Piango.
Le lacrime scivolano, velocemente
sul mio viso, ed io non faccio nulla per fermarle, mentre mischiandosi con il trucco,
mi sporcano tutte le guancie.
Alzo un secondo lo sguardo,
incontrando la mia immagine riflessa dallo specchio.
Quello, sono davvero io?!? Quello è
davvero il Bill Kaulitz,
ambito da tante ragazze di tutto il mondo?!? Quello definito da molte, un gran
bel ragazzo?!?
Abbasso lo sguardo.
Mi fissò le mani.
Le lacrime continuano a cadere.
Inspiro.
Tom, Georg, Gustav, al mio fianco.
Evito il loro sguardo.
Mi sento uno schifo.
Come non mi sentivo
da molto tempo.
Uno schifo.
Ho
paura.
Un brivido mi attraversa la
schiena.
Tanta paura.
Non voglio, essermi giocato tutto.
Non voglio.
Espiro.
Un’altra lacrima cade.
Deglutisco.
Chiudo gli occhi.
Il dolore, rinforza il pianto.
“Che diavolo fai
con la sciarpa?!?”
Uscito dalla camera dell’hotel,
alle parole di mio fratello, mi ero fermato, a fissarlo, nel corridoio.
Avevo sbattuto le palpebre, fingendo
di non saper dove volesse andare a parare.
“Niente...” avevo
risposto subito, abbozzando un sorriso. La gola che pulsava, anche solo per una
stupida parola “Non sai che fa ‘Figo’
la sciarpa?!?”
Tom mi aveva osservato, lo sguardo
interrogativo.
Un secondo.
Aveva sbuffato.
“Piantala
di dire cazzate, Bill”
aveva esclamato poi “Risparmiatele per chi ti crede...”
Dopo essersi sistemato la felpa, mi
aveva fatto cenno di seguirlo.
Mio fratello era irritato.
Con me.
Perché, come al
solito, fingevo di stare bene.
Lui sapeva.
Mi conosceva troppo bene.
Entrambi sappiamo che questa è la
nostra vita.
Non potevo non cantare, anche se mi
sembrava che la gola mi facesse più male del solito.
Non potevo non cantare.
Non riesco a non cantare.
Il canto, è tutta la mia vita.
Avevo camminato, lentamente, seguendolo,
sino al pullman, che ci avrebbe portato allo stadio, per le ultime prove.
I nostri sguardi non si erano più
incontrati.
Ero io, che tenevo il mio, fisso fuori dal finestrino mentre il suo, ad intervalli regolari,
si appoggiava su di me.
Avevo finto di non notarlo.
Una strana atmosfera aveva avvolto
il pullman.
Avevo visto, con la coda
dell’occhio, Georg e Gustav,
che si scambiavano una rapida occhiata.
Un secondo.
Georg aveva alzato le spalle, come per
dire che non sapesse cosa avessimo.
Avevo ricominciato a fissare fuori.
La gola bruciava.
Ma io non potevo, Tom.
Non potevo non cantare.
Non potevo, davvero.
Lo sai anche tu, fratellone, come accidenti sono
fatto.
Non posso rinunciare al mio sogno,
nemmeno per un istante.
Non posso.
Non voglio.
Il pullman si era fermato, a poca
distanza dall’entrata laterale dello stadio.
Un secondo.
Quando ero sceso, l’aria mi aveva colpito
il viso.
Mi ero avvolto meglio la sciarpa
attorno al collo.
Tom mi aveva getta
un’altra occhiata, poi aveva abbassato la testa, camminando svelto verso lo
stadio.
Il suo sguardo, era lontano da me.
Lo so.
Pensi che, in fondo, a volte sono
un’idiota.
Eppure, lo hai fatto anche tu.
Hai suonato, con la febbre e non è
successo nulla di grave, fratello.
Allora...perchè
dovrebbe capitare a me?
E’ solo uno stupido raffreddore.
Niente di grave.
La gola brucia, ma se non parlo,
non c’è problema.
Tutti mi avevano fissato,
all’interno dello stadio, preoccupati.
Io, avevo evitato il loro sguardo,
levandomi in fretta la sciarpa, ottenendo così l’effetto sperato.
Ora tutti avevano guardano Tom che, sempre più incazzato, aveva
iniziato a fumare e a gettarmi delle occhiate davvero poco
celate.
Avevo sospirato.
Mentalmente, lo avevo ringraziato.
Era talmente incazzato
con me, perché sapeva che facevo finta di star bene, da non capire che, mostrandosi
così, gli altri avrebbero pensato che non parlavo perché avevamo litigato, e
non perché la gola mi bruciava.
Bruciava.
Bruciava.
Come l’inferno.
Avevo deglutito.
Dolore.
Avevo sospirato.
Non deglutire, Bill..., mi ero detto,...non deglutire più, almeno fino alla fine
dello show.
Andrà tutto bene.
Solo che, non sempre, all’inizio
tutto va bene.
Poche canzoni e poi...
Nulla.
Nulla, eccetto queste lacrime che
ora mi bruciano gli occhi.
Finita la canzone, Tom, si avvicina, di corsa, mentre fa segno di abbassare le
luci.
Piango.
Un altro secondo.
Anche Georg è
al mio fianco.
Un movimento alle mie spalle.
Gustav non è da meno.
“Che
succede?” esclama Tom, la voce preoccupata.
