La via del ritorno
La
nonna di Camilla era solita dire che l’aria frizzante spesso
aiuta a schiarire
le idee e giova alla mente, così la ragazza, dopo
l’inconcludente incontro con
Red, aveva deciso di passeggiare per la placida cittadina di
Ponentopoli. La
bionda stava detestando l’inverno di Unima così
rigido e secco, la regione era
la sua meta estiva preferita ma riguardo al resto dell’anno
avrebbe preferito
starsene a Sinnoh. Purtroppo ciò non le era possibile,
ritornare era un’opzione
da escludere a priori, le faceva male ammetterlo ma era
così, troppe cose erano
successe e altrettante dovevano accadere, ragione per cui vedeva
profilarsi
all’orizzonte una scia di tragiche catastrofi dalle quali non
era del tutto
sicura di riuscire ad uscirne viva. Sapeva anche di aver avuto una
reazione
esagerata di fronte alle parole del Campione, ma per lei la situazione
era
troppo tesa e non poteva permettersi sciocchi scherzi al fine di farle
perdere
tempo. Team Plasma, un tempo avrebbe riso a questo nome, dalla sua
comoda
poltrona di Campionessa e non avrebbe dato molta importanza alle loro
azioni,
considerandole di poco conto e inutili. Ora però non poteva
più permetterselo,
i “cattivi” della storia stavano vincendo e lei al
posto di ridere si trovava a
brancolare nel buio.
Perfino
Nardo, unico suo punto di riferimento in tutta quella faccenda, era
stato
rapito lasciandola completamente sola e lei si rifiutava
categoricamente di
ascoltare le parole di Komor. Quel ragazzo non aveva la
benché minima stoffa
del Campione, viveva da debole, difeso dalle possenti mura della Lega e
con la
sicurezza che i due Superquattro rimasti, Mirton e Antemia, non lo
avrebbero
mai tradito. Camilla rise amaramente ritrovandosi a pensare che forse
Touko non
era poi così male. Poteva essere lunatica, chiusa, a volte
anche impaurita, ma
sicuramente avrebbe preso le redini di tutto e avrebbe tentato di
sistemare la
faccenda. Forse non era così però c’era
gente che lo credeva e la bionda,
disposta a tutto per non perdere quel barlume di speranza, apparteneva
a quella
frazione.
«Che
sciocchezze…» le teorie sulla morte della brunetta
erano quelle che più
spopolavano. E poi non era stata tutta quella opposizione scontrosa a
averla
resa una persona così fragile?
«Fermati
ti ho detto!» un urlo la ridestò dai suoi
pensieri, mentre vedeva una figura
vestita in nero correrle incontro a rotta di collo.
Un
piccolo Blitzle le passò svelto di fianco facendola
barcollare mentre la
ragazza al suo seguito cercava di raggiungerlo. Senza un minimo di
grazia
quest’ultima le passò affianco, spingendola
distrattamente a terra, per poi
continuare la sua corsa senza neanche una parola.
«Ehi
si dice “scusa” in questi casi!»
urlò allora Camilla non ricevendo risposta.
Si
alzò di scatto e iniziò a correre nella stessa
direzione di quella maleducata
ragazza, senza un preciso motivo in mente. Potevano non capitare tutte
a lei? E
poi perché stava facendo un gesto tanto inutile? Non ne
aveva idea, l’istinto
le stava ordinando questo e lei docilmente obbediva. Leggermente
spaesata si accorse
che si stava dirigendo verso la parte nord della città, non
aveva intenzione di
avventurarsi nei Percorsi così accelerò la corsa.
«Su,
vedrai che non è niente…»
sentì sussurrare, così si avvicinò al
limitare della
boscaglia.
La
ragazza di prima stava lì, inginocchiata a terra e con il
volto sorridente,
quasi in un tentativo di dare conforto al Pokémon di fronte
a lei. La
carnagione chiara era in netto contrasto col vestiario mentre i capelli
ramati
ondeggiavano alle lievi folate di vento. La parte finale della manica
del
giaccone era stata tagliata e ora quel lembo scuro era proteso verso la
zampa
del Pokémon. Questo sembrava spaventato e, Camilla ci mise
un po’ a
realizzarlo, perdeva sangue da una ferita vicino allo zoccolo. La
misteriosa
ragazza era intenta a legare la ferita con meticolosa cura quando la
bionda,
che incredula si stava avvicinando, pestò un po’
di secco fogliame. Blitzle si
allarmò di colpo e prese a scalpitare mentre la sua
curatrice di fortuna
tentava di calmarlo in ogni modo possibile.
«Loro
sono andati, nessuno ti farà nulla…»
sussurrava soavemente accarezzando l’irto
pelo del Pokémon.
«Wow…
è inaspettato che un Blitzle si faccia trattare in modo
così amichevole»
proruppe la bionda continuando a fissare la scena.
Solitamente
erano creature ribelli, difficili da catturare ed allenare.
«Oh
s-si suppongo sia così…».
«Tutto
apposto?» si sentiva in qualche modo i dovere di
chiederglielo.
«O-ovvio…
ecco volevo chiederti scusa per prima, non era mia intenzione venirti
addosso
in maniera così sgarbata…» la voce
tremava e la ragazza non accennava ad alzare
il capo.
Camilla
si incuriosì maggiormente e decise di avvicinarsi al duo, ma
Blitzle si dimenò
nuovamente facendo arrestare la sua avanzata. Non che avesse paura, ma
non
voleva certamente aggravare la situazione già in precario
equilibrio.
«Perdonalo,
credo che d’ora in poi farà fatica a ritrovare
fiducia negli umani…»
«Come
mai questa affermazione sibillina?» rise Camilla,
pentendosene un secondo dopo
aver visto l’espressione contrita della sua interlocutrice.
«Tre
ragazzi lo stavano importunando, uno gli ha legato la zampa con del
filo
spinato…» mormorò questa in tono
lugubre.
