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Autore: Ink Voice    10/07/2015    1 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XXIV
La Missione Leggendaria

Il dolore provato in quel momento stava assorbendo la realtà. -Mamma e papà…- continuavo a ripetere senza darmi tregua, dominata dalle lacrime e scossa dai singhiozzi. -Sono morti, sono morti…
Non riuscivo a sentire la voce di Sara, non avevo idea di quale fosse l’espressione del suo viso né le sue parole, se stesse cercando di consolarmi o no; se fosse preoccupata o se freddamente tentasse di riportarmi nel mondo reale, persa com’ero nel baratro di quella rinnovata disperazione.
In quel momento esistevano poche cose: me stessa, composta unicamente dalla sofferenza e dalle lacrime che copiose mi rigavano le guance; l’inverno che arrivava, pesante e minaccioso, e che smuoveva le onde del mare; e poi quello dentro di me, che era il freddo della mia vita, arrivato non appena il fuoco si era spento e mi aveva fatto capire che non potevo fare la spensierata per tutto il tempo che volevo, perché i miei genitori erano morti e non potevo permettermi di farmi aiutare dal fuoco di Ho-Oh per non affrontare la realtà. Le fiamme di vita erano solo un’illusione? Probabilmente sì; forse quel freddo abissale, che era possibile provare solo immergendosi nel baratro della paura, della depressione, era l’unica cosa certa nella fragilità della mia vita di umana.
Mi sentivo così scoperta, così indifesa e in balia del corso degli eventi; fragile, perché ero stata colpita così facilmente dalla Morte non appena essa si era fatta più vicina. Troppo vicina perché la sua venuta potesse essere sopportabile per più di qualche tempo. Sapevo di essere sempre stata sola in quella guerra e nelle mie guerre. La compagnia dei miei Pokémon - che intanto dalle loro Ball assistevano a quello spettacolo penoso e deprimente - e degli “esseri umani”, che potevano essere Sara, Bellocchio, Oxygen, Ilenia, Daniel o Chiara, chiunque; tutti loro, senza distinzione, non erano paragonabili alla protezione che credevo di aver avuto dai miei genitori.
Nei momenti peggiori speravo che i miei stessero bene e il falso ricordo dei loro volti sorridenti quando eravamo a casa tutti insieme, a Nevepoli, mi dava un po’ di conforto. Non avevo mai veramente affrontato la loro prigionia dai Victory, avevo continuato imperterrita e sciocca a credere - senza capire il perché di questa mia ostinazione - che in qualche modo loro ci fossero ancora a darmi un aiuto da lontano. Forse era arrivato, questo aiuto, ma da una prigione Victory e non dalla nostra villetta a Nevepoli.
Invece ora il peso di tutto questo mi stava straziando: erano morti. Erano morti, non avevo più la possibilità, un giorno, di tornare a casa ed abbracciarli, annunciando loro che stavo bene e che quella maledetta guerra era finita, che potevamo finalmente tornare insieme ed essere una famiglia quasi normale - magari con i miei Pokémon. Non potevo più sperare di poterli liberare… se solo i Victory, i maledetti Victory non me li avessero portati via, insieme a ogni speranza e ai ricordi delle loro vite! Tutti quei ricordi se ne stavano andando, correvano via risucchiati dal passato che li richiamava a sé, ripetendomi un’altra volta che i miei genitori non esistevano più e che le loro esistenze, insieme alle parti di mia memoria che li riguardavano, non potevano più essere frammenti del presente.
La mia mente era uno specchio che mi circondava, un’infinita lastra riflettente che mi mostrava ogni ricordo, vivido, apparentemente vivo. Vedevo in terza persona la me bambina e i miei genitori che correvano appresso a questa piccola quasi iperattiva, i loro volti che si replicavano innumerevoli volte con ogni espressione del mondo, ogni aspetto del viso che avevo studiato e imparato a riconoscere nella mia difficoltosa permanenza nella base segreta. E poi il vetro si rompeva frantumandosi in schegge e frammenti, in numero incalcolabile, inesistente per la sua grandezza spropositata, in modo tale che non fosse mai più possibile anche solo pensare di poterli rimettere a posto, di ricomporli; ero dissuasa dal cercare di rincorrere e riportare indietro il passato.
Ma allora perché continuavo a piangere e gridare, scrollata dai singhiozzi e forse da Sara? Perché mi ero così legata a qualcosa che non c’era più e non mi facevo una ragione della sua scomparsa? E perché, poi, ero Legata a Ho-Oh, scomparso insieme alle sue fiamme di vita? Perché non accorreva in mio aiuto e non mi faceva smettere di piangere dandomi qualche motivo per non farlo? E perché io, invece, mi sentivo così distante da tutto quel calore?
-Cosa faccio ora? Cosa?- era una delle domande che ripetevo, in preda alla follia della perdita.
Lentamente - forse fu questione di pochi istanti, ma a me pareva di star piangendo da ore intere - mi accorsi che non era il vento veemente e violento a scrollarmi tutta, ma Sara che mi aveva afferrata per le spalle e mi scuoteva con una forza che da quella ragazza così magrolina non mi sarei mai aspettata. E gridava più di me e più del vento ma io non ero riuscita a sentirla. Riuscii con non so quale forza a riservarle un po’ di attenzione.
-Ti prego, ascoltami!- era la cosa che diceva più volte. -Capisco come ti senti e vorrei aiutarti…
Già lì smisi di sentirla. Per qualche secondo le lacrime si fermarono mentre nelle mie orecchie risuonavano quelle gravi, terribili parole: “capisco come ti senti”. Davvero potevi capire, Sara? Davvero ti credevi in grado di sostenere in quel modo un simile peso, mostrandoti fredda e immune a tutto? Come avrei potuto crederti nel vederti così serena nella tua freddezza?
-Cosa significa che puoi capirmi?- le chiesi mentre la rabbia montava. Iniziavo a scaldarmi perché non accettavo che lei osasse credere di potermi comprendere e perché volevo rimanere sola nella mia disperazione senza che nessuno capisse cosa stava succedendo dentro di me. In me imperversava la tempesta più gelida e micidiale, una bufera portata dalla morte che mi era così vicina; ma nonostante questo freddo mi stavo arrabbiando. Come fuoco.
Non vedevo realmente il viso di Sara ma mi sembrava sull’orlo di una crisi, di pianto o di nervi. -Io… ci sono passata pure io, anche se da bambina. Ma non devi lasciarti dominare dalla rabbia nei confronti dei Victory o…
-Da bambina?!- strepitai. -Hai idea di cosa io stia provando adesso? Non dire di sì, Sara, perché nemmeno io riesco a capire fino in fondo la… è una tempesta di fiamme e di ghiaccio e io la ho dentro di me…- Non so se quelle cose più intime e astratte le stessi solo pensando o se stessi dicendo ad alta voce pure quelle, insieme alle risposte date a Sara. -Come puoi pretendere tu di capirmi? Come puoi credere di conoscere qualcosa di cui non sai nulla, che non hai mai provato né dentro di te, né sulla tua pelle?!
Se avesse avuto una crisi sarebbe scoppiata a piangere, senza avere idea di cosa fare. -Non ho la presunzione di capirti o di poterti consolare- passò sulla difensiva, -e forse non è la stessa cosa venire a sapere dei propri genitori da bambini e quando si è quasi adulti… ma non sei sola, ti prego, non pensare di non poter andare avanti…
-Ovvio che non posso pensarlo!- esclamai ormai infuriata, scattando in piedi e sfidando il vento impetuoso. -In fondo devo andare avanti perché sono a servizio delle Forze del Bene, non è così? Tanto cosa importa a Bellocchio e ai suoi di quello che provo, delle ferite che ricevo e che mettono in pericolo la mia vita e la mia sanità mentale, eh?! E se tutta questa faccenda dei Legami fosse la mia immaginazione, se tu in questo momento stessi solo badando a una ragazzina letteralmente impazzita dal dolore?…
Non riusciva a trovare il modo di fermarmi, sempre che stessi parlando ad alta voce e che quelle esclamazioni non fossero solo confinate nella mia mente. Da quello che rispondeva sembrava che io stessi dicendo chiaramente tutte quelle cose, ma chi mi assicurava che non stessi immaginando anche quello o che lei, in qualche modo, potesse intuire i suoi pensieri grazie al suo Legame?
