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Autore: haev    15/07/2015    5 recensioni
«Sono uscita.» rispose accarezzandogli i capelli.
«Per fare cosa?» domandò e aprì finalmente gli occhi.
«Per salvarti.» sussurrò Rion, ma era certa che il fratello l’avesse sentita e come sempre non aveva detto niente, così gli lasciò un bacio sulla fronte e uscì dalla camera.
[...]
Il castano si sorprese ad ammirarla e sentir nascere dentro di sé un senso di calma che non aveva mai provato. Aspirò il fumo e scosse la testa: non doveva affezionarsi a lei. Il suo compito era quello di renderla più loquace, di scavare dentro di lei e capire il motivo per cui amasse così tanto la solitudine.
[...]
Greta non si definiva una ragazza depressa, semplicemente aveva smesso di vivere e non sapeva nemmeno se a vent’anni si potesse dire di aver iniziato a vivere per davvero, aveva ancora davanti una vita piena di cose da fare, scoprire e lei aveva già rinunciato a tutto.
Peccato che il suo tutto fosse su un letto con una bandana in testa per la chemioterapia.
Completa.
Genere: Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And then I found out how hard it is to really change.
Even hell can get comfy once you’ve settled in.
I just wanted the numb inside me to leave.
No matter how fucked you get, there’s always hell when you come back down.
The funny thing is all I ever wanted I already had.
There’s glimpses of heaven in everything.
In the friends that I have, the music I make, the love that I feel.

I just had to start again.
-Oliver Sykes.
 
VIII
 
«Rion!» Louis chiamò la ragazza uscendo di corsa dall’aula, la situazione era la stessa di due giorni prima. Rion era nel suo mondo ed evitava Louis, era come se non si ricordasse la giornata che avevano passato insieme ieri, non rimembrava le loro guance sfiorate, il panino caduto a terra, nulla.
Louis non si era mai sentito così insignificante e tranquillo al tempo stesso, l’atteggiamento di Rion gli faceva provare emozioni contrastanti, passava dal sentirsi uno schifo perché non riusciva a farla parlare al sentirsi così tranquillo che quasi riusciva a provare un briciolo di felicità.
Si era quasi convinto che la ragazza esercitava uno strano potere su di lui e Louis non riusciva a comandarlo o perlomeno a respingerlo.
I capelli neri svolazzarono e il suo viso stanco lo inchiodò al posto, alzò un sopraciglio e aspettò che il moro le si avvicinasse.
«Volevo ringraziarti.» disse Louis accennando un sorriso, «Grazie alla lezione di ieri, sono riuscito a fare tutti gli esercizi nella verifica.»
Rion lo guardò e sorrise lievemente, Louis era così sbalordito che aprì un paio di volte gli occhi, la ragazza gli stava sorridendo. A lui.
«Mi fa piacere.» mormorò e tornò alla sua maschera impenetrabile.
Louis sospirò e gli venne un’idea, «Cosa posso fare per ricambiare il favore?»
«Nulla, davvero, non ce n’è bisogno.»
«No, dopo mi sento in colpa.» questa era un’emerita bugia, ma doveva conoscere la ragazza e doveva persistere.
«Non ho bisogno di nulla.» la sua voce era come una lastra di ghiaccio, fredda.
Il ragazzo fissò il pavimento grigio e tamburellò sui piedi, «Mia mamma oggi fa le lasagne. Ti piacciono le lasagne?» e alzò lo sguardo.
Notò immediatamente che la ragazza cercava di respingere un sorriso e annuì, «Sì, ma avrei da fare questo pomeriggio.»
«Sai, di solito le lasagne si mangiano a pranzo e non durante il pomeriggio.»
Rion lo guardò storto e sospirò, «Se devo proprio, okay.»
Louis si sentì tre metri sopra al cielo, non riusciva a crederci. Era riuscito ad invitarla a pranzo, a casa sua. Si sentiva così felice ed euforico che avrebbe persino potuto uscire in maniche corte da scuola e urlare al mondo la sua felicità.
Guardò Rion con un sorriso da un orecchio all’altro e senza pensarci la prese sottobraccio, iniziò a saltellare mentre si dirigeva verso la fermata dell’autobus.
«Ehm, Louis, stai bene?» chiese la ragazza circospetta.
«E me lo chiedi? Certo.» sentiva che il braccio della ragazza, vicino al suo fianco, era rigido come un pezzo di legno. Quello era solo un piccolo e misero traguardo, avrebbe dovuto lavorare sodo per conquistare la sua fiducia.
D’un tratto si rese conto che sarebbe stata una bella missione.
 
