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Autore: firewalkwithme_2_53    10/07/2015    3 recensioni
What if?
Un nuovo personaggio arriva a Pasadena a sconvolgere la tranquilla vita lineare del dottor Sheldon Cooper.
Riuscirà il fisico teorico a sopportare la nuova intrusione? E come farà lei ad avvicinarsi al calore che il ragazzo non è neanche consapevole di avere?
Dal primo capitolo:
Mentre lei sorride con aria soddisfatta e comincia a rigirare le carote nel piatto di plastica, il ragazzo si riprende e scuote il capo.
“No, aspetta. Non funziona così.”
“Non funziona così…cosa?”
“Non puoi dire che sei un AMICO di qualcuno solo perché ci hai parlato per qualche minuto in una città sconosciuta.”
“E perché non posso?” Lei lo domanda in modo davvero interessato e mette in bocca una carota osservandolo con gli occhi nocciola.
“Perché la convenzione sociale richiede che l’amicizia sia fondata sulla conoscenza e la fiducia. Io non so neanche il tuo nome.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sheldon Cooper, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Teorema di Stockmayer

Se sembra facile, è dura. Se sembra difficile, è fottutamente impossibile.

 

Amalie siede sulla piccola sedia rossa e passa un bicchiere di acqua fresca al ragazzo accanto a lei, che continua ad osservarsi intorno con aria tremendamente corrucciata. “Non prenderla così. Sono bambini del resto e si sa: hanno un livello di attenzione molto basso.”

“Non vorrei sembrarti particolarmente inclemente MA, nel caso di questi bambini, più che bassa a me sembra che la loro capacità di concentrazione sia tendente infinitamente a zero.” Sheldon schiocca la lingua sul palato, scuotendo il capo davanti ad una lavagna su cui sono scritte neanche un terzo delle formule fondamentali per spiegare la Radiazione di Hawking. “Hanno preferito tornare a dipingere quel coso fatto di scatoloni e perdere la possibilità, unica per i comuni mortali della loro età, di imparare veramente qualcosa di importante.”

“Beh sai…c’è chi pensa che ci sia tanto da imparare anche giocando e che non sempre teorie e modelli matematici siano quello che servono per sopravvivere.”

Amalie deve averla detta grossa, perché il fisico teorico la fissa in modo eloquentemente ostile e si solleva di scatto.

“Ti ringrazio della tua ospitalità, ma è chiaro che sia giunto per me il momento di andare.” Dice, restituendole il bicchiere ancora mezzo pieno.

“Perché? Aspetta, per favore.”

“Aspettare cosa? Le tue idee appaiono sufficientemente cristalline, nonché in evidente contrasto con le mie.”

“Ehi, abbiamo idee contrastanti e allora?” La maestra poggia il bicchiere sulla cattedra. “Per questo abbiamo la magnifica capacità che si chiama ‘parlare’: ci scambiamo opinioni, ci confrontiamo, arricchiamo le nostre conoscenze e poi ognuno analizzerà le proprie impressioni e, forse, modificherà persino il modo iniziale di pensare.”

“Complimenti, hai fatto una semplicistica, quanto imprecisa, rappresentazione del dialogo dialogico.” Amalie lo fissa incrociando le braccia sotto il petto. “Devo farti comunque notare che i tuoi…allievi, non sembrano interessati a quello che ho loro da dire dunque…”

“Dunque scappi a gambe levate, togliendo la possibilità di far imparare qualcosa anche a te stesso?”

Sheldon osserva la ragazza per un nanosecondo e poi aspira tre volte, velocemente, aria nei polmoni. “E’ uno dei migliori Bazinga che abbia mai sentito.”

“Non capisco.” Ammette lei, perplessa. “Un cosa?”

“Un Bazinga, uno scherzo.” Spiega il fisico, ancora evidentemente divertito. “Come puoi pensare che io possa DAVVERO imparare qualcosa da chi non ha ancora capito che il colore va usato sul cartone e NON SULLA SUA FACCIA.” Sheldon alza la voce mentre guarda Kevin, di nuovo sporco di blu sulla fronte.