-È vero, è vero, Eleonora, non è affatto la stessa cosa… non avendo mai conosciuto i miei genitori quando ho capito di essere orfana non avevo nessun motivo per… piangere, o disperarmi, perché non ero affezionata né a loro né ad altri ricordi…!- L’unica cosa che era chiara era che parlava con enorme lentezza e difficoltà, ci metteva quasi un minuto per costruire una frase e trovare la forza per pronunciarla. -E sicuramente anche la freddezza, affatto furiosa come il fuoco di Ho-Oh, che mi ha donato Articuno è stata d’aiuto… ma non puoi…
-Ma non posso cosa?!
Fino a quel momento avevo tenuto le mani sul viso o tra i capelli; scrollai le braccia a terra stringendo i pugni e un’ellisse di fiamme ci circondò, prendendo me e la ragazza - dalla quale mi ero allontanata mano a mano di qualche passo - come fuochi. Ma stavolta, questo lo venni a sapere dopo - quando me lo raccontò, cupamente, la stessa Sara, il colore delle fiamme era rosso sangue. Sfumavano nel viola o addirittura nel nero; non erano infernali come quelle dell’Houndoom di Cyrus ma facevano paura, mi disse poi la ragazza. Era come se cercassero di avvicinarsi e di attaccare, molto più docilmente ai miei comandi di quelle arcobaleno. Avevo notato solo il colore diverso dal solito, il loro atteggiamento aggressivo e feroce mi era passato inosservato.
-Allora, Sara? Cos’è che non posso fare?!- urlai. Lei era pallidissima. Non riuscì a rispondere nulla. -Vuoi che io continui a lavorare per le Forze del Bene come se niente fosse? Credi di capire anche solo lontanamente come io mi senta in questo momento?- Le lacrime, dopo essersi fermate per un po’ di tempo per lasciar spazio alla furia, ripresero a scorrere. Quelle di tristezza si mescolavano alle altre di rabbia. Agitavo mani e braccia, gesticolavo follemente in preda allo shock e all’ira; ad ogni mio movimento di questo tipo, la portata del fuoco aumentava. L’ellisse di fiamme si allargava sia verso l’interno che verso l’esterno e si alzava minacciosamente.
-Dammi un motivo per andare avanti, Sara, dammi un motivo che non sia essere cieca ai comandi di Bellocchio! Perché… perché non ce la faccio più a stare a servizio di un Bene che di fatto mi sta solo infliggendo ferite!- ripresi ad essere meno irata, singhiozzando. La ragazza iniziò ad avvicinarsi, sulle prime un po’ incerta, ma io scuotendo la testa mentre tenevo le mani tra i capelli le dicevo di non avanzare. Non volevo che si immischiasse in quello che mi riguardava, il mio dolore doveva essere solo mio e lei non era in grado di dire di capirmi, né nelle condizioni di poterlo fare. Non aveva il diritto di cercare di calmarmi mentendo; non sapevo di cosa avessi bisogno, se ci fosse stato un modo per smettere di piangere e di gridare tutte quelle cose.
Poi lei a bassa voce - a malapena riuscii a sentirla, soffocata dai ruggiti delle fiamme, del vento e del mare - pose proprio quella difficile domanda. -Allora cosa ti farà riprendere la lotta insieme alle Forze del Bene? Saresti davvero in grado di combattere solo per vendicare i tuoi genitori?- Scosse la testa tristemente e incrociò le mani all’altezza del petto, come in preghiera. -Tu non sei così e nemmeno il fuoco più micidiale di Ho-Oh può renderti in grado di portare avanti una vendetta personale. Di questo sono sicura.
Le fiamme si spensero mentre i singhiozzi si placavano e le lacrime, seppur copiose, correvano silenziosamente. -Come fai ad avere certezze, anche riguardanti queste più piccole cose?- le chiesi. La mia voce ora non strillava più, né era rotta dai singhiozzi. Più o meno riuscivo a parlare con continuità e senza bloccarmi per qualche motivo, ma se non fosse stato per l’enorme tristezza del momento probabilmente avrei parlato svuotata di emozioni.
-In qualche modo…- bisbigliò lei senza finire la frase; non sono nemmeno sicura che abbia detto proprio quelle parole. -Eleonora, se vuoi puoi fuggire e dire addio a questa guerra. Puoi volare fino a Johto con i tuoi Pokémon e ricongiungerti con Ho-Oh, magari cambiare identità grazie a un nuovo aspetto fisico che il Legame ti donerà. Ma se poi venissi coinvolta nel conflitto tra Leggendari che si è ipotizzato e che poi ha influenzato pure l’ascesa dei Victory? Quante scelte hai, se non combattere da una o dall’altra parte?
Fece una pausa e poi sospirò, profondamente rattristata. -Se proprio non riesci a farti una ragione della fazione di cui ora sei parte… e non potendo fuggire senza rischiare la morte… andresti dai Victory? Sono potenti, sì, saresti al sicuro e forse, essendo una Legata, ti tratterebbero con ogni riguardo. Ma solo loro sono stati in grado di uccidere i genitori di tanti ragazzi o di ricattarli con le loro vite. È dura, è successo anche a me e a tanti altri. La famiglia di Camille è stata sterminata, insieme al suo patrimonio e alla sua storia, da Elisio stesso a causa del suo Legame. E tu cosa vuoi fare? Combattere insieme a noi, a degli assassini o vedere se c’è bisogno di servire il tuo Leggendario, andando incontro probabilmente alla morte?
Non avevo più neanche la forza di stringere i pugni. -Non hai idea di quante volte io abbia fatto a me stessa questi discorsi. Ma Sara, dannazione!… Come puoi pretendere che io ritorni alla normalità? Come posso smettere di piangere e disperarmi se un motivo per andare avanti non lo ho? Io… non sarò mai più la stessa, anche stavolta cambierò in seguito a questo… a questo trauma- ansimai, mentre parlare diventava sempre più difficile. -Ho perso i miei genitori, una delle ultime “cose” che avevo care a questo mondo! Come faccio a riprendere a combattere con i Pokémon o da sola con i miei poteri? Dimmi cosa devo fare per continuare la mia vita in un modo anche solo in apparenza normale, come se non mi fosse successo nulla! Come faccio a superare la… i miei genitori?- Non riuscii a pronunciare la parola “morte”, era troppo pesante per me.
Lei mi guardò intensamente con quell’espressione triste e compassionevole. -Lo farai nello stesso modo in cui tutti noi lo abbiamo fatto, chi prima e chi dopo. Io non ho avuto modo di affezionarmi ai miei genitori, ma tu ed altri, molti altri sì… eppure non sei né la prima, né l’ultima a dover affrontare una simile perdita. Bellocchio non ci ritiene comuni mortali, e a ragione. Soprattutto per il potere della mente tu dovrai imparare a sciogliere le catene che ti tengono legata al mondo terreno, e una delle più pesanti comprende le relazioni affettive. Questa è una cosa che non solo chi comanda il potere della mente deve praticare, ma tutti noi Legati, indistintamente dai propri elementi. E in misura minore, un po’ tutti i ragazzi delle Forze del Bene.
Si fermò brevemente mentre io la fissavo con gli occhi sgranati, mortificata dalle sue parole. Non ero sicura di poter fare una cosa del genere; non volevo disonorare l’affetto infinito provato nei confronti dei miei genitori in quel modo terribile. Riprese a parlare, più tranquilla grazie alla pausa dalle grida e dal pianto che mi stavo dando.
