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Autore: Chesy    12/07/2015    2 recensioni
[...]"Sullo sfondo di una New York mondana e piena di sotterfugi, di club segreti e demoni impazziti, omicidi e brutali lotte, ci saranno anche i sorrisi e gli amori, il dolore e le storie di questi due protagonisti, e di tutti coloro che li circondano.
Perché, nonostante i ruoli capovolti, la storia cambiata e la linea temporale simile, il loro amore sboccerà ugualmente. E loro resteranno esattamente come sono, perché il passato li ha formati e resi ciò che adesso smuove le fondamenta di New York, ribaltando le Leggi e trasgredendo sempre alle regole che, da tempo, mantengono l’equilibrio dei mondi.
Benvenuti nel Mondo capovolto degli Shadowhunters."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alle persone che mi hanno seguito sin qui, spero
continuerete a starmi dietro anche in futuro.
In ogni caso, grazie.

 
Tutto si è risolto per il meglio, beh, in apparenza: Max e Ragnor sono morti, lasciando un grande vuoto nel cuore di amici e famigliari, Valentine è sparito, Sebastian non ha lasciato tracce di se e i Nephilim ancora stentano ad accettare, del tutto, i Nascosti. Ma ci sono i lati positivi, anche in una guerra: Clary e Jace sono liberi di amarsi senza essere giudicati, Luke ha finalmente aperto il suo cuore a Jocelyn, Simon si gode il suo “essere sexy”, mentre Isabelle e Maia si contendono la sua attenzione.
Ma….Magnus e Alexander?
 
NEL CIELO, TRA LE STELLE – BEFORE YOU

 
[….] La piazza profumava di fiori bianchi, di fumo e di foglie. Tutto attorno, erano stati disposti tavoli e lunghe panche, e gruppi di cacciatori e di Nascosti vi si affollavano intorno, ridendo e bevendo e chiacchierando. E tuttavia, nonostante le risate, vi era un pizzico di mestizia mescolato all’aria di festa, un dolore che conviveva con la gioia.
I negozi che si affacciavano sulla piazza avevano le porte spalancate e la luce si riversava sui marciapiedi. I festanti passavano a frotte, portando piatti di cibo e calici dal lungo stelo colmi di vino e di altre bevande dai colori vivaci.

-Non è come alle feste di Magnus.- disse Isabelle, cercando di rassicurare Simon. –Tutto quello che c’è da bere qui dovrebbe essere sicuro.-

-Dovrebbe?- Aline sembrava preoccupata.

Magnus guardava la foresta in miniatura e le luci colorate si riflettevano nelle iridi verdi e dorate dei suoi occhi. C’era Alec, all’ombra di un albero, che parlava con un ragazzo vestito di chiaro, i capelli argentei sembravano brillare di luce propria.
Il ragazzo si girò, quando Alec li guardò, e Clary incrociò il suo sguardo per un momento: profondi occhi, sempre argentei la scrutarono, annullando la distanza che li separava. C’era qualcosa di familiare, in lui, ma Clary non riuscì a capire che cosa.

Alec incassò la testa tra le spalle, venendo verso di loro, mentre l’altro ragazzo scivolò tra le ombre degli alberi, sparendo in una manciata di secondi.
Lo Stregone era vestito praticamente come al solito: jeans scuri e una maglia che, almeno, non sembrava avere toppe o buchi. Accanto a Magnus, rappresentava il suo perfetto opposto: il Cacciatore aveva scelto con cura cosa indossare, senza però esagerare.
Aveva una camicia bianca dalle maniche corte, che evidenziavano le braccia magre ma muscolose, e ricoperte di rune: a delineare la sua figura magra e la vita, ci pensava un gilet di seta viola, con un fazzoletto ricamato con le iniziali M.B. che spuntavano dal taschino. Pantaloni aderenti e stivali borchiati completavano il tutto.

-Bel gilet.- commentò Alec, accennando un sorriso.

-Ne vorresti uno uguale?- chiese pronto l’altro. –Del colore che preferisci, naturalmente.-

-In realtà, i vestiti non m’interessano granché.- ammise lo Stregone. - Stanno meglio a te, che a me.-

-Questo non è vero.- Magnus si accigliò lievemente. –E poi, il fatto che non t’interessino i vestiti, è un dettaglio che adoro di te.-

Gli si avvicinò lievemente, soffiandogli nell’orecchio, quasi stesse per dire un segreto che nessuno avrebbe dovuto udire.

