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Autore: Lost In Donbass    13/07/2015    1 recensioni
I Tokio Hotel vengono invitati ai World Music Award, una grande premiazione per i più famosi musicisti pop del pianeta. Niente di strano, all'apparenza. Anzi, per i quattro danni ambulanti si rivela anche un'ottima occasione per divertirsi ai danni degli altri invitati, combinandone di tutti i colori. Ma qualcuno trama nell'ombra per trasformare questo "lieto evento" in un bagno di sangue e di terrore. Chi è l'assassino che si aggira a piede libero nell'albergo? Perché ha ucciso la cameriera?
Nonostante la paura serpeggi, i nostri eroi non si lasciano intimidire e, con tutto il loro coraggio, la loro follia e le loro inimitabili gaffe, porteranno alla luce molto più di quello che si sarebbero aspettati. E, questa volta, metteranno a rischio la loro stessa vita pur di scoprire la verità.
P.S. questa è il sequel di "Make some noise", comunque si può leggere anche senza aver letto la prima.
Genere: Avventura, Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il terrore vien per Hotel.'
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LIFELESS
Bill non aspettò nemmeno che uno dei suoi tre colleghi aprisse bocca, dopo aver sentito quell’orrendo urlo che riverberò sulle pareti dell’albergo. Semplicemente, le sue gambe si mossero da sole, come era successo quando aveva solo quattordici anni, seguendo il flusso di coscienza che immediatamente il suo cervello aveva prodotto “Urlo. Avvenimento strano. New Music of Germany. Omicidio. Indagine. Bill Kaulitz alla riscossa”. Si precipitò giù dalle scale in scivolata, a cavalcioni della ringhiera. Aveva sviluppato questa egregia capacità di scivolo delle scale negli ultimi anni, quando doveva fuggire dall’ira di suo fratello oppure del manager quando combinava qualche disastro; siccome i tacchi non aiutavano nella ritirata, le scale si presentavano come perfetta via di fuga, semplice, efficace e rapida.
Dietro di lui le proverbiali urla dei musicisti, che cercavano di tenergli dietro e di fermarlo, ma lui non li sentiva neppure. Erano come inutili ronzii nell’anticamera del suo cervello, che ora lavorava febbrilmente solo per l’urlo. Qualcosa era successo, allora. Finalmente, il suo ruolo di jettatore aveva funzionato, si era rimesso in moto; la sua anima turbinava sprizzando gioia da tutti i pori. Atterrò in fondo alle scale (prendendo una dolorosa sederata sul pilastrino sormontato da una grossa sfera di marmo che concludeva la ringhiera. Porche le scale, non aveva ancora imparato a scendere in corsa senza spiattellarsi il fondoschiena), e si slanciò da un capannello di gente bianca in viso, intenta a telefonare, urlare, sventolarsi, tutti ammassati sulla soglia di uno sgabuzzino per le scope e gli stracci. Si avvicinò a passo di carica, facendosi largo tra la folla, stampandosi in viso l’espressione da “largo pezzenti, arriva il Furer”, come era solita denominarla Tom. Spintonò come era suo solito, levandosi dalla strada le persone che tentavano di tenerlo lontano e … tadà! Davanti agli occhi del cantante si presentò una scena terribilmente nuova, eppure stranamente poco disturbante per Bill. Una donna, piuttosto giovane, ad occhio e croce avrebbe potuto avere circa 25 anni, giaceva scompostamente sdraiata sul pavimento, in una pozza di sangue ancora fresco, luccicante, emanante il tipico acre odore ferroso, il petto squarciato da un lungo taglio verticale dritto nel cuore, tra i seni. Negli occhi, ancora aperti, Bill ci lesse un’espressione di terrore puro, di sgomento, rimasti incastrati nelle pupille della giovane cameriera, a giudicare dall’abbigliamento, e presto cancellati dalla morte. La bocca era rimasta spalancata, in una smorfia di orrore e di sbigottimento assoluto. Bill si perse un attimo a fissare il cadavere, nel suo silenzio religioso, fotografando con gli occhi tutto quello che gli poteva essere utile. Sembrava quasi che il desiderio espresso poco prima, di ottenere un altro giallo con i fiocchi e i controfiocchi, si fosse avverato, servendogli su un piatto d’argento una vittima barbaramente assassinata.