Jessica stava cercando di far addormentare la piccola, toccandole gli occhi, il naso, la bocca e le guance facendole un giochino quando suonò il telefono.
Andò in cucina con il cuore in gola, si allarmava sempre quando sentiva squillare il telefono a quell’ora: era l’orario in cui Rylee e Rion tornavano da scuola e aveva sempre paura che potesse succedere qualcosa. Stava per perdere un figlio ed era tragico, non voleva che anche al resto delle sue figlie accadesse qualcosa.
Alzò la cornetta con il cuore che le martellava in petto e disse d’un soffio: «Pronto?»
«Ciao, mamma.» si appoggiò al frigorifero, recuperando il fiato e sentendo che uno a uno gli arti, i muscoli e il cuore si calmavano.
«Rion, tutto bene?»
«Sì, tutto a posto.»
«E’ successo qualcosa?» chiese.
«No, mamma, stai bene?»
Si alzò di scatto e scosse la testa, non doveva mostrarsi vulnerabile a loro, soprattutto a Rion che era l’unica della famiglia a essere difficile da capire.
«Tutto a posto, tesoro.» e sorrise.
«E’ un problema se vado a mangiare da un mio compagno?»
Il cuore di Jessica ebbe un colpo e rimase di stucco, il suo cervello aveva smesso di funzionare e solamente quando sentì il telefono scivolarle dalla mano, recuperò l’uso della parola.
«Ma certo che no, Rion. Vai pure, divertiti e mi raccomando.»
«Okay, ciao.» e riattaccò.
Jessica depose il telefono nella sua custodia e ritornò dalla piccola, si sentiva calma e tranquilla, anche un po’ strana. Era la prima volta in diciotto anni che Rion le chiedeva se potesse andare a mangiare da un suo amico. D’un tratto si pentì di se stessa: avrebbe dovuto chiederle da chi andava, ma poi si ricompose subito. Sapeva per certo che la figlia non sarebbe mai andata da uno non raccomandabile, era una ragazza molto attenta alla gente e non si fidava di nessuno, molto probabilmente non si fidava nemmeno del ragazzo che la ospitava a pranzo.
Iniziò a respirare tranquillamente e continuò a fare il gioco con la piccola Renae sino a che non si addormentò.
Bussò piano alla porta e trattenendo il fiato vi entrò, guardò subito in alto, sapendo per certo che se non l’avesse fatto le lacrime avrebbero iniziato a scendere lungo le sue guance. Era un tormento vedere il proprio figlio sul calvario, vederlo tutti i giorni lì, su quel letto, con una bandana che gli circondava la testa e la pelle bianca come porcellana.
«Amore.» sussurrò.
Il ragazzo era appoggiato alla testiera del letto e reggeva tra le mani un libricino, da un po’ di mesi aveva iniziato a scrivere, sua madre non sapeva cosa scrivesse. Era solo a conoscenza che da quando aveva iniziato a scrivere, Rich aveva cominciato a rifiutare le cure categoricamente.
«Ehi, mamma.» disse con voce solare e chiuse il libro.
«Come va oggi?» domandò, gettando un’occhiata alla flebo vicino al letto, aveva paura che il ragazzo in un impeto d’ira si staccasse pure quella dal corpo. La flebo serviva solamente a dargli carboidrati e proteine, dato che Rich aveva iniziato a faticare perfino a mangiare.
«Meglio di ieri, ma peggio di una settimana fa.»
Jessica si impose di rimanere calma, significava che stava peggiorando a vista d’occhio e il capolinea era quasi vicino, scosse la testa, non voleva pensarci, non ora.
Era andata lì con l’intento di parlare al figlio della nuova cura che il dottore aveva loro proposto. I genitori di Rich sapevano di questa cura da un bel po’ di tempo, ma essendo nuova, costava anche molto e loro non aveva abbastanza soldi, ma da alcuni mesi, tre per l’esattezza, a fine mese si ritrovavano nella cassetta della posta cinquecento dollari.
Jessica la prima volta aveva pensato che fossero destinati alla persona sbagliata ed era perfino andata in banca per riconsegnarli, ma la banchiera era sicura che i soldi fossero per la sua famiglia.
La madre, non contenta della risposta, aveva suonato a tutte le case del quartiere, ma non aveva ottenuto risposta.
La cosa si ripeté per i due mesi successivi e sapeva per certo che sarebbe accaduto anche quel mese. Non aveva la minima idea da chi potessero arrivare quei soldi, né Jessica né suo marito avevano molti amici che si potessero permettere di lasciare loro cinquecento dollari ogni mese.
Accettava quei soldi con rimorso, ma ora avevano in mano quasi tutto denaro per provare la nuova cura.
«Mi fa piacere, Rich, c’è una cosa che devi sapere.» e si accomodò sul letto.
 
