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Autore: steph808    11/07/2015    2 recensioni
Cinque amiche in università, alcuni animali che fanno pasticcio, la nascita di un amore travolgente… e nessuna trama sensata.
In brevi capitoli di circa 80 righe (su un normale programma di scrittura) questa storia racconta alcune scene di vita in università e improbabili avventure semiserie liberamente tratte dalla vita reale e dalla fantasia più sfrenata, con l'obiettivo di divertire, poi di intrattenere e infine di far riflettere, perché anche le storie senza trama hanno un filo conduttore.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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capitolo8 Capitolo 8
Nel quale ci si prepara per un appuntamento professionale
 
Come dico sempre, io ho l’immaginazione visiva di una talpa miope. Questo è un problema serio, perché la vista e il buon gusto vanno a braccetto. Non che io abbia cattivo gusto – le mie recenti frequentazioni maschili lo dimostrano – ma sono perennemente in difficoltà su come vestirmi e come truccarmi. Seguo da anni fashion blogger su internet e tutti i giorni controllo su youtube i miei canali preferiti di ragazze che mostrano i loro trucchi (soprattutto spiegano alle negate come me il modo di realizzarli) e i loro outfit del giorno. I vantaggi sono innegabili: ho conosciuto molte ragazze simpatiche, mi tengo aggiornata sulle novità della moda, ho imparato alcuni “trucchi del trucco” che da sola non avrei scoperto nemmeno campando cent’anni e mi sono scoperta un animo da follower entusiasta. Purtroppo, però, l’immaginazione visiva è sempre scarsa, soltanto ho più esempi da imitare.
Perché quando devo vestirmi o truccarmi io copio, al massimo rielaboro.
Nel momento di prepararmi per andare a parlare di tesi con Paolo, mi venne in mente Lucrezia, una nostra compagna che l’estate scorsa si era presentata in università con una mise che mi era piaciuta tantissimo. Maglietta bianca a maniche corte senza pretese e gonna a ruota. Per il viso scovai un tutorial per un trucco da giorno effetto naturale.
«Altro che vestita da donna!» sbottarono le mie amiche. «Stefania, sei uno schianto!»
Mi apparve un sorriso a centoventotto denti.
«Non ti bacio per non rovinarti il trucco» aggiunse Candida.
«Baciami, stupida!» risposi e le buttai le braccia al collo.
Ottenere l’approvazione delle mie bellissime amiche era una soddisfazione.
«Non è finita qui» aggiunsi.
Avevo pensato al tocco finale.
Nel guardarmi allo specchio prima di uscire di casa avevo considerato l’idea di mettere i tacchi. Non lo faccio mai, in università, ma poteva essere un’eccezione. Solo che io non possiedo scarpe eleganti bianche. Le uniche scarpe che ho in tutti i colori e in tutti gli stili sono le ballerine. Mia mamma, però, possiede un paio di sandali – non so se hanno un nome particolare, sono sandali ma senza lacci intorno al tallone – proprio di colore bianco, con un tacco sottile di sei o sette centimetri. Sono pure di una marca famosa. Insomma sono perfetti: eleganti, di stile, essenziali e versatili, eppure lei non li mette mai e prendono polvere nella sua scarpiera. Una vera ingiustizia cui avrei posto rimedio. Infilai le ballerine ai piedi e misi in borsa i tacchi per un cambio.
Secondo tocco finale erano gli orecchini. Io non ho i buchi alle orecchie, quindi sono orecchini a clip con una perlina e un brillantino che dondola sotto il lobo.
La storia di Stefania e dei buchi alle orecchie è lunga e complicata. No, inutile che faccio la difficile, mi correggo, è semplicissima. Me ne sono sempre disinteressata del tutto fino a poco tempo fa. Quando qualcuno mi chiedeva perché non avessi i lobi forati, ho sempre risposto “sono nata così” con orgoglio e una punta di femminismo, perché non mi risulta che le femminucce nascano già con gli orecchini inseriti e i maschietti no. Poi l’anno scorso mi era improvvisamente venuta voglia di mettere anch’io gli orecchini come tutte. Mi sono informata, ho chiesto, domandato, scritto mail. Ho imparato un sacco di cose sul mondo dei buchi alle orecchie. Poi, al momento decisivo, quello in cui mi dicevano “se sei pronta, ti metto gli orecchini anche subito” mi tiravo indietro. Una, due volte e ho capito mi manca ancora la voglia di farmi sforacchiare. Ecco perché ricorro agli orecchini a clip nelle occasioni speciali.
«Che dite? È eccessivo se metto i tacchi?» domandai alle mie amiche.
Dissero che era indispensabile per slanciare la mia silhouette. In effetti, diventavo alta quasi come Sofia e Candida.
Se le mie amiche avevano ragione e Paolo m’aveva guardato con interesse, avrebbe apprezzato un’eleganza speciale. In caso contrario, dovevo solo metterli per un colloquio nel suo ufficio. Sarei stata seduta tutto il tempo, magari non li avrebbe nemmeno notati. In tutti e due i casi, non avevo niente da perdere.
L’appuntamento era in tarda mattinata, giusto prima di pranzo. Rimasi d’accordo con le mie amiche che ci saremmo ritrovate in mensa entro un’oretta e avrei raccontato tutto. Parola per parola, ovviamente.
Mi accompagnarono su per le scale e fino al corridoio ai piani alti dell’edificio, un posto silenzioso e deserto occupato solo dagli uffici dei docenti. La porta dell’ufficio era distante trenta passi. Temevo non volessero più mollarmi.
«Ragazze, da qui posso anche andare da sola.»
Claudia mi abbracciò di slancio. Poi Candida. Poi Sofia. Alice mi studiò e disse: «Ti manca ancora un dettaglio.»
Prese dalla borsa i suoi occhiali da sole e me li appoggiò tra i capelli.
«Gli uomini ne vanno matti. Credimi.»
Abbracciai anche lei, poi percorsi il corridoio. Arrivata alla porta mi voltai ed erano ancora tutte immobili a fissarmi dal pianerottolo. Con la mano feci un ultimo cenno di saluto e intimai loro di andarsene.
Feci un gran sospiro.
E bussai.
 