-Porca p******, Bill, ma ti ha dato di volta il cervello?!
Tom lo prese per un braccio, trascinandolo brutalmente lontano dalla scena del delitto. Il chitarrista represse una serie di conati di vomito che lo assalirono non appena intravide la chiazza di sangue che andava rapprendendosi. Cristo, il sangue. Un altro fottuto omicidio per la gioia del suo gemello, e una carrellata di guai per lui. Eppure, qualcosa nel profondo della sua coscienza sembrava dirgli, con la stessa identica voce di Bill “Dai, Tom, ammettilo a te stesso. Sei contento, quasi quanto tuo fratello, di questo fatto macabro. Ti piace, ragazzo mio, non tentare di nasconderlo, non ne sei in grado. Accettati, bello, per quello che sei.”
-Ditemi che è uno scherzo, e che non c’è nessun cadavere puzzolente, vi prego- sospirò Georg, anche se sapeva che la sua era una lotta persa in partenza.
-Ma che scherzo e scherzo!- urlò Bill – C’è una cameriera accoltellata nello sgabuzzino!
-Carne fresca … - commentò acidissimo Gustav, rosicchiando un nugget.
-Vediamo se indovino. Ora noi quattro dovremo combinare insieme indagine, scherzi, e lavoro per la vostra gioia da bambinetti ignoranti?- disse Georg
-Esatto! Sarà una settimana all’insegna del divertimento più sfrenato!- Bill saltellò allegro, ricevendo non poche occhiatacce dalla gente che li circondava.
-Beh- borbottò Tom – Sempre meglio che sorbirmi tre giorni in quel dannatissimo centro di bellezza a Francoforte con lui ad angosciare e le estetiste o brutte come il peccato o virtuose che manco la madre badessa …
All’improvviso il cellulare di Gustav (l’unico che si premurava di tenerlo sempre acceso, carico e a portata di mano) trillò, rivelando la chiamata tanto temuta, ovvero : il manager che si era accorto della loro fuga da Magdeburgo.
-Porca l’estetista trans che ci provava con me, cosa facciamo?!- sbiancò Tom.
-De … devo rispondere?- balbettò Gustav, allontanando il telefono come se fosse posseduto.
-Se non lo facciamo, si arrabbierà il doppio- mormorò Georg.
-Nah, faccio io!- Bill strappò il cellulare dalla mano dell’amico e rispose, strepitando come un’aquila. – Cosa vuoi, insensibile animale!? Non si può nemmeno più raccogliersi nel proprio dolore di fronte all’infiammazione fulminante del metatarso della povera zietta ormai prossima alla tomba?!
-Ma il metatarso può infiammarsi?- sussurrò Tom a Georg, il quale si limitò ad alzare le spalle con aria interrogativa.
-No, non mi interessano scuse di nessun genere, losco individuo! L’ospedale di Berlino ci ha già detto che non c’è più nulla da fare, cosa insisti apatica creatura? Affoga nel dispiacere delle tue macchine da soldi e sentiti colpevole di aver interrotto la mia veglia funebre!
Finito il discorso, Bill chiuse immediatamente la chiamata e spense il telefono, prendendo fiato.
-Bene, e anche lui è sistemato. Ora svelti, ci sono già le volanti fuori dall’albergo, diamo un’occhiata prima che impestino la scena del crimine.
Acchiappò batterista e bassista e li trascinò a passo spedito dalla morta, lasciando il gemello impressionabile da solo in mezzo alla sala con il perentorio ordine “Toooom, vai dalla Polizia, fai domande, infastidiscili, insomma, rallenta il loro intervento”.