-Ma sai, ti confesso che ti adorerei lo stesso anche se tu avessi un be vestito griffato. Che dici? Dolce? Zegna? Armani?-

Nessuno poté vederlo, poiché fu una cosa piuttosto rapida, ma la lingua di Magnus sfiorò delicatamente il lobo di Alec: questi s’irrigidì lievemente, mentre il Cacciatore tornava a parlare.

-Sono sicuro che ti starebbero tutti magnificamente.-

Lo Stregone avvampò, farfugliando qualcosa e Isabelle scoppiò a ridere: Magnus colse l’occasione per avvicinarsi a Clary e sussurrarle qualcosa.

-I gradini della Sala degli Accordi. Vai.-

La piccola Licantropa avrebbe voluto chiedergli che cosa voleva dire, ma Magnus era già tornato a parlare con Alec e gli altri.
 
[….]

Qualche tempo dopo, scesero insieme la scalinata della Sala degli Accordi e tornarono nella piazza, dove la gente aveva iniziato a radunarsi in attesa dei fuochi d’artificio. Isabelle e gli altri avevano trovato un tavolo in un angolo e vi si erano assiepati, su panche e sedie. Quando Jace e Clary si avvicinarono al gruppo, la ragazza fece per sfilare la mano da quella di lui…..ma poi si fermò. Ora potevano tenersi per mano, se volevano. Non c’era niente di male. Il pensiero quasi le tolse il fiato.

-Siete qui!- esclamò Isabelle, danzando verso di loro con un’espressione deliziata.

L’abito dorato le fasciava il corpo, valorizzandole i capelli scuri: la lunga coda le vorticava attorno, tenendo stretto quello che sembrava un bicchiere ricolmo di una bevanda fucsia. La ragazza porse la bevanda a Clary.

-Assaggiane un po’, forza.-

-Mi trasformerà in un roditore?- arricciò il naso.

-Dov’è finita la tua fiducia? Credo che sia succo di fragola.- disse, sorridendo. –Comunque, è buonissimo. Jace?- offrì un altro bicchiere anche a lui.

-Io sono un maschio.- sbuffò il Licantropo. –E maschi non bevono bibite rosa. Vattene, donna, e portami qualcosa di marrone.-

-Marrone?- Izzy inarcò un sopracciglio.

-Il marrone è un colore da uomini, mi pare ovvio.- tirò uno dei riccio della sorella con la mano libera. -Infatti, guarda, lo sta indossando anche Alec.-

Lo Stregone guardò la maglia con aria funerea, sbuffando lievemente.

-Una volta era nera….-rivelò. –Ma poi si è sbiadita.-

-Potresti abbellirla con una bandana di lustrini.- mosse le dita come se volesse farla apparire dal nulla.

Alec gli scoccò un’occhiataccia: Magnus lo sguardò negli occhi, intrecciando le dita sotto al mento, un sorriso divertito sulle labbra.

–Era solo un’idea.- aggiunse, fingendo di scusarsi.

-Resisti alla tentazione, Alec.- Simon era seduto accanto a Maia ed Aline, impegnate a conversare tra loro.  –Sembrerai Olivia Newton John in Xanadu.-

-C’è di peggio.- bofonchiò Magnus.

Alec sorrise, spostando lo sguardo verso qualcuno che aveva attirato la sua attenzione: la madre di Magnus e il padre di Catarina si aggiravano tra gli invitati, addosso abiti semplici ma eleganti, a modo loro, giusto da far intendere che era un giorno di festa per tutti.
Quando incrociarono lo sguardo di Alec, quest’ultimo diede un colpo alla spalla del Cacciatore, portandolo a voltarsi nella direzione indicata dal ragazzo: entrambi si congedarono dai loro amici, dirigendosi verso la coppia.

Anche Catarina fece per andare con loro, ma Alec allungò una mano, facendole segno di restare: le guance erano arrossate, si vedeva la tensione che gli percorreva i muscoli, ma era dritto, il petto in fuori, pronto a mantenere la promessa fatta a Magnus.
Li seguì con lo sguardo, sino a quando la folla non li inghiottì.
Sentì le dita scivolare lungo i fianchi, e strinse la presa sui vestiti che portava quella sera: si voltò indietro, notando il gruppo compatto, del tutto indifferenti al fatto che lei e i due ragazzi si fossero allontanati.

