiosità e questo mi ha reso felicissima.
Grazie mille, sul serio.

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