La
bionda si schiaffeggiò mentalmente per il poco tatto. Erano
cose che non
raramente accadevano, le persone a volte si facevano beffe dei
Pokémon, così
solo per puro divertimento. Era in qualche modo felice che quella
strana
Allenatrice fosse accorsa per salvarne uno, tuttavia quella voce, quel
modo
diretto di dire le cose… noncurante della reazione del
Pokémon tentò di
avanzare nuovamente. Aveva una strana sensazione, quella ragazza le
sembrava
familiare, ma non voleva prendere un granchio perciò prima
indagò.
«Non
hai Pokéball con te, non sei una Allenatrice?».
«Mhm
dipende…» la risposta evasiva incuriosì
maggiormente la Campionessa.
«Eppure
te la cavi benone con i Pokémon!».
«C-credo
di si…».
Perché
non alzava lo sguardo? Quella mancanza di contatto visivo alterava la
già
irritata Camilla che continuò imperterrita ad avvicinarsi,
arrivando a toccare
la spalla della ragazza. Questa sussultò ma rimase immobile
mentre Blitzle
emetteva versi poco incoraggianti verso la nuova arrivata.
«Come
ti chia…».
«Gloria!»
una voce fuori campo diede il tempo alla ragazza per alzarsi e voltare
le
spalle alla bionda.
«Red,
ehi…!» mormorò sempre tremante.
«Che
colpo mi hai fatto prendere, non avevo idea di dove fossi, pensavo al
peggio!».
Il
corvino era sudato nonostante le temperature sottozero e aveva
un’espressione
sconvolta in viso, tuttavia cercava di mantenere un sorriso di
circostanza per
non far cogliere la nota di preoccupazione che lo stava
caratterizzando. Ansava
come dopo una lunga corsa e sembrava davvero sollevato, cosa che
dimostrò con
un forte abbraccio ai danni della ragazza. Sempre che di danni si
potesse
parlare.
«Scusa…»
gli soffiò impercettibilmente lei all’orecchio con
tono di supplica.
Quella
parolina non poteva certo avere un effetto calmante nel cuore affannato
del
ragazzo, ma per il momento se lo fece bastare, sapeva di non dover dare
troppo
nell’occhio vista anche la presenza di Camilla. Erano
però stati davvero dei
minuti difficili, nonostante ogni pronostico la desse come situazione
impossibile lui aveva davvero temuto l’ipotesi del rapimento
e già cercava di raccapezzarsi
per trovare una soluzione. Dentro di sé aveva pensato a
più soluzioni
simultaneamente, tante vie da poter scegliere, compresa quella di
chiedere
aiuto a personalità di spicco quali Bellocchio. Il suo
sangue freddo era stato
battuto da incomprensibili sensi di colpa e terrori profondi che lo
avevano
lasciato in mano al panico e all’agonia. Poi aver udito la
sua voce era stata
la cosa più bella che gli potesse succedere. Si era sentito
sollevato come non
mai e aveva finalmente potuto riprendere a respirare in modo normale,
sorridendo come uno stupido.
«Di
chi sono quelle Pokéball?» Camilla ruppe il
silenzio creatosi indicando una
sacca che Red aveva lasciato qualche metro indietro. Touko aveva
mollato la sua
borsa in fretta vedendo lo scempio che quei ragazzini stavano facendo
alla
povera vittima, ma questo il ragazzo non poteva saperlo.
I
due si sciolsero dall’abbraccio e la ragazza, che ora
più che mai incuriosiva
la Campionessa, alzò timidamente il braccio. Era arrivato il
momento, ora o mai
più.
«Avevo
ragione sei un’Allenatrice!».
«Sì,
probabilmente non lo sai ma io e te ci siamo già
battute» era la prima frase
che diceva senza tremare, alzando il capo.
Era
il momento, non poteva tergiversare ulteriormente. Se avesse perso
anche
quell’ultima possibilità non ce ne sarebbero state
altre, ne era consapevole.
Aveva già fatto un gran passo ad arrivare fin lì
e non doveva tirarsi indietro
proprio in quel momento; doveva dare un taglio a
quell’insensata paura e
compiere quel piccolo gesto. “Stai chiedendo solo un misero
consiglio” ma nonostante
si ripetesse quelle parole all’infinito il terrore che
l’atterriva non
accennava a svanire. Cercò disperatamente il coraggio che
ormai da tempo non
possedeva più, convincendosi a svelarsi alla bionda una
volta per tutte, dopo
sarebbe finita quella pesante tortura.
«Oh
beh io non posso ricordarmi di tutti i miei sfidanti m-»
mormorò la bionda
prima di essere interrotta.
«Touko!»
.
Quel
nome, urlato come se fosse una maledizione, per la ragazza fu
difficilissimo da
pronunciare. Sentì le gambe molli ma non desistette e
mantenne alto lo sguardo,
si stava togliendo un grosso peso, ora le cose forse sarebbero state in
discesa, Camilla le avrebbe detto che andava tutto bene e lei avrebbe
potuto
tornarsene tra i monti. L’occhiata che l’altra le
scoccò però abbatté in un
secondo tutte quelle ridicole speranze. Nel cuore della bionda quella
parola
era stata come un grosso pugno, una pugnalata alla schiena, un boccone
troppo
amaro. All’inizio aveva faticato a capire ma, collegando i
fatti, la cosa
risultava ovvia ed anzi si era data della stupida a non averlo capito
prima. La
presenza di Red, l’affinità con i
Pokémon e quel suo fare evasivo, erano tutti
indizi che potevano riportare ad una sola persona. Quando Touko si
tolse la
parrucca e occhiali rivelandosi per ciò che era, Camilla
trasalì ancor più se
possibile. Erano mesi che non vedeva quel viso, tutto quel tempo a
credere
nella sua morte ed ora eccola qui. Non poteva certamente dirsi
contenta, ma per
qualche frazione di secondo provò a cercare le ragioni che
avessero spinto
quella ragazza a fare un simile gesto, parzialmente ancora misterioso
per lei.
Poi però un senso di disgusto la investì e si
sentì presa in giro come mai
nella vita. La ragazza aveva tradito tutti, se ne era fregata ed era
sparita,
lasciando la regione in mano al niente più assoluto e dando
così via libera ai
Plasma. Un menefreghismo così grande era insopportabile per
la bionda che mai
avrebbe pensato di agire come la sua ex collega, come poteva ora
ripresentarsi
dopo i danni fatti?
