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Autore: kamy    20/01/2009    3 recensioni
Un ragazzo di nome Carlo, cresciuto in una vita che potrebbe essere quella di chiunque, si ritroverà catapultato in mondo fatato, abitato da strane creature. Tra pericoli, insidie, nuove amicizie, giovani amori, dovrà salvare dalla distruzione un intero pianeta. E' il mio primo romanzo di questo tipo, perfavore leggetelo.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccomi ancora qui a dar fastidio. Se credete che per un ragazzo è impossibile fare quello che faranno i nostri, eroi vi dico che io una volta ho dovuto fare una missione similare, priva di magia, ma con molto sudore nel mio kimono di Judo, per accontentare un maestro che avevo anni fa. Grazie pochi, ma buonissimi lettori.

 

Cap.5 prime chiavi

 

In qualche giorno David li condusse a un palazzo di ghiaccio sottostante a un impervia montagna. Intimiditi entrarono. Appena varcata la soglia videro tre statue. Quelli ai lati erano di due possenti uomini con prominenti pettorali che avevano un cipiglio poco rassicurante e si notava la scritta vita in ebraico sulla fronte. Al centro c’era la terza statua raffigurante una donna seduta a gambe incrociate su una pietra su cui era incastonata una chiave d’oro. La statua della ragazza, di una bellezza sconcertante, era grigio pietra tranne i capelli neri fatti con l’ebano. Leopold si stava già avvicinando per afferrare la chiave quando gli orecchini rotondi di pietra della statua tintinnarono. Spauriti i ragazzi guardarono la statua aprire gli occhi e prendere vita. Sul viso di roccia si disegnò un enigmatico sorriso. I veri problemi iniziarono quando anche le altre statue si ripresero. E cominciarono a cercare di colpirli. Erano refrattari alla magie e alle armi, l’unica cosa da fare era schivare i colpi. Andò avanti così per un bel po’ finche Donatel ricordò una lezione di scuola. Erano golem. L’unico modo per distruggerli era cancellare la prima lettera della frase scritta sulla fronte. Così si sarebbe trasformata nella parola morte, sgretolandoli. Donatel urlò quel che sapeva e Lado non perse tempo. Infilzò la lettera di uno dei due e il mostro si sgretolò. Dell’altro se ne occuparono Robert, Michelangelo e Ricard. Ricard si occupò di distrarlo, Robert lo immobilizzò con un incantesimo e Michelangelo si arrampicò su di lui fino alla fronte. Con la mano il ragazzo cancello la lettera. Al momento in cui il mostro sparì Michelangelo cadde addosso a Lotshar. La donna, che fino a quel momento era stata ferma a guardare, con un gesto della mano immobilizzò tutti. Si salvarono solo Carlo che era diventato invisibile e Robert usando uno scudo di magia. Carlo si avvicinò al compagno e gli spiegò il piano. Mentre Robert distraeva la statua, lui avrebbe preso la chiave. Robert era interdetto. Non aveva mai parlato molto e la cosa lo turbava. Decise di parlare di trottole, unico argomento da lui veramente amato. Quando scoprì che la statua non sapeva cosa fossero, si infervorò. La guardiana fu rapita da quell’emozione. Tanto che lasciò liberi i suoi compagni e non si accorse che Carlo aveva afferrato la chiave. Il resto del gruppo dovette portare via a forza Robert. Il quale impuntandosi urlò con tutto il fiato che aveva in gola: “Tornerò”. “Me lo prometti?”, chiese supplichevole la statua. Robert la rassicurò prima di essere così lontano da non vedere più il castello. David che in tutta quella storia era rimasto nascosto nella tasca di Carlo, uscì fuori stiracchiandosi.