-So che è dura da accettare, Eleonora, ma è così. Noi Legati siamo una via intermedia tra l’essere umano e la specie di divinità rappresentata dai Leggendari; puoi crederci o no ma sono veramente loro a detenere il potere ed il controllo, e noi dipendiamo totalmente dai Pokémon. In particolare io, te e chi come noi abbiamo il privilegio, o la sfortuna a seconda dei punti di vista, di essere leggermente più vicini al mondo sopra questa Terra. In quanto tali siamo tenuti a fare qualcosa che va oltre le capacità dell’essere umano. Affrontare la Morte, sia essa nostra o di qualcuno che ci è stato vicino, è uno dei nostri compiti. Non possiamo sfuggire: è stato deciso alla nostra nascita e confermato nel momento in cui i nostri Leggendari si sono rivelati. Mi… mi dispiace.
L’ultima frase fu detta con enorme imbarazzo e la ragazza distolse lo sguardo, capendo che tutte quelle parole dovevano avere un effetto impressionante su di me. E così era: aveva confermato le mie peggiori paure che sempre avevo tenuto nascoste, ovvero quella di non essere una ragazza come tante, con il diritto di decidere della propria esistenza e di poter vivere giorno per giorno, senza portare sulle proprie spalle il peso di un’identità sovrumana. I Legati, un ponte tra il mondo terreno ed il divino… ed io una di loro.
Provai a protestare mentre un’altra volta mi coprivo il viso con le mani, dicendo che ero solo una ragazza come tante e in tal modo giustificando quelle lacrime e quel dolore indicibile, che ero certa di non poter superare. Ma sapevo, dentro di me, di non poterlo fare. Perché la finta realtà non era quella del mio Legame, di Ho-Oh, delle fiamme di vita: io ero parte integrante ed essenziale di tutte quelle cose e non potevo rifiutarmi di esserlo. La finta realtà, ormai, era quella perdita che dovevo imparare fin da subito a gestire e a controllare, in modo tale che non mi facesse dimenticare qual era il mio compito: essere a servizio del mio Leggendario e dei suoi simili.
Quello potevo pure accettarlo, in fondo il Legame con Ho-Oh mi aveva rassicurata ed aiutata in più momenti; ma come potevo continuare a fingermi, perché di questo si trattava, a servizio delle Forze del Bene? Essere alleata con Bellocchio e con i suoi mi stava procurando solo danni, tante lacrime e ferite mai del tutto rimarginate. Ma Sara aveva ragione anche su questo: quali scelte avevo altrimenti? Andare dai Victory che avevano distrutto la mia famiglia o combattere direttamente una possibile guerra tra Leggendari e Legati?
No, era meglio così: pian piano lo riconobbi ufficialmente. Dovevo continuare a percorrere quella strada su cui da anni camminavo, correvo e cadevo, insieme ad amici, alleati e anche a qualche rivale. Almeno lì conoscevo, più o meno bene, qualcuno. In primis i miei Pokémon, la mia preziosissima squadra, con i quali ancora non mi ero confrontata da quando avevo avuto da fare con il Legame. E poi gli altri come me, che potevano capirmi - o con i quali, comunque, potevo sfogarmi e parlare sapendo di essere compresa e non giudicata.
Alzai lo sguardo su Sara. Balbettai con indecisione che avevo capito e che era ora di riprendere l’allenamento del potere della mente, ma nonostante fosse difficile parlare, fu proprio dicendo quelle cose che rafforzai i pensieri, le considerazioni e le riflessioni che iniziavo a costruire. Mi asciugai il viso dalle lacrime, da quelle poche tracce di acqua che il vento non aveva strappato via, e ripresi la posizione composta senza che Sara mi dicesse niente.
Quel giorno non feci grandi progressi, secondo me, e fu difficile e sgradevole cominciare l’allenamento dopo quello che era successo e dopo le ennesime cattiverie dette e pensate nei confronti della ragazza. Ma doveva aver sicuramente capito, o come minimo non se l’era presa per quello che era successo in quei minuti di rabbia, furia e tristezza. In seguito mi disse che era già una gran cosa che avessi imparato a non cedere quando il pensiero della morte dei miei genitori si ripresentava alla mia mente svuotata, che immediatamente restauravo cacciandolo il più velocemente possibile. Ma non fu tutto così lineare e perfetto dopo aver capito chi ero veramente.
Le ultime tre giornate passate in quella base segreta furono costellate di sorrisi mesti e pianti silenziosi, e ogni tanto cadevo nuovamente preda di qualche crisi. Dovetti riuscire a riprendermi da sola, anche perché finivo nella trappola del dolore quando Sara non c’era e non avevo da pensare ad altro. Solo dopo qualche tempo riuscii veramente a spezzare le catene dei legami affettivi e a riprendere a gestire le fiamme di vita, non di rabbia. E verso la fine di quel soggiorno presso la Lega Pokémon imparai qualche tecnica appartenente al potere della mente.

Quei tre giorni rimanenti furono davvero intensi e impegnativi, sia dal punto di vista fisico che mentale e psicologico: ero distrutta. Anche Sara era provata, tanto che chiese di rimandare di un giorno o due il ritorno nella base del Monte Corona. Bellocchio in qualche modo riuscì a controllare le nostre condizioni; in uno slancio di generosità ci concesse altri tre giorni, per un totale di dieci passati nella sede della Lega.
Continuammo ad allenarci sul percorso 224 perché Sara lo riteneva un luogo indisturbato, immerso nella natura e quindi perfetto per ricercare la concentrazione necessaria al potere della mente - ma andava più che bene anche per esercitare fuoco e aria, soprattutto il secondo elemento visto il vento che lì infuriava circa tutti i giorni. Eppure, nonostante la presenza rumorosa di esso e del mare costantemente grosso, fu utile stare lì perché subito iniziai ad affrontare l’eventuale presenza di ostacoli quando fossi stata sola con i miei poteri.
-Il potere della mente copre un’ampia fascia di possibili mosse, spesso condivise con quelle incarnate dal tipo Spettro e dal tipo Buio- iniziò Sara. -In linea di massima lo Psico è associato alla sfera umana e per questo alcuni lo ritengono meno pericoloso, ma di rado hanno ragione. Proprio perché può arrivare con estrema facilità dentro di noi è al pari, se non peggio, degli altri due tipi. Chi ha il potere della mente può creare illusioni, leggere il pensiero, attivare la telepatia e rintracciare un’aura: questi non sono veri e propri attacchi, però, anche se usandoli bene lo possono diventare. I veri attacchi infatti altro non sono che versioni delle mosse Psico che causano un danno, sia esso fisico o speciale, quindi si va da Psichico a Psicotaglio, per farti un esempio.
-Niente male- commentai. -Ma comandare un simile potere mi sembra molto al di là delle mie capacità… già è stata dura con fuoco e aria, nonostante tutto.
-Tu, cara Eleonora, continui ad essere inibita dalla paura di non riuscire a fare qualcosa! Anche se normalmente tu non fossi in grado di esercitare poteri di questo tipo, i mezzi ti sono stati dati grazie al Legame. Cos’altro vuoi?
Feci spallucce, un po’ imbarazzata. -Ma da cosa devo cominciare? Ho ripulito la mia mente e posso dimenticare ogni pensiero, forse ogni emozione, quando voglio; ma a cosa è servito? È in questo modo che si può difendere la propria mente? Mi sembra un po’ strano, pensavo più alla creazione di barriere.
La ragazza sbuffò e si passò una mano tra i chilometrici capelli bianchi e celesti. -Ci sono due modi per bloccare l’accesso di altre persone alla propria mente: svuotarla o innalzare barriere.
Rimandò quell’approfondimento a un altro momento, che poi feci per conto mio: lessi, su libri a cui potevano accedere solo gli autorizzati e i Legati, le differenze tra i due metodi. Le barriere erano difficili da creare e da mantenere e l’invasore di turno già prevedeva che c’era qualcosa da nascondere nella mente aggredita. Per questo una simile tecnica era adottata per lo più dai Legati a Leggendari di solo tipo Psico, che potevano concentrarsi su di essa - un ottimo allenamento, inoltre, per i propri poteri - e che soprattutto avevano l’elemento della mente molto sviluppato. Non come me, misera Legata a Ho-Oh, che lo aveva come terzo e poco influente.
Per questo, nonostante fosse ancora più difficile, Sara aveva preferito insegnarmi a svuotare la mente - in breve, a estraniarmi dal mondo. Era una cosa che una volta imparata veniva assorbita, per questo era incredibilmente utile. Soprattutto mandava in confusione un eventuale aggressore, che ritrovandosi a fronteggiare un apparente vuoto veniva non solo respinto da esso, ma preferiva allontanarsi per la sorpresa. Era ancora difficile mantenere quell’assenza di pensieri e di ricordi quando non ero concentrata su di essa ma per il ritorno al Monte Corona ci riuscii abbastanza bene - e poi avevo ancora del tempo per esercitarmi.
Quel controllo del mio animo e in generale di me stessa fu il primo, grande passo per approcciare il potere della mente. Dipendeva molto dalla mia forza di volontà, dalla mia capacità di concentrarmi su qualcosa di ultraterreno e quindi di non considerarmi una comune mortale come avrei invece voluto fare. Questo mi costrinse ad accelerare il processo che avevo già iniziato di disconoscermi come ragazza normale e ritenermi più vicina al mondo a cui appartenevano i Leggendari, com’era giusto che fosse. E poi avevo già esercitato, senza saperlo, quel potere: quando insieme a Ho-Oh avevo letto le intenzioni più intime di Cyrus.
Ci volle un po’ per convincermene fino in fondo, ma con tanto impegno e con l’aiuto di Sara ci riuscii. Invece di sferrare una sorta di Eteralama - mi era successo in precedenza: anziché creare una mossa Psico, istintivamente ero andata sul fuoco o sull’aria - emulai uno Psicotaglio che avrebbe fatto invidia a quello di Aramis. Eccitata ed emozionata com’ero a malapena guardai la lama violacea che si dissolse dopo alcuni metri percorsi; mi voltai piuttosto verso Sara, che allegra come me batté le mani soddisfatta.
Psicotaglio fu facile rispetto alle mosse speciali che richiesero più concentrazione. Provai per prima Extrasenso, che Ho-Oh poteva apprendere per natura, e mi riuscii abbastanza bene: il mio bersaglio, la povera Sara, non poté riconoscere la realtà e ricollegarsi alla situazione per lunghi secondi che per un nemico sarebbero stati fatali. La stessa facilità incontrai con Calmamente, che contribuì a rafforzare le mie capacità, ma i primi tentativi con Divinazione furono frustranti. Era una mossa pesante, per quanto potente, e mi ci vollero giorni per farci qualcosa di passabile; settimane per ottenere buoni risultati.
Fu poi il turno di mosse che Ho-Oh non conosceva normalmente e per questo ci volle altrettanto impegno, come con Divinazione: Psichico e Confusione erano le più utili. La prima perché aggrediva l’avversario e metteva a dura prova la sua mente, per questo era difficile che si riprendesse velocemente dal violento, intimo colpo subito. La seconda, di per sé poco potente, per un umano era rischiosa e poteva sortire effetti gravi. Quello che credevo fosse uno Psicotaglio, inoltre, neanche poteva essere definito tale perché Ho-Oh non poteva apprenderlo: era più che altro una manifestazione fisica di un potere devoto agli attacchi speciali, che si era manifestato forse perché il mio Leggendario aveva un alto Attacco e perché anch’io tendevo a preferire uno scontro corpo a corpo. Non ero per le battaglie a distanza, al contrario di Sara, che se la gestiva come voleva con le sue abilità di ballerina e ginnasta.
-Per quanto riguarda mosse del livello di Magifuoco o Aeroattacco- disse poi, -sarà meglio che tu ti faccia guidare dallo stesso Ho-Oh. Io non metto mano su mosse peculiari o così potenti.
-Prima di provare Aeroattacco avrei bisogno di un paio di ali…- borbottai. -Per caso ne vendi a buon prezzo?
La ragazza mi fece una linguaccia. -No che non ne hai bisogno. O almeno, è questo che sostiene Articuno, ma conta che nemmeno io so usare quella mossa, anche se lei l’ha imparata. Lo stesso vale per Purogelo.
-Se non ci riesci tu, io non la saprò fare mai- risi senza un vero motivo. -Da quanti anni ti alleni? Almeno cinque, visto che anche all’Accademia ti sei addestrata, se non ricordo male da quello che mi hai raccontato. Io a malapena da una settimana so cosa sono i Legami, è già tanto che non sia morta per la paura e lo sconvolgimento di tutto ciò che mi è successo in così poco tempo.
-Orsù, mia cara ragazza, non faccia la cretina.
-Signorina, non insinui questo grave insulto: in fin dei conti questi poteri li gradisco assai assai.
Queste parentesi di misere risate erano una pausa tra un allenamento e l’altro. In alcune occasioni, però, le sparavamo talmente grosse che non riuscivamo a smettere di sghignazzare per qualche minuto buono, anche se non c’era niente di divertente o qualche vero motivo per ridere. Eravamo abbastanza esaurite.
-Comunque, se Ho-Oh vorrà insegnarti mosse di altri elementi, come Forzantica o Punizione, potrai imparare anche quelle. Ma non per questo riuscirai a comandare quei tipi come invece puoi fare con aria, fuoco e mente. Io, per esempio, posso usare Forzantica pur essendo di tipo Roccia. Lo stesso vale per Riflesso e Agilità.
-Ah, ho capito! Il dominio di un elemento non si limita alle mosse di quel tipo.
Sara annuì. Continuammo a provare le mosse che Ho-Oh conosceva di tipo Fuoco e Volante e non fu difficile mettere in pratica quelle, ma presto introducemmo un altro argomento, più profondo: i poteri peculiari di un Legato trasmessi dal suo Leggendario, impossibili da replicare da parte di altri se non da contraenti passivi dello stesso tipo. Ma come disse lei, non era detto che due Legati allo stesso Leggendario possedessero gli stessi poteri. Il problema era che io non avevo idea di quali potessero essere i miei.
-Scoprirai le tue particolarità solo grazie a Ho-Oh e all’esperienza. Nel frattempo possiamo fare supposizioni su quelli che potrebbero essere i tuoi poteri nascosti, parte di quelli ancestrali del tuo Leggendario. Hai qualche idea?
Scrollai le spalle e scossi la testa, ma subito mi misi a ragionare ad alta voce insieme a lei. -Ho-Oh è un dio della vita e della guarigione, oltre che della rinascita. Non vorrei spingermi troppo oltre, ma è possibile che io sia in grado di restituire la vita a un morto? Sicuramente Ho-Oh lo è.
-No, dubito fortemente che questo sia ammissibile. Le questioni di vita e di morte sono complesse e delicate, troppo per essere affidate ad un essere umano. I Leggendari se le riservano perché possono assumersi il loro peso e si prendono le responsabilità che ne conseguono, trascinandosele per tutta la vita. Cosa che per un umano, la cui esistenza è di breve durata, è troppo grave e dura da sostenere. Inoltre con il ricambio di Legati c’è il rischio che i problemi creati da uno ricadano sul suo successore, mettendo in difficoltà un innocente. Per questo i poteri della vita e della morte sono esclusivi dei Leggendari.
-Ma allora quale potrebbe essere? I poteri ancestrali di Ho-Oh sono questi.
-Che ne sappiamo noi due se tu ancora non lo hai conosciuto? Forse nasconde qualcosa che potrebbe rivelarsi per essere quello che cerchiamo. Quella della guarigione non è una strada da escludere, però.
-Quindi dici che posso avere un potere simile?
-Be’, sì. Le fiamme di Ho-Oh hanno una doppia faccia: possono essere curative, portatrici di energia e vita, così come possono creare incendi devastanti e trasmettere all’ambiente circostante la furia e la rabbia del fuoco. D’altra parte è lo stesso che è successo a te, quando in preda alla rabbia e alla depressione hai creato fiamme scure.
Seguì una breve pausa prima che io dicessi, continuando il discorso: -Forse c’è da indagare anche su questa particolarità di Ho-Oh: essere in grado di restituire la vita così come può toglierla.
-Sicuramente c’è molto da vedere- confermò Sara. -Tra l’altro, Ho-Oh ha sempre scelto i cosiddetti puri di cuore, un’altra prova a favore dei poteri della guarigione.
-Non cominciamo con questi discorsi- ridacchiai. -Io, pura di cuore? Non credo proprio.
Lei mi chiese il perché. Scossi la testa. -Perché… non lo so. Sono caduta più volte in preda all’ira e i sentimenti più neri e i pensieri più gravi mi hanno… contaminata, credo. Non so se esiste un umano puro di cuore a questo mondo che abbia veramente vissuto, che sia entrato a contatto con la realtà e che abbia conosciuto le cattiverie di cui è capace l’uomo, che possono corrompere per sempre il suo animo.
Non riuscii a continuare, quei discorsi mi mettevano inevitabilmente in imbarazzo. Ma Sara parve capire.
-Allora non addentriamoci in questo campo e lasciamo che tu ne parli con Ho-Oh quando sarà il momento. Però un’altra strada ci potrebbe essere: la longevità. La maggior parte dei Legati a lui di cui si ha notizia è vissuta molto a lungo rispetto agli altri contraenti e soprattutto agli esseri umani, centocinquant’anni come minimo. E più della metà di questa vita è stata riservata alla giovinezza.
-Sì, questo lo avevo visto anche io… ma non mi sembra un vero potere, piuttosto una caratteristica.
-Però, in un certo senso, è come se avessi la facoltà di agire più a lungo del normale. Non è da sottovalutare, in particolare se per la maggior parte della tua vita sarai una giovane adulta.
Mi mordicchiai il labbro inferiore. Come prospettiva non era proprio delle migliori per la me umana, perché mi allontanavo ulteriormente dal mondo della gente comune. Mi ripetei che così doveva essere e strinsi i pugni.
Tenni per un secondo gli occhi chiusi, sforzandomi di accettare anche quella volta. Pareva non finire mai veramente la realizzazione della mia lontananza dalla specie umana…
-Sara, posso vedere Articuno?- le chiesi subito dopo. Erano giorni che avevo quel desiderio e speravo fosse realizzabile, perché sarebbe stato il mio primo incontro con un Leggendario - Giratina, alla centrale nucleare, non poteva essere calcolato come incontro, veloce e non visibile com’era stato.
La ragazza parve colta un po’ alla sprovvista, anche perché le avevo fatto quella richiesta improvvisamente. Sfiorò con le dita il fiocco di neve della collana, soffermandosi particolarmente sul cristallo, arrivando a toccarlo. Forse stava avendo un dialogo mentale, a me inudibile, con l’altra contraente. Poi i suoi occhi azzurri, da vitrei che erano diventati, si posarono su di me e annuì silenziosamente. Io non mostrai alcuna reazione.
Strinse per un attimo il fiocco di neve e quando riaprì la mano non c’era più traccia della collana. Da una bolla di luce, che mi ricordò vagamente quella dell’evoluzione, circondata da una nebbia azzurrina, emerse l’ombra snella ma austera di un grande volatile. Quell’ombra quasi nera, in contrasto con la luce, prese colore e spessore mentre il bagliore si dissolveva. Sara rimaneva ugualmente nascosta da quella che non era più una silhouette, ma Articuno. Una dei Pokémon primitivi, guardiana dei ghiacci e dei venti del nord.
L’apertura alare era impressionante e mi chiesi come dovesse essere quella di Ho-Oh, molto più grande di lei. Il tridente sulla testa le dava un’aria maestosa, ma quelli che più contribuivano a quest’imspressione erano i suoi occhi, grandi e rossi, incredibilmente umani e al tempo stesso distanti nella loro serietà. Il becco corto era rigorosamente serrato: se avesse dovuto parlare, non l’avrebbe fatto tramite esso. Richiuse le ali e si posò a terra, graffiando il terreno con gli artigli argentati, affilati. Era più alta, anche così, sia di me che di Sara.
Nel vederla sentii uno strano bisogno, come di toccarla e di accertarmi che non fosse un’illusione. Mi sentivo vicina a lei, alla sua natura, o forse era meglio che la parte di Ho-Oh che condivideva un po’ di me stessa voleva entrare in contatto con una sua simile. Cercai di frenarmi e di stare tranquilla, ma più volte fui a un passo dallo slanciarmi verso Articuno e accarezzare il suo piumaggio così apparentemente perfetto. Lasciai alla Leggendaria il compito di iniziare a parlare ma prima si scansò, lasciando che Sara si avvicinasse e si mettesse accanto a lei. Spalancai gli occhi per la sorpresa quando la vidi, fisicamente, radicalmente cambiata.
Solo la pelle bianca era rimasta uguale a prima: i lineamenti sembravano più affilati, era cresciuta in altezza e i suoi vestiti erano diversi, così come i capelli e gli occhi, il cui taglio si era fatto più a mandorla. Le iridi erano rosse. La sua pettinatura, poi, era radicalmente diversa: aveva i capelli che arrivavano poco più giù delle spalle, erano uniformemente azzurri e lisci, mossi dal vento. Tre ciocche contate che le incorniciavano il viso erano di un blu più scuro e richiamavano la specie di tridente di Articuno.
Indossava, poi, una sorta di scalda-cuore celeste sopra un’attillata maglia bianca che si univa a dei mezziguanti azzurri. Un’ampia gonna con uno spacco laterale, che faceva vedere le gambe magre avvolte da dei collant blu, era unita allo scalda-cuore; una specie di cintura di stoffa li divideva, legata dietro con un semplice nodo che lasciava libere due lunghe code. Poi era scalza. Ed era davvero bella, più di qualsiasi umano, grazie alla sua vicinanza con esseri divini, i Leggendari. La ragazza sorrise, non timidamente come suo solito: era un’espressione seria e regale come quella della sua controparte Pokémon. Sembrava mi stesse sfidando a non inchinarmi al loro cospetto.
-Che c’è, Eleonora?- fece con voce ferma e sicura, più matura. -Sembra che tu abbia visto un fantasma.
Probabilmente un fantasma non avrebbe suscitato in me tanta ammirazione e meraviglia. Deglutii e ritrovai un po’ di fiato e coraggio per parlare: -Quindi… è questa la forma a cui aveva accennato Bellocchio.
-Una delle tre. La prima è quella umana, normale, comune come quella che hai tu adesso, se non fosse per gli occhi che ti sono diventati rossi- mi informò Sara. -Poi questa. Il nostro fisico si avvicina a quello del Leggendario e assumiamo alcune delle sue caratteristiche, ma siamo ancora divisi. Il mio aspetto con i capelli bianchi ormai è quello umano, da troppo tempo l’ho assunto per riprendere ad averne uno definibile come comune. E l’ultima unisce Pokémon e umano. Non possiamo mostrartela, richiede troppe energie… e la giornata è ancora lunga.
-Potreste almeno descrivermela?
Fu allora che Articuno parlò: la sua voce risuonò nella mia mente e in quella di Sara. Era un timbro piacevole, dolce ma deciso. -La parte incorporea di me torna come forma materiale del Legame. Nel nostro caso, dono a Sara le mie ali e le unghie delle sue mani si fanno rapaci e taglienti come i miei artigli. I suoi poteri sono amplificati e i suoi occhi diventano di puro ghiaccio. Al suo passaggio, sulla terra o in aria, nasce una pista di ghiaccio.
La parte degli occhi mi impressionò. Articuno non aveva finito: -Più o meno accade la stessa cosa con tutti. Per quanto sia difficile fare supposizioni su Ho-Oh, è probabile che anch’egli ti offrirà le sue ali e i suoi pieni poteri.
-Quindi Ho-Oh si mostra come maschio?- chiesi. -E i miei occhi come potrebbero diventare?
La Leggendaria disse che non aveva una risposta alla seconda domanda e che sì, sia Ho-Oh che Lugia si erano sempre fatti presentati come maschi. Annuii non sapendo cos’altro aggiungere, imbarazzata. Prima che Articuno ritornasse nella collana-Legame di Sara, mi guardò vagamente triste e disse: -Non affidarti troppo a quello che il passato testimonia sui tuoi predecessori, tu che sei Legata a Ho-Oh. Molte cose sono cambiate, sia in lui che in te e nelle vostre possibilità, così come è successo a molti di noi Leggendari. La delusione potrebbe essere grande. Cerca sempre un confronto con Ho-Oh e non allontanarti da lui, anche se in alcuni momenti sarà difficile sopportare il peso della vostra relazione. Sarebbe l’errore più grande che tu possa fare e andresti incontro ad altre sofferenze.
Lasciandomi con queste profetiche, amare parole svanì nel vento, dissolvendosi in una miriade di frammenti di ghiaccio. Ero sconvolta da quello che aveva detto. Aveva parlato di cambiamenti e di delusioni in seguito ad essi. Mi aveva messa in guardia da un errore in cui facilmente sarei potuta incappare, vulnerabile e diffidente com’ero, ormai, nei confronti di chiunque. E poi altre sofferenze, ancora. Mi chiesi se avrei mai smesso di provare dolore: ogni periodo della mia vita, da quando ero entrata nel mondo dei Pokémon, era stato rabbuiato da qualcosa.
Sara giunse le mani in preghiera e tornò al suo aspetto normale. Notò il mio sguardo ancora meravigliato dall’incontro ma corrucciato da quei pensieri tristi. Sospirò. -Purtroppo ha ragione… Devi mettercela tutta finché questa guerra non sarà finita, Eleonora. Vedrai che dopo avrai, come tutti noi, finalmente un po’ di respiro…

Quasi per miracolo schivai una freccia di ghiaccio, l’ennesima con cui Sara senza problemi mi stava attaccando. Risposi con un ampio movimento di un braccio facendo terra bruciata attorno alla ragazza, la quale parve spiccare il volo spinta dal vento sotto i suoi piedi. Provai a respingerla con una corrente contraria molto più decisa della sua: se puntava troppo sulla leggiadria finiva a terra grazie a un mio contrattacco che puntava sulla forza.
Subito però si rimise in piedi grazie a un aiuto dalla sua aerocinesi e mi imprigionò i piedi nel ghiaccio. La tenni impegnata sferrando pugni diretti verso di lei, che saltava da una parte all’altra della sala, da cui partivano grandi vampate sprizzanti calore e colore: abbastanza per poter poi avvolgermi i piedi con quelle stesse fiamme e dire addio al tentativo di Sara di immobilizzarmi.
-Allora, quando hai intenzione di bloccarmi con la mente?
-Appena la smetti di attaccare da lontano e vieni qui per un corpo a corpo ravvicinato, principessa delle nevi!- ringhiai di rimando, scattando verso di lei. -Codarda!- esclamai poi quando dovetti frenare e deviare con l’aria una freccia. Un’altra. Era saltata lontana da me e aveva restaurato la distanza.
Le afferrai una caviglia con una frusta di fiamme che non l’avrebbe scottata, ma con la quale l’avrei trascinata fino a me. Lanciò uno strilletto sorpreso per la mia velocità e dovette fare del suo meglio per non sbattere a terra. Le corsi incontro, armata di un paio di pugnali di fuoco così come lei lo era di quelli di ghiaccio, e finalmente ebbi l’occasione che aspettavo. Abbandonai le mie armi dopo aver evitato più attacchi e le posai il palmo della mano sulla fronte. Lei spalancò gli occhi e si immobilizzò. O meglio, io la immobilizzai.
Mi lasciai sfuggire un sorrisetto. Avevo piegato, una volta tanto, la sua mente al mio volere, intimandole di smettere di attaccare e di stare assolutamente ferma. -To’. Uno a zero per Ho-Oh.
Lei mi fece la linguaccia quando la lasciai andare e cadde a terra in ginocchio. Teneva le mani sui fianchi in un’espressione indispettita. -Se dovessimo contare tutti i tuoi precedenti tentativi, i miei “punti” sarebbero alle stelle! E com’è che mi hai chiamata prima?!
-Shh, non fare i capricci- ribattei, dandomi palesemente arie su arie. Mi allontanai di qualche passo, dandole le spalle, finché non rischiai di cadere: ripresi l’equilibrio per pura fortuna mentre brividi di freddo partivano dalla mia gamba destra, che la cara Sara aveva intrappolato, dispettosa, nel ghiaccio.
Le scoccai un’occhiata velenosa e lei ridacchiò. Mi liberai di quella piccola trappola sprigionando qualche fiammata da mani e piedi e stavolta mi curai di tenere d’occhio la ragazza mentre riprendevo posizione. Saltellavo sugli avampiedi come una tennista ma tenevo i pugni stretti vicini al viso, preparata quindi sia per scattare che per attaccare, per quanto le mie capacità di lotta fossero ancora modeste.
Scambiai un lungo sguardo con la mia avversaria prima di sogghignare maliziosamente. -Allora sei pronta, principessa delle nevi?- la sfidai ricordandole il nomignolo che le avevo affibbiato. Stavolta andai io per prima.
L’indomani saremmo partite ed erano due giorni che dedicavamo parte del nostro tempo a quegli scontri. Non erano veri combattimenti perché io in particolare - ma neanche lei aveva mai imparato - non avevo idea di come si lottasse, se non affidandomi all’istinto. Servivano più che altro per allenarmi ad avere un buon controllo sui miei poteri e a non sprigionare vampate a ogni passo, rischio che era facile correre. Pure Sara, che era una veterana, non di rado al suo passaggio lasciava un sottile strato di ghiaccio - che a quanto pareva era molto più spesso e solido quando era nella forma più vicina ad Articuno. A me era capitato spesso di fare terra bruciata ovunque muovessi un passo finché Sara non mi aveva intimato di fermarmi e di controllare i miei piedi.
Ero molto migliorata in pochi giorni, dovevo ammetterlo. Più che altro perché mai in vita mia avrei sognato, neanche nei sonni più confusi ed agitati, di fare cose simili: prima di diventare un’Allenatrice, poi di piegare al mio volere gli elementi di aria, fuoco e mente. Quest’ultimo lo usavo poco perché ancora non ci ero abituata ma pian piano riuscii a sentirmi più a mio agio con esso anche se in precedenza avevo avuto difficoltà a sfruttarlo. La mia bravura cresceva di pari passo con l’accettazione della mia identità fino a farla diventare la mia normalità.
Però non potevo fare a meno di invidiare Sara e il suo innato talento, la sua bravura. Sicuramente il suo doveva essere un caso quasi eccezionale, aveva avuto anni per fare sport privatamente anche all’Accademia - su ordine di Bellocchio che subito l’aveva individuata come Legata. Mi aveva raccontato di essere arrivata nella struttura e ben presto l’uomo aveva voluto incontrarla. Lei gli aveva mostrato la forma materiale del Legame e aveva giurato, con leggerezza nella sua innocenza di ragazzina, di dire la verità e di “aver fatto amicizia” con Articuno. Era stata l’unica all’Accademia a sapere di essere diversa, di possedere qualche particolarità. Per questo motivo Bellocchio aveva spinto su di lei affinché almeno un Legato fosse stato in grado di combattere conscio della sua situazione.
Se pensavo a quanto fosse brava, abile ed agile mi rabbuiavo un po’ e finivo con il prendermela, dentro di me, con Bellocchio, che non mi aveva dato la possibilità di conoscere e familiarizzare con il mio Legame prima. Avevo avuto solo dieci giorni di tempo invece per imparare solo le basi di tre poteri, e adesso dovevo tornare alla base segreta e interrompere di sicuro gli allenamenti, per un motivo o per un altro. Sarei stata mandata in missione da qualche parte, forse, se Bellocchio avesse ritenuto opportuno rimettermi subito a lavorare.
Sara, senza che io esplicitassi tutto questo, parve intuire il motivo di un po’ di quel malumore che ogni tanto mi prendeva; quindi mi rassicurava dicendomi che di tempo per imparare ne avrei avuto ancora e che non sarei stata assegnata subito a un’altra missione, nonostante ora avessi qualche mezzo per farcela pure da sola.
Quando riprovammo un’altra specie di lotta la ragazza fu sorpresa di non vedermi muovere. Avevo deciso, infatti, di evitare fuoco e aria per concentrarmi una volta per tutte unicamente sul potere del tipo Psico. Mi limitai a usare gli altri due per sventare i suoi attacchi, per il resto stetti seduta a terra con le gambe incrociate. Tenevo gli occhi aperti ma dopo un po’ chiusi anche quelli e sentii Sara fermarsi. Le mie mani intrecciate tremavano un po’ per il freddo delle sue mosse di ghiaccio ma riuscii a controllare anche quelle, svuotando la mente.
La ragazza balzò alle mie spalle e cercò di attaccarmi, ma io avevo la sua aura. L’avevo ormai conosciuta e avrei potuto trovarla ovunque, bianca e ambigua com’era essendo ormai mescolata a quella di Articuno, con cui tanto a lungo aveva convissuto. Quel prolungato contatto le aveva fatte avvicinare e confondere, ecco perché io invece ero ancora così distante da Ho-Oh. Per questo grazie alla sua aura riuscii a capire dove si trovasse anche avendo gli occhi chiusi, nonostante non facesse il minimo rumore con gli spostamenti.
Arricciai le labbra per un momento e poi tornai a concentrarmi quando sentii la sua esclamazione di sorpresa nel ritrovarsi così vicina a una barriera di fiamme che ci divideva, che aveva impedito al suo tentato attacco di raggiungermi. Ridacchiando e spostandosi di nuovo davanti a me, disse: -Non sei poi così indifesa anche quando stai comodamente seduta, eh?
-Comodamente? Stai scherzando, spero. Tenere la schiena dritta è una delle cose più difficili del mondo.
-Infatti sei ancora storta e ingobbita.
Non potei fare a meno di aprire gli occhi e guardarla indispettita e seccata. -Allora non me ne frega- borbottai stiracchiandomi. -Visto che questa posizione non serve a niente per il potere della mente.
-Ma avrebbe potuto insegnarti un po’ di disciplina…
-Disciplina un corno!
-Senti, piuttosto, spegni il muro di fiamme, ché te lo sei dimenticato.
Anche quella cosa era già accaduta, ovvero che io lasciassi accesa una pista di fuoco arcobaleno e che, anche ritrovandomela tra i piedi, non la ritirassi. In fondo mi trovavo a mio agio con la presenza di quelle fiamme, i loro numerosi colori mi mettevano sicurezza ed erano un piacere per gli occhi. Quando ero più di malumore o quando avevo appena avuto una crisi per la scomparsa dei miei genitori, erano tristemente rosse e violacee, se non nere. Ma anche da quel punto di vista più mi accettavo come non-comune mortale, più facilmente non cadevo preda della tristezza e dominavo con più facilità tutti i miei elementi.
Quella sera quando andai a dormire mi resi conto di quanto mi fosse mancato, in quei giorni, il contatto con i miei Pokémon. Per far sì che ci concentrassimo solo su noi stesse e sui nostri poteri, Bellocchio ci aveva detto di lasciarli in infermeria a farli riposare perfettamente finché non fossimo ripartite.
Per questo la mattina dopo, quando senza salutare nessuno uscimmo dalla Lega Pokémon nuovamente con le nostre squadre e le nostre poche cose, io e Sara ci separammo un momento per stare un po’ con i nostri compagni. Ero davvero intimidita da come avrebbero potuto osservarmi e giudicarmi ora che il mio Legame si era rivelato.
Eppure quando incontrai i loro familiari sguardi ed espressioni, che così tanto mi erano mancati in quei dieci giorni di estenuanti allenamenti riservati a me e non a loro, non riuscii a non versare delle lacrime di commozione. Non mi scrutavano diffidenti come se fossi un’estranea, non mi giudicavano per averli lasciati e per non essere la ragazza assolutamente umana che tutti noi, indistintamente, avevamo creduto. Sentivano la mia difficoltà e per questo si strinsero di più a me, tutti. Nightmare, June, Rocky, Diamond, Pearl, Noctowl “O’clock”, Saphira… e i due a cui mi ero più affezionata. Altair e Aramis, i miei primi compagni Pokémon in quell’avventura.
-Ehi…- fu l’unica cosa che riuscii a dire. Avevo la voce rotta da quelle lacrime che per la prima volta da molto tempo erano di gioia e non di dolore. Provai ad asciugarmi le lacrime ma mi precedette Aramis che sorrideva gentilmente. Ci scambiammo una lunga occhiata e di nuovo i miei Pokémon si strinsero a me, ancora più dolci e comprensivi. Mi misi a ridere di cuore e loro mi imitarono.
Se non fosse stato per quelle risa sincere e liberatorie saremmo rimasti immersi nel silenzio ad abbracciarci. Ma non sarebbe comunque stato necessario parlare in quel momento: ciò di cui avevo bisogno era la loro presenza e la loro vicinanza, solo una conferma dell’affetto che provavano per me, la loro Allenatrice. Quel silenzio valeva più di qualsiasi discorso fatto a loro, non avevo niente da dire se non ridere e piangere per la felicità di rivederli, di averli ancora accanto a me. Non volevo neanche pensare a cosa sarebbe potuto accadere se i Victory mi avessero tolto anche loro. Probabilmente sarei impazzita definitivamente e neanche Ho-Oh mi avrebbe potuta aiutare. Anzi, al massimo mi avrebbe aiutato a dare sfogo all’ira, se mai sarei riuscita a smettere dopo un’altra simile perdita.
Feci rientrare i miei compagni nelle rispettive Ball, tranne Altair, con la quale sarei volata fino al Monte Corona. Mi chiesi se i Pokémon fossero in grado di piangere perché l’espressione dei suoi occhi limpidi era veramente eloquente. L’abbracciai un’altra volta e poi le salii sul dorso piumato e cotonato, morbido e caldo come al solito.
-Chissà quando sarò abbastanza presente a me stessa per raccontarvi tutto…- mormorai. Poi feci un cenno con la testa a Sara, già pronta con il suo Noivern. Spiccammo il volo e iniziammo il nostro ritorno.

Non facemmo in tempo a rientrare che già fui convocata da Bellocchio. Mi salutai con Sara e mi diressi da sola verso il suo ufficio, non incontrando nessuna faccia ben conosciuta prima di bussare alla sua porta. Mi parevano passati anni dall’ultima volta in cui mi ero ritrovata davanti a lui, seduto sul suo trono - ovvero la sua poltrona rigorosamente nera - a cui poche volte rinunciava per degli spostamenti. Eppure rimaneva magro, forse anche troppo. Soprattutto nell’ultimo periodo il viso iniziava ad essere un po’ smagrito.
Mi chiese come fossero andati quegli intensi dieci giorni. Con grande serietà e freddezza, temendo a ragione che l’incontro non si sarebbe limitato a un resoconto degli allenamenti, gli dissi che ero molto migliorata, almeno stando a quanto diceva Sara. Con voce atona aggiunsi che il potere della mente mi aveva aiutata molto e forse in futuro sarebbe stato il mio “preferito”, anche perché mi aveva fatto superare la morte dei miei genitori. Bellocchio non replicò niente a quella mia affermazione, emise solo un sospiro. Non mi interessava ricevere qualche parola di conforto da parte sua e non ero sicura che sapesse consolare qualcuno.
Evitando il mio sguardo poi iniziò quello che per poco non fu un monologo. -Visto che sei così preparata e la tua identità non ti dispiace… non commetterò lo stesso errore di aspettare troppo a lungo. Anche perché i tempi stringono.- Annuii per dargli un motivo per continuare, pur non capendo cosa intendesse con “i tempi stringono”. -Con l’inizio dell’anno nuovo partirai. Andrai a Johto e ti ricongiungerai con Ho-Oh, il contraente del tuo Legame. Allo stesso tempo ti ritroverai con Ilenia, una ragazza che ha il Legame di Lugia, e…
-Ilenia?!- Non riuscii a trattenermi. -Allora… lei è partita perché… perché è Legata a Lugia…!
Ero sorpresa, non sapevo dire se positivamente o negativamente. Forse nessuna delle due. L’unica cosa chiara era che non mi aspettavo che lei, una ragazza ordinaria quanto me, fosse Legata a qualcuno. Men che meno a uno come Lugia, abitante degli abissi marini, quando lei era più focosa ed energica di me - che invece ero stata scelta da Ho-Oh. Mi chiesi se la sorte non fosse stata ironica o se ci fosse stato uno sbaglio e ci fossimo scambiate i ruoli di Legate. A questo punto io mi ritenevo più adatta al suo Leggendario così come lei lo era al mio.
-La conosci?- Bellocchio era abbastanza stupito. -Comunque sì, è partita per trovare il suo contraente.
-Ma perché non ci avete fatte partire insieme? Così da sole potremmo… essere vulnerabili, non so.
-A lei è stato detto prima perché è ormai un’adulta, ed è sempre stata responsabile e sicura di sé. È una delle migliori Allenatrici della base segreta, in più, quindi intanto abbiamo mandato lei.
Ero indispettita per quella separazione. Perché non l’avevano detto subito anche a me, perché non mi avevano rivelato prima il segreto dei Legami? Eppure avevano ritenuto anche me una delle migliori con i Pokémon; non mi avevano mandata solo perché non ero maggiorenne? Non mi pareva una scusa plausibile. Ma rinunciai a muovere qualche critica, Bellocchio aveva altro da dirmi sul viaggio che mi aspettava.
-Fatto questo inizia la vera missione che vi spetta. Ilenia intanto sta già conducendo ricerche per conto suo con l’aiuto che ha trovato in una base segreta di Johto. Dovrete setacciare la regione di Johto in cerca di altri possibili Legami, perché sicuramente almeno una delle Bestie Leggendarie ne ha contratto uno. Qualche dubbio c’è invece su Celebi che non crediamo abbia coinvolto alcun essere umano.
-Quindi dobbiamo reclutare altri Legati?
Bellocchio annuì. -Potreste trovare anche alcuni Legati a un Leggendario di un’altra regione. Comunque sia… questa è probabilmente l’ultima missione a cui parteciperai, se andrà a buon fine. Altri ragazzi e uomini si stanno muovendo per le varie regioni e hanno già iniziato questo lavoro. Per questo, quando si sarà localizzata almeno la posizione di tutti i soggetti con un Legame e se ne saranno reclutati il più possibile… solo allora tenteremo una volta per tutte di attaccare seriamente i Victory.
Il cuore iniziò a battermi forte. Anche la voce dell’uomo tremava appena per l’emozione.
-E se a qualche Legato venisse ordinato dal suo Leggendario di non partecipare al conflitto?
-Non insisteremo e non cercheremo di discutere. Però in qualche modo dovremo continuare a tenere d’occhio anche chi non si farà avanti per un ordine del suo Pokémon.
-Ma quindi- cambiai discorso, -qualcosa sui Victory si sa, per tentare di distruggerli? Sui loro vertici?
-Sui veri capi non sappiamo nulla, sembra quasi che non esistano. Ancora meno sappiamo qualcosa su quella persona di cui ha parlato Cyrus alla quale, stando a quanto ha detto lui, fanno riferimento i due Comandanti e per il conto della quale agiscono. Però sappiamo qual è la loro base principale. E a tal proposito…
Aprì un cassetto e ne tirò fuori un foglietto minuscolo. In realtà era un biglietto da visita, o meglio, la grandezza e la rigidità del cartoncino era quella. Sopra di esso vi erano stati scritti, manualmente, alcune località e numeri di PokéGear. Il primo nome che vi era presente era “Monte Corona” e subito dopo, lessi di sfuggita, “Fossa Gigante”. Non potevano essere i covi nemici perché il Monte Corona era totalmente colonizzato e controllato da noi.
-Queste sono le nostre basi disseminate per il mondo- mi spiegò Bellocchio. -E quelli sono numeri di personalità importanti nelle Forze del Bene… uno di essi è il mio. Tutte le persone che chiamerai, se necessario, sono a conoscenza dell’esistenza dei Legami. Per questo, se sarai in difficoltà, ti basterà presentarti come Legata a Ho-Oh e poi fornire una prova, che ti sarà richiesta sul momento. Ma se per un qualche motivo tu stia rischiando di essere catturata dai Victory… dai fuoco a questa miniera di informazioni. Distruggi qualsiasi cosa che possa mettere in pericolo qualcun altro; in poche parole, non farci raggiungere o rintracciare in alcun modo.
Feci un cenno affermativo con la testa, prendendo il biglietto e mettendolo in tasca.
-Siamo a metà dicembre- sbuffò Bellocchio. -Partirai tra tre settimane o appena Ilenia avrà delle informazioni che siano provate e sicure. Nel frattempo continua ad allenare sia te che i tuoi Pokémon.
-Va bene- mormorai.
La prospettiva che quella potesse essere la mia ultima missione, l’ultima cosa da fare per conto delle Forze del Bene che era stato così stancante servire, mi riempì di uno strano sentimento. Era un sollievo molto particolare, al contempo nostalgico e speranzoso. Non mancava poi tanto rispetto a tutte le cose fatte in quegli anni.
Mi alzai salutando Bellocchio; lui ricambiò senza aggiungere nulla, come se fosse poi necessario. Dovevo assolutamente trovare Sara e parlarle, dirle che avevo bisogno che lei mi aiutasse ancora e raccontarle della leggendaria - in tutti i sensi - missione che mi spettava, per la quale avevo bisogno di una grande preparazione.
Ma svoltando i corridoi e sbirciando velocemente in più stanze non riuscii a trovarla, nemmeno nel dormitorio. Quando uscii da esso per riprendere le ricerche quasi andai a sbattere con qualcuno. Il cuore mancò un battito, come succedeva spesso in sua presenza, quando i suoi grandi occhi scuri incrociarono i miei.
Era Chiara. Stavo lì lì per andarmene - come facevo sempre, o in alternativa lo faceva lei, quando ci vedevamo - ma mi sentii afferrare per il polso. Mi voltai. Era lei a trattenermi: nonostante avesse la testa abbassata, era parecchio arrossita. -Aspetta… Eleonora, ti devo parlare.
  
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