Scattò,
mossa da odiosi pensieri, e tirò un poderoso schiaffo nella
guancia della
brunetta che divenne immediatamente rossa. Stranamente ella non parve
affatto
turbata, sembrava anzi che si aspettasse un simile gesto e per una
frazione di
secondo Camilla credette quasi che lo desiderasse. Era un
déjà-vu, se nello
sfondo ci fosse stato il mare al tramonto la scena sarebbe stata
identica a
quella di mesi prima a Spiraria. Niente di più falso, mentre
quella volta la
reazione di Touko era stata un misto tra apatia e noia questa era
totalmente
diversa. La ragazza stava difatti sorridendo, aveva inclinato
leggermente la
testa verso sinistra e infine aveva esclamato un
“grazie” sempre con quel vago
e amaro sorriso.
«Hai
fatto bene…!» continuò lei ma la bionda
non la sentiva, persa tra mille
pensieri.
Cosa
stava succedendo? Chi era quella ragazza davanti a lei? Sfregio,
rabbia,
apatia, o una qualsiasi emozione, questo doveva aspettarsi dalla vera
Touko ma
non quel sorriso scialbo e quel viso falsamente sereno. La
osservò meglio,
sembrava dimagrita di poco e decisamente più pallida,
leggere occhiaie le
marcavano gli occhi socchiusi e acquosi mentre le labbra screpolate
mantenevano
quell’espressione senza significato. Tutto di lei dava
l’impressione di una
stanchezza infinita, associata ad una tristezza che pochi potevano
capire ed il
tutto era maggiormente marcato dalle spalle lievemente ricurve e le
mani
tremanti. Cosa poteva provare una persona come lei, odiata da molti e
probabilmente anche da sé stessa? Quanto doveva aver lottato
per rimettere
piede ad Unima? Ma soprattutto quanto aveva sofferto e continuava a
soffrire,
trattenendo dentro sentimenti troppo amari per poter essere ascoltati?
No,
non si sarebbe mai fatta impietosire, poteva sorriderle quanto voleva
ma la
Touko codarda non era scomparsa, la parte peggiore di lei era
lì e aveva preso
il sopravvento sul resto. Troppe cose aveva fatto, troppi sbagli per
poter
essere perdonata e Camilla, seppur a malincuore, si impose di non
cercare di
capire quello scialbo fantasma che era diventata la brunetta.
«Red,
da te una sorpresa del genere non me
l’aspettavo…» mormorò
chiamando in causa
anche il ragazzo, che era rimasto a fissare la scena impotente.
Seguirono
attimi di straziante silenzio, poi l’ex Campionessa
accennò l’ennesimo sorriso
e, seppur torturandosi le mani, si sedette a terra.
«Immagino
tu sia curiosa e voglia una spiegazione!».
«Credo
che me la dobbiate…» rispose aspramente lei, poi
d’impulso aggiunse; «sappi
che, qualsiasi cosa tu mi dica, non mi farà cambiare
idea…».
«Riguardo
a cosa?».
Camilla
diede un’ulteriore occhiata al volto sfatto sella ragazza,
volò con la mente a
tutte le tragedie avvenute a causa della sua assenza e
respirò a fondo.
«Per
me tu rimani l’essere più disgustosamente
vigliacco che io conosca».
E
dopo questa dura affermazione si sedette a sua volta, mentre quelle
odiose
parole andavano a scontrarsi con l’ormai inerme cuore
ghiacciato di Touko che
simulò un altro sorriso ed iniziò a parlare.
L’Atelier
di Austropoli era il posto più ridicolo in cui Adelaide
avesse mai messo piede.
Le pareti erano tappezzate di foto ritraenti modelle in abiti succinti
e pose
plastiche. Erano tutte identiche, capelli lunghi in acconciature che
sfidavano
le leggi della gravità, fisici asciutti e per la maggior
parte ossei e un trucco
pesante che risaltava sui quei giovani volti come una maschera. Anche i
Pokémon
a loro vicini erano artefatti, pieni di nastri, polvere luccicante e
ridicoli
accessori. La ragazza non si era mai interessata alla moda, come
avrebbe potuto
d’altronde, e questo suo disgusto la rendeva ancor
più insofferente
all’ambiente circostante. D’altro canto lei era
lì per Ghecis e non poteva
dunque permettersi di lamentarsi, era già un miracolo che
l’uomo l’avesse
chiamata visto che era qualche settimana che non lo vedeva di persona.
Il Re
dei Plasma guardava distrattamente quelle immagini, più
attento però alle
reazioni della sua sottoposta.
«Che
ne pensi?» chiese direttamente.
«Non
capisco il motivo del mio essere qui, signore…»
rispose lei cercando di non far
trapelare il fastidio e la noia.
«Ahah,
volevo mostrarti la mia ultima scoperta in realtà».
La
bionda non si spiegava il motivo del tono ilare dell’uomo ma
non fece domande e
lo lasciò continuare.
«Guarda
che esseri superficiali stiamo diventando, una volta questo Atelier
esponeva
manoscritti, leggende e non cose tanto inutili!».
I
due passarono davanti al bancone dove un omino tremante li fece passare
nella
seconda stanza. Sorprendentemente in questa le pareti erano vuote. Solo
in
fondo, nel muro più lontano, stava appeso un qualcosa che
Adelaide non riusciva
ad identificare.
«Ricordi
quel manoscritto che mi portasti da Roteolia?».
La
ragazza annuì, aveva ucciso un tale per ottenerlo, ma ne era
valsa la pena
vista la felicità del suo capo nell’averlo fra le
mani. Non aveva idea del
contenuto ma qualcosa le suggerì che da lì a poco
lo avrebbe scoperto.
«Non
poteva essere sicuro della veridicità del documento, poteva
essere un falso. Ho
mandato i migliori ricercatori per trovarne una copia e alla fine la
mia
pazienza è stata ripagata!» l’uomo
sembrava felice, il suo atteggiamento era
nettamente diverso rispetto al solito.
«Ricordo
che parlava di qualche vecchia leggenda di Unima…».
«Esatto,
tutti conoscono la storia dei leggendari, ma il
“prima”?».
Adelaide
non capiva. Non aveva avuto la fortuna di frequentare una scuola per
Allenatori
né conosceva tanto bene le leggende che circolavano.
«Prima,
mia cara, c’era dell’altro. Agli albori esisteva
due fratelli che crearono
questa regione con l’ausilio di un solo e potente
Pokémon. I due litigarono,
uno voleva un mondo di ideali e l’altro di verità,
così il Pokémon si divise
negli oggi conosciuti Reshiram e Zekrom. Ti è
chiaro?».
L’uomo
aveva snocciolato una leggenda che alla bionda era completamente
ignota. Un
solo Pokémon Drago, la ragazza si immaginò la
grande potenza che questo essere
doveva aver avuto in passato e intuì le intenzioni di Ghecis.
«Conta
di riportare questo antico Pokémon in vita,
signore?».
«Esattamente,
ho il rituale e, grazie alla presenza di N, Reshiram è in
mano nostra. Manca
solo Zekrom e poi, con l’immenso potere ricavato, potremo
dirigersi in altre
regioni!» l’uomo parlava in tono sognante,
«pensa a questo Pokémon, un re
praticamente…».
Adelaide
sorrise fomentata da quelle parole ottimistiche. Ormai Unima sarebbe
caduta
nelle loro mani, la tattica del loro capo non aveva falle e la mancata
presenza
di Touko aveva giocato a loro favore. Restavano pochi passi e poi
sarebbero definitivamente
saliti al potere, una volta presa la Lega non ci sarebbero
più stati grossi
ostacoli.
«Come
riusciremo a prendere Zekrom? La sua Allenatrice sembra
scomparsa…» propose
cautamente la bionda.
«Senza
un eroe il leggendario tornerà sotto forma di Scurolite
nella Torre Dragospira.
Non mi stupirei di trovarlo lì quando ci recheremo per il
rito» per l’uomo era
ormai una cosa già fatta; «per quanto riguarda mio
figlio, ottimo lavoro!».
«C-che
intende dire signore?».
«Il
lavoro di persuasione su di lui ha avuto ottimi risultati e un
po’ di merito va
anche a te. Continua così, ricorda che è
imperativo che non abbia ripensamenti…
per quanto naturalmente mi fidi del macchinario di Zania».
«Senza
scrupoli, signore! Il nostro Principe è un gran
credulone…» esclamò lei.
Quelle
parole tuttavia le provocarono una fitta non trascurabile al petto, in
corrispondenza del cuore. Ma cosa andava a pensare? Non poteva dubitare
di sé
in quel momento, N era solo un mezzo per entrare nuovamente nelle
grazie di
Ghecis e lei doveva andare avanti così, zero ripensamenti.
«Mi
piace il tuo modo di ragionare!» rise soddisfatto
l’uomo; «bene questo è
tutto».
Captato
il congedo Adelaide si inchinò ed imboccò
l’uscita, ancora frastornata. Non era
il tipo da sensi di colpa o pentimenti eppure trattare in quel modo
N… Cos’era
quelle felicità unita ad un terribile rimorso che la
prendeva quando era in sua
compagnia? Scosse violentemente la testa, non voleva pensarci, era
troppo
stanca. Percorse dunque qualche via secondaria per dirigersi
all’appartamento
nel quale alloggiava, ma, non senza sorpresa, si trovò di
fronte ad un vicolo
cieco. Si perdeva spesso, questa era la realtà. Fece per
tornare indietro
quando sentì uno strano rumore provenire da uno dei
cassonetti all’angolo.
Senza tante remore lo aprì, tappandosi il naso per
l’odore. Al suo interno
c’era un bambino, era impossibile dargli
un’età vista la magrezza, ma non
doveva aver superato i dieci anni. Stava rovistando tra i sacchetti
alla
ricerca di qualcosa, evidentemente cibo visto il suo sguardo famelico.
Non ci
mise molto ad accorgersi di essere osservato e girò quel
volto emaciato verso
la nuova arrivata. Questa lo fissava spaventata, come se avesse visto
un
fantasma; sentiva le ginocchia tremare e non riusciva a togliersi dalla
mente
scene appartenenti al suo passato.
«Signorina,
avrebbe qualcosa da darmi…?» la fame a volte
supera la paura, nonostante il
bambino avesse riconosciuto benissimo l’uniforme dei Plasma
si era esposto.
Adelaide
non muoveva un muscolo, quella non era la giornata giusta. Prima i
dubbi su N e
ora questo, era esausta, avrebbe voluto prendere e fuggire da quella
situazione
come spesso faceva. No, lei era il futuro braccio destro di Ghecis,
avrebbe
spazzato via i nemici come formiche, il suo futuro di vittorie
l’aspettava e
lei non poteva permettersi la strada della bontà. Sarebbe
stata la migliore e
non avrebbe perso di vista il suo obbiettivo, non doveva cedere a
partire da
quel bambino, ironica finestra sulla sua triste infanzia.
«La
prego…» la supplicò flebilmente la
creaturina, ma lei non mollò.
«Se
vuoi vivere diventa una recluta, altrimenti c’è la
strada dei perdenti…»
mormorò in tono freddo e, lasciato il piccolo nella
confusione più totale, si
allontanò a grandi falcate, ripetendosi le parole di Ghecis
come un mantra.
«Come
pensavo, ciò non mi fa cambiare
opinione…» mormorò Camilla con tono
duro.
Aveva
ascoltato attentamente le parole della brunetta, ma nonostante questo
le sue
idee non erano cambiate. Certo, ammetteva che non doveva essere stato
facile
per la ragazza passare tutti quei brutti momenti, ma era comunque
sbagliato il
modo in cui li aveva affrontati e questo non poteva perdonarlo. Lei era
ancora
lì a combattere, era ovvio che la strada della fuga fosse
più semplice eppure
lei non aveva mai mollato. Touko invece lo aveva fatto con estrema
facilità e
ora non poteva tornare sperando che tutto si fosse sistemato da solo.
«Già…»
sussurrò rispondendo ai suoi pensieri,
«perché sei tornata?».
«Avevo
bisogno di una mano» non c’era emozione nella sua
voce.
«Per
fare cosa?».
«Ecco
io… volevo una tua consulenza. Speravo potessi dirmi cosa
fare…».
La
brunetta non capiva perché, dicendolo ad alta voce le
sembrava una cosa così
stupida. Era venuta per quello no? E in cosa consisteva il
“quello”?
«Ahah,
e tu ti aspetti che io ti dica cosa di preciso…?»
Camilla stava ridendo senza
ritegno, quasi sprezzante.
«Beh
se…» già, cosa si aspettava?
La
bionda capì e se possibile rimase ancor più
stranita. Quella ragazza era
debole, senza spina dorsale, totalmente incompatibile con una come lei
tant’è
che si sorprese di esserle stata amica in passato. Forse un tempo aveva
abilmente coperto questo lato del suo carattere ma ora che veniva fuori
la
Campionessa non poteva far altro che rimanere disgustata. La scintilla
che
tempo addietro aveva intravisto nel suo sguardo era stata solo un
fugace
miraggio.
«Tu
sei venuta qui sperando che io ti dicessi cosa fare!» quella
che voleva essere una
domanda divenne un’affermazione.
Touko
annuì. Sì, era così, aveva sperato
fino all’ultimo che qualcuno la potesse
sorreggere e guidare, ma solo ora si rendeva contò di quando
stupida era stata.
«Ma
sai cos’è la cosa peggiore?» Camilla
stava alterando la voce «tu stai sperando
che io ti dica che va tutto bene e che non devi far nulla!».
Quelle
parole che la ragazza aveva sputato come veleno fecero alla malcapitata
un
effetto disastroso. Perché doveva essere così
dannatamente debole e paurosa?
Cosa credeva di ottenere, nessuno poteva fare quella precisa scelta per
lei,
questo era indubbio. Stava al suo cuore decidere se rimanere e lottare
o
tornare nell’ombra, eppure aveva pregato che le si potesse
dare una mano. No,
quelli erano problemi che doveva risolvere da sola, anche se
palesemente non ne
era in grado. Non poteva pretendere che qualcuno allungasse la mano per
tirarla
fuori da quella voragine, non esisteva nessuno in grado di farlo
perché ormai
lei si era convinta del peggio. Era una strada del non ritorno, si
faceva schifo
da sola. Soppresse le lacrime con un altro sorriso, si sentiva ridicola.
«Se
proprio vuoi… resta» la bionda lo aveva detto in
modo inflessibile, ma qualcosa
nel suo cuore si era mosso. Non era bello vedere una persona provare
una
sofferenza tanto grande.
«N-non
posso!» rispose l’altra pur rimanendo immobile,
«tu hai ragione, io ho sperato
che tu mi dicessi di andarmene, ma…».
Non
ce la faceva, era troppo. Si sentiva così inutile, avrebbe
fatto morire altra
gente per la sua incapacità. Avrebbe dovuto rimanere a
casa…
«Devi
smetterla di crederti quello che non sei e cominciare a vivere. Trova
il tuo
obbiettivo, nessuna azione passata è così
sbagliata da rendere una persona così
debole, devi continuare a rialzarti anche se farà male!
Dovrai soffrire ma nessuno
può permettersi il lusso di smettere di avanzare!»
la bionda era fuori di sé
mentre l’altra la guardava sorpresa, «non so cosa
ti passi per la mente,
probabilmente non comprenderò mai ciò che hai
passato, ma questo non cambia le
cose. Non puoi fari scudo con la tua sofferenza, è da
vigliacchi, questo
sentimento dovrebbe essere per te motivo di riscatto!».
Era
strano, ma ora quei pensieri pessimistici nella testa delle brunetta si
erano
bloccati, c’era nuovamente quel rimasuglio di forza che non
le permetteva di
sprofondare completamente, nonostante avesse voluto non ci sarebbe
riuscita. Le
dava fastidio. Non il giudizio di Camilla, non quello di tutta la
regione né quello
di N. Si dava fastidio, provava orrore nei suoi confronti
perché stava mollando
e solo ora se ne rendeva veramente conto. Quando il pensiero di poter
continuare ad andare avanti le era balenato in mente aveva faticato ad
accettarlo ma ora era il suo nutrimento, la sua ancora. Non sapeva come
né
perché ma era importante conservare quella piccola
fiammella, non sarebbe stata
capace di tornare a Mogania, avrebbe passato il resto della sua
esistenza
ancora peggio che in passato. Doveva smettere di crogiolarsi
nell’auto
commiserazione, era una cosa schifosa, non poteva più
rimanere in quel limbo,
doveva reagire per sé, perché solo
così avrebbe smesso di farsi del male. Non
le importava di morire nel tentativo, la sua morte sarebbe stata
tornare alla
vita passiva, alzando la testa avrebbe finalmente ritrovato la vecchia
Touko e
avrebbe messo fine a tutto quel dolore che non le dava mai pace.
Perché era
l’unica cosa che sapeva fare, combattere, era
l’unica cosa che la rendeva in
qualche modo fiera di sé; sapeva di essere stata una
delusione ma non poteva
nuovamente farsi abbattere da ciò. Se voleva riscattare
ciò che era stata,
quella era l’unica via. Se per il mondo non fosse andato bene
ciò tanto meglio,
d’ora in poi avrebbe preso le decisioni per sé.
«Camilla,
dove sono i tuoi Pokémon?» non poteva perdere
tempo, a momenti la parte codarda
avrebbe ripreso il sopravvento, doveva sfruttare quell’attimo
di coraggio
finché le era possibile.
«Ancora
in mano ai Plasma, è per questo che non sono mai tornata a
Sinnoh…».
«Hai
una vaga idea di dove si trovino?».
La
sua testa era ormai nella confusione più totale ma sentiva
di averne bisogno.
Necessitava di passare all’azione anche solo per un glorioso
minuto, desiderava
poter dire che almeno ci aveva provato e non aveva mollato al primo
ostacolo.
«Beh,
Austropoli è diventata la loro base quindi suppongo
lì. Dalle informazioni
consegnatemi da Bellocchio anche Nardo potrebbe trovarsi
lì».
“Una
volta trovato Nardo potrai scoprire dove tengono Belle e poi avrai
fatto la tua
parte” pensò rincuorata la brunetta.
Effettivamente il suo più grande rimpianto
era quello di aver lasciato l’amica da sola e ora che era
stata rapita la
situazione non faceva altro che peggiorare i suoi sensi di colpa.
«Touko
che hai in mente? Entrare ad Austropoli è praticamente
impossibile! Equivarrebbe
ad un suicidio!» Red, che era stato in silenzio fino a quel
momento, provò a
ribellarsi intuendo le intenzioni della ragazza.
«Sono
convinta che Camilla si sentirebbe meglio a riavere i suoi
Pokémon e la regione
sarebbe pure in buone mani con Nardo a piede libero!»
continuò imperterrita la
brunetta.
Il
corvino le si avvicinò celermente per parlarle
all’orecchio senza farsi
sentire.
«Non
è per questo che siamo venuti qui, se Ghecis ti scopre
scoppierà il putiferio e
lo sai…» non capiva il motivo di tanta
preoccupazione.
Non
era forse stato lui a fare di tutto per convincerla a tornare? Che
persona
incoerente stava diventando, la compagnia di Touko non faceva che
destabilizzarlo.
«Se
Nardo viene liberato io divento inutile e noi potremmo tornare in pace
a
Mogania» aveva davvero utilizzato il
“noi”?
Tutte
le attenzioni di Red non la infastidivano di certo ed anzi era
più che felice
di averlo al suo fianco, le dava sicurezza.
Dalla sua il corvino sorrise
lasciandole un veloce bacio sulla guancia, cercando di non farsi notare
da
Camilla, inutilmente.
«Starò
attenta…» mormorò lei pur non riuscendo
a reagire a quel gesto.
«Potresti
spiegarmi che significa tutto ciò, Touko?»
alzò la voce la bionda per farsi
sentire.
«Red
sta per raggiungere la Lega e trattare un po’ di
ospitalità!» la sua non era
una decisione semplice ma aveva abbozzato un piano e questo le bastava.
«E
tu vorresti infiltrarti nel cuore dei Plasma? Lì non si
hanno possibilità di
fuga…».
«Oh,
usa il plurale, noi ci infiltreremo e so anche come!»
continuò a sorridere la
brunetta non dando troppo peso alla frecciatina.
Stavolta
non avrebbe fallito, si sarebbe impegnata con tutta sé
stessa e i risultati
l’avrebbero liberata da tutti quei pesanti rimorsi. La bionda
dalla sua non era
spaventata ma le sembrava comunque un’azione troppo rischiosa
per solo due
persone. Red non le avrebbe aiutate e ci sono casi, come quello che
stavano per
affrontare, che richiedevano l’aiuto del più
grande Allenatore in circolazione.
L’unico pensiero che la sollevava era la remota
possibilità di poter
riabbracciare la sua squadra e decise di provare a farselo bastare.
Così, mentre
seguiva quella ragazza a cui aveva dato i peggiori insulti, Camilla
pensò che
sua nonna aveva proprio torto. L’aria della mattina
ammattisce le persone.
Quando
c’è qualcosa che puzza solitamente si dice
“odore di fogna” per riferirsi ad
una percezione disgustosa, ma per Camilla le fogne nelle quali stavano
passando
lei e Touko erano qualcosa di così putrescente, maleodorante
e nauseante, che
il detto popolare sembrava al confronto una sciocchezza. Una via
alternativa lo
era certamente, nessuno avrebbe avuto un’idea tanto stupida.
Il pensiero che la
sua accompagnatrice, si asteneva dal chiamarla amica, fosse cambiata
così da un
momento all’altro non la sfiorava minimamente, ma era
comunque ammirata dal tentativo
che stava facendo. Era sì una totale pazzia, ma se poteva
portarle a qualcosa
di concreto allora le andava bene.
«A
momenti saremo arrivate, ti consiglio di tirare fuori la Ball che Red
ti ha
gentilmente prestato…» era una delle poche frasi
che la ragazza aveva detto
durante l’intero tragitto e alla bionda dava fastidio.
«Era
ora, speravo in qualcosa di meno lungo!»
l’esclamazione rimase senza risposta.
Svoltarono
l’ennesimo vicolo di quello schifoso paesaggio, accostavano
il reflusso verdognolo
del canale fognario, anche se il pavimento sopra il quale stavano
camminando
non era nelle migliori condizioni. Col muschio presente non ci avrebbe
messo
molto a cadere, magari in un attimo di disattenzione e non ci teneva
affatto a
farsi un bagno in quella che sembrava più melma radioattiva.
Si riscosse
sentendo un altro colpo di tosse, la brunetta ne aveva fatti molti
durante
l’intero tragitto, evidentemente non stava bene.
«Prova
a tossire più forte così magari riescono a
scoprirci!».
«Sapevo
che l’aria metropolitana non mi avrebbe fatto
bene…» mormorò irritata Touko
tossendo.
«Che
intendi?» la curiosità della bionda era stata
stuzzicata.
«Mettiamola
così: sopravvivere ad un incendio che distrugge
un’intera cittadina a volte
porta anche delle conseguenze».
Durante
il periodo passato a Mogania si era quasi dimenticata dei danni che i
suoi
polmoni avevano subito. L’aria di quella cittadina era pulita
e ciò aveva
giovato alla sua tosse, ma tornare alla civiltà era stato un
duro colpo. Non
amava lamentarsi ma se fosse entrata in una delle sue crisi allora non
ci
sarebbe stato molto da fare.
«Uff…
avrei dovuto ascoltare Red e portarmi qualche
rimedio…» mormorò più a
sé che ad
altri.
«Ah
già. Cosa c’è di preciso tra te e
Red?» Camilla si era tenuta dentro quella
domanda da quando li aveva visti ma ora non poteva più
trattenersi.
«C-cosa?»
l’altra sembrava spiazzata.
«Il
tuo atteggiamento conferma i mie sospetti…».
«Ma
smettila!» troppo tardi Touko si accorse di aver urlato a
voce troppo alta.
Il
suono rimbalzò da una parete all’altra,
diffondendosi con un fastidioso
rimbombo. Questo non andava bene, erano ormai vicine
all’uscita e se ci fossero
state delle guardie, come sarebbe dovuto essere, allora non sarebbero
rimaste
nascoste a lungo.
«Ehi,
là in fondo c’è qualcuno!»
urlò una voce sconosciuta.
Bingo,
le avevano scoperte. Ora non restava che sperare che fossero in pochi,
ma Touko
non ci faceva molto affidamento, era pur sempre una delle poche entrate
libere
della città e sicuramente doveva essere salvaguardata.
«Prepariamoci…»
sussurrò allora, sentendosi una specie di Capitan Ovvio.
Dal
tunnel di fronte a loro, quello che avrebbe dovuto portarle
all’uscita,
sbucarono quattro reclute, le Pokéball in mano pronte per
essere usate.
«Quella
è Camilla, la Campionessa di Sinnoh!»
urlò una e Touko rimarcò nella sua mente
il concetto “Capitan Ovvio” di prima.
«Forza,
se la porteremo a Ghecis potremmo avere una promozione!».
La
brunetta sospirò sollevata, aveva fatto bene a rimettere la
parrucca così
almeno non avrebbero potuto riconoscerla. Di problemi ce
n’erano già, primo fra
tutti la minoranza schiacciante nella quale si trovavano.
«Direi
che siamo in netto svantaggio, non sarà
facile…» biascicò nervosa la brunetta.
«Se
qualcuno non avesse urlato forse non ci avrebbero scoperti!».
Un
violento fascio di luce passò accanto a loro, distruggendo
la parete. L’attacco
Iper Raggio da parte del Watchog nemico le aveva mancate di poco, ma
certamente
non potevano star lì a non far nulla. Le avevano attaccate
velocemente,
volevano eliminarle in fretta, segno che perlomeno nei paraggi non ci
sarebbero
state altre brutte sorprese ad aspettarle.
«Un
altro, forza!».
Questa
volta Touko fu più veloce, scattò di lato
portandosi dietro Camilla che dal suo
canto sembrava più scioccata che altro. Ingaggiare una
battagli senza che gli
avversari avessero i loro Pokémon a disposizione era da vili
imbroglioni.
«Comunque
è colpa tua, dici cose senza senso altrimenti non avrei
urlato» le bisbigliò la
brunetta all’orecchio riscuotendola dai suoi pensieri.
«Allora
c’è davvero qualcosa!» non poteva
trattenersi.
«Iperzanna!»
la seconda recluta attaccò.
«Samurott
intercettalo con Conchilama!».
Con
una velocità impressionante la ragazza aveva estratto la
Ball e ora il Pokémon
stava facendo loro da scudo. La forza dell’attacco fu
impressionante, tanto che
Watchog fu costretto ad arretrare. Le altre due reclute stavano ferme,
non
sembravano ancora intenzionate ad attaccare ma guardavano con interesse
la
lotta, studiando eventuali strategie. La cosa preoccupò
maggiormente Touko,
dovevano sveltirsi o non ne sarebbero uscite vincenti.
«Invece
di dire cavolate perché non mi dai una mano?»
urlò così alla compagna.
Lo
sbattere di ali dietro di lei le fece capire che il possente Charizard
di Red
era pronto allo scontro.
«Lanciafiamme!».
Il
calore dato dalla fiammata si propagò velocemente
all’interno di quello stretto
canale fognario e la brunetta sentì la pelle che iniziava a
scottarle. Fu
Samurott a mettersi accanto a lei ed a esercitare un debole getto
d’acqua per
alleviarle il leggero bruciore. La ragazza sorrise di fronte a quel
gesto così
affettuoso e si apprestò ad attaccare. Non ce ne fu bisogno,
uno dei due Watchog
aveva caricato e si stava avvicinando a balzi, puntando dritto a Touko
con
Iperzanna, evidentemente ferire gli Allenatori era lecito per i Plasma
visto
che anche Adelaide tempo prima aveva attentato alla sua vita. Il
Pokémon
Dignità rispose con un preciso Idrocannone, facendo sbattere
il nemico contro
la parete opposta.
«Turbosabbia!»
esclamarono all’unisono le due reclute in campo.
Troppo
tardi la brunetta si accorse del pericolo che correva. La sabbia, oltre
a
togliere visibilità, rese l’aria irrespirabile per
i deboli polmoni della
ragazza. Sentendosi soffocare iniziò a tossire in preda
all’ansia più totale.
No, doveva rimanere lucida e sbarazzarsi il prima possibile di tutta
quella
polvere.
«Sbatti
le ali il più forte possibile…» Camilla
le era a fianco mentre il Pokémon di
Red la salvava da una situazione non del tutto rosea. La sabbia si
diradò, ma
com’era da aspettarsi la tosse non smise subito.
«Liepard,
Sbigoattacco!» anche la terza recluta aveva iniziato a
combattere mirando
proprio a lei che si era appoggiata ad una parete per rimanere in piedi.
«Intercettalo
con Attacco D’ala».
Charizard
bloccò l’attacco con una facilità
disarmante mentre la bionda le si avvicinava
maggiormente e le dava all’altra qualche pacca sulla schiena.
«Non
posso permettere che il grande amore di Red muoia
così…».
«F-finiscila…!»
rispose Touko tra un colpo di tosse e un altro, pur sorridendo
divertita.
Nonostante
le pessime condizioni in cui versavano la ragazza dovette ammettere che
si
stava divertendo. Quando era Campionessa prendeva ogni sfida come un
dovere
personale, un lavoro al quale non poteva sottrarsi volente o nolente e
questo
le aveva fatto perdere col tempo la voglia di allenarsi. Ad ogni lotta
rimaneva
concentrata e inflessibile, ordinando ai suoi Pokémon mosse
che seguivano
sempre le stesse strategie e non trovando il minimo svago in
ciò che faceva. A
Mogania però, in tutta quella calma in cui era immersa, le
era riuscito
naturale tornarsi ad allenare e aveva fatto ottimi passi avanti, era
sciolta e
più in sintonia con i suoi compagni, aspetto che nei mesi
precedenti era venuto
a mancare. Aveva visto la forza della sua squadra aumentare in modo
impressionante, perciò non era preoccupata riguardo
all’esito dello scontro.
«Liepard,
vieni fuori!» la quarta recluta fece la sua mossa.
«Non
hanno una grande fantasia queste reclute in fatto di
Pokémon…» mormorò Camilla
mantenendo una posizione di difesa.
Gli
avversari le stavano accerchiando, non c’era
possibilità di fuga e la bionda
aveva avuto modo di vedere la violenza dei loro attacchi. Le reclute
sembravano
ridere sornione, avevano già stampato nei volti un sorriso
tra il beffardo e il
vittorioso.
«Ragazza
bionda, se eri venuta fino ad Austropoli per i tuoi
Pokémon…».
«Sappi
che potrebbero già non essere più
vivi…».
«Come
te tra poco!» finì la frase il terzo.
Camilla
tremò. Non era possibile, non poteva aver perso la sua
squadra. Era tutta colpa
sua, avrebbe dovuto muoversi prima anche a costo di agire da sola, ma
la paura
l’aveva bloccata per troppo tempo.
«Nessuno
sa che effetti facciano gli esprimenti condotti dentro i
laboratori!» esclamò
la quarta recluta allegramente.
«Mostri…
mostri vigliacchi!» la bionda fu accecata dalla rabbia e con
uno scatto da
velocista fu addosso alla seconda recluta, unica donna del gruppo,
atterrandola
in un secondo.
Le
sue braccia si muovevano da sole tirando pugni al volto della
malcapitata
vittima. Il suo buonsenso e sangue freddo erano stati cancellati dalle
terribili parole degli avversari. Tuoko riusciva a capirla, dopotutto
l’amica
era sempre stata una persona calma e riflessiva, una notizia
così però avrebbe
potuto sconvolgere qualsiasi persona. Una delle reclute, quella che
sembrava
più ben piazzata, la prese per i fianchi sollevandola di
peso e tenendola a
mezz’aria. La bionda scalciava ma non sembrava avere speranze
di liberarsi.
«Ora…
attacchiamo tutti assieme!» esclamò tronfiamente
la prima recluta.
«Guarda
Campionessa di Sinnoh, osserva bene la tua amica morire!»
gracchiò quella che
era stata colpita dall’ira della ragazza, poi le
passò vicino sputandole in
faccia un misto tra sangue e saliva.
Intanto
i Pokémon avversari stavano stringendo il cerchio attorno a
Touko che a
malapena si reggeva in piedi. Non era spaventata, stava riflettendo sul
da
farsi anche se vedeva poche possibilità di sopravvivere a
quell’attacco combinato.
Con molta probabilità sarebbe stata investita da quattro
Iper Raggio
contemporaneamente anche se non era esattamente l’idea
più allettante per una
morte.
«Forza,
tutti Iper Raggio» urlarono all’unisono le reclute,
in un quadretto che alla
brunetta pareva patetico e ridicolo allo stesso tempo.
«Scontati…
oggi sarà qualcun altro a perire in questo
scontro…».
Se
si fosse potuta vedere non si sarebbe riconosciuta. Chinata a terra,
intenta a
tossire e scuotere la testa, sembrava così debole e vinta.
No, questa non era
l’impressione che aveva dato ad una recluta, quella che tra
tutte sembrava la
più anziana. L’umo infatti indietreggiò
di un passo, sconvolto dal tono lugubre
dell’avversaria e dal suo sguardo fuori
dall’ordinario.
«Questa
è follia…» biascicò
incredulo.
Camilla
percepì questa frase, così incomprensibile in un
momento simile, poi si
disperò. Touko non sarebbe riuscita a salire in groppa a
Charizard in tempo e non
aveva delle difese abbastanza potenti per tener testa ad un attacco di
simile
portata. Se non si fosse allontanata avrebbe potuto aiutarla o
perlomeno morire
con lei, invece ora affrontava tutto da sola, la bionda avrebbe visto
la
sconfitta definitiva della vera Campionessa di Unima. Fece in tempo a
sentire
una lacrima solcarle la guancia quando un grido straziante le
perforò i timpani
e il buio completo l’avvolse.
La
Cioccolateria di Guna
Giorno
strano per pubblicare, che mai starà succedendo? Niente di
che, parto per due
settimane e questo capitolo andava pubblicato. È il
più lungo mai scritto, sono
quasi 7000 parole gente, spero non vi abbia annoiato, ma vi avevo
promesso un
poco di azione ed eccovi serviti! Non sono del tutto soddisfatta anche
perché
l’ultima parte è stata scritta ieri e io
solitamente finisco il capitolo 5
giorni prima della pubblicazione per poterlo sistemare (dalle cretinate
che
scrivo). Spero solo che vi sia piaciuto, davvero.
E
niente, in caso di recensioni e mancate risposte sappiate che vado in
un posto
senza internet e wifi (si praticamente un altro mondo) e non
potrò esserci per
due settimane. Mi rivolgo anche a tutte quelle persone che devo
recensire,
arriverò una volta tornata, perdonatemi ma ve lo prometto.
Bene
dopo avervi annoiato ad oltranza mi prendo un momento per rompervi
maggiormente
le scatole.
100
recensioni. Ok. Allora comincerei con un grande “ahaha
evidentemente ho sbagliato
a leggere e c’è scritto 10” e finirei
con “grazie di cuore”. Davvero non ho
parole, voi tutti siete la ragione della mia felicità nel
pubblicare. Anche voi
lettori silenziosi, mi fate sempre contentissima perché
dovete avere tutti una
resistenza ferrea per non esservi stancati della storia e per non
volermi
linciare. Guna apprezza e dona del cioccolato a tutti voi.
La
finisco qui che vedo già qualcuno con la lametta in mano, ci
vediamo al prossimo
capitolo!