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Autore: steph808    11/07/2015    2 recensioni
Cinque amiche in università, alcuni animali che fanno pasticcio, la nascita di un amore travolgente… e nessuna trama sensata.
In brevi capitoli di circa 80 righe (su un normale programma di scrittura) questa storia racconta alcune scene di vita in università e improbabili avventure semiserie liberamente tratte dalla vita reale e dalla fantasia più sfrenata, con l'obiettivo di divertire, poi di intrattenere e infine di far riflettere, perché anche le storie senza trama hanno un filo conduttore.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo9
Capitolo 9
Dove si sperimenta l’affetto filiale
 
«Non ho capito.»
«Cosa ti sfugge della mia ricostruzione accurata e limpida?»
Mi fissò con la pazienza che solo una madre può avere.
«Non ho capito perché sei andata da lui. Da questo… assistente, dottorando, quel che è… Paolo.»
«Per parlare della tesi.»
«Hai appena detto che avete parlato di tutto tranne che della tesi.»
«Sono cose che càpitano nel corso di una conversazione.»
«Stefania… sii seria.»
«Volevo parlargli. Le bionde sostenevano che lui mi avesse guardato con interesse. Poi c’era stato l’episodio dello scontro in corridoio. Dovevo parlagli.»
«Gli hai parlato?»
«Sì. A lungo» risposi sognante con ampio sbattimento di ciglia.
Mia mamma aveva ragione. Non avevo capito nemmeno io cosa era successo, con la differenza che lei non era nello studio di Paolo e io invece avevo vissuto tutta la scena in prima persona.
Avevamo iniziato la chiacchierata con cautela. E va bene, lo ammetto, io me l’ero mangiato con gli occhi, ma qualsiasi ragazza l’avrebbe fatto. Lui doveva esserci abituato e comunque io ero stata discreta, niente occhiate da femme fatale (non ne sono in grado) e niente sbattimenti di ciglia (ce la posso fare ma mi ero trattenuta).
Buongiorno signorina, buongiorno dottore, come sta, bene e lei, non mi ha ancora detto come si chiama, ah, Stefania, bel nome, quindi lei segue le lezioni del professor T., eccetera. Professionali, compunti. Lui si era interessato gentilmente del mio piano di studi, si era interessato ancor più gentilmente anche a me. Non sapeva nemmeno il mio nome. Io non mi ero posta il problema ma, in effetti, per lui ero una delle mille studentesse.
«Dovevamo parlare della tesi, giusto?» aveva detto Paolo esauriti i lunghi – e non del tutto spiacevoli – convenevoli.
In quel momento purtroppo il mio cervello era uscito a prendere il caffè. Non vi capita mai che il vostro cervello in certi momenti sia in pausa caffè? A me sì. C’è bisogno di lui, lo vado a cercare ma non è in ufficio. Trovo il cartellino “torno subito” e mi tocca aspettare. Tutti hanno diritto ad una pausa di tanto in tanto, non voglio discutere su questa cosa. Di solito tempo un quarto d’ora e si rimette al lavoro, ma se c’è un urgenza devo fare a meno di lui.
Paolo mi aveva domandato se dovessimo parlare della tesi: io ero la studentessa vivace e interessata alla materia, giusto? Era l’unica ragione per cui mi trovavo lì. Perfetto! Solo che, col cervello il pausa caffè, risposi:
«Se proprio vuole…» Con un tono di sufficienza e indifferenza olimpico.
Lui rise. A lungo e di cuore.
Nel frattempo il mio cervello tornò alla sua scrivania e si mise a chiedere in giro quali pasticci avessi combinato in sua assenza, lamentandosi coi suoi colleghi (cuore, reni, cistifellea) ad alta voce dei problemi che ogni volta gli scaricavo sul tavolo.
«Stefania, lei è troppo divertente.»
«Intendevo dire…»
«Ha ragione. La tesi è un argomento noioso!»
«Prima o poi dovrò scriverla…»
«Ma con la sua intelligenza non ha di certo bisogno dei miei consigli. Ci sono cose molto più interessanti di cui parlare.»
«Ad esempio?»
«Viene a pranzo con me?»
Per un attimo ebbi paura che fossero in pausa caffè anche le orecchie. I lobi ne avevano il diritto, perché gli orecchini a clip dopo un po’ stringono e danno fastidio, ma il servizio uditivo mi serviva. Mi aveva invitato a pranzo? Lui? A me?
«Ehm, quando?»
«Adesso. Dovrà pur mangiare qualcosa o è a dieta come di solito tutte le ragazze?»
«No. Cioè, non che non sono… non vorrei pensasse che mi abbuffo… insomma… volevo dire… sì mangio qualcosa. Certamente. Ho appuntamento con le mie amiche in mensa.»
«Ah, capisco.»
«Sì, ma possono aspettare. In fondo le vedo tutti i giorni. Non faccia caso a loro.»
«Pensavo di pranzare al giapponese. Lo conosce?»
«Sì, ma è un po’ lontano. Per risparmiare tempo di solito andiamo in mensa o ci portiamo un panino…»
«Per il panino doveva avvisarmi. Ma se non ha tempo non voglio costringerla.»
Costretta? Io? Nemmeno per idea. Stavo dando messaggi contrastanti. Le donne misteriose sono sempre affascinanti, ma non dovevo esagerare. Dissi che ero pronta anche subito.
Così andammo a pranzo insieme.
Questa era la parte che mia mamma non aveva afferrato bene e nemmeno io più di tanto.
«Nel frattempo ho capito perché non usi mai i sandali bianchi» le spiegai. «Sono scomodi da morire! Non te li chiederò in prestito mai più.»
«Non me li hai chiesti. Li hai usati e basta.»
«Sono dettagli. In ogni caso puoi tenerli.»
Avevo calcolato di utilizzarli una mezz’oretta da seduta, solo per fare la splendida, invece avevo camminato venti minuti all’andata e altrettanti al ritorno più tutto il tempo speso tra l’ufficio e il ristorante. Mi ero distrutta i piedi e avevo perso sensibilità alle orecchie per colpa dei maledetti orecchini ovvero strumenti di tortura cinese. In compenso, ad un certo punto avevamo iniziato a darci del tu, così, come se niente fosse, come se da assistente e studentessa fossimo diventati amici. Paolo era simpatico. Sulla bellezza mi sono già dilungata e non mi ripeterò. Io ero riuscita a farlo ridere anche con il cervello in servizio attivo e, anche se non sono una modella come le mie amiche, stavo facendo del mio meglio su tutto il resto.
«Quindi, riassumiamo.» Mia mamma ha una mente analitica. «Non hai parlato della tesi. In compenso sei diventata amica di un assistente carino.»
«È più che carino. È un modello di Abercrombie.»
«Tutto qui?»
«Che vuol dire “tutto qui”, mamma? Hai presente quanto c’è in un modello di Abercrombie?»
«Allora spiegami cosa mi sono persa. Io ho visto solo una chiacchierata innocente.»
Forse aveva ragione lei. Rifletté ancora, poi disse: «Sai cosa? In effetti una novità importante c’è stata. Ti sei preparata per un appuntamento e non mi hai domandato cosa metterti.»
Come ho detto, io seguo parecchi blog e canali youtube sulla moda. Non ho fantasia, ho bisogno di avere spunti. Una volta le ho chiesto: “mamma, che ne dici se aprissi anch’io un fashion blog?” lei – che ha una mente analitica ma anche caustica – m’ha risposto: “dato che ogni singolo giorno mi domandi un consiglio su cosa metterti, faccio prima se il blog di moda lo apro io.”
  
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