Paolo aggiustò la cravatta per l’ennesima volta. Aveva acceso il computer e aperto alcuni libri sulla scrivania, ma non riusciva a lavorare. Quella ragazza l’aveva stregato.
Eppure lei era vicina, stava arrivando al suo ufficio. Sentì bussare ed ebbe un tuffo al cuore, ma era un usciere che distribuiva la posta interna.
Si alzò e fece il giro dell’ufficio a grandi passi. Le ragazze che gli piacevano facevano sempre quell’effetto: l’emozione della scoperta, l’impazienza di entrare in contatto. Guardò fuori dalla finestra, ma non c’era niente di interessante da ammirare. L’orologio diceva che era arrivata l’ora. Oppure non si sarebbe presentata? Un dubbio atroce. Lei era una studentessa corretta, gli avrebbe mandato una mail se avesse disdetto l’appuntamento. Aprì la casella di posta elettronica ma non c’erano nuovi messaggi. No, di certo lei stava arrivando…
Lei… non sapeva ancora il suo nome, non aveva ancora avuto modo di chiederglielo.
Sentì dei passi risuonare in corridoio. Si precipitò alla scrivania, voleva farsi trovare all’opera, come uno studioso serio. Controllò per l’ennesima volta il nodo della cravatta mentre i passi si fermavano. Un attimo di silenzio e poi un delicato bussare alla porta.
«Avanti!»
Eccola, radiosa come una giornata di sole. Era bellissima vestita di bianco. Si alzò per andarle incontro mentre si salutavano.
Tese la mano in modo quasi automatico e lei la strinse. Aveva gli occhi verdi, i capelli castani e le unghie di colore azzurro. Furono queste sfumature a colpirlo. Poi notò gli occhiali scuri infilati con noncuranza tra i capelli. Un tocco sbarazzino che adorava, come il vezzo delle unghie smaltate sempre di colori vivaci.
Paolo tornò alla piccola scrivania e lei sedette proprio di fronte, per un colloquio occhi negli occhi.
C’erano degli orecchini a dare luce al suo volto. Solo il giorno prima non li aveva notati. Non gli erano sfuggiti la gonna e le scarpe col tacco. Decisamente lei si era messa in ghingheri. Paolo sorrise: anche lui aveva messo il suo miglior completo e la cravatta più bella.
  
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