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Autore: RLandH    09/07/2015    2 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Questo capitolo è stato un parto: ho tagliato e riscritto interi pezzi, senza considerare che “il cattivo” del capitolo è stato cambiato una decina di volte e non parliamo del titolo, il finale è un po' a casaccio invece, perché non ero certa di come dovesse finire. Ed anche un po' turpe, credo, oltre questo c'è da dire che da ora cominciano le “botte” (all'incirca, Heather non farà nulla di chè) e contemporaneamente le giustificazione per il colore del rating. Approfitto per chiedere umilmente scusa, che faccio schifo nello scrivere di lotte.
Ci tengo a ringraziare chi legge e segue; ed ovviamente chi recensisce: summer_time e AliNicoKITE, voi mi rendete davvero una persona felice.

Note a fondo pagina, importanti da leggere, dopo.

Buona lettura,

RLandH

 









 

Il Crepuscolo degli Idoli

 

 

 

 

 

Quando sei un mezzosangue anche una corsa per schiarirsi le idee può essere una cosa degna di fama.

 

 

July II

 

 

 

La carnagione di Jake era mediterranea, spiccava sotto il lenzuolo bianco. Era un bel ragazzo, con i capelli scuri, sottili e disordinati, gli occhi grandi e neri, come il carbone. Nonostante gli arabeschi bianchi ne levigavano la pelle, rovinando la vaga illusione di un’adolescenza normale. Jake portava sulle guance, sulla carne, su ogni centimetro di se, il labirinto. Marchiato nelle cicatrici, nelle occhiaie scure – delle notti insonni – e in ogni sguardo disincantato dal mondo.

E respirava piano Jake, al suo fianco, con la bocca appiccicata alla sua guancia. “Lo sai qual è la mia più grande beffa?” le chiese sornione, con le labbra carnose arricciate in un sorriso da gatto del cheshire, mentre con le dita ridefiniva cauto la linea del suo profilo. “Non ho idea neanche chi sia tra i due il mio genitore divino” le disse poi, spento. S’era voltata per incrociare i suoi occhi; allora gli aveva detto, prima di baciarlo frettolosamente che non era importante. In quel momento, la July del Dopo Manhattan, avrebbe voluto dirgli di rimanere in quel letto con lei per tutta la vita, che davvero tutto il resto non importava.

Come il ricordo di quella notte era venuto, improvviso ed angosciante, alla stessa maniera era andato via.

 

 

 

July da sotto il lenzuolo d’un caldo ricordo, s’era ritrovata vagabondare per un parco. La brina primaverile inumidiva il letto d’erba, verde brillante, per celebrare la rinascita della primavera. “Non c’è da stupirsene” costatò lei, “La terra stessa sta rinascendo” aveva aggiunto, con molta meno allegria. Non gli era decisamente chiaro quale fosse il Piano Malefico della Madre Terra, ma il suo piano – Eris permettendo – non era cambiato affatto: trovare anche il più fetido dei buchi e nascondercisi fino alla fine dei tempi.

Madre Gea veniva dopo, però. Aveva di gran lunga la priorità scoprire in quale angolo di mondo si fosse svegliata, perché certamente non era lo stesso in cui s’era stesa la notte prima. Aveva affondato il viso nel cuscino di Torrigton, bella stesa sul letto che con molta eleganza e una certa reticenza il ragazzo s’era ritrovato costretto ad offrirle, in nome di un qualche codice cavalleresco, soppresso da secoli. Ed in quel momento era in un parco. Di quelli con ampi spiazzali verdi per il picnic, con alteri secolari, con tronchi ampi e rami resistenti, da poter sorreggere il peso di una persona. Non lontano spiccavano altalene ed altri giochi per bambini; eppure July aveva l’impressione che l’intero ambiente per quanto bello, fosse coperto da un sottile strato di nebbia, che offuscava anche gli occhi più attenti.

Il silenzio finì per infrangersi, nel delicato suono dolce d’un flauto. Una melodia delicata, preziosa, timida, come fosse stata la metafora della primavera rinascente, della natura, timorosa ad aprire gli occhi sul mondo, per accertarsi per davvero della fine del gelido inverno.

 

 

Seguì cauta il suono, inoltrandosi in quello che aveva l’aria di un piccolo bosco. A seguito del dolce suono, era venuto alle orecchie anche le frizzanti risate femminili. July s’era nascosta dietro il tronco d’una quercia, spiando attenta ciò che gli si era aperto davanti: un gruppetto di ninfe, con vestiti di fogliame, rideva e ballava al tempo di quella litania. Erano allegre driadi, non c’era nulla di così sospetto. Poi si accorse del suonatore, era più distante, sistemato sotto un pino, dagli aghi verdissimi ed acuminati, era un satiro. Accomodato sull’erba brina, agiato nella sua nudità, aveva capelli biondo sabbia, lisci, da cui spuntavano due fiere corna da caprone, un viso affilato e pallido, labbra sottili costrette in una posa strana1 per soffiare l’aria attraverso i giunti di un flauto di pan. A quella distanza July non riusciva a scorgere particolarità nell’oggetto, solo le cannucce non sembravano essere di legno.

 

“Sono colpita” aveva detto un’altra figura, avvicinando al satiro, era una donna matura, aveva la pelle eburnea come una statua. I capelli erano poco visibili sotto un manto carminio, ma risultavano dello stesso colore della pelle e rigidi, come se fossero stati scolpiti nella roccia. Lei era stretta in un lungo abito di satin rosso, con ghirigori e pennacchi dorati. Sebbene il vestito non stringesse sul fisico, mantenendo un panneggio morbido, il corpo della donna ne era ugualmente valorizzato, grazie ai fianchi tondi ed il seno gonfio, nonostante non fosse più così giovane e così soda era comunque una bellezza. Solo che non sembrava umana, sembrava qualcosa di diverso, tranne gli occhi di un colore non chiaro, una sorta di miele sporco. Il satiro non sembrò all’apparenza curarsi di lei, continuando la sua dolce nenia, però aveva aperto gli occhi, sotto le ciglia chiare, si nascondevano iridi castane piuttosto anonime. Aveva guardato appena la donna, senza curarsi di risponderle. “Non ti ho ancora visto muoverti” aveva stabilito quella, sedendosi accanto al satiro, ogni sua azione era compiuta con una certa regalità, “Non starai pensando di accettare la proposta di Gaia?” aveva indagato la donna, sotto le luci del mattino, un filo d’oro spesso quanto un dito riluceva attorno alla fronte. “Io potrei” aveva convenuto, sorridendo accondiscende, “Ma voglio prima vedere Apollo ed Artemide soffrire come ho sofferto io” aveva stabilito, chiudendo un pugno con forza, la pelle si era come crepata lungo il braccio come se fosse stata fatta di terracotta o ceramica.

Il satiro terminò la sua litania, “Lascia a me l’Orfeo in divenire” aveva stabilito quello, aveva una voce delicata, sottile ed antica, “Ma la Pazza ha detto già chi ucciderà la Regina della Pestilenza” si era lagnata la donna, ringhiando, anche agli angoli della bocca erano comparse crepe, “E allora?” aveva risposto seccato il satiro, “Ci sono interi campi che pullulano di progenie di Apollo” aveva risposto seccato, prima di inclinare il capo, come se cerchiasse di scrocchiare il collo, July ebbe l’impressione guardasse nella sua direzione. “Lo ucciderai così?” aveva ammiccato la donna, indicando con il capo più in là, allora la figlia di Eris si accorse che le allegre risa delle driadi erano cessate, come elle stesse, un cerchio di morte, erano tutte riverse sull’erba, sventrate, soffocate, tumefatte. Loro si erano uccise a vicenda?