“Incredibile. Te l’hanno mai detto che sei un borioso, saccente, impertinente…”

“Ogni giorno.” Afferma, interrompendola, in un moto di puro orgoglio lui. “E’ lo scotto da pagare per essere geniale.”

“Ah perché tu pensi di essere geniale?” Lo sfida Amalie.

“Ovvio. Possibile che non lo avevi ancora capito? Eppure abbiamo passato insieme diverse ore. Forse dovrei parlare a Leonard di questa tua assoluta mancanza di intuitività: potrebbe farti avere un appuntamento con sua madre per risolvere questo tuo noioso disturbo. O magari potrei pensare di chiamarla direttamente io e spiegarle qual è il tuo problema.” Pensa ad alta voce Sheldon. “Sì, ritengo che questa seconda ipotesi sia chiaramente la migliore.”

“No, un attimo.” La ragazza è passata dal nervosismo alla titubanza nell’arco di un secondo. “Perché dovrei parlare con la madre del tuo amico del mio problema?” Nello stesso lasso di tempo in cui lo dice, fa mente locale e punta il dito contro il fisico. “Anche se io non ho NESSUN problema, ovviamente.”

“La signora Hofstadter, per tua informazione, è una nota neuroscienzata specializzata nello studio del comportamento umano.” Il fisico teorico spiega con un sorriso calmo. “Con una certa sicurezza, data soprattutto dal fatto di aver letto ogni testo o saggio che lei abbia mai scritto, mi sento di anticiparti dalla sua eventuale e futura prognosi che: a) riconoscere di avere un problema sarebbe già un primo passo per risolverlo; b) la tua strenua quanto ostinata difesa del comportamento di questi bambini potrebbe essere vista nell’ottica di una Sindrome di Peter Pan. Per cui dimmi: tua madre è stata forse apprensiva ed eccessivamente protettiva nei tuoi confronti?”

Il braccio di Amalie crolla lungo il fianco mentre lei lo guarda a bocca aperta. “No. E poi io SO cosa è la Sindrome di Peter Pan e SO di non esserne affetta, visto che mi sono presa un mucchio di impegni nella mia vita: sono andata a studiare fuori casa ancora giovanissima…” comincia ad elencare con le dita.

“In quella orribile città.” Ricorda lui con una smorfia.

“…ho conseguito un titolo di studio…”

“C’è chi ha il coraggio di chiamarlo in questo modo, sì.”

“…mi sono presa la responsabilità di una classe di bambini…”

“Mh.”

“…riesco a gestire le mie emozioni così bene da evitare di tirarti dietro la cattedra.”

Sheldon è colto evidentemente alla sprovvista dall’ultima affermazione e rimane momentaneamente incapace di formulare un commento efficace, quando il suono della campanella scuote l’aria e provoca un urlo di trionfo da parte dei piccoli alunni, alcuni dei quali (quasi tutti i maschietti praticamente) cominciano a correre euforicamente per la classe.

“Ok, ok…fra poco sarà ora di andare a casa sì.” Amalie sorride, trovandosi perfettamente a suo agio in quella bolgia improvvisa, che riesce a gestire con pazienza in modo che tutti, uno dopo l’altro, posino i loro pennelli in un vaso con dell’acqua e rimettano in ordine le loro cose.

I primi genitori iniziano ad arrivare nell’arco di una manciata di minuti e mentre la maestra si ferma a parlare con la madre di Kevin sui pensieri particolarmente estremi che sembra avere suo figlio nei confronti dell’altro sesso (la parola ‘maschilista’ preme talmente tanto sulla bocca dello stomaco della Siebert che deve fare una fatica enorme per non sputarla fuori), Alice si avvicina a Sheldon, sistemato silenziosamente nell’angolo, e gli punta contro i suoi occhioni verdi.

“Hai bisogno di qualcosa?” Chiede il fisico, per pura e semplice convenzione sociale, non perché gliene importi fondamentalmente nulla.

“Tornerai per parlarci ancora del dio del tuono?”

La vocetta delicata lo stupisce. “Beh…non so. A me non sembravate particolarmente interessati all’argomento.”

“A me interessava.”