Sposto gli occhi pieni di lacrime,
su di lui.
Il volto di mio fratello, in un
secondo, sbianca. Lo noto, anche se le luci sono bassissime.
Gli occhi sgranati, si avvicina a
me.
“Dimmi!” esclama poi, facendomi
segno di parlargli nell’orecchio, di modo che possa sentirmi, senza che io
debba urlare.
Apro la bocca,
provo a
parlare.
Tom torna a fissarmi, gli occhi ancora
più grandi di prima.
Un secondo.
Scoppio a piangere, senza ritegno.
Mio fratello, abbassa
il capo, un secondo, poi lo rialza. Appoggia una mano sulla mia spalla.
“Non piangere, Bill.
Andrà tutto bene, vedrai...”
Io annuisco, poco convinto,
continuando a piangere.
Georg, al mio fianco,
lancia un’occhiata interrogativa a Tom, senza capire.
Gustav, invece, in un secondo non c’è
più.
“Dopo l’operazione, dovrai tacere
per dieci giorni...”
Le parole del dottore, mi ronzano
nel cervello.
Dieci giorni senza parlare,
ridere...
Sembrano un’eternità.
La più triste delle eternità.
L’operazione è andata bene.
La ciste è stata rimossa.
Non mi resta che tacere.
Dieci giorni.
Inspiro.
Solo una cosa, non hanno potuto
rimuovermi.
Non avrei mai
pensato, che un giorno, avrei avuto paura di non riuscire più a parlare.
Inspiro ancora.
Dieci giorni senza parlare.
Chissà perché proprio a me, questa
stupida lezione?
Proprio a me, che non riesco a stare zitto, fermo, un secondo?
Invece, ora sono qui.
Tagliato fuori
dal mondo.
Prima in questo ospedale,
dove, oltretutto, non posso parlare con nessuno, e poi, a casa.
Espiro.
Sei già fortunato che esiste una
persona a questo mondo che ti comprende, anche senza parole...,
mi dice, la vocina perennemente ottimista del mio cervello.
Tom.
Sorrido.
Sdraiato nel letto dell’ospedale,
il giorno dopo l’operazione, dormo, ancora mezzo
rincoglionito dall’anestesia quando, all’improvviso, il cellulare vibra,
sul comodino.
Aprendo gli occhi, espiro,
esasperato, pensando a chi può essere quel genio del male, che chiama una
persona che non può parlare, quando potrebbe benissimo mandarle un sms.
Afferro il cellulare.
Sul display, la scritta “Tom” lampeggia, incessante.
Pensando che mio fratello deve
essere davvero scemo, avvicino la cornetta all’orecchio, accettando la
chiamata.
“Ehy, Bill! Ti ho svegliato per dirti che tra poco passo a
prenderti per portarti a casa...”
Un attimo di pausa.
Ovviamente, non
posso parlare e, inconsciamente, mi ritrovo ad annuire.
Espiro.
Peccato solo che Tom, naturalmente, non possa vedermi.
“Ah! Dimenticavo!” continua ancora
la sua voce, squillante, nel mio orecchio “Georg ed
io ti abbiamo preso una cosa, una sorpresa!”
Sgrano gli occhi,
un sorriso appare
sul mio volto, mentre, mentalmente, maledico di nuovo la mia situazione.
Non poter assillare le persone di
domande, è una cosa davvero tremenda per uno curioso come me.
“A dopo!” conclude
Tom, riattaccando.
Mi alzo, in fretta, raccattando le mie cose più velocemente possibile, poi, mi rivesto.
Non vedo l’ora di essere fuori di
qui.
Lontano da questo
ospedale.
Una volta
sistemato tutto
mi risiedo sul letto.
Getto un’occhiata desiderosa all’ipod, allungo una mano.
Un secondo.
La mia mano cade nel vuoto.
Non ha molto senso, ascoltare
musica, se non posso cantare.
Espiro.
“Bill!!!”
Mi volto, di scatto, verso la
porta.
Tom e Georg,
entrano rapidi. Entrambi sorridenti.
Io li fisso, facendo vagare in
fretta lo sguardo da uno all’altro, impaziente.
Georg, ovviamente, non capendo, mi
osserva sconvolto.
Tom ride.
“Ma non
avranno esagerato con le medicine?!? Sembra schizzato!” esclama
all’improvviso il mio amico.
Un secondo.
Aggrotto le sopracciglia,
risentito.
Mio fratello scoppia a ridere più
forte, poi si piega ad afferrare la mia borsa, precedendoci fuori
dalla stanza.
“Muore solo dalla curiosità di
sapere qual è la sorpresa!” spiega poi, la voce divertita.
Io annuisco, convinto, sorridendo a
Georg.
Lui sgrana gli
occhi, un secondo, poi, apre lo zaino, nascondendomi ancora il
contenuto.
Io saltello intorno, cercando di
vedere.
Un secondo.
Georg mi porge un block-notes.
Lo fisso, un attimo, aggrottando le
sopracciglia.
All’improvviso, la mano di Tom si appoggia sulla mia spalla.
“Visto cosa è disposto a fare un
vero amico, pur di parlare con te?”
Afferro il blocco.
Sorrido.
Wenn denke
ich, daß die Welt eine Scheiße
ist, danke ich Gott, weil
ich Tom, Georg und Gustav habe..
Die Welt
ist besser, wenn nicht allein
sein..