 

La prossima tappa era sulla montagna. Lotshar si teletrasportò in cima. Dove trovò una stalla vicino a una casa. Visto che la casa era inquietante optò per la stalla. Il resto del gruppo, i draghi, tra cui Luigi, dovettero trovare un altro modo. I draghi non potevano volare fino in cima per colpa del forte vento e scalare la montagna era impossibile. Robert sarebbe potuto levitare, ma non voleva lasciare gli altri. Ricard allora attuò la sua idea. In qualche ora fece apparire una scala di ghiaccio abbastanza grande da poter far salire anche i draghi. Prima salì Leopold portando i draghi. Poi Robert con Carlo aiutando Ricard stremato dalla fatica. Poi Lado, Miriam, Donatel. Per ultimo Michelangelo. Nell’istante in cui salì sulla scala i suoi poteri cominciarono a farla sciogliere. Tutto quel trambusto era la distrazione giusta per l’aiuto insperato di cui Nanen aveva bisogno. Era sopra quel monte ad aspettarli a dorso di Oscuro per tendergli una trappola. Era riuscito a scovarli grazie al fiuto del suo drago. Tutto quel rumore aveva fatto affacciare Lotshar dal suo rifugio. Urlando a perdifiato avvertì gli amici del pericolo. Carlo e gli altri appena scampati a un pericolo furono presi alla sprovvista da questa nuova minaccia. Riuscirono comunque a scansare la fiammata di Oscuro. Nanen più furioso che mai, a causa del fallimento del suo piano, usò tutti i suoi poteri. Creò un buco nero in cui far finire Carlo e i suoi amici. Inaspettatamente Oscuro,  stanco della malvagità di Nanen, utilizzò quel momento in cui il controllo mentale era venuto meno, disarcionò il suo padrone. Nanen cadde nel suo stesso vortice. Dopo che Nanen venne inghiottito dal buco nero, questo scomparve. Stanchi di tutte quelle emozioni,  ragazzi e i draghi si addormentarono. Carlo fece un sogno senza sogni. La mattina dopo, quando una tenue luce spuntò all’orizzonte, i ragazzi si svegliarono. Arrivati vicino alla casa, che aveva spaventato Lotshar, si accorsero che non era disabitata. Si vedeva che dentro ardeva un fuoco. Carlo con la spada in mano aprì la porta. Dentro sedeva una strana vecchia. Aveva i capelli grigi legati in una lunga coda, dei vestiti da ragazzina fanky e un trucco pesante. Il suo sorriso smagliante metteva in risalto una ragnatela di rughe e i suoi occhi verdi erano vispi e pazzerelli. Quando li vide saltò dalla sedia e andò incontro a Lado abbracciandolo fino a non farlo respirare. Commossa disse:”Il piccolo figlio dell’elfa e del coraggioso uomo, che bello vederti”. Diede dopo un bacio materno a Carlo. Riconoscendo la voce, David fece capolino dalla tasca di Matteo, dove si era nascosto dall’attacco di Nanen. “Nonna” urlò David cominciando a saltare. La vecchia prese a saltare anche lei, cosa che sembrava impossibile per quella età. Quando la vecchia si fu calmata, lì squadrò da capo a fondo. Poi disse: “Sono la custode della seconda chiave. Prendetela, ma state attenti”. Felici di avere già due chiavi e di aver lasciato Oscuro in buone mani si incamminarono. Infatti la vecchia si tenne il drago.

 