“MA se sei tornata anche tu a dipingere con gli altri mentre stavo parlando, signorina.” Fa presente Sheldon.

“Perché tu non parlavi più di Asfalt e Thor e hai cominciato a fare strani disegni sulla lavagna.” La bambina indica il rettangolo di ardesia su cui lui ha scritto le formule matematiche.

“Ma si trattava di un passaggio importante, fondamentale, per capire la teoria degli universi paralleli. E comunque, il regno di Thor si chiama Asgard.”

Alice lo guarda e fa spallucce. “Io spero che torni a raccontarci solo delle avventure di Thor la prossima volta, senza segni strani.”

Un sorriso particolarmente aperto spiazza Sheldon e la bambina scatta allegra verso la porta, dove l’attende la sua mamma.

Lentamente tutti gli alunni vengono prelevati ed Amalie saluta con la mano l’ultimo allievo prima che scompaia nel corridoio. Quando torna ad osservare l’aula, nota il fisico ancora in piedi, con lo sguardo fisso alla lavagna.

“Ormai il pericolo è scampato.” Dice quindi la ragazza ad alta voce, cominciando a sistemare ed incastrare uno sull’altro, nell’altro lato della stanza, gli scatoloni già asciutti e quelli ancora bagnati di colore.

“Prego?” Sheldon si volta a guardarla, registrando solo dopo le parole che gli sono state rivolte. “Di quale pericolo stai parlando?”

“La tua fobia.” Risponde ovvia la maestra, specificando poi oltre, visto che lui sembra non cogliere l’evidenza del riferimento. “Quella dei settanta bambini: ormai sono andati via quasi tutti, quindi sicuramente non ce ne saranno tanti neanche lungo il corridoio. Del resto è per questo che sei rimasto qui invece di andartene, no?”

“Certo.” Il fisico teorico annuisce, mentendo (male) sulle sue intenzioni, tanto è vero che si smentisce da solo un attimo dopo. “Mi è stato chiesto di tornare a parlare di Thor.” Rivela come se fosse un’incredibile scoperta scientifica.

“E tu che hai risposto?” Domanda lei con la massima tranquillità.

“Non sapevo cosa rispondere.”

“Ma vah? Un bambino ha lasciato senza parole l’incredibilmente geniale dottor Sheldon Cooper?” Amalie è evidentemente divertita.

“Era sarcasmo vero?”

“Vero.”

“Ottimo. Oggi sono riuscito ad indovinare ben dieci su quindici volte in cui mi veniva rivolta una battuta sarcastica.” Afferma lui evidentemente compiaciuto.

“L’intuizione fa parte della genialità, del resto.”

“Giusto.”

“Era sarcasmo.” Lo avvisa la Siebert, sorridendo di fronte alla sua delusione.

“Accidenti, dieci su sedici.”

Amalie sente un moto di tenerezza che spazza via l’irritazione provata prima e lo invita ad avvicinarsi a lei. “Vieni qui una attimo, per favore?”

Sheldon stringe la cinghia della borsa ma la accontenta. “Non vuoi picchiarmi vero?”

“Picchiarti? Ma come ti viene questa idea?”

“Beh mia sorella era spesso così gentile con me un attimo prima di scatenarsi in versioni sempre nuove del famoso intermezzo ludico ‘Lo schiaffo del soldato’.”

La ragazza scuote il capo. “Giuro che non ti sfiorerò neanche con un dito.” Ma lui si ferma a qualche passo di distanza.

“Piedi?”

“No.”

“Righe, scarpe, cinghie?”

“Non ti toccherò proprio con un bel niente. E dai, fidati! In fondo non ti ho mai mentito o messo nei guai fino ad ora no?”

Sheldon non può negare l’affermazione e muove un ultimo passo verso di lei, pur mantenendosi in allerta. “Però hai detto di aver mentito molto, in passato.”

“Esatto. E ho detto anche che sono esausta di farlo.”

“Questo non significa che non potresti aver ricominciato. Ci sono delle patologie in campo psicologico che…”

“Lasciamo la psicologia fuori per un momento, mh.” Amalie lo interrompe e chiude una sorta di circolo irregolare fatto di scatoloni, un paio in altezza e una decina intorno a loro, sedendo per terra all’indiana. “Sai cosa stiamo costruendo?”

Sheldon la imita e si guarda intorno, notando degli oggetti sistemati nella parte cava delle scatole. “Un ripostiglio?”

La maestra sorride. “Quasi. E’ un rifugio.” Lei allunga una mano e prende una conchiglia di madreperla. “Ognuno di noi, bambini e maestre, ha portato un oggetto a cui si sente particolarmente legato, qualcosa che lo fa sentire bene e al sicuro, da sistemare qui dentro.” Il fisico osserva una macchinina mezza rotta, un libricino di avventure, un colore, qualche pupazzetto e persino la piuma di un uccello. “L’idea è che quando ci si sente soli, arrabbiati, indifesi o solamente tristi, si abbia sempre e comunque un posto in cui nascondersi dal resto del mondo e in cui ritrovare la propria tranquillità.” Amalie gli passa la conchiglia. “Un posto in cui nessuno può calpestarti.”

Sheldon la ascolta e contempla la madreperla come se si trattasse di un fossile antichissimo e prezioso. “E’ un bel posto. Vorrei aver avuto anche io una maestra che mi avesse regalato uno spazio del genere.” Sono parole molto sentite che strappano un sorriso quasi imbarazzato alla Siebert. “Certo, sempre considerando che a cinque anni io avevo già dei professori, non dei maestri, e che i bulli che mi infilavano la testa nel water mi avrebbero trovato anche qui.”

“No.” Amalie scuote il capo con decisione. “Questo è un posto speciale dove nessuno può venirti a prendere per farti del male, è escluso.” La maestra poggia le piante dei piedi a terra ed abbraccia le proprie ginocchia. “Visto che sei piaciuto molto ai bambini, quando parlavi di Thor almeno, pensavo…che magari potresti portare anche tu qualcosa di tuo da sistemare in questo spazio. Sono certa che anche a loro farebbe piacere.”

“E’ un pensiero molto bello.” Ammette il fisico. “Solo che non saprei proprio cosa…” considera, sfumando pensieroso sull’ultima parola.

“Puoi pensarci mentre ti accompagno a casa. Mi sembra il minimo dopo averti trattenuto per buona parte del pomeriggio.” Dichiara la Siebert sollevandosi in piedi.

“Sì, anche a me sembra il minimo.” Concorda Sheldon, sistemando con cura la madreperla accanto alla macchinina prima di alzarsi anche lui e seguirla fuori dall’aula ormai vuota e silenziosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aloha!
So di aver rallentato parecchio con la pubblicazione della storia, ma immagino che l’avvento dell’estate sia per tutti quello che è per me: un caos infinito in cui la mancanza degli orribili impegni invernali rende tutto ancora (incredibilmente) più complicato!

Comunque…Sheldon non è stato poi ascoltato molto dai bambini e credo proprio che c’era da aspettarselo no? ;)
Insomma, qualcuno conosce davvero un pargolo di cinque anni che se ne sta zitto e buono a guardare un adulto disegnare strani simboli alla lavagna e a blaterare di cose complicate e incomprensibili? Se sì, beh chiamate un giornalista perché si tratta di una rarità che potrebbe persino entrare nel guinness dei primati!
Dall’altra parte il rapporto del fisico con la maestra si sta facendo più intimo (per quanto conceda il dottor Cooper a questo termine) e anticipo che nel prossimo capitolo arriverà qualcuno o qualcosa che comincerà a farci capire di più il passato di Amalie. L’unico problema è che non posso fare pronostici su quando questo avverrà, visto che a breve arriveranno anche per me le (super) agognate vacanze…e allora il caos estivo risulterà ancora più totale!

Ringrazio comunque chiunque sia arrivato a leggere la mia storia fino a questo punto, chi l’ha inserita tra le seguite\ricordate\preferite e invio un enorme abbraccio refrigerato a coloro che hanno lasciato un loro commento per farmi sapere cosa ne pensano.
Alla prossima, con il capitolo che si intitolerà La legge di Rudin,
B.

  
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