Così, un passo dopo l’altro, si addentrò, controcorrente, tra Nascosti e Cacciatori: con la coda dell’occhio, riuscì a scorgere Magnus e Alec, i genitori che stringevano la mano della Stregone, la stretta della donna sul braccio del ragazzo allampanato.
Entrambi sorridevano, dimostrandosi un vero e proprio modello di decoro: tutto sommato, Catarina sapeva che tutto sarebbe andato per il meglio. Quei due erano fatti per stare insieme, e meritavano di essere felici.

Un debole sorriso le si allargò sul viso, ma la scena non frenò la sua avanzata.
Così, riprese il suo cammino, la speranza per il suo parabatai come una scintilla viva nel cuore.

[...]
Salem, anno 1690 circa

 
L’aria era satura di muffa e stantio, marcia anche a causa dei rivoli di liquame che scivolavano tra le pietre ricoperte da sporcizia: Alec non vedeva niente, a causa del buio, e delle finestre inesistenti.
Però sentiva, sentiva le ruote dei carri, il calpestare dei cavalli, le urla della gente, il rumore del giorno più forte e netto, rispetto a quello umido della notte: ma, nonostante lo spessore delle mura, e il fatto che si trovasse in uno scantinato, il ragazzino poteva chiaramente udire ogni cosa.
Strinse le ginocchia al petto, appoggiandovi sopra il mento: chiuse gli occhi, per scacciare le lacrime. Non avrebbe dato loro la soddisfazione di vederlo in quello stato, soprattutto per i suoi fratelli: se avessero capito che era debole, che si stava lasciando prendere dallo sconforto, avrebbero fatto loro del male.
Alec sapeva, soprattutto grazie alle voci che trapelavano dalle crepe nel muro: sapeva che era in corso una caccia a chi veniva ritenuto posseduto o, direttamente, discendente del demonio. E, per sua sfortuna, sia lui, che Isabelle, che Maxwell erano nati con Marchi sin troppo visibili agli occhi degli umani.
Se solo avesse potuto, avrebbe almeno camuffato i loro, ma non sapeva esattamente come fare: a malapena, aveva avuto il tempo di capire come funzionavano le sue abilità.

Ma com’era potuto finire lì? Cos’aveva fatto di male?

Tutto sembrava tranquillo, nella sua vita: una casa, genitori amorevoli – per quanto suo padre lo mettesse spesso in soggezione – un fratello e una sorella a cui badare, la terra da coltivare…avevano tutto ciò che si potesse desiderare. Ma poi, a nove anni Alec capì che qualcosa non andava, in lui.
 E il sogno si ruppe, come se non fosse stato altro che un’allucinazione fragile, e debole, un miraggio: quando aveva visto la sua pelle creparsi, aveva pensato di essersi sbucciato.

Quando aveva notato le pellicine staccarsi, la carnagione pallida fare la muta, come i serpenti, aveva pensato che fosse per via del troppo sole che prendeva.
Ma poi, poi aveva visto le squame, e non era scoppiato in lacrime soltanto perché avrebbe messo in allarme tutta la sua famiglia: e sapeva, sapeva bene che una cosa del genere non era normale.
Prese a fasciarsi le braccia, ogni giorno, indossando pantaloni e camice lunghe: ai suoi genitori diceva che era perché il sole gli dava fastidio e, fino a che avesse lavorato senza svenire sotto l’intensa luce, per loro sarebbe andata bene. Ogni giorno controllava sin dove si estendeva quella pelle nuova, estranea: passò l’estate, arrivò l’autunno, e ancora non faceva cenno di voler passare.

Quando si lavava, lo faceva sempre la sera tardi, senza che nessuno lo vedesse: se ne stava per conto proprio, come se anche il calore umano potesse provocargli dolore. Gli unici che lasciava avvicinare erano i suoi fratelli, forse perché loro non avevano ancora l’età per notare quei piccoli dettagli che, invece, avrebbe messo in allarme un occhio più attento.
Ma sapeva, sapeva che non sarebbe durato a lungo e, una sera, al calare dell’inverno, sua madre entrò in camera senza aver bussato, notando quelle macchie squamose e perlacee sulla schiena magra del figlio: Alec guardò con terrore la donna, supplicandola con lo sguardo di non gridare, pregando qualsiasi Dio di non farsi scoprire così, per uno stupido errore di distrazione.