Il freddo di quella landa desolata cominciò a farsi sentire dopo alcuni giorni. Le provviste di cibo cominciarono a scarseggiare. L’acqua si congelava. Le tormente di neve improvvise rischiavano di farli perdere. Fortunatamente David sembrava sicuro della strada che prendeva. Una sera il folletto indicò una grotta  e dopo entrò nella solita tasca. Emozionato Michelangelo disse: “Che cosa aspettiamo?”. Quella frase incoraggiò tutti ad entrare. L’entusiasmo si spense quando ebbero varcato la soglia. Era un antro oscuro. Sembrava ci fossero mille occhi malvagi pronti ad aggredirli. Strani rumori facevano scendere gocce di sudore freddo sulla schiena. Dopo un po’ che avanzavano videro una fioca luce. All’inizio cedettero fosse un uscita, ma avvicinandosi si accorsero che proveniva da alcune candele. Il luogo illuminato da quella poca luce era inquietante. Dei candelabri d’argento tenevano i ceri. Era un antro tetro con due persone enormi sedute su una pietra. Intorno a loro dei cristalli cambiavano colore in continuazione. Erano un uomo e una donna che sembravano molto vecchi. Avevano dei lunghi vestiti bianchi. Dello stesso colore anche i loro lunghi capelli. Gli occhi grandi come palloni da basket erano grigi. All’improvviso la donna cominciò a parlare. Carlo cominciò a sentirsi stanco, strano. Le forze cominciarono a mancargli. Fece appena in tempo a vedere i compagni cadere a terra, prima di sprofondare in un sonno incantato. Quando si riprese vide volteggiare la chiave poco lontano da lui al di sopra della sua testa. Era ancora nella caverna. Aveva delle piante che gli tenevano i piedi legati al terreno e come delle manette ai polsi. Si guardò intorno. C’erano tutti i suoi compagni nelle stesse condizioni. Si erano svegliati da poco. Visto che si guardavano intorno spauriti. “Lado – disse Carlo – riesci a far sparire queste piante – indicò i piedi – allora?”. “No!” rispose Lado. L’unico modo era prendere la chiave. Carlo aveva un idea. “Michelangelo – disse – fai cadere la chiave”. Michelangelo capì e lanciò una bomba di fuoco. Centrò la chiave che cadde con un sonoro “cling”. Il più vicino era Ricard. Che allungandosi, fino a farsi sanguinare le caviglie, prese la chiave e la lanciò a Donatel. Il quale la passò a Carlo. Le piante scomparvero. Donatel prese il navigatore che aveva inventato. Tornarono nella sala dove erano prima. Ritrovarono i draghi, ma non c’erano i guardiani.

 

Quando uscirono di nuovo alla luce capirono che la situazione non era delle migliori. Si ritrovarono nelle stessa di quando si erano addentrati nella caverna. Nel giro di alcuni le scorte di cibo finirono. Una sera che vagavano sconsolati Michelangelo andò a sbattere contro un muro. La tormenta non gli aveva fatto vedere che erano arrivati in un villaggio. Si ripararono sotto quello che sembrava un portico. Quando la tempesta si fu calmata videro che si trovavano in quello che era un agglomerato di casette o di paglia o di muratura. Dalle luci accese si vedeva che erano abitata. Loro si erano veramente messi sotto il portico di una casa. Non era però una casa comune. Era una delle poche in muratura e sopra la trave della porta c’era scritto con la porpora: “Casa del Sindaco”. Ebbero subito l’onore di conoscerlo. Un ometto rubicondo abbastanza grassoccio si dirigeva verso di loro. Con aria dubbiosa chiese: “Che ci fate sulla soglia di casa mia?”. Rapido Ricard rispose: “Ci siamo persi”. L’espressione del sindaco cambiò subito. Da perplessa divenne simpatica e comprensiva. Decise di ospitare i ragazzi. Al sindaco avevano fatto tenerezza. Il suo atteggiamento, però, cambiò radicalmente quando alcuni giorni dopo spuntarono i draghi dei ragazzi. Infatti questi avevano tardato a causa dei forti venti. Che li avevano spinti fuori rotta. Il sindaco, che si chiamava Meopoldo, decise di mettere alla prova i ragazzi. Per dimostrare la loro buona fede dovevano sconfiggere il drago che si nascondeva nella foresta lì vicina. Armati di buona volontà e di armi i ragazzi si diressero verso la foresta.

 