Rion era turbata, si sentiva calma, quando in circostanze normali avrebbe dovuto sentirsi agitata o per lo meno, fuori luogo.
Louis camminava tranquillamente, alcune volte saltellava e la ragazza si chiedeva cosa potesse renderlo così felice, aveva solamente accettato un suo invito, non le sembrava una cosa così strana. Era una cosa strana per il carattere di Rion, ma normalmente non era poi così assurdo.
La ragazza stava fumando quando Louis mormorò: «Ci sarà mia madre e mia sorella.»
Rion lo guardò e mormorò: «Hai una sorella?»
Il ragazzo annuì e senza rendersi conto sorrise, «Sì, si chiama Evelyn e ha sei anni.» la mora capì subito che Louis teneva più di ogni altra cosa a sua sorella e si accorse che parlando di lei, la rabbia negli occhi del ragazzo, sembrava dissolversi.
Si chiese come fosse possibile che una creatura di soli sei anni potesse procurare così tanto sollievo. Lei adorava la piccola Renae, le piaceva quando le si addormentava sul petto, ma non si sentiva così attaccata a lei.
Rion evitò di pensare a suo fratello Rich, che era l’unica persona in grado di tenerla salda sul pianeta.
«Tu hai fratelli o sorelle?»
Rion si irrigidì rendendosi conto che non sapeva cosa rispondere. Forse Louis sapeva che Rylee era sua sorella gemella oppure era semplicemente una sua amica, da quello che sapeva, Maxie usciva con Rylee.
Respirò e mormorò: «Ho due sorelle e un fratello.»
Notò il sopraciglio di Louis rizzarsi verso l’alto e sussurrò: «Siete in quattro?»
Rion annuì e chiese: «Perché?»
«Rylee mi ha detto che eravate solo in tre.»
Inutile dire che quello fu un colpo al cuore per Rion, prima di tutto perché il ragazzo aveva nominato sua sorella con spontaneità e quindi poteva immaginare che sapesse di lei e in secondo luogo fu quel ‘solo tre’. Rylee considerava Rich già morto? Perché mai? Rion sapeva che i due non avevano mai legato tanto, la malattia del fratello li aveva maggiormente distaccati, ma questo non significava nulla, Rich era pur sempre suo fratello. Faceva parte della famiglia.
Rion, distrutta, rispose deglutendo: «Questo perché mio fratello è grande e quindi non abita più con noi, forse mia sorella l’ha inteso così.»
«E’ la prima volta che parli di Rylee come tua sorella.» provocò Louis.
«Lo è.» rispose schietta Rion.
«Rion perché fai finta che Rylee non esiste?» domandò Louis.
Rion avrebbe voluto rispondergli che era perché stava bene da sola, fin da bambina, non aveva mai avuto l’esigenza di sentirsi amata oppure di avere degli amici con cui giocare; nell’ultimo periodo in più doveva per forza rendersi invisibile, se si fosse saputo che lei spacciava, sarebbe stata vista in cattiva luce e per di più, tutti avrebbero guardato male anche Rylee e la ragazza non voleva che si facesse del male alla sorella, lei che aveva bisogno di attenzioni più di chiunque altro. Rion avrebbe voluto rispondergli che andava bene così, che forse era quello che la vita le aveva riservato, non pretendeva nemmeno nulla. Avrebbe voluto dirgli che era sempre stato così, che aveva sempre evitato e respinto i contatti umani.
«Questi non sono cazzi tuoi.» rispose.
Notò che Louis non era impressionato dalla sua risposta, anzi, appariva perfino tranquillo.
Passarono cinque minuti in cui i due ragazzi camminarono tranquillamente, quando la voce del castano entrò nelle orecchie di Rion: «E’ vero, hai ragione. Forse però non hai capito che voglio conoscerti e che quindi, ho bisogno di sapere alcune cose di te.»
«E chi ti dice che io voglia conoscerti?»
«Tutti hanno bisogno di qualcuno, Rion.»
«E che ne sai se io non ho già qualcuno?»
«Non lo so, infatti, ma questa frase mi suona tanto come: ‘non ho nessuno e non voglio nessuno’.»
La ragazza rimase punta nel vivo da quella frase, Louis aveva ragione. Lei non aveva nessuno, era completamente sola, l’unica ancora che possedeva era suo fratello.
Rich.
Rich disteso sul letto.
Rich che rifiutava le cure.
Rich che fumava con Greta.
Rich che sarebbe morto.
Il suo cuore si restrinse in una morsa, si sentiva debole, stanca e incompresa. Voleva scomparire, tanto, anche se era da sola, nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.
«Louis, ti prego, basta parlare di questo.» la sua era quasi una supplica.
Il ragazzo si fermò e aspettò che la ragazza alzò gli occhi, lo fece e ci fu una scarica di adrenalina tra i due corpi. Rion si sentì meglio e smise di pensare a suo fratello in una tomba, il ragazzo sorrise e mormorò: «Pronta per le lasagne?»
Rion si tranquillizzò.
 
Non appena Rylee entrò in casa, capì che c’era qualcosa di strano.
Era troppo silenziosa, di solito, a quell’ora sua madre puliva le stoviglie o stava facendo addormentare Renae.
Tranquillamente andò in cucina, quasi sicura di trovare un biglietto di Jessica dove diceva che era uscita per qualche commissione, ma trovò la tavola ancora apparecchiata e nessun biglietto in vista.
Chiuse gli occhi e si tranquillizzò, poi acuì tutti i sensi e cercò di capire cosa c’era che non andava. Tutto sembrava a posto, ma un rumore al piano di sopra catturò la sua attenzione.
Si spostò in corridoio e poggiò una mano sul corrimano, ascoltò e sentì delle voci provenire dal piano superiore.
Senza fare rumore si incamminò sulle scale e andò alla camera di suo fratello, la cui porta era socchiusa.
Capì al volo che dentro c’erano Rich e sua madre.
«…Sapere.» era sua madre che stava parlando.
«Okay, dimmi.»
«Sono tre mesi che ci compaiono dei soldi nella cassetta della posta, circa cinquecento dollari a mese, l’ultimo mese erano per fino seicento dollari. È una grande somma.» mormorò.
Rylee rimase sorpresa, chi lasciava così tanti soldi nella cassetta della posta? Soprattutto, a quale scopo? In pochi sapevano che Rich era malato e sempre più pochi erano a conoscenza che il ragazzo aveva abbandonato le cure. La ragazza pensò che non erano poveri, ma nemmeno ricchi, riuscivano a permettersi quello che volevano, l’unica cosa che faticavano a pagare erano le spese per le cure del fratello.
Chiunque lasciasse quei soldi era per pagare le cure a Rich.
«Non avete capito chi ve li lascia?»
Rylee notò con una sorta di rimpianto che il ragazzo aveva usato quel ‘ve li lascia’ come se lui non appartenesse più a quella famiglia. Si sentì il cuore duro come pietra, non voleva che suo fratello li lasciasse, non così presto. Da un po’ di tempo la ragazza cercava di ragionare come se Rich non ci fosse più, non lo andava più a trovare e immaginava che la porta di camera sua fosse solamente un magazzino. Questo non significava che non teneva a suo fratello, anzi, alcune volte veniva sopraffatta dal dolore ed era in quelle volte che ricorreva alla marijuana.
«Sono andata in banca sicura che non fossero per noi, ma la signora che ci lavora mi ha detto che erano intestati a noi. Poi, ho anche provato a chiedere alle persone qui nel vicinato, ma nessuno ha confessato, anzi la maggior parte mi ha detto di tenermeli e farne buon uso.»
Rylee era sempre più accigliata, chi poteva essere? Le venne in mente Greta, ma la ragazza, vivendo solo con la madre, non si poteva di certo permettere di regalare cinquecento dollari al mese.
«Usali per pagare l’università a Rion e Rylee, il resto mettilo via per Renae.» disse suo fratello tranquillo, senza preamboli.
«Tesoro, i dottori hanno scoperto da un po’ una nuova cura. È già stata provata sull’uomo e ha avuto grandiosi risultati, quei soldi sono per te.»
«Mamma, io non voglio. Non avrebbe senso.»
«Perché dici così?» chiese sua madre con voce strozzata, Rylee si sentì ancora più male: odiava vedere sua madre in quello stato, odiava vederla cercare di accettare la malattia del fratello senza risultati. Odiava vederla perdere un figlio e lei non poteva fare nulla, perché sapeva benissimo che anche se c’erano lei, Rion e Renae, nessuno avrebbe potuto sostituire Rich e questo non perché il ragazzo fosse il più importante, ma perché un figlio non si può mai essere sostituito da nessuno.
«Perché anche se la cura avesse successo, io sono già morto dentro, io non ho più voglia di fare niente.»
«Rich non puoi dire così, hai solo ventun’anni.»
«E mi sento come se ne avessi novecento, mamma, il cancro ti mangia dentro. Mi sento vecchio, riesco solo ad alzarmi per andare a fumare e andare in bagno, alcune volte nemmeno quello.»
«Ma con questa cura potresti sentirti meglio, anzi, quasi sicuramente.»
«Sì, ma io non voglio sentirmi meglio. Io non voglio sentire e basta.»
«Rich, ti prego.»
Rylee sentì che sua madre stava piangendo e lei non sapeva che cosa fare, non sapeva se entrare in camera e provare a convincere suo fratello, non sapeva se andarsene e fare finta di niente.
«Non devi piangere, mamma. Sono quattro anni che combatto questa malattia, c’è chi è riuscito a sconfiggerla, c’è chi è rimasto forte e c’è chi non ce l’ha fatta. Io posso dirci di averci provato, perché c’ho provato e lo sai anche tu, avete speso tutti i soldi per cercare di curarmi, ma nessuna cura ha avuto successo.»  
«Ma questa forse…»
«Non lo metto in dubbio e so che forse ne varrebbe la pena di provare, ma non ce n’è bisogno davvero, io sono pronto. Vorrei che anche tu lo fossi.»
«Nessun genitore dovrebbe vedere il proprio figlio morire.»
«Lo so, mamma e questo mi dispiace, mi dispiace da morire, ma non riesco, non voglio che mi facciano più niente. Sono stanco di provare e provare.»
Jessica piangeva, Rylee era appoggiata alla parete, le lacrime scorrevano calde sugli occhi.
Forse suo fratello era un vigliacco o forse era troppo coraggioso perché lei lo capisse.
«Vieni, voglio abbracciarti.»
Rylee camminò piano verso il bagno, sembrava in trance, non capiva niente. Le parole di suo fratello le rimbombavano in testa. Sarebbe morto.
Rich morto.
Soffocò un gemito.
Solamente quando si guardò allo specchio e vide il mascara colato, la labbra gonfie e i capelli attaccati al viso, scoppiò in singhiozzi.
 
Louis entrò in casa e urlò: «Ciao!»
Sentì dei passi soffici e piccoli raggiungerlo correndo, un paio di braccina gli circondarono la vita.
«Ev!» salutò e si accovacciò per guardare la sorella negli occhi.
La piccola lo abbracciò e mormorò: «Lou!»
«Ho portato un’amica, spero che tu non abbia finito tutte le lasagne.»
Evelyn si spostò di lato e guardò Rion, la ragazza con sorpresa di Louis, si inginocchiò e porse una mano alla piccola, «Piacere, sono Rion.»
«Ciao, io sono Evelyn, ma tutti mi chiamano Ev o Eve. Tu non hai un soprannome?»
«Mi hanno sempre chiamata Rion, infondo è un nome corto e non credo che serva un soprannome, tu che dici?»
«Mi sa che hai ragione.» ammise la sorella.
Louis nel frattempo entrò in casa e salutò la madre con un bacio sulla guancia, poi l’aiutò a preparare la tavola.
Rion sbucò sulla porta della cucina con al fianco Evelyn, Louis notò sua madre sorriderle e pulirsi le mani nel grembiule, poi le si avvicinò e disse: «Piacere, sono Miranda.»
«Piacere, Rion.»
«Ti piacciono le lasagne, vero?»
«Certo.» Louis notò che era in imbarazzo, ma non sapeva cosa dire, anche lui, si rese conto, era leggermente agitato.
«Potrei andare al bagno?»
«Certamente! Ev, l’accompagni tu?»
La bambina scattò in piedi e prese Rion per la mano, portandola al piano superiore dove si trovava il gabinetto.
«Una nuova fiamma?» mormorò Miranda al figlio.
Louis sorrise e scosse la testa: «Solo un’amica.»
«Per ora.» esclamò la madre maliziosa.
«Mamma!»
«Che c’è? È una bella ragazza.»
«Sì, lo so, ma è impenetrabile.» ammise il castano. Si fidava di sua madre, lei lo ascoltava, al contrario di suo padre. Louis le aveva sempre raccontato tutto e la madre lo aveva ripagato con consigli saggi e sinceri, il ragazzo non avrebbe saputo chiedere per una madre migliore.
«Tutte le ragazze lo sono.»
I due si resero conto del doppio senso e guardandosi con un'occhiata obliqua, scoppiarono a ridere.
«Mamma, lei non ha amici non perché è sfigata, ma perché non li vuole avere.» disse Louis con gli angoli della bocca rivolti ancora all'insù.
Miranda rimase accigliata da quella affermazione, non se l’aspettava. Louis la guardò e comprese al volo quello che gli voleva dire sua madre: com’è possibile vivere un’adolescenza senza amici?
Il castano scosse le spalle e prese un piatto, sul quale la madre depositò una fetta di lasagna.
«Secondo me ha solo bisogno di essere ascoltata.»
«Questo non lo metto in dubbio, ma’. Peccato che lei non vuole farsi ascoltare.»
«Devi coglierla in un momento di debolezza, ricordati Lou, che alla fine tutti scoppiano.»
«Aspetterò.»
«Intanto, vedrai che farai colpo su di lei con le mie lasagne.» e la madre gli strizzò l’occhio.
Louis alzò gli occhi al cielo proprio mentre Rion e Evelyn entravano in cucina.
La piccola andò a sedersi al proprio posto, a capotavola, Louis si accomodò sul lato più lungo del tavolo e fece cenno a Rion di accomodarsi vicino a lui.
La ragazza acconsentì riluttante, Louis soffocò una risata: le piaceva il suo atteggiamento imbarazzato.
Quando assaggiò la prima forchettata, gli occhi di Rion si illuminarono e iniziarono a divorare le lasagne.
«Ti piacciono?» domandò Miranda disinvolta.
«Sono buonissime.» ammise Rion.
«Ho un’amica che è italiana, mi svela lei tutti i segreti culinari.»
«Adesso capisco.» mormorò Rion continuando a mangiare.
«Come avete fatto a conoscervi?»
«Siamo in classe assieme.» rispose Louis.
«Quindi tu sei più piccola.»
Rion alzò un sopraciglio e guardò prima Louis, poi sua madre e infine Evelyn, quest’ultima non degnava i grandi di uno sguardo, troppo concentrata sulla sua porzione.
«Ehm.» mormorò Louis e guardò Rion, i suoi occhi si riempirono di comprensione.
«Sì.»
«Sapevi che era stato bocciato?»
Rion annuì: «L’ho scoperto il primo giorno che è venuto a scuola, l’ho accompagnato in presidenza per i vari orari e per la classe e lì la preside gli ha detto che era stato bocciato.»
«Oh, primo giorno? Quindi hai assistito anche alla nota, vero?»
«Mamma.» mormorò il ragazzo a disagio.
«Sì.» il ragazzo notò un cipiglio divertito nella voce della ragazza.
Miranda guardò il figlio alzando entrambe le sopraciglia, Louis colse lo sguardo come un messaggio per affermare che aveva ragione. Rion non era di molte parole.
«Rion, tu sei mai stata New York?»
«Una volta ci hanno portato in gita.»
«Ed è davvero una città da favola?»
«Beh, oddio, non ci sono castelli ne niente. Ma sì, è davvero una città meravigliosa, è molto caotica, ma molto bella. Come la vedete in TV, la vedete anche dal vivo, è uguale, niente effetti speciali.»
Louis la guardò strabiliato: aveva fatto del sarcasmo.
«Sai dove vanno in gita i ragazzi dell’ultimo anno?» domandò Louis curioso.
Rion scosse la spalle: «Di solito i professori lasciano a noi la scelta, essendoci sette classi dell’ultimo anno, nessuna classe può scegliere posti diversi, quindi hanno deciso di fare tre gruppi. Il nostro gruppo ha optato o per la Germania oppure per l’Italia.»
«E quando si decide?»
«Nel consiglio di classe del mese di Febbraio, la nostra classe ha deciso per l’Italia. Spero che andremo lì, ma bisogna vedere cosa scelgono le altre due classi.»
«L’Italia è un posto meraviglioso, dove andreste di preciso?»
«Non lo so, ma è una gita di dieci giorni, quindi credo che gireremo un po’.»
«Però! Dieci giorni! Cavolo, a Boston il massimo che permettevano erano quattro giorni, ti direi che hai fatto bene a farti bocciare, Louis.»
Rion ridacchiò, Louis ammise: «Visto? Io non faccio niente per scontato.»
«Ecco, allora alza il culo e sparecchia, aspetta, Rion ne vuoi ancora un po’?»
«No, grazie, va benissimo così.» e si alzò a sua volta per dare una mano al castano.
«Louis, io dovrei andare.» mormorò quando furono vicini al lavandino.
«Di già?»
«Ecco, devo studiare.»
«Rimani qui, studiamo insieme.»
«Preferisco farlo da sola.»
Il castano strinse le labbra e mormorò schietto: «Hai passato tutta la vita a stare da sola, non sai cosa vuol dire studiare in due.»
Rion lo incendiò con lo sguardo, ma il castano non si fece intimidire, aveva capito che Rion non poteva fargli niente.
La guardò a lungo negli occhi, cadendo nel pozzo e poi risalendo e scoprendo tutte le emozioni annidiate lì dentro.
Solo quando ebbero finito di sparecchiare, Rion mormorò: «Ho lasciato a casa i libri.»

Spazio autrice.

Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera!

Scusate, scusate, scusate.
E' una settimana precisa che non aggiorno e devo chiedervi scusa, ma è stata una giornata estenuante.
Vi devo dire il perché perché sì.

1) ATTENZIONE: se non volete vedere lo sclero, vi consiglio di passare al punto due, grazie. 
Allora. 
Giovedì sono andata a Imola al concerto degli AC/DC. 
Sono partita da casa alle 10 e sono tornata alle 6 di mattina del giorno dopo. E' stata una tortura, ma vi giuro rifarei tutto. 
Questo è stato IL concerto. RAGAZZI VI GIURO NON HO PAROLE. NO WORDS. SONO ANCORA SCONVOLTA. NON CI CREDO DI AVER VISTO DAL VIVO UNA BAND STORICA. E' STATO FANTASTICO, MICIDIALE. 
GENTE STRAFATTA OVUNQUE. OVUNQUE.
LA MUSICA. L'ADRENALINA. IL MALE AL PIEDI. 
L'ASSOLO DI ANGUS DI 6 CRISTOSANTO DI MINUTI.
E' STATO ASSURDO. ASSURDO. 
NON POTETE CAPIRE, MINCHIA. PAURA.
RIPORTATEMI INDIETROOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO

2) *fa due respiri profondi* 
Venerdì, quindi, ho dormito. Sabato sera sono uscita e domenica ho fatto la traversata del lago. 
Pensavo di pubblicare lunedì, MA, i miei amici hanno deciso di uscire tutto il giorno e allora daje!

3) Ieri sono andata al mare con la mia amica e mi sono dovuta alzare alle 5. Ho dormito tre ore. 

Quindi ero esaurita. 

E POI DICONO CHE LE VACANZE SONO RILASSANTI, TSE'.

HO DECISO: SE VI FATE SENTIRE IN TANTI IN QUESTO CAPITOLO, ANCHE VOI LETTRICI SILENZIOSE, SO CHE CI SIETE EEEEH, PUBBLICHERO' PRIMA. 
MA CIO' DIPENDE DA VOI. 


Passiamo al capitolo. 
C'è una piccola svolta.
Louis e Rion sono di nuovo insieme, ma non sembra essere cambiato molto, o no? (NEL PROSSIMO CAPITOLO CI SARA' QUALCOSINAAAA GNAO)

Ma c'è una piccola svolta per Rich e sua mamma. 
E' stato critico scriverlo, perché come vi ho già detto non è facile. Cosa ne pensate? Siate sinceri, ho bisogno di voi.

Siate sinceri, vi chiedo solo questo. 

Grazie mille a tutti!

A presto (spero),
Giada.
  
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