Maryse non parlò, infatti: richiuse la porta dietro di se e andò dal figlio, lo abbracciò con forza, chiudendo gli occhi, quasi avesse paura di guardarlo.
In quel momento, con le braccia della madre stette attorno alle spalle, Alec si chiese cosa non andasse in lui: la sua famiglia era normale, non aveva nulla di strano, alcun segreto, neanche una piccola voglia. Era lui, quello diverso: era lui quello malato, quello sporco, un peccato vivente.
Quella sera, sua madre lo aiutò a vestirsi e lo mise a letto, come quando era piccolo: gli rimboccò le coperte sino al meno e lo baciò sulla fronte.
Da quel momento, Maryse prese a coprire il figlio, a dirgli come comportarsi, cosa fare, come nascondere quel difetto: in quel periodo, per altro, girava voce che ci fossero delle Streghe, in giro per le foreste, e di stare attenti alle loro infide maledizioni. E Alec, piccolo, dolce, Alec, lui dovette crescere in fretta ed acuire i sensi, procedendo sempre con il massimo riserbo, per nascondere il suo segreto, oramai sempre più ingombrante.

Poi, un giorno, si ritrovò nel fienile con i fratelli: stavano rimettendo in ordine, quando Izzy gridò, di colpo, piegandosi in due. Alec si era inginocchiato su di lei, non sapendo esattamente come fare per aiutarla: sapeva di avere delle abilità particolare, sapeva come muovere le dita per spostare piccoli oggetti….ma non sapeva come aiutare sua sorella, che ora si contorceva vicino alle sue ginocchia, con le lacrime agli occhi.
Anche Max si avvicinò a lei, protendendo le manine piccole e delicate: fu in quell’istante, in quella frazione di secondo, vista da Alec a rallentatore, che realizzò l’orrore di quella storia.

Tra i capelli arruffati del suo fratellino, appena accennate ma visibili, spuntavano due corna.

E dal vestito di sua sorella, ora, proprio tra le gambe, faceva capolino un frammento di quella che doveva essere una coda.


Alec restò pietrificato, la pelle gelida, il cuore che aveva smesso di battere: ricordava che, l’unica cosa alla quale aveva pensato, era che non potevano più restare. Mamma non avrebbe retto quell’orrore, il fatto di avere tre figli con i Marchi del Diavolo.
E il padre, Robert…..non avrebbe mai osato immaginare come avrebbe reagito lui.
Così, quando Izzy si riprese dal dolore – la coda non l’aveva turbata più di tanto, anzi, la trovava carina – le spiegò che quella notte dovevano andarsene, magari vivere nella foresta, nascosti: Alec si sarebbe preso cura di loro, avrebbe capito come aggiustare le cose e li avrebbe protetti dalle insidie e dalla cattiveria umana.
Max era troppo piccolo per capire, Izzy concordava con il fratello, nonostante le dispiacesse lasciare la sua casa, la sua mamma e il suo papà.

Così, quella notte, silenziosi come topi, sgraffignarono i vecchi ciondoli della nonna, pochi vestiti e qualche seme da poter coltivare nei boschi: la terra lì era buona, per la semenza, e la primavera sbocciata da poco avrebbe garantito loro la speranza di cui avevano bisogno per attuare il loro piano.
Ma non appena uscirono di casa, sentirono la voce del padre richiamarli indietro: Izzy teneva tra le braccia Max, come a volerlo proteggere, ed Alec si piazzò davanti a loro, facendogli da scudo.
E così suo padre scoprì, afferrando un braccio del figlio e strattonandolo, che quel bambino non era il suo: che il Diavolo si era impossessato di lui, che era un mostro, un abominio. Alec non capì bene cosa accadde dopo: sapeva solo che Robert aveva iniziato a urlare, facendo piangere Max, mettendo in allarme Izzy, indecisa se fuggire o proteggere il fratello maggiore.

Poi era comparso un coltello, o qualcosa di simile: i tre bambini avevano visto solo il debole brillare di un’arma, qualcosa di affilata, che era andata a conficcarsi nella carne della madre, facendole sfuggire un fiotto di sangue dalle labbra.
All’ultimo, Maryse si era frapposta tra il marito furibondo e i bambini, sacrificandosi per loro: ma Alec, ogni volta che ci ripensava, conosceva il motivo di tale gesto, cosa realmente l’aveva spinta a fargli da scudo.

E no, non era amore materno.

Era la vergogna, che ella non poteva più sopportare: il peso di aver concepito tre figli da un mostro.

Così, quando Robert scansò il corpo della donna, correndo dietro ai piccoli, Alec non capì più niente: nella sua mente, nel suo cuore, tutto il dolore accumulato, la paura, la voglia di proteggere i suoi fratelli, esplose in miriadi di fiamme blu, che avvolsero il padre, illuminando la notte.
Le urla dell’uomo si propagarono per il campo, lungo la foresta, forse sino alle case vicine: ma il bambino non aspettò che altri li raggiungessero per dar loro la caccia, e scappò via, con i fratelli, mentre, in fin di vita, il padre gli scoccava occhiate piene di odio e disgusto.

Ma il piano di vivere nella foresta non andò a buon fine: durante una battuta di caccia, un ricco mercante li notò, e li volle con se come animali da compagnia, aspettando il momento giusto per presentarli dinanzi al tribunale di Salem, godendoseli prima che le fiamme li portassero via, dopo la condanna.
Fu Alec a convincerlo del contrario, che non doveva per forza consegnare lui e i suoi fratelli nelle mani dei boia: gli disse che sapeva fare le magie, che avrebbe fatto tutto ciò che chiedeva, realizzando ogni suo desiderio, a patto che non facesse del male ai suoi fratelli.

L’uomo, la cui avidità non conosceva fine, accettò: giurò dinanzi al bambino che non avrebbe fatto del male a nessuno di loro. Avrebbe rotto la promessa poco dopo, ma quel piccolo Stregone non mentiva sui suoi poteri: e lui amava troppo la sua ricca vita, per vedersela portare via da una vendetta spietata.
Così, ora Alec era imprigionato, e vedeva i suoi fratelli di tanto in tanto, constatato che erano trattati con riguardo dai loro aguzzini: più i suoi poteri crescevano, più l’uomo si convinceva di aver fatto un affare, tenendo per se quei marmocchi.

Ma il prezzo che dovette pagare Alec fu alto, molto alto: uccise chiunque avesse fatto un torto all’uomo, maledisse la concorrenza che gli portava via la clientela, bruciò case di donne che l’avevano rifiutato, rendendo alcune di loro “false streghe” per il suo divertimento, durante i sanguinosi processi.
E più andava avanti, più Alec sentiva il dolore crescere, la colpa corroderlo, la mente vacillare: ogni giorno, si ripeteva che doveva andare avanti, per i suoi fratelli, per loro, solo per loro, per non vederli morire.
Passarono gli anni, e i proprietari si susseguirono: i figli dei figli di quell’uomo, continuarono a sfruttare le sue abilità per il loro tornaconto, per l’ingordigia e la lussuria, l’avarizia e l’ira che li caratterizzava. E anche Alec, cresceva, pari passo con le sue abilità e le sue conoscenze, iniziando a richiedere libri per migliorare le sue magie: aveva pensato di scappare, ma ogni volta temeva di mettere in pericolo Max e Izzy e, vederli morire, lo sapeva, l’avrebbe portato a trasformarsi in un mostro vero, di quelli che perdono il controllo sulle loro azioni, sui sentimenti e sulla ragione.

Così aveva rinunciato, accontentandosi dei brevi momenti passati con la sua famiglia: vedeva crescere Izzy giorno dopo giorno, e Max era intelligente, tanto da nascondere al meglio i suoi poteri. Ogni volta che si vedevano, la sorella gli chiedeva di scappare, ma Alec era tormentato, e diceva loro di aspettare ancora un po’, di avere pazienza, che un giorno sarebbero fuggiti.

E quel giorno arrivò, anni dopo, forse troppo tardi, e non per merito di Alec, ancora in dubbio su come agire.
Sentì i rumori provenienti dalle stanze di sopra, vetri rotti, vasi in frantumi, botte e grida che l’avevano fatto scattare in piedi, allungandosi verso la scala marcia che conduceva alla porta, che varcavano i suoi aguzzini quando necessitavano delle sue abilità: tirò forte le catene che lo intrappolavano, ferendosi i polsi, scivolando sul lerciume della cella. Urlava il nome dei suoi fratelli, sino a quando la gola non prese a bruciargli, sino a che la sua voce non si ridusse ad un sussurro: e quando aprirono la porta, nonostante la luce dorata, Alec vide il balenio dell’argento.....


-….ecco com’è andata.- disse, alla fine. –Sono stato troppo codardo per aiutare i miei fratelli, così sono intervenuti i Nephilim e Jem, lo Stregone, circa duecento anni dopo.-

Alec aveva le lacrime agli occhi ed era scosso da tremiti: Magnus lo osservava, senza sfiorarlo, lasciandolo parlare.

-Il tempo passava, ma io avevo così tanta paura di vederli morire per un mio errore.- incrociò lo sguardo del Cacciatore, il viso bagnato e sconvolto dal dolore, e dalla vergogna. –Devo apparirti debole e disgustoso, Magnus….Io…-

L’uomo lo strinse a se, abbracciandolo forte, quasi volesse tenere insieme i pezzi che componevano Alec: gli accarezzò i capelli, confortandolo con baci leggeri, cullandolo quasi fosse un bambino. E lo Stregone, lo Stregone che tutti avevano paura di guardare negli occhi, piangeva contro il suo petto, aggrappandosi a lui, lasciando che i ricordi e il dolore si riversassero sul Cacciatore che lo stringeva a se tanto da fargli male.

-Sei stato coraggioso, Alexander.- gli disse, all’orecchio. –Sei la persona più coraggiosa che conosca: non è colpa tua, non è stata colpa tua….-

Continuò così, per minuti interi, per ore, forse: era difficile dirlo.
Sapeva solo che Alec era troppo importante, per lasciarlo andare: che non voleva essere in nessun’altro posto al mondo, se non accanto a lui, che si aggrappava quasi fosse un’ancora solida e calda, l’unica persona al mondo a potergli impedire d’impazzire.
E, d’altro canto, allo Stregone non dispiaceva la sua presenza: si sentiva bene, confortato, libero di essere se stesso, tra le braccia dell’uomo, tra le sue parole piene di conforto, i baci dolci e gentili.

Per qualche ora, dimenticò ogni cosa: le prime magie, il dolore della perdita, gli sguardi di suo padre, il dolore della madre, la consapevolezza di non poter fare altro, per i suoi fratelli, e il terrore che ogni giorno gli rodeva il cuore.

Si abbandonò contro Magnus, e basta.
 


 
Lo Stregatto Parla.
La prima parte la conoscete, la seconda è solo un assaggio della storia di Alec, ma è la parte più importante, secondo me: non so se l’ho resa al meglio, diciamo che l’ho scritta molto di getto.
Ci pensavo giusto poco fa: ma Magnus, essendo nato nel XVI secolo (che si traduce in 1500) non dovrebbe contare ben 500 anni, invece che 400? Bah, non so se sono io la gnorra o han fatto qualche errore di calcolo.
Per Alec, mi sono documentata sul Processo delle Streghe di Salem: da piccola ero presa dall’Inquisizione e tutto ciò che riguarda la Stregoneria, e la tortura. Cose macabre, ma che mi hanno aperto gli occhi riguardo l’ignoranza umana e la persecuzione avvenuta a donne e uomini innocenti: diciamo che è un periodo storico che mi ha sempre interessato, tanto perché, secondo me, non ha avuto una decente considerazione. E poi, diciamocelo, non è forse, questo periodo particolare, la mamma dell’Olocausto?
Vabbè, questioni brutte a parte, parliamo d’altro.

Comunque sì, han tenuto Alec, Izzy e Max reclusi per duecento anni: ora, non so se gli Ifrit vivono per sempre come gli Stregoni, ma facciamo finta di sì. Ah, e Max rimane piccolo e bloccato a nove anni (potrebbe essere una pecca del secondo Marchio).
Vi faccio penare, e anche arrabbiare: visto che l’ispirazione è andata in vacanza, e io non voglio deludervi ancora, ho optato, nell’extra che voglio scrivervi per concludere la raccolta, per qualcosa di un po’ diverso che spero apprezzerete. Non è detto che appuntamento malec/prima volta malec debbano essere del tutto ignorati: magari un giorno li scriverò e allora avrò fatto tutte contente.
Ma, questa volta, per di fare qualcosa d’inaspettato (vi ringrazio tanto, comunque, per i vostri pareri a riguardo!!)
Ma visto che siam qui, io vi chiedo: volete uno snippet sulla prossima storia che ho in mente (e che spero di pubblicare a breve)? Vi piacerebbe?

*si alzano cartelli con su scritto “NON CE NE FREGA ASSOLUTAMENTE NIENTE”*
D: Vabbè, io ringrazio, come al solito, le mie bellissime donne, che recensiscono ogni volta i miei stupidi e inutili scritti: Strella 13, _Alien_ e Trislot. Grazie di cuore, ragazze!

Al prossimo (e ultimo) capitolo (o extra). Ah, se notate errori, fatemeli notare, perchè ho postate anche un pò di fretta >.<
*sorseggia del caffelatte nella tazza di VK* La vostra Stregatta vi spupazza!
Chesy :3
  
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