A causa della stazza di quegli alberi, a Carlo la foresta ricordò quella in cui si era perso iniziando tutta quella avventura. Il pensiero del drago però gliela fece sembrare più terrificante. Più andavano avanti più si sentivano strani versi. Quando arrivarono a farsi assordanti lo videro. Si chiesero come avevano fatto a non notarlo prima. Era grosso come gli ultimi guardiani che avevano incontrato. Quindi circa quindici metri. Era imponente e la sua corazza viola brillava al sole. Gli occhi neri li scrutavano in modo curioso. Rimasero stralunati quando videro che aveva un collare formato mega. Robert decise di usare la sua magia per ritrovare il padrone di quel drago. Si concentro intensamente. Gli ci vollero tutte le sue energie e alla fine stremato cadde a terra. Fu facile capire come mai ci volle tutta quella fatica. Il padrone del drago era anche più dal animale e quindi molto grande. Quando capì che era stato grazie ai ragazzi che aveva ritrovato il suo animale, che aveva cominciato a scodinzolare come un cagnolino facendo tremare la terra e facendoli cadere a terra, il padrone promise che li avrebbe aiutati. Cosi dicendo: “Io gigante Begnam giuro di venire in un prossimo futuro in vostro aiuto” sigillò il patto. Dopo aver così parlato andò via col suo drago. In pochi passi non lo videro più. Ricard si mise in spalla Robert ancora stremato dalla fatica e con gli altri si avviò al villaggio. Lì erano convinti avessero cacciato il drago in chissà quale modo spettacolare e li accolsero come eroi. Robert si riprese completamente da quella fatica la mattina del giorno.

 

A Carlo piaceva stare lì. Non era più costretto a rischiare la pelle. Gli ricordò un po’ la vita a casa sua. Nel suo villaggio però era considerato un tipo strano. Gli altri ragazzi lo disprezzavano. Gli adulti invece lo lodavano e gli facevano strani sorrisi, solo perché li rendeva popolari con il suo particolare talento. Aveva finito così per amare soltanto nascondersi e stare lontano dagli altri. Non aveva mai saputo come mai tutti compreso lui sentissero avesse qualcosa di diverso. Fino alla notte in quella radura dove aveva scoperto i suoi poteri. Con i suoi nuovi amici quel senso di diversità scompariva visto che anche loro li possedevano. Non era per quello però che aveva deciso di diventare un supereroe. Una mattina era nella terrazza sulla casa del sindaco a pensare a tutte quella cose quando da lontano vide avanzare un esercito di uomini. Portavano le insegne dei nemici. Strano non fossero orchi. Carlo scese giù e diede l’allarme. Quel paesino aveva sempre evitato l’attacco dei nemici pagando una sostanziosa tassa. Quei soldati però erano lì ad attaccare solo per divertimento. Si erano uniti al generale per la loro sete di sangue che ora li animava. Le donne, i bambini e gli anziani si nascosero nelle grotte nel bosco. Gli uomini,  Carlo  e i suoi compagni a cavallo dei draghi avrebbero fermato i nemici. La battaglia fu dura. Vinsero, ma a caro prezzo. Molti di quegli uomini coraggiosi morirono. Non erano soldati e nemmeno dotati di poteri. Prima che ci fosse un successivo attacco in forze si nascosero tutti nelle caverne. Lado fece crescere una fitta edera all’entrata per nasconderla a eventuali nemici. Miriam curava i nemici che per la prima volta in vita sua aveva provato a combattere in una battaglia vera. Quando aveva visto infilzare un uomo che era diventato suo amico in quei giorni si era lanciato sull’aguzzino. Era riuscito a stenderlo, ma era rimasto ferito al braccio. Quando alcuni giorni non sentirono più i nemici, i ragazzi decisero di lasciare la caverna e ripartirono.

 