“Una specie” aveva sentenziato il satiro.

 

 

La prima cosa che July aveva fatto era stato vomitare, il problema fu, che nonostante la buona volontà non era arrivata neanche alla porta del bagno di Al, finendo per svuotare lo stomaco sul pavimento. Accasciandosi, con sommo disgusto lì accanto. Il sogno era stato oltremodo indigesto. Era quasi ridicolo che un gruppetto di driadi morte l’avesse colpita a tal punto, specie per lei, che aveva visto gli orrori del labirinto, che aveva tenuto sul grembo il viso defunto del suo amante ed era la figlia della discordia stessa. “Juls!” aveva strillato Torrington, comparendo sull’uscio della porta, in boxer con i pois ed il fisico da polletto, gli occhi verdi sgranati.

“Stai bene?” aveva chiesto il ragazzo, tenendola su dalle spalle, “Che non lo sai che quando le persone stanno bene vomitano?” lo bacchettò lei, mostrando i denti. “Dei celesti! Perché ho dato retta ad Howard e non ti ho lasciato per strada?” s’era lamentato piccato il ragazzo, chiudendo gli occhi, profondamente seccato. “Perché siamo buoni?” aveva proposto una voce da un’altra stanza, con allegra onestà. Alabaster aveva aiutato July a tirarsi su, lanciando uno sguardo piuttosto critico alla chiazza di vomito sul pavimento, “Pulisco io” aveva bisbigliato flebile lei. Aveva fatto le pulizie per mantenersi negli ultimi tempi, infondo – aveva pulito cose peggiori. Torrington non aveva dato cenni di averla ascoltata, “Non esagerare Howard! Sei sempre stato ben lontano da essere un essere umano anche solo vagamente decente” lo aveva pungolato invece, con una mano attorno alle spalle di July e l’altra sul proprio fianco.

“E l'unica volta che ti sei mosso per aiutare qualcuno sei morto” aggiunse, scortando la ragazza fuori dalla stanza, “Prego! Prego!” rispose Horward ridendo – non avendo preso sul serio la questione della sua morte.

July sorrise. Il lare personale di Al, anche se il ragazzo s'era guardato bene dal definirlo così, era decisamente più accomodante e spesso simpatico dello stesso proprietario di casa, sebbene piuttosto superbo.

Alabaster, nonostante tutti i suoi cattivi pensieri, l'accompagnò fuori dalla stanza, tenendola per la vita, delicata. “Ho sognato qualcosa di brutto” aveva rivelato lei con voce mogia, gli occhi chiusi, nel riflesso delle palpebre le ridenti driadi morte.

 

Erano arrivati in cucina e July aveva occupato la stessa sedia della sera prima, ritrovandosi davanti al viso la bottiglia che le aveva regalato sua madre, racchiuse le dita attorno alla fronte con gli occhi strizzati, doveva darsi una calmata, nella sua vita aveva visto nella sua vita molte cose brutte … come il labirinto. Allungò una mano e raccolse la bottiglia, era fredda, come se fosse stata in frigorifero per tutta la notte, ma July sapeva fosse stato su quel tavolo tutta la notte ed il giorno precedente e quello prima ancora.

 

Alabaster le aveva piazzato una mela verde e lucida davanti, coperta da goccioline d'acqua e s'era accomodato di fronte lei, con gli occhi spenti, cerchiati da occhiaie rosse; July aveva morso la mela con un movimento lento e disinteressato, Al le aveva sottratto la bottiglia dalle mani, s'erano sforzati di riuscire ad aprirla ma non avevano cavato un ragno da un buco. “Forse è come Excaliburn” aveva scherzato Horward qualche giorno prima.

 

“Ho parlato con Bernie LaFayett” aveva sussurrato alla fine il ragazzo, continuando a tenere la bottiglia. July aveva sollevato le spalle, la presa della mela le era quasi sfuggita, tutta rigida e morbosamente curiosa, se pensava all'ultima volta che aveva veduto la ragazza in questione era stato durante la battaglia di Manhattan, Bernie era in seconda linea, vestita di pelle, con l'armatura oplitica semi indossata, spada e scudo alla mano, il groviglio di ricci raccolto appena sulla sommità del capo ed il viso sicuro – più di quanto fosse lei. Non erano mai state amiche, erano state compagne però, July s'era addestrata nell'uso delle armi con sua sorella Bell, che era una selvaggia pantera con gli occhi di fuliggine e nessuna pietà in duello, l'aveva vista ferire senza remore e vergogna chiunque – anche nella battaglia, tranciare statue e semidei, nonostante la paura, che mai le era appartenuta, appiccicata al viso, rifulgente di oscurità. Gli era venuto in mente come Carter si rivolgeva sempre a loro, Le terribili figlie della Notte, la progenie di Nyx, oscuri e pericolose, anche se July non riusciva a dare nessuno di quei due aggettivi a Bernie.

 

“Lei non è riuscita a dirmi niente … il contatto si è interrotto, qualcosa la ha attaccata” aveva mormorato vacuo Alabaster, gli occhi verdi piantati nel vuoto, la bottiglia tra le dita, “Le ho detto dove ero, lei sa trasportarsi nell'ombra” aveva sussurrato cauto. July aveva annuito, la manipolazione della nebbia e dell'ombra sembrava l'unica cosa in cui Bernie eccellesse alla sorella, “Quanto tempo fa è stato?” aveva chiesto lei, “Neanche tre ore fa” aveva risposto secco lui, “Ho provato a contattarla, ma non ci sono riuscito” aveva confessato tetro. Forse era morta, ipotizzò con sgomento July, per niente volenterosa di aggiungere un altro nome alla lista delle persone che aveva conosciuto in quelle dei morti, forse era stato per quello che per un anno se ne era tenuta fuori, non sapere a volte poteva essere meglio. S'alzò dalla sedia, “Io vado a fare una corsa, ne ho bisogno” aveva stabilito, prima di lasciarle la stanza a passo frettoloso, “Dimenticati di Bernie, pensa alla bottiglia” aveva sussurrato frettolosa, forse anche un po' ingiusta.

Era figlia della dea Eris infondo.

 

Alabaster si alzò con lei, tenendo la bottiglia tra le dita affusolate, “Il sogno!” aveva commentato il ragazzo, richiamando alla sua memoria la melodia del flauto di Pan, “Pensavo mi avresti ricordato di pulire il vomito” scherzò lei, con le labbra appena piegate in un sorriso amaro, Al strinse le labbra e trattenne una risata, appena. Era carino Alabaster, in un certo senso, un po' allampanato, con efelidi su tutto il corpo, un viso scarno, incavato, e capelli corvini intrecciati sugli occhi verdi. Indossava la maglietta del pigiama a mezza manica e dei calzoncini rossi, per nulla a disagio a starsene con le sue secche gambe nude davanti ad una ragazza, più grande per lo più.

July prese un sospirò e raccontò tutto.

“Un satiro, una donna dal viso crepato, ninfe morte ed un flauto di Pan” aveva ricapitolato Howard che aveva sentito l'intero discorso, era un uomo di mezza età, con i capelli sale e pepe ed un naso grosso a patata, insolitamente avvolto da una luce violacea, era un entità di sola nebbia. In mancanza di tasche, Al se ne stava a braccia incrociate e spalle incassato, “Dimentichi il desiderio di morte per i figli di Apollo” aveva aggiunto, osservando l'uomo.

Mentre i due ne discutevano July s'era cambiata, lasciando la porta aperta perché potesse sentirgli, liberatasi del pigiama che Alabaster aveva fabbricato con la nebbia – o forse sottratto – in favore di una vecchia tuta, forse troppo pesante per quella stagione, che aveva trovato in un fondo di una vecchia cassettiera. S'era chiesta, per un minuto o due quando era entrata lì nella prima volta, di chi fosse in realtà quella casa.

 

“Io vado a correre” aveva annunciato, infilando la lima per unghia nella tasca dei pantaloni larghi della tuta, d'un roso bruno, “Vuoi la mia pistola cara?” aveva chiesto il fantasma, “No, grazie signor Horward” aveva risposto, non sapeva usare un'arma da fuoco, era piuttosto brava nel corpo a corpo e nell'utilizzo di una lancia, ma la sua si era spezzata a Manhattan contro il busto di una statua; “Dottor, cara, Dottor Horward” lo corresse quello. Parecchio narcisista per essere un fantasma.

 

“Hai pulito il vomito?” chiese invece Alabaster, “Si” mentì lei, s'era limitata a stenderci sopra uno straccio. S'era diretta spedita verso la porta dell'abitazione, passando per l'ampio salotto, vicino la porta del microscopico androne, vicino l'appendiabiti c'era uno specchio, come ogni volta, July s'era guardata, concedendosi il suo più grande vizio, la sua vena vanesia – neanche fosse stata progenie d'Afrodite.

S'era sempre amata, ma per molto tempo, dopo il labirinto, aveva provato disgusto per il suo corpo martoriato, pieno di cicatrici, che solo Jake avrebbe potuto amare, perché era spezzato come il suo.

 

Ma nello specchio non aveva ritrovato la sua carnagione ambrata con i capelli rovinati, chiari al fondo e neri alla cute, ma il viso latteo cagliato, incorniciato in una chioma bruna ondulata e gli occhi cattivi. “Madre” si lasciò sfuggire, “Smettila di perdere tempo” aveva ringhiato la donna, con una voce sottile, stridula. “Certo devo cercare l'arma, il ragazzo con il sonno apparente” aveva ricordato July, le parole dell'uomo mascherato e di sua madre, con una certa incertezza. No, lei voleva trovarsi un posto sicuro dove aspettare la fine del mondo e pregare di sopravvivere, non era abbastanza forte per quel mondo.

Il viso di Eris era una maschera di furore, aveva a differenza dell'altra volta, i capelli raccolti in molte trecce e nastri bianchi legati in esse, macchiati di un rosso scuro e secco; “So cosa stai pensando: Non sono capace, gnegne” aveva aggiunto lei, con un sorriso sornione. July aveva passo un passo indietro, finendo con il sedere contro il cassettone vicino la porta, “Lo diceva anche Walter ma alla fine ha scoperto di essere un vero artista” aveva aggiunto la dea Eris, chiudendo gli occhi appena, “Pungolata a sufficienza la mia stirpe non conosce confini” aveva soffiato; non s'era sprecata a dire altro, di Eris nello specchio erano rimasti solo gli occhi nocciola, gemelli ai suoi, il resto era il suo contorno.

 

“Ho sempre pensato a te come una figlia di Afrodite” confidò Alabaster, posandosi con la schiena al muro e spiandola attraverso lo specchio. July non si voltò, limitandosi a fissare gli occhi verdi del ragazzo tramite il riflesso. “La mia vanità ti ha tratto di inganno” - s'aggiustò un ciuffo di capelli biondi dietro l'orecchio - “Direi che non ci sei neanche andato vicino, Al” aveva risposto sorniona, aprendo le labbra in un sorriso, “Tu, dici?” aveva chiesto quello, alzando un sopracciglio. “Ehm … si” aveva risposto lei, con una certa perplessità. “Sia Eris sia Afrodite sono dee bisbetiche, vendicative e piuttosto crudeli, sebbene alla Dea dell'Amore piaccia fingersi gentile” aveva chiarito quello, standosene con un sorriso tirato, che non prometteva nulla di buono sul viso, “Tutti gli dei lo sono” aveva ribattuto lei, prima di mordersi il labbro inferiore, “Rischiamo di inimicarci tutti parlando così” aveva osservato poi July, ottenendo da Al una semplice alzata di spalle, “Tanto io sono già odiato da tutti” aveva chiarito lui.

“Inoltre Eris è la compagna di battaglia prediletta di Ares ed Afrodite la sua amante per eccellenza” aveva aggiunto Alabaster, staccandosi appena dal muro, “Amore e guerra sono sempre compagne” aveva ribattuto July, ricordando vagamente le lezioni di letteratura quando ancora frequentava la scuola, “È la Discordia è l'antitesi dell'amore” aveva ribadito lui.

Al le era davvero vicino, avrebbe potuto quasi avvolgerla in un abbraccio. “Sai continuo a trovare strano che tua madre sia venuta, ti abbia fatto dei regali e scaricato qui senza una ragione” aveva fatto notare intelligentemente quello, perché per quanto July si divertisse a denigrare chiunque, doveva solo ammettere che il ragazzo che aveva davanti – tecnicamente alle spalle – era piuttosto intelligente, doveva essere almeno una settimana che quella curiosità frullava nella sua mente. “Oggi hai avuto un sogno” aveva aggiunto, “Tutti i mezzosangue ne hanno” aveva risposto prontamente lei, “Non ricordi? Carter e Chris ne parlavano sempre, anche tu sei stato al campo” aveva aggiunto immediatamente lei. Anche Jake Evandor ne parlava ogni tanto, un giorno le aveva confidato che non ne aveva più, che i suoi sogni erano lunghe oscurità pacifiche o silenziose, July aveva chiesto se questo lo rendesse felice, ma aveva ricevuto in risposta il nulla. “Sono gli dei a mandarci i sogni, Goldenapple” aveva risposto quello.

“Na parliamo dopo” aveva sentenziato lei frettolosa, “Devo correre” aveva raggiunto.

 

Sua madre l'aveva scaricata a Keesville proprio davanti al market dove Alabaster C. Torrigton il più brillante figlio di Ecate che la storia avesse mai visto da … sempre, per una ragione – ed anche ben precisa. Al era finito nel preciso mirino della dea della discordia, come chiaro aiuto a lei, ma July era fermamente convinta che il suo piano fosse più funzionale di quello di sua madre - che non s'era degnata neanche di spiegarle a dire il vero, aveva solo l'indizio dell'uomo mascherato – ovvero quello di nascondersi da qualche parte ed aspettare pazientemente, e passivamente, la fine. E di sicuro July dopo Jake e Mary non aveva affatto voglia di affezionarsi a nessun altra persona al mondo, che potesse andarsene di nuovo, lasciandola spezzata ancora, o peggio ancora avrebbe potuto darle motivo di voler lottare per quel mondo. Ma Alabaster era stato un compagno d'armi e meritava che almeno il crepuscolo dell'era degli Eroi se la facesse in pace in compagnia di quel suo lare tutto matto.

Aveva seguito il corso della strada in maniera automatica, lasciandosi guidare dal movimento lesto delle gambe, quando s'era fermata a riprendere fiato, non s'era neanche accorta dove avesse deciso di far sosta. Con le mani sulle ginocchia e piegata sulle gambe aveva ripreso un po' di fiato, sollevando appena gli occhi, ritrovandosi davanti un parco, per un secondo aveva pensato d'essersi ritrovata nel suo incubo, ma s'era accorta il parco fosse molto diverso, giusto un attimo dopo. Alcuni bambini giocavano nella sabbia ai giochi, qualche coppietta si godeva la prima luce di primavera sul parco, vecchi davano da mangiare ai piccioni e tutto sembrava così tranquillo ed autentico. Sorrise appena.

July era invidiosa dei mortali, non perché non avessero problemi – aveva vissuto da ragazzina ricca e da barbona, per sapere che la noncuranza era una brutta bestia, ma non quanto non avere i soldi neanche per mangiare – ma erano dotati di quella genuina immaginazione che gli rendeva così innocenti ai suoi occhi. Sulla Principessa Andromeda ne avevano parlato più volte, ricordava che le gemelle LaFayette avrebbero voluto avvertire i mortali sul mondo che gli circondava, come era in passato, che si sarebbero dovuti allenare come i mezzosangue, per difendersi, nessuno aveva compreso perché di quel comportamento. Carter e Jake sembravano orribilmente d'accordo. Lei no, come anche Alabaster, “Devono già occuparsi di far funzionar il loro incasinato mondo, per preoccuparsi anche del nostro” si ricordava aveva detto il figlio di Ecate. Qualcuno aveva detto voleva dare ai mortali un posto sicuro nella loro età dell'oro, sembrava stupido ma July non riusciva a ricordare chi avesse avuto un'idea tanto sciocca quanto bella assieme. E poi si ricordava di Lip, che era più piccolo di loro, sorrideva con i denti coperti dal ferro dell'apparecchio che rideva, così euforico di quel mondo per cui era sempre stato preso per matto. Come Hobb, quando July aveva conosciuto il vecchio barbone a Los Angeles aveva avuto l'impressione di parlare con Lip, con cui a pensarci bene, non aveva mai scambiato parole, eppure il peso della morte del ragazzino gli era sul cuore. Lip era fin troppo innocente.

 

“Va tutto bene?” aveva chiesto qualcuno sorprendendola, July era salta, con la schiena ritta, prima di identificare il suono della voce in un soggetto alquanto innocuo. Il suo primo pensiero era che una volta non si sarebbe mai fatta prendere così di sprovvista, particolarmente nel labirinto; le vennero i brividi. Il secondo pensiero fu che lo sconosciuto era piuttosto carino, forse più del tipo con il solenoide – che purtroppo era legato all'altro mondo - e le stava sorridendo. Era piuttosto alto, con l'incarnato olivastro, aveva un viso affilato e un groviglio di capelli neri, come il piumaggio di un corvo, era più grande di lei, di qualche annetto, aveva un aspetto trasandato ma in qualche modo attraente, come un poeta maledetto o quel genere lì. “Ero sovrappensiero” aveva risposto appena un po' imbarazzata, sorridendo anche un poco, il ragazzo, l'uomo, le sorrise di rimando, poi s'era spostato posizionando un cavalletto con della tela, che July non aveva proprio notato, o quello almeno si disse.

July s'avvicinò ad un panchina per sedersi, con le mani infilate nelle tasche della tuta. Sua madre e l'uomo mascherato volevano che trovasse il Ragazzo Con il Sonno Apparente, Alabaster voleva sapere la verità e lei sognava di Satiri che spingevano ninfe ad uccidersi a vicenda. “Nefasti numi” borbottò, “Volevo starmene in santa pace” ringhiò, percependo vicino alle sue dita un oggetto freddo, che giurava non doveva esserci stato quando aveva indossato la tuta quella mattina, svuotò la tasca per trovarci una lima, anzi la lima, il dono di sua madre – assieme all'inutile bottiglia. Osservò di sottecchi l'uomo che s'era bello messo a dipingere, aveva dita affusolate che teneva il pennello in maniera elegante, l'oggetto era di onice nero, quasi di styge, il pennacchio d'oro lucente. Sulla tavolozza c'erano solo due colori rosso bruno e oro brillante, eppure quando il colore toccava la tela, bianca come il latte erano altre sfumature ad appiccicarsi.

Mostrò i denti, chiudendo la mano sulla lima, come in cerca di un appiglio; era dannatamente certa lui sapesse perfettamente chi era lei, o per lo meno cosa era, e lei era disarmata e troppo lontana da Alabaster, non aveva neanche una dracma, per l'ira di Crono!

Il pittore continuò la sua opera indisturbato, come se di lei lì non importasse molto, anzi si voltò e le sorrise.

 

Un corpo cadde al suo fianco, seduto scomposto sulla panchina. Un odore pungente di fresie, July voltò il viso, con un espressione allarmata ancora prima di confermare ciò che avrebbe visto. Mary Beauchamp era seduta al suo fianco e le sorrideva compiaciuta, con le labbra sottili e gli occhi castani come il legno, “Tu sei morta” riuscì a sussurrare July con il fiato spezzato.

Il viso di Mary non s'era incrinato neanche di un momento, restandosene tutta tranquilla al suo fianco, “Lo sappiamo” sussurrò qualcuno negli intorni, “ È stata bruciata” disse qualcun altro, una voce femmine, bassa, “Il suo compagno la uccisa, ho sentito” sussurrò la prima voce, “No!No! È stato il figlio di Gea” s'aggiunse una terza voce, “ È soffocata nel sangue, dicono” era la quarta voce. July le sentiva tutte intorno a lei, un brusio basso di voci che s'accavallavano per urlare man mano, alcune sottili, altre veloci, alcune forti e tonanti, altre lente da perdersi nelle parole, tutte insieme da farle esplodere la testa. “Io l'ho vista, questo occhio non mente, s'è uccisa – pazza! Pazza!” era riuscita a distinguere, “No” si lasciò sfuggire July, Mary era troppo forte per uccidersi! “Queste orecchie l'hanno sentita lamentarsi, mamma mamma rispondimi! Piangeva” qualcun altro s'era fatto avanti nella confusione, July sentiva le voci rimbombare nella sua testa, mentre il viso sorridente di Mary era davanti al suo, “Oh no! Menti! July! July! Chiamava” la voce era certa delle sue parole, anche July sembrava volenterosa nel credergli, “Che tragedia, July perché mi hai lasciata da sola?” aveva sussurrato una voce, ma questa lei era riuscita a capire da dove venisse, veniva dalle labbra sottili di Mary – ma non era la voce della sua amica, non che riuscisse a ricordarla chiaramente, ma era una voce troppo calma, bassa e lenta per esserlo, Mary era impregnata sempre di allegra giocosità e scherno, era la sua armatura contro la sua paura.

“Tu non sei Mary” disse secca. Non sapeva perché ma era stata certa che pronunciata quelle parole l'inganno si sarebbe sfatto, le voci avessero perso suono e lei si sarebbe ritrovata a fissare il viso d'un mostro. Non era successo nulla di tutto ciò, le voci avevano continuato a mormorate e far rumore e lei s'era trovata ancora a guardare una Mary indispettita. Comunque decise non poteva essere la sua defunta amica, sia per il fatto che non fosse cambiata di una virgola in due anni, sia per l'abbigliamento, la Finta Mary indossava una giacca crema, un foulard con le ancore e stivali beige di camoscio, dove erano i jeans strappati, le maglie spiritose e le scarpe con le borchie?

Ed anche perché Mary era morta, anche se July era bloccata su un lettino nell'infermeria della Principessa Andromeda, quando avevano brucato una pira per lei, Carter non le avrebbe mai mentito, non su quello almeno.

 

“Certo che no, July, lei è morta” aveva risposto con onestà la Finta Mary sorridendo in maniera accondiscendente, lei aveva schiuso le labbra sorpresa da quella incurante onestà, “Mi hanno detto che è nei Campi Elisi” s'era imposta una voce, “No, no, l'ho vista vagare persa nei Campi degli Asfodelli” aveva dibattuto un'altra, “Mentite. Questo orecchio ha sentito i suoi lamenti nel Tartaro”, “E questo orecchio l'ha sentita ringraziare i numi nelle Isole dei Beati” aveva articolato qualcuno. “Dov'è?” aveva chiesto July, cercando di recuperare il raziocinio, le orecchie le bruciavano e la mente stava esplodendo, come se un tamburo battesse nella sua testa. Chiuse gli occhi, cercando di aggrapparsi a qualcosa, ma il rumore delle voci accavallate, aveva portato la sua mente ad ideare un mondo desertico, dal suolo scivoloso, con bolle pulsanti e fiumi di fiamme, un enorme edificio di bronzo battuto s'apriva davanti a lei, nessuna finestra, solo porte rosse di sangue, di tutte le forme e di tutte le dimensioni, alcune aperte, altre chiuse, qualcuna semi aperte e le voci sembravano arrivare da lì, da ognuna di quelle porte. Il dolore l'ha riportò presto alla realtà, qualcosa l'aveva colpita nel pieno del ventre, sbalzandola lontana dalla panchina.

 

S'era ritrovata sporca d'erba e terra, supina e la Finta Mary eretta ai suoi piedi in tutto il suo glorioso splendore. July aveva chiuso le mani attorno alla zona dolente, lasciando cadere la lima per terra, ritrovandosi presto le mani sporche di rosso, cinque lunghe linee scarlatte erano aperte sulla sua pelle. Respirò a fatica, con gli occhi annebbiati dal dolore alzò lo sguardo verso la Finta Mary, allora riuscì a scorgere appena, coperte da nebbia molto densa delle ali. Le più grandi che July avesse mai visto, lunghe, dalle piume affilate come lame, d'un rosso brunastro, come il sangue rappreso, un colore disgustoso, che s'abbinava bene alle malformazione, perché tra ogni penna, sembravano sorgere, e scomparire, bulbi oculari con iridi di ogni sfumature, orecchie di diverso taglio e carnagione e labbra umane, che parlavano svelte, con altrettanto lingue rosse che schioccavano al loro interno. Raccapricciante. “Cosa ... sei … tu?” chiese July a fatica, cercando di contrarsi per mettersi almeno sulla posizione seduta, ma i tagli scavavano l'addome.

“Cosa?” aveva chiesto retorica la Finta Mary perdendo tutto il suo tono morigerato, “Pensi di avere a che fare con un mostriciattolo?” aveva chiesto indignata, mostrando i denti, acuminati. “Certo, noi lo vediamo, lei è un mostro” una voce aveva cantilenato, “Il mostro più spaventoso, ho sentito, in grado di dilaniare membra come fossero fatte di burro” un'altra, “Mentite, il mio occhio vede tutto, lei è una dea” aveva sussurrato qualcun altro, “Le dee sono belle, lei è un mostro, l'ho sentito ammetterl0” aveva ripreso qualche altra voce, July vedeva tutte le labbra muoversi a ritmi diversi e parlare ad un certo punto, ascoltare era diventato impossibile, le orecchie le dolevano da morire.

La Finta Mary le aveva posato il suolo della scarpa sulla trachea schiacciandola appena, “Pensi che io sia un mostro, stupida mezzosangue?” aveva chiesto quella, guardandola divertita con gli occhi scuri. July aveva sentito la rabbia montargli dentro, non per l'epiteto o per il trattamento, ma per lo sguardo, non riusciva a sopportare che la sua amica Mary la guardasse così.

 

July sollevò a fatica le mani per raggiungere il piede della creatura, nel tentativo di allontanare la suola dalla gola per poter ritornare a respirare bene, la Finta Mary continuava a tenere un sorriso aperto sulle labbra, sentiva le dita, con le braccia, formicolare tutte, come se qualcosa si stesse risalendo sotto la sua pelle. Forza. Era forza. Il viso della creatura si ritrovò sconvolto, accompagnato da un urlo di dolore, quando July con più forza di quanto ebbe mai avuto, torse il piede con così tanta forza, da spezzare l'omero, che finì per sfilacciare la carne ed esporsi. La finta Mary s'era ritrovata presto stesa per terra, urlando di dolore, tenendo le mani premute sulla ferita zampillante, dal suo canto la figlia di Eris strillava per il bruciore, le sue mani erano ustionate, sporche del suo sangue e di velenoso icore dorato, “Se-sei ... una … dea?” riuscì a chiedere con una certa fatica, con le lacrime premute sugli occhi, mentre cercava di strisciare via.

La Finta Mary s'era chinata per stringere l'osso di nuovo alla gamba con il suo foulard, il viso aveva ripreso colore ed una discreta arrabbiatura, “Si piccola inutile mezzosangue” aveva ringhiato. Le voci per un attimo s'erano arrestate tutte e centinaia di occhi diversi, pupille tonde altre allungate, da felini e rettili, fissavano intensamente July, tutte le bocche erano sigillate e lei si sentiva stranamente fremere per la forza. Solo che, non sapeva spiegarselo, era come se la forza fosse un essere vivente, annidato nella carne viva che si spostava frettoloso e formicolante sotto la pelle … e l'adrenalina, era venuta così vivace da averle annebbiato il dolore per le mani fumanti e le ferite sul torace, era riuscita anche a mettersi in una posizione genuflessa con meno fatica di quanto avesse sprecato un attimo prima per pronunciare tre parole scarse. Allora s'era accorta della lima per le unghia infilata nella tasca della tuta.

 

Lei è una dea certamente” aveva sussurrato una voce, infrangendo il sinistro silenzio, “La più amata e desiderata” aveva aggiunto qualcun altro, una voce tonate, “Tutti dovrebbero a lei fare sacrifici” serpeggiava qualcuno, lentamente July aveva potuto scorgere le bocche ricominciare a schiudersi, le le palpebre chiudersi e gli occhi guardare in ogni dove, “Di Eracle ha tessuto le lodi”, “Ma anche raccontato i suoi tumulti”, “Di ogni eroe ha detto il bene ed il male, così è cosi va”, “La Fama è”, “Questi occhi hanno visto gli eroi”, “Queste orecchie hanno sentito le loro parole”, “Queste bocche hanno narrato le loro storie” - il brusio era tornato come il suono d'un martello d'un incudine, così prepotente da spingerla a chiudersi le orecchie con le dita, “Non sempre abbiamo detto il vero”, “Noi raccontiamo la realtà come la percepiamo”, “Una storia è bella a prescindere che sia vera o falsa, no July?” l'ultima domanda era venuta dalla Finta Mary, che sembrava ancora piccata per la ferita al piede.

Lei cercò di tirarsi su nella posizione eretta, finendo per ricadere atterra invece, la forza come era venuta sembrava essere scivolata via altrettanto, “Sei una narratrice di storie?” aveva chiesto July affaticata, sentendo nuovamente il dolore sul addome, “Una musa, forse?” aveva riprovato, avendo ottenuto dalla dea un ringhio basso, ottenne anche con la seconda domanda il nulla.

“Sei, davvero, così ottusa piccola semidea?” aveva chiesto la Finta Mary, mostrando i denti, “Io sono Fama, figlia di Gea, colei che porta notizia, che crea leggenda, colei che tutti dovrebbero ingraziarsi” aveva spiegato con un tono orgoglioso, “E di grazia cosa vorresti da me?” aveva chiesto a fatica July, cercando nuovamente di sollevarsi sulle gambe, una mano sul busto e l'espressione abbastanza tormentata dal dolore.

Fama sorrise, mostrando la dentatura affilata, “Fin ai confini del Tartaro è arrivata la voce che tua madre ti abbia assoldata per trovarle un'arma” aveva risposto con onesta, “Non sappiamo dove veleggia Eris, ma non vi sarà possibilità che una mortale qualsiasi possa trovare qualcosa che mia madre voglia” aveva soffiato, deturpando il viso di Mary con un espressione carica di ira.

A July venne da ridere, nonostante nel farlo finì per sputare un po' di sangue e farsi dolere ancora di più il ventre, “Scherzi?” aveva chiesto, “Gli dei mi odiano ed ora anche Madre Terra?” aveva chiesto irritata, “Be, che vadano tutti al Tartaro a me non importa nulla” aveva soffiato, riuscendo a tirarsi su.

Il piano non cambiava era sempre lo stesso: aspettare con calma la fine del mondo – Gea, Eris e Fama potevano anche andarsene a ninfe.

 

Fama aggrinzì le sopracciglia, nere come la fuliggine e spesse, come a Mary piaceva portarle. “Tu non sei interessata?” aveva chiesto confusa, anche le voci s'erano zittite e le orecchie sembravano ritte, pronte a catturare le sue gustose parole, “Di mia madre me ne infischio, gli altri dei gli disprezzo e di tua madre me ne curo anche di meno” aveva sentenziato sicura di se July, stringendo il pugno sulla lima con così tanta forza che il ferro aveva tagliato il palmo della mano, “Voglio vivere il resto della mia breve vita in pace” aveva aggiunto. “Sei una delusione” sentenziò Fama, “Racconterò in giro che hai combattuto con onore se vuoi, che sei stata una vera gloria” aveva aggiunto, “O forse dirò che ti sei nascosta pavida come un coniglio” aveva detto, prima di lanciarsi su di lei, in volo – avendo la gamba offesa – con le dita ad uncino ed unghia acuminate come artigli neri, che si conficcarono senza troppa remora nella sua spalla, stracciando la maglia e lacerando la carne della spalla. Imprecò in greco antico, forse … ritrovandosi presto stesa sulle terra con la dea a cavalcioni su di lei, seduta sulle sue ferite, le unghia conficcate nella carne e l'altra mano piantata sulla sua gola. “Si dirà che piangeva July Goldenapple” sussurrò una bocca lasciva, “Questo occhio ha visto le sue lacrime e questo orecchio ha sentito le sue suppliche” aveva aggiunto, “Disperata e patetica come la sua Mary” s'era unita al coro di voce quella di Fama.

July percepì ancora una volta la forza arrampicarsi sulle sue ossa, come scosse continue, nonostante il dolore lancinante alla spalla e la presa ferrea sulla gola, che rendeva ogni respiro di fuoco. “S-sta … zitt-ta” bisbigliò appena, stringendo con forza la presa sulla lima, prima di recuperare un tale vigore al braccio per farlo scattare verso il viso della dea, conficcando la lametta nell'occhio di quest'ultima. Fama rotolò d'un fianco strillando di dolore, liberandola dalla presa, July schiacciò il capo per terra, respirando ampiamente, percependo nelle grandi boccate d'aria dei forti bruciori ai solchi sull'addome, ma aveva ancora così tanta forza in corpo da poterlo sopportare e riuscire a mettersi in piedi, percependo un profondo senso di vertigine. Abbassò lo sguardo, dove la sua lametta grondava d'icore dorato; il bulbo oculare distrutto era vicino la sua scarpa.

 

Una risata la distrasse, July cercò il fautore di quell'azione, trovandola nel giovane artista del parco, di cui s'era completamente dimenticata; il pittore era ancora lì, con il cavalletto davanti ed il pennello tra le dita, “Non andava usata così, ma è un inizio” aveva sentenziato quello, con un certo scherno, con un sorriso bianco come una fila di perle, “Cosa … tu...” s'era dimenticato quello che stava per dire a causa del dolore, era tornato di improvviso, bruciando l'addome e la spalla, “Cosa, per il tartaro, sta succedendo?” riuscì a ringhiare, sentendo l'aria nei polmoni di fuoco. Il pittore la guardò appena, “Vedi ecco, potrei spiegarti queste scariche di forza facilmente e risparmiarti molta fatica” aveva detto quello con molta tranquillità. “E non lo farai” aveva rantolato July sentendo qualcosa scorrere lunga la guancia, non era certa fosse sangue, sudore o lacrime.

Perchè nasciamo, viviamo e moriamo soli, pensò.

 

Fama era riuscita a sollevarsi a fatica sulle ginocchia, con le dita strette sulla cavità vuota dove era stato l'occhio sinistro, il destro bruciava di collera, “Volevo essere gentile con te, ma di te non resterà ne polvere ne memoria” aveva ringhiato, mostrando i denti, July non aveva avuto tempo di comprendere ciò che era successo fino a che non aveva visto Fama volarle in picchiata addosso, con un occhio spalancato ed entrambe gli artigli delle unghia sfoderate, nere ed acuminate. Cercò di arretrare appena, ma il dolore l'aveva fatta cere appena, dandole le gambe molli, cercò stupidamente di difendersi con la mano con cui stringeva la lima, voltando il capo e chiudendo con gli occhi. Non avene alcun impatto. Schiuse le palpebre, trovando le unghia di Fama infilzate contro uno scudo tondo di ferro lucido, che July stringeva da un laccio di cuoio – non aveva più la lima in mano.

Fama aveva l'unico occhio sbarrato, sconvolta, la stessa espressione, “Cosa …?” aveva mormorato appena, “Un marchingegno di Eris” sveva commentato prima di sorridere ancora, “Uno scudo?” aveva mormorato sconvolta lei, sua madre le aveva donato uno scudo? “D'etere” aveva considerato Fama ammirata, “L'etere è il materiale degli dei” aveva detto una delle bocche nascoste nelle ali, avendo ricominciato a parlottare dandole alla testa, allora lo scudo aveva cominciato a muoversi quasi fosse fatto d'argilla lucente riprendendo la forma di una lametta. “Se vuoi saperlo è etere polimorfo” aveva detto il pittore alle sue spalle.

Questo occhio vede un gioiello e questa bocca ne tesserà le odi per sempre”, “Fabbricato dalle attenti mani di Eris, dall'abilità di Efesto” ed avevano cominciato ad offuscare con le loro mille voci l'anima. “Polimorfo vuol dire più forme, vero?” chiese con una certa incertezza, per osservare la lima non aveva notato il pugno di Fama che s'era abbattuto sulla sua faccia.

La lametta le era sfuggita dalle mani, mentre lei s'era ritrovata a pochi metri di distanza con la bocca ricolma del suo sangue e denti e mascella a pezzi probabilmente. “Prima regola in battaglia non distrarsi mai” le disse il pittore con un certo divertimento, July saettò per un breve istante gli occhi di su di lui, trovandolo solamente interessato alla sua tela, neanche spostava lo sguardo dalle forme cui si stava dedicando. Sputò a terra sangue saliva ed anche qualche pezzo di dente.

Rapidà voltò lo sguardo verso Fama che con gli artigli sguainati si stava buttando su di lei, rotolò su un fianco e la presa della dea finì contro l'erba, affondando le unghia nel terriccio mollo. “C'eri quasi” la prese in giro un poco, pentendosene l'attimo dopo. Fama aveva già alzato il pugno per colpirla di nuovo, July dopo un microsecondo di smarrimento, aveva reagito, memore della scarica di adrenalina, placando il pugno con la mano testa, rompendosi probabilmente qualche articolazione.

Arpionò con le gambe quelle di Fama che s'era ritrovata a terra stesa al suo fianco, per qualche fortuita coincidenza. July quando assestò una ginocchiata sulla femminilità della dea realizzò quanto vantaggio aveva sprecato fino a quel momento. A parte le ali, il gusto del vestiario ed il sorriso cattivo – ed ovviamente un certo quantitativo di forza – Fama aveva in tutto e per tutto il corpo di Mary, non era solo un'illusione, probabilmente la dea era una di quelle senza volto, come Nemesis che riflettevano per ogni persona qualcuno, ma era in qualche modo più tangibile, aveva le stesse ossa sottili ed allungate di Mary ed il suo intero corpo, contro cui July aveva passato giornate intere a cuocersi nelle armature, sotto il sole, sul ponte della Principessa Andromeda durante gli allenamenti.

Colpì con un calcetto la parte offesa della bassa gamba, issandosi a cavalcioni sul basso ventre, sottili e magro come quello della sua migliore amica, prima di arricciare le mani attorno al collo di Fama, per ricambiarle la simpatica cortesia, cominciando a stringere la gola, dotata di quella straordinaria forza a scariche – prima che s'esaurisse – sfortunatamente solo una mano riusciva a fare il lavoro bene, ed era rallentata dal fatto che fosse al fondo del braccio legato alla spalla dove Fama aveva affondato gli artigli, l'altra mano aveva le dita rotte, nonostante lei non ne provasse particolarmente dolore, ma solo un leggero formicolio, sintomo dell'apatia che terminava. Non era neanche certa che si potesse strangolare una dea.

 

Fu costretta repentinamente a lasciare la presa quando la scarica di forza venne meno e la mascella cominciò ad andare a fuoco, da impedirle di tenere anche la bocca aperta e le dita della mano offesa dolevano così tanto da farle desiderare di strapparle lei stesse a morse e l'attimo dopo anche la spalla torna a flagellarla ed anche il ventre, dove linee le artigliate hanno scavato la pelle e la carne viva. Fama si era alzata a fatica e stordita, ma gli occhi di brace fissi sulla sua pelle, le unghia sporche di sangue, pronta ad ucciderla finalmente. “Narreremo della tua forza, figlia di Eris” ripete una bocca infilata da qualche parte tra le acuminate piume arance, le bocche parlano assieme e veloci, con toni diversi, lingue serpeggianti e July sente i loro sibili e le loro urla, alla medesima potenza rimbombargli nella testa.

“Ci siamo divertite abbastanza” aveva commentato Fama e con quelle parole ed il sorriso piuttosto giocoso a July aveva ricordato davvero Mary. Aveva sentito la rabbia montargli dentro, in maniera diversa da come facevano l'adrenalina e la forza, qualcosa di più personale, meno magico, tremendamente reale. July poteva sopportare ogni cosa nella sua vita, ma non che ad ucciderla fosse qualcuno con l'aspetto di Mary, o peggio ancora, che qualcuno indossasse il viso della sua Mary con così tanta ignominia. Tremolante incerta aveva raggiunto con una mano la tasca dei pantaloni, trovando la lima lucente d'etere polimorfo, al tatto fredda, ma malleabile. “Una vera guerriera” aveva sghignazzato, le labbra ghignanti i denti incastrati come punte acuminate. July s'era auspicata nell'ultimo anno di avere il resto della vita pacifica, che fosse d'un mese, d'un anno o di cento, senza reagire particolarmente, lasciandosi trasportare nella pacatezza e nell'indolenza, ma davanti alla morte, vivida come nel labirinto, July s'era ritrovata a scoprire quanto attaccata alla vita era e quanto orgogliosa – come la progenie di Eris doveva essere – era, intenzionata ad andarsene combattendo.

Gli occhi di brace di Fama nei suoi. Ed il soffio della morte dietro il suo orecchio, sul collo, tra i capelli pagliosi. Il viso di Mary, troppo cattivo per essere il suo. “Fatti sotto Gallina Starnazzante” aveva scandito bene, con gli occhi ridotti a fessure, la mano stretta attorno alla lima, che morbida come la plastilina d'un lucido argento andava a mutare la sua forma in qualcosa di più consono, una lancia – finalmente si sentiva completa, da molto tempo.

Aveva sollevato lo sguardo, per fissarli bene in quelli di Fama. Il viso della morte.

E Jake da qualche parte sorrideva forse, perché a breve si sarebbero rivisti.

 

Fama urlò in una maniera animalesca, disumana, bestiale, mentre la maestosa ala sinistra s'accasciava sull'erba, in uno zampilli d'icore dorato ed ossa pallide recise, “Che creatura interessante” aveva esclamato qualcuno, “Più di Lamia, concorderai con me Al” aveva aggiunto, allora July aveva riconosciuto l'incorporeo contorno violaceo del Dottor Horward. In compagnia di un ragazzo splendente, allampanato, con una zazzera nera, jeans scoloriti, felpa viola e giubbotto antiproiettile mimetico, con simboli incandescenti su tutti i vestiti ed entrambe le mani chiuse su una spada d'oro lucente, dalla cui lama cola l'icore. July aveva faticato non poco a riconoscere il famigliare viso di Alabaster. “Dei del cielo, grazie” aveva sussurrato appena, cadendo a fatica sulle ginocchia.

Fama aveva il viso troppo vacuo e confuso, con le dita strette all'arto – si poteva dire? - amputato; “Scusa Goldenapple ci stavi mettendo troppo” aveva detto Al con tranquillità, sorridendo. July pensò che non ci fosse da stupirsi che Alabaster fosse uno dei membri più eminenti dell'esercito, che non fosse una semplice pedina sacrificabile, Mary lo aveva detto: “È il più intelligente, eppure Luke non ci ha neanche pensato di mandarlo a risolvere gli enigmi del labirinto”, poi le aveva preso la mano e s'erano fatte quatte, camminando lentamente e vicine, Chris stoico in avanti con una camminata fin troppo rigida per un ragazzo così spontaneo e Jake con la testa incassata nelle spalle e lo sguardo guardingo alle spalle, bloccati in una stanza delle torture in vita, in continua espansione, senza tempo e loro privi della speranza di tornare a vedere il chiaro sole.

 

La dea le dava le spalle, una schiena mutilata, tra i riccioli scuri di Mary, si intravedeva una sanguinolenta ferita ed icore dorato a macchiare i brandelli d'abito firmato ed il crine. Fama era scoordinata nei movimenti, agitava la grossa ala rimasta, mentre le ossa delle scapole innaturalmente cercavo di imitare il movimento nell'amputazione, menava artigliate a destra e manca, ma Alabaster sembrava danzare con lei, evitando i colpi come in un'articolata corografia, senza neanche degnarsi di usare la spada per difendersi – o attaccare. Sorrideva anche il mezzosangue, godendosi la sofferenza della sua avversaria.

Sull'erba smossa, l'ala recisa continuava ancora ad agitarsi, come la coda d'una lucertola dopo essere stata staccata, tra le piume i bulbi oculari si stavano seccando e patinando, con le pupille rivolte al cielo e le palpebre a mezz'asta, le orecchie erano annerite colte da una fulminante cancrena, le labbra coperte di grinze e le lingue spaccate, denti marci e gialli, ma ancora in movimento a sussurrare cantilene che July non riusciva a distinguere.

Mary Beauchamp è morta da eroe, lo diremo, lo diremo” una voce cercò di persuaderla, “Il sangue del padre divino ricade sui figli mortali! Oh quanta morte! O quanto dolore” una di avvertirla sottile, “La sorella spezzata, sa dove è il ragazzo con il sonno più profondo” l'ultima era una voce rauca e rovinata. July non dava peso a nessuna di quelle parole, cominciava a sentire le dita formicolare ed anche il corpo, come se la forza che in precedenza aveva ricevuto dopo ogni colpo si fosse improvvisamente svegliata di nuovo, anche se non era stata offesa in alcun modo … sebbene, il fatto che Fama avesse il viso di Mary la offendeva e feriva più di qualsiasi altro colpo, si sollevò sulle gambe, mentre tutte le fitte che attraversavano il corpo si facevano più tenue. La dea le dava le spalle, cercando di colpire Alabaster, che manipolando la nebbia sembrava esserle attorno in ogni dove, senza che lei riuscisse a raggiungerlo. E tutta questione di ciò che si vuol vedere anziché su ciò che si vuol far vedere, aveva sommariamente spiegato una volta Alabaster, quando aveva liquidato Jake e Ines – July non ne era sicura – su come controllare la nebbia.

 

Saettò con le mani, la lama acuminata di etere polimorfo aveva attraversato la carne della dea come fosse stata di burro, scavando una voragine nel centro della schiena ed apprendo uno squarcio sul seno destro … July si diede della vile per averla attaccata alle spalle e della stupida per non aver colpito il cuore. Quando era in ballo la vita stessa, si smetteva di essere eroici e cavallereschi, non che lei lo fosse mai stata, era una figlia di Eris, per la gloria di Crono!

Fama sputò icore dorato dalle labbra sottili di Mary, prima che Alabaster con tutta calma e praticita aveva sventolato la lama d'oro lucido, finendo per reciderle la giugulare con un movimento lesto, “Presto! È una dea, non siamo in grado di ucciderla” aveva risposto quello, rimettendo la lama nel fodero, ancora sporca di icore d'oro, tutti i simboli disegnati sui vestiti e sulla pelle, s'erano spenti, lasciando chiazze nere ed altrettanto velocemente erano scomparsi lasciando solamente un banale Al. July estrasse con sicurezza la lancia dalla schiena di Fama che incosciente era crollata sull'erba, aveva ignorato deliberatamente le parole dell'amico per voltarsi verso il pittore per vedere se avesse altro da dirle – o prenderla in giro – ma quello era scomparso avendo lasciato solo un cavalletto con sopra una tela dipinta, provò ancora di più rabbia per quella fuga, quell'omissione. Si voltò di scatto verso la dea che faticava a riprendersi, mentre le ferite inflitte sul corpo cominciavano a rimarginarsi, “Hai ragione, non possiamo ucciderla” aveva risposto con crudezza, stringendo le mani sulla lama, che s'era andata a mutare sotto la sua presa per cambiare forma, un'asta di una certa lunghezza, con il piatto di un'ascia sul fondo, “Ma possiamo rendere la sua rimarginazione un vero tormento” sorrise nel dirlo, pensando per un attimo sua madre sarebbe stata fiera di lei, infondo era la signora del dolore.

 

July posizionò un piede sulla spalla di Fama per assicurarsi non si muovesse ed abbassò l'ascia sulla dea, colpendola sul polso, lacerando la carne, “Sii” esclamò Alabaster, “Quando dicevo che ero già odiato dagli dei, non volevo per nulla dare l'impressione di volere altro rancore” aveva scherzato quello, “Tranquillo, la nostra simpatica amica, lavora per Gea! Si può dire stiamo facendo un favore agli dei” aveva aggiunto, prima di abbassare di nuovo l'ascia e lacerare la carne all'attaccatura del gomito, non riuscendo però a segare l'osso con un solo colpo, dovendo ritentare ancora, “Potresti fare uno dei tuoi simpatici Hocus Pocus e far sparire le parti un po' da tutte le parti?” chiese July senza cortesia, Al alzò le spalle, “Dopo mi racconterai tutto?” aveva contrattato il figlio di Ecate, July aveva annuito ed una volta recisa anche l'attaccatura della spalla era passa alla gamba opposta, Alabaster s'era inchinato vicino i resti della sanguinolenta dea ed aveva fatto il suo lavoro, senza che lei si curasse di lui, passando dopo la gamba all'unica ala rimasta, cavando occhi e strappando lingue, poi all'altro braccio e all'altra gamba.

Molto sangue, squartamenti ed abracadabra dopo, erano solo lei, Alabaster, Horward ed un lago di icore dorato ad impregnare la terra, fino a seccarla per il veleno all'interno. Nessun mortale era stato turbato dalle disperate urla e l'atroce fortuna, “Per un po' potremmo dire che la Fama Volabant, anziché Volant4” aveva esclamato il fantasma con un certo divertimento.

July s'era passata una mano sulla fronte, sudata ed insozzata di icore e sangue, la lima della sua consueta forma stretta tra le dita, “Torrigton, recupera la tela” suggerì, cominciando a sentire tutti gli arti formicolare nuovamente, ammiccando all'opera dello strano pittore.

Il dolore alla mascella era stato il primo a tornare, seguito da quello alle dita rotte, poi alla spalla ed infine al ventre, non aveva visto se l'amico avesse eseguito il suo ordine, perché presto il dolore s'era fatto così vivo, da percepire il cielo schiacciarla e ridurla a nulla più che una poltiglia al suolo.

Non aveva mai provato così tanto male, neanche nel labirinto, era come se tutto il dolore represso fino a quel momento, fosse esploso per reclamare il suo ruolo con gli interessi – decisamente salati.

“July” riuscì ad udire, la voce di Al, preoccupata, alta ed allarmata, prima che il mondo sprofondasse in un sordo silenzio ed un implacabile buio.

 

 

 

Note a pie pagina:

 

-Il Dr Howard (Claymore) era un dottore, piuttosto arrogante ma molto intelligente, anche antisociale, poco amichevole, che praticamente l'unica azione altruista della sua vita è stata aiutare Alabaster e rimanerci secco (oltre che far morire il suo unico amico, Burly Black) per questo Ecate lo ha reso uno spettro nebbiforme, che risiede in una carta, in modo che faccia sempre compagnia ad Alabaster. July però sintetizza tutto in un Lare.

-Fama allora è una divinità “ideata” da Virgilio, che rappresenta il pettegolezzo che vola di bocca in bocca, vive ai confini del mondo, nel palazzo che July intravede. Per il resto è più o meno come la ho descritta. Però c'è da dire che il motivo per cui aveva l'aspetto di Mary, non so se avrò mai voglia di spiegarlo – e prettamente una manifestazione come intuisce July (Come Leo per Nemesis vede zia Rosa), in questo caso Fama prende l'aspetto della persona più motivazionale che conosce.

-Lamia, be, Lama è la creatura che ha ucciso Horward, contro cui Alabaster si è scontrato.

-Si, credo che H. Riordan sia fan di SH, visto che descrive Alabaster disegnarsi prima di uno scontro delle rune sui vestiti, con qualche portere magico.

-Si, Alabaster è combatte con una spada d'oro imperiale (Sa fare anche tante altre cose fighe, di cui parlero)

Ps- Riguardo i “poteri” di July, non dico nulla per ora (così come sul pittore) tranne una cosa, per giustificare me, più che altro. Percy “controllava” l'acqua anche prima di scoprire di essere figlio di Poseidone, per July non è così, ho sempre avuto la romantica idea di Eris come si la signora del dolore, ma anche una dea in cerca di approvazione, per ciò ho ideato che avesse messo come veto che i poteri dei figli potessero essere attivati solo dopo essere riconosciuti. Come se tutto quel tempo fosse stata una prova per vedere se July ne era degna.

 

   
 
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