Sfortunatamente per Bill, Tom non era in grado di temporeggiare con i poliziotti, non era in  grado di tirare fuori frasi di senso compiuto, non era in grado di fare alcunché se non boccheggiare come una carpa bollita alla vista del sangue rappreso che si vedeva sotto il cadavere lasciato alla vista dal capannello di gente che si era pian piano dispersa con l’arrivo della Polizia. Gli unici ancora lì a ficcanasare erano i nostri eroi, o meglio, solo il cantante. Gli altri due facevano numero e basta.
Bill sfarfallò gli occhioni truccatissimi, passando velocemente in rassegna il disegno davanti a lui. Il coltello non c’era, o perlomeno, a prima vista non si vedeva, il corpo giaceva scomposto, semi appoggiato allo stipite, quasi come se fosse crollato una volta aperta la porta dello sgabuzzino.
-Signori siete pregati di allontanarvi dalla scena del delitto- una voce non proprio sconosciuta apostrofò i ragazzi, che si girarono a rallentatore. Georg già pronto a dire “si, ci scusi, ci leviamo dai piedi”, Gustav con la faccia perplessa e Bill in versione manga ultra tenero con le lacrime formato gigante. E lo videro. Il riconoscimento fu immediato, sia da parte dei tre che dal commissario.
-Commissario Bahrens!
-Quei tre mostriciattoli del New Music of Germany! Dov’è il quarto elemento da baraccone?
-Wow commissario, che fortuna incontrarla di nuovo su una scena delittuosa come quella di qualche anno fa!- esclamò Georg, dimenticandosi immediatamente di levarsi da mezzo.
-Ehi, me le ha portate le barrette al cioccolato e riso che c’erano solo nelle macchinette del commissariato di Sulzetal?- urlò Gustav, sorridendo.
-E il caffè? Me ne offre uno?- trillò Tom, che, adocchiato il buon vecchio commissario era saltellato al loro fianco.
-Oddio, che cosa straordinariamente romantica!- cinguettò Bill, appendendosi a suo fratello – Situazione uguale, investigatori poco più grandi, e tanta voglia di avventure! Tooom, tesoro, non è assolutamente da fan fiction?
Mentre i quattro zompavano allegramente strillando cose inconsulte, il commissario Barhens tentava di non svenire lungo disteso e di riprendere fiato. Bene, dai, niente di cui preoccuparsi. L’ultimo caso prima dell’agognata e meritata pensione … in compagnia dei Tokio Hotel! Dannazione, qualcuno lassù voleva imprimergli bene a fuoco quel suo ultimo caso, che lui aveva accettato di condurre prima di ritirarsi nella casa di campagna. E ora, il peggio. Erano cresciuti, non avevano più quattordici anni, ne avranno avuti diciotto, diciannove. E in più, erano l’orgoglio nazionale, la band tedesca per eccellenza del momento, non poteva liquidarli così. Erano i Tokio Hotel, diamine, e potevano fare quello che volevano. Dal momento poi che si erano rivelati anche appassionati di misteri … non se li sarebbe levati di torno nemmeno con un mandato d’arresto perenne. Eppure, la sua coscienza gli ricordava chiaro e tondo che erano stati quei ragazzi che ora aveva davanti, uno col sorriso studiato per sembrare affascinante, l’altro con una smorfia studiata per sembrare teneramente imbronciata, e gli altri due con sorrisi non studiati da ragazzi normali che aspettavano solo il momento giusto per farsi delle sane risate, a risolvere il vecchio caso brillantemente archiviato (e che oltretutto gli aveva fruttato una promozione nonostante non se la meritasse). Chissà, magari anche quella volta avrebbero dato una significativa mano per l’indagine.
-Beh … ehm, si, anche io sono contento di rivedervi ma ora andatevene, per favore. È ora che intervengano i professionisti.
Bill stava già per ribattere che lui “era un professionista, assolutamente, e anche il migliore”, ma Tom lo trascinò lontano e Gustav lo ammutolì con un marshmellow provvidenzialmente trovato in fondo al berretto. I nostri avevano brillantemente scoperto che, per far tacere Bill, cosa piuttosto impossibile, bastava imboccarlo in continuazione di marshmellow. Se così facevi, senza dargli il tempo di parlare ma infilandoglieli in bocca a manetta, il cantante se ne stava buono al suo posto, senza parlare. Tom sfruttava spesso il metodo geniale quando portava qualche ragazza in casa. Per evitare che Bill venisse a rompere sul più bello (ed era successo, che lui entrasse nella camera senza farsi problemi dicendo che voleva dormire con loro, interrompendo tutto, e infilandosi in mezzo a Tom e alla poverina di turno, facendosi abbracciare, e costringendoli a dormire tutti e tre insieme), lo chiudeva in camera sua con un pacco formato gigante di marshmellow che lo tenesse impegnato fino al sopraggiungere del sonno. Solitamente se ne stava al suo posto, a ruminare zucchero, e taceva (sempre che non gli venisse la geniale idea di andare in salotto, e costringere Tom e ragazza a vedere un cartone animato con lui, mangiando marshmellow con conseguente partita al “gioco dell’oca” e nottata rigorosamente tutti insieme, con il peluche che Bill ficcava in bocca a Tom e alla ragazza. Fortunatamente serate così erano molto rare).
-Beh, se quella era una cameriera, allora dovremmo cominciare a chiedere qualcosa sul suo conto a Claudia- ragionò Georg.
-Giusto! Andiamo a cercarla.
I quattro si avviarono a passo spedito verso il salotto dove era riunito tutto il personale dell’albergo, più ospiti. L’entrata trionfale che i ragazzi fecero sembrava presa direttamente da uno di quei film apocalittici di Tom, dove alla fine l’eroe di turno riemerge dalle macerie. Solo che qui di eroi ne avevamo quattro e ben poco epici.
-Claudia, ciccia, vieni qui!- strillò Bill, schioccando le dita.
La ragazza riemerse dall’abbraccio di un’altra cameriera in lacrime, le disse qualcosa nell’orecchio, e raggiunse i Tokio con aria leggermente confusa.
-Avete visto che casino?- disse loro, mordicchiandosi il labbro inferiore.
-Abbiamo visto, e intendiamo indagare sulla morte della tua collega- rispose Gustav, dandosi un tono molto serio e compassato.
-Che? Voi quattro?- l’espressione quasi derisoria assunta dalla rossa demoralizzò un po’ i musicisti. E no, ‘somma, in un film che si rispetti la figacciona deve essere un minimo ammirata dai protagonisti, non guardarli come se fossero tre pollastri che ballano la salsa.
-Si, lo so che le apparenze ingannano, ma ti possiamo assicurare che hai davanti a te degli investigatori eccellenti. Come dire, possiamo paragonare la polizia alle borse finto griffate che vendono i marocchini per strada, e noi a delle pure borse Louis Vuitton. Mi spiego?- disse Bill, assolutamente immune al fascino che Claudia esercitava sugli altri tre. Ma Bill era immune al fascino di chiunque meno il suo.
-Oh, beh, figo.- Claudia sorrise – Dovete farmi una specie di terzo grado, allora?
-Che tipo era, la defunta?- chiese Georg, prendendo un quadernetto rosicchiato da Gustav in astinenza e una penna mangiucchiata da Tom per non si quale motivo.
-Boh, cioè, non la conoscevo molto bene … semplice frequentazione professionale. Comunque si chiamava Karen Moellendorf, aveva 25 anni, era di Berlino, e poi … non lo so, mi pareva che fosse appassionata di bridge online, sapete quei siti dove giochi con persone che non conosci? Beh, una volta ne avevamo parlato e mi aveva detto che era piuttosto fissata. Ah, e le piacevano i cani. Aveva un terrier piccolo e odioso.
-Ricca?- chiese Tom.
-Non lo so, non mi pare. L’unica cosa che so per certo di Karen è che aveva un anello con una stella cadente incisa sopra e che lo portava sempre al dito. Niente di pregiato, ma ci teneva molto anche se non ha mai detto perché.
-Una stella cadente?
-Parola di boyscout.
-Eri una boyscout?- esclamò Georg, interessatissimo.
-Si, anche tu?- strillò Claudia.
-Grandiosa! Io facevo parte dei Lupacchiotti della Pannonia!
-Io ero una delle Volpi del Muro. In realtà quando c’ero dentro li odiavo, ma col senno di poi li adoro.- trillò Claudia, tutta presa dal discorso.
-No, sono una grande organizzazione giovanile, ho imparato un sacco di cose, tipo come allestire un fuoco da campo, come orientarmi senza mappe, come raccogliere le bacche …
-Anche io, sono diventata autosufficiente. E poi ho incontrato Ragnhild, la mia ragazza.
-Scusate, per quanto questa storia romanticissima tra te e lei, che per inciso mi interessa molto e voglio che me la racconti il prima possibile, sia appassionante, potremmo parlare del caso invece che discorrere di cose inutili? Georg, insomma, non coinvolgerla nei tuoi pallosissimi discorsi sull’efficienza di quei buoni a nulla dei boyscout!- strillò Bill.
-Ah, prima di finire il discorso, comunque, Geo, per quanto tu possa essere stato un bravo Lupetto da bambino, sappi che come cuoco da campo fai letteralmente c*****- aggiunse Gus.
 
I G&G cominciarono a litigare sulle  rispettive doti culinarie, e i gemelli si guardarono scuotendo la testa, quando Tom decise di porre fine alla disputa furibonda
-Genug!!!! Razza di babbuini spastici incapaci anche solo di scaldare un bicchiere d’acqua, volete smetterla!?
I due tacquero seduta stante, quando una vocina sconosciuta, ironica e strascicata disse, alle loro spalle, in inglese:
-Uh uh, ma guarda un po’ te … cos’è, vi siete resi conto di essere talmente scassoni come musicisti che vi riciclate come investigatori?

 
*****
A: Ciao ragazze! Eccoci qui con il quarto capitolo … wow, è arrivata anche la defunta. Cosa dire, spero vi continui a intrigare e che vogliate continuare a seguirci. Piccola comunicazione di servizio: siccome sono in montagna e non ho internet, i capitoli verranno postati solo una volta a settimana possibilmente di lunedì. Se saltassero quindi due settimane, non disperate, vuol dire che non sono riuscita a scrivere e a mandare in città per la pubblicazione.
Ah, sinceramente non sono certa che genug voglia dire “basta!” ma mi fido di Google ;)
G2: Ehi ragazze! Vi ricordate del povero commissario Barhens? Beh, se avete letto Make Some Noise, di sicuro; se no andatevela a leggere!
T: Vi prego, io mio fratello non lo sopporto più! Da quando ha capito cosa sono le recensioni su EFP continua a piangere perché non ce ne arrivano … per favore, recensite per il nostro bene!!!
G1: Ecco, oppure adottateci! Siamo tre più una liceale; io sono un boyscout, so mettere a posto, so pulire e so fare la raccolta differenziata!
G2: Io cucino benissimo!
A: Io vi intrattengo con le mie storie!
T: Io non faccio un tubo, ma so’ figo, so’ bello so’ chitarrista modello.
B: * appena tornato a casa * ehi, ragazzi, cosa sono ste facce depresse? Recensioni? Ancora niente? TOOOOOOOOOOOOM!!!!!!!
A+T+G1+G2: Aiutooooooooooo!
  
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