Quando si avvicinarono al territorio nemico ordinarono ai draghi di volare molto in alto per non farsi vedere. Fiamma però non aveva voluto obbedire e Michelangelo per convincerlo gli aveva dato un biscotto al sapore di pasta con la salsa. Arrivati alla frontiera si nascosero in un carretto pieno di balle di fieno. I guardiani sapendo che era un buon nascondiglio ci infilzarono le spade. I ragazzi riuscirono a non essere infilzati riparandosi dietro i campi di forza di Miriam. Dopo alcuni chilometri dalla frontiera, approfittarono di una distrazione del guidatore e si lanciarono fuori dal carretto. Atterrarono sul ciglio della strada e si nascosero nel fosso laterale. A questo punto giungevano dei cavalieri a cavallo. Robert iniziò a recitare una cantilena triste. E i cavalieri cedettero ci fosse un enorme mostro e caddero dalle loro cavalcature. Scapparono via, dimenticarono i cavalli. Ognuno dei ragazzi salì su un cavallo. Essendo otto i cavalli Lotshar si mise con Leopold. Carlo non riusciva a saltare in groppa perché ogni volta che ci provava l’animale si imbizzarriva. Intanto Fiamma volando rifletteva. Se scendeva per farlo andare via avrebbe avuto un biscotto, pensò. Così decise di disobbedire soltanto un'altra volta al padrone. Scese in picchiata pregustando il biscotto. Michelangelo a vedere il suo drago fu folgorato da un idea. Si avvicino al cavallo testardo e disse: “Vedi quel drago che sta scendendo in picchiata? – il cavallo sembrò capire – Be, se non fai salire Carlo gli dico di arrostirti”. Il cavallo non fece più storie. Fiamma ricevette il suo biscottino e non disubbidì più. Guardandosi intorno si resero conto che più andavano avanti più il paesaggio cambiava. Dalle lande di ghiaccio a della tenera erbetta. Il sole splendeva. C’erano laghi e fiumi ovunque. Era di certo la Terra del verde. David sembrava più baldanzoso del solito. Presero la strada attraverso i campi per non farsi trovare. David li condusse a un immenso foresta intrigata d’edera. Riuscirono a penetrarvi a fatica. David sconsigliò di tagliare i rami. Una volta dentro le piante si spostarono per lasciarli passare. Quando arrivarono a un enorme palazzo d’edera si fermarono. Le finestre erano fatte di smeraldi. La porta era una cascatella d’acqua. Stanchi prima di entrare decisero che era meglio mangiare. Dopo essersi rifocillati passarono sotto la cascata dall’altra parte. Anche gli interni erano d’edera. C’era una scala che portava al piano superiore. Avanzarono a cavallo dei draghi. Che dopo averli visti entrare erano atterrati e passati per miracolo tra l’edera. Anche loro mangiarono. Michelangelo era davanti a Lado. Fiamma si lascio scappare uno sbuffo dalla stanchezza. Sarebbe stato normale se non fossero uscite lingue di fuoco. Questo incidente fece scoppiare un incendio. Ricard a cavallo di Tempesta lo spense con i getti d’acqua che fece uscire dai palmi delle mani. Attirato da quel rumore apparve il custode. Era un enorme albero. Gli occhi e la bocca erano due buchi. Il naso era parte della corteccia. Le radici gambe e piedi. I rami le braccia e le mani. Le fronde una morbida chioma. Con quelle strette fessure li fissava minaccioso. Quando parlò lo fece in modo lento: “Io…sono…l’Hent…di nome… Cedro. Vi…darò…ciò che…volete…se farete…quel che… io vi…dirò”. Leopold si avvicinò e disse: “Di cosa si tratta? Stavolta parlate un po’ più svelto, per favore custode di alberi”. Quando riprese a parlare Cedro ascoltò il consiglio di Leopold: “Voglio che andiate alla montagna rubino. Prendiate gli alberi che come frutti producono il gioiello da cui il monte prende il nome e portateli da me. Se toccherete un solo frutto non avrete la chiave”. “Come porteremo gli alberi?” interruppe Carlo. “Semplice – rispose Cedro – sradicate da terra gli alberi, caricateli sulla schiena, dove si ancoreranno con le radici, dirigetevi qui e piantateli al di fuori del palazzo. Per essere sicuro che non mi ingannerete fuggendo una volta fuori da qui, il vostro amico resterà con me”. Cosi dicendo afferrò il povero Lotshar. Che balbettò: “Ai…utoo…o perfafafa…vore”. I ragazzi partirono subito per la loro missione. La montagnola era poco distante. Una volta arrivati lì ebbero una brutta sorpresa: gli alberi dovevano essere pesantissimi e vicino a loro i poteri non funzionavano. Pensando al povero Lotshar si diedero da fare. Fortunatamente per loro gli alberi erano otto. Uno ciascuno. A mani nude scavarono intorno alle radici fino a liberarle. Carlo quando ebbe finito si accorse che gli sanguinavano le mani. Anche gli altri non erano ridotti meglio. Non sapendo come fare a trasportarli si sedettero ognuno appoggiando la schiena sul proprio albero. Le radici presero vita. Con un scatto secco si attaccarono alle loro schiene. Il peso era tale che più che camminare strisciavano per terra o andavano gattoni. Stavolta anche l’edera dell’entrata si apri per farli passare. Una volta in giardino gli alberi si staccarono dalle loro schiene. I ragazzi esausti cominciarono a scavare le fosse dove trapiantare gli alberi. Quando ebbero finito, gli alberi si alzarono sulle loro radici e camminarono fino alle fosse. Una volta dentro tornarono fermi. Carlo pensò: “Un'altra cosa che dovrebbe essere impossibile”. Avevano mantenuto la promessa ora toccava al guardiano. Cedro uscì dal suo palazzo e gli consegno Lotshar profondamente addormentato, era stato l’unico modo per calmarlo, e la chiave. Anche se i ragazzi sarebbero voluti ripartire prima che l’albero gli chiedesse qualcos’altro, si addormentarono, prima di muovere un passo, dalla stanchezza. La mattina dopo ripresero il viaggio. David uscì dalla tasca solo per dare indicazioni.

