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Autore: Meer    20/01/2009    5 recensioni
Quello, sono davvero io?!? Quello è davvero il Bill Kaulitz, ambito da tante ragazze di tutto il mondo?!? Quello definito da molte, un gran bel ragazzo?!? Mi sento uno schifo. Come non mi sentivo da molto tempo. Uno schifo. Ho paura. Un brivido mi attraversa la schiena. Tanta paura. Non voglio, essermi giocato tutto. Non voglio.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piango

Piango.

Le lacrime scivolano, velocemente sul mio viso, ed io non faccio nulla per fermarle, mentre mischiandosi con il trucco, mi sporcano tutte le guancie.

Alzo un secondo lo sguardo, incontrando la mia immagine riflessa dallo specchio.

 

Quello, sono davvero io?!? Quello è davvero il Bill Kaulitz, ambito da tante ragazze di tutto il mondo?!? Quello definito da molte, un gran bel ragazzo?!?

 

Abbasso lo sguardo.

Mi fissò le mani.

Le lacrime continuano a cadere.

Inspiro.

Tom, Georg, Gustav, al mio fianco.

Evito il loro sguardo.

 

Mi sento uno schifo.

Come non mi sentivo da molto tempo.

Uno schifo.

Ho paura.    

Un brivido mi attraversa la schiena.

Tanta paura.

 

Non voglio, essermi giocato tutto. Non voglio.

          

Espiro.

Un’altra lacrima cade.

Deglutisco.

Chiudo gli occhi.

Il dolore, rinforza il pianto.

 

 

“Che diavolo fai con la sciarpa?!?”

Uscito dalla camera dell’hotel, alle parole di mio fratello, mi ero fermato, a fissarlo, nel corridoio.

Avevo sbattuto le palpebre, fingendo di non saper dove volesse andare a parare.

“Niente...” avevo risposto subito, abbozzando un sorriso. La gola che pulsava, anche solo per una stupida parola “Non sai che fa ‘Figo’ la sciarpa?!?”

Tom mi aveva osservato, lo sguardo interrogativo.

Un secondo.

Aveva sbuffato.

Piantala di dire cazzate, Bill” aveva esclamato poi “Risparmiatele per chi ti crede...”

Dopo essersi sistemato la felpa, mi aveva fatto cenno di seguirlo.

 

Mio fratello era irritato.

Con me.

Perché, come al solito, fingevo di stare bene.

Lui sapeva.

Mi conosceva troppo bene.

 

Entrambi sappiamo che questa è la nostra vita.

 

Non potevo non cantare, anche se mi sembrava che la gola mi facesse più male del solito.

Non potevo non cantare.

 

Non riesco a non cantare.

Il canto, è tutta la mia vita.

 

Avevo camminato, lentamente, seguendolo, sino al pullman, che ci avrebbe portato allo stadio, per le ultime prove.

 

I nostri sguardi non si erano più incontrati.

Ero io, che tenevo il mio, fisso fuori dal finestrino mentre il suo, ad intervalli regolari, si appoggiava su di me.

Avevo finto di non notarlo.

 

Una strana atmosfera aveva avvolto il pullman.

Avevo visto, con la coda dell’occhio, Georg e Gustav, che si scambiavano una rapida occhiata.

Un secondo.

Georg aveva alzato le spalle, come per dire che non sapesse cosa avessimo.

Avevo ricominciato a fissare fuori.

 

La gola bruciava.

 

Ma io non potevo, Tom.

Non potevo non cantare.

Non potevo, davvero.

 

Lo sai anche tu, fratellone, come accidenti sono fatto.

Non posso rinunciare al mio sogno, nemmeno per un istante.

Non posso.

Non voglio.

 

Il pullman si era fermato, a poca distanza dall’entrata laterale dello stadio.

Un secondo.

Quando ero sceso, l’aria mi aveva colpito il viso.

Mi ero avvolto meglio la sciarpa attorno al collo.

Tom mi aveva getta un’altra occhiata, poi aveva abbassato la testa, camminando svelto verso lo stadio.

Il suo sguardo, era lontano da me.

 

Lo so.

Pensi che, in fondo, a volte sono un’idiota.

Eppure, lo hai fatto anche tu.

Hai suonato, con la febbre e non è successo nulla di grave, fratello.

Allora...perchè dovrebbe capitare a me?

 

E’ solo uno stupido raffreddore.

Niente di grave.

La gola brucia, ma se non parlo, non c’è problema.

 

Tutti mi avevano fissato, all’interno dello stadio, preoccupati.

Io, avevo evitato il loro sguardo, levandomi in fretta la sciarpa, ottenendo così l’effetto sperato.

Ora tutti avevano guardano Tom che, sempre più incazzato, aveva iniziato a fumare e a gettarmi delle occhiate davvero poco celate.

 

Avevo sospirato.

Mentalmente, lo avevo ringraziato.

Era talmente incazzato con me, perché sapeva che facevo finta di star bene, da non capire che, mostrandosi così, gli altri avrebbero pensato che non parlavo perché avevamo litigato, e non perché la gola mi bruciava.

Bruciava.

Bruciava.

Come l’inferno.

Avevo deglutito.

Dolore.

Avevo sospirato.

 

Non deglutire, Bill..., mi ero detto,...non deglutire più, almeno fino alla fine dello show.

Andrà tutto bene.

 

 

Solo che, non sempre, all’inizio tutto va bene.

Poche canzoni e poi...

Nulla.

Nulla, eccetto queste lacrime che ora mi bruciano gli occhi.

 

Finita la canzone, Tom, si avvicina, di corsa, mentre fa segno di abbassare le luci.

Piango.

Un altro secondo.

Anche Georg è al mio fianco.

Un movimento alle mie spalle.

Gustav non è da meno.

Che succede?” esclama Tom, la voce preoccupata.

Sposto gli occhi pieni di lacrime, su di lui.

Il volto di mio fratello, in un secondo, sbianca. Lo noto, anche se le luci sono bassissime.

Gli occhi sgranati, si avvicina a me.

“Dimmi!” esclama poi, facendomi segno di parlargli nell’orecchio, di modo che possa sentirmi, senza che io debba urlare.

Apro la bocca, provo a parlare.

Tom torna a fissarmi, gli occhi ancora più grandi di prima.

Un secondo.

Scoppio a piangere, senza ritegno.

Mio fratello, abbassa il capo, un secondo, poi lo rialza. Appoggia una mano sulla mia spalla.

“Non piangere, Bill. Andrà tutto bene, vedrai...”

Io annuisco, poco convinto, continuando a piangere.

Georg, al mio fianco, lancia un’occhiata interrogativa a Tom, senza capire.

Gustav, invece, in un secondo non c’è più.

 

“Dopo l’operazione, dovrai tacere per dieci giorni...

Le parole del dottore, mi ronzano nel cervello.

 

Dieci giorni senza parlare, ridere...

Sembrano un’eternità.

La più triste delle eternità.

 

L’operazione è andata bene.

La ciste è stata rimossa.

Non mi resta che tacere.

Dieci giorni.

Inspiro.

 

Solo una cosa, non hanno potuto rimuovermi.

 

Non avrei mai pensato, che un giorno, avrei avuto paura di non riuscire più a parlare.

 

Inspiro ancora.

 

Dieci giorni senza parlare.

Chissà perché proprio a me, questa stupida lezione?

Proprio a me, che non riesco a stare zitto, fermo, un secondo?

Invece, ora sono qui.

Tagliato fuori dal mondo.

Prima in questo ospedale, dove, oltretutto, non posso parlare con nessuno, e poi, a casa.

 

Espiro.

 

Sei già fortunato che esiste una persona a questo mondo che ti comprende, anche senza parole..., mi dice, la vocina perennemente ottimista del mio cervello.

 

Tom.

Sorrido.

 

Sdraiato nel letto dell’ospedale, il giorno dopo l’operazione, dormo, ancora mezzo rincoglionito dall’anestesia quando, all’improvviso, il cellulare vibra, sul comodino.

Aprendo gli occhi, espiro, esasperato, pensando a chi può essere quel genio del male, che chiama una persona che non può parlare, quando potrebbe benissimo mandarle un sms.

Afferro il cellulare.

Sul display, la scritta “Tom” lampeggia, incessante.

Pensando che mio fratello deve essere davvero scemo, avvicino la cornetta all’orecchio, accettando la chiamata.

Ehy, Bill! Ti ho svegliato per dirti che tra poco passo a prenderti per portarti a casa...

Un attimo di pausa.

Ovviamente, non posso parlare e, inconsciamente, mi ritrovo ad annuire.

Espiro.

Peccato solo che Tom, naturalmente, non possa vedermi.

“Ah! Dimenticavo!” continua ancora la sua voce, squillante, nel mio orecchio “Georg ed io ti abbiamo preso una cosa, una sorpresa!”

Sgrano gli occhi, un sorriso appare sul mio volto, mentre, mentalmente, maledico di nuovo la mia situazione.

Non poter assillare le persone di domande, è una cosa davvero tremenda per uno curioso come me.

“A dopo!” conclude Tom, riattaccando.

 

Mi alzo, in fretta, raccattando le mie cose più velocemente possibile, poi, mi rivesto.

Non vedo l’ora di essere fuori di qui.

Lontano da questo ospedale.

Una volta sistemato tutto mi risiedo sul letto.

Getto un’occhiata desiderosa all’ipod, allungo una mano.

Un secondo.

La mia mano cade nel vuoto.

Non ha molto senso, ascoltare musica, se non posso cantare.

Espiro.

 

Bill!!!”

Mi volto, di scatto, verso la porta.

Tom e Georg, entrano rapidi. Entrambi sorridenti.

Io li fisso, facendo vagare in fretta lo sguardo da uno all’altro, impaziente.

Georg, ovviamente, non capendo, mi osserva sconvolto.

Tom ride.

Ma non avranno esagerato con le medicine?!? Sembra schizzato!” esclama all’improvviso il mio amico.

Un secondo.

Aggrotto le sopracciglia, risentito.

Mio fratello scoppia a ridere più forte, poi si piega ad afferrare la mia borsa, precedendoci fuori dalla stanza.

“Muore solo dalla curiosità di sapere qual è la sorpresa!” spiega poi, la voce divertita.

Io annuisco, convinto, sorridendo a Georg.

Lui sgrana gli occhi, un secondo, poi, apre lo zaino, nascondendomi ancora il contenuto.

Io saltello intorno, cercando di vedere.

Un secondo.

Georg mi porge un block-notes.

Lo fisso, un attimo, aggrottando le sopracciglia.

All’improvviso, la mano di Tom si appoggia sulla mia spalla.

“Visto cosa è disposto a fare un vero amico, pur di parlare con te?”

Afferro il blocco.

Sorrido.

 

Wenn denke ich, daß die Welt eine Scheiße ist, danke ich Gott, weil ich Tom, Georg und Gustav habe..

Die Welt ist besser, wenn nicht allein sein..

  
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