 

Dopo aver attraversato metà della Terra del verde si ritrovarono davanti a una strana opera. Al centro del più totale nulla si innalzava un enorme bacchetta da fata. Era di un rosa carne e sprizzava migliaia di scintille di tutti i colori. A un certo punto tutti sentire qualcuno che parlava nelle loro menti. Era la bacchetta che disse:”Sono il guardiano di una delle magiche chiavi che cercate. Portatemi la bacchetta della regina delle fate e io vi darò la cosa che agognate”. Miriam era incuriosita, non sapeva che lì c’erano fate. I draghi rimasero ad aspettare sotto la strano oggetto. I ragazzi furono condotti alla bacchetta da David con una faccia triste che non gli avevano mai visto. Arrivarono a una città di cristallo semidistrutta. Le erbacce avevano invaso tutto ed era disabitata. Entrarono in quello che doveva essere stato il palazzo. Il tetto si reggeva per miracolo ed era distrutto in più punti. Percorrevano saloni che dovevano esseri stati di uno sfarzo inimmaginabile, ma che ora erano caduti in rovina. Ovunque segni di battaglia. Finche arrivarono alla sala del trono. Il lampadario era piombato sul trono spargendo pezzi di cristallo e schegge di legno ovunque. Al centro della sala c’era un tavolo rotto a metà con un enorme macchia di sangue. Per terra poco più in là c’era il motivo che aveva spinto i ragazzi ad andare in quel luogo di tristezza. Sfortunatamente un  raggio laser aveva colpito la bacchetta magica che si era fusa con la corona. Miriam andò per prenderla, ma quando la toccò accadde qualcosa di strano. La terra sembrò tremare. Si ritrovarono al tempo lontano in cui quel palazzo era ancora pieno di vita. Quando però andarono per toccarli si accorsero che erano degli ologrammi. Improvvisamente apparve una fanciulla bellissima, ma molto triste. Anche lei era un ologramma. Con voce malinconica disse: “Tu fata che hai toccato i ricordi di questa terra impregnata di morte se vorrai potrai sapere cosa accadde. Cosa successe per trasformare questa terra rigogliosa in un posto deserto”. Sconvolta Miriam non riuscì a rispondere e l’apparizione lo prese per un si. Riprese ancora con il suo trono triste: “Io sono la regina delle fate. Sono morta su quel tavolo difendendo il mio popolo. Il malvagio che imperversa in queste terre sterminò tutte le fate  che vivevano su questa terra. Ricorda ciò che hai visto quando combatterai contro il Generale Barden, ma non farti sopraffare dall’odio”. Quando ebbe finito gli ologrammi svanirono e il palazzo torno deserto e silenzioso. Miriam era sconvolta e sembrava diventata uno zombi. David raccolse la bacchetta corona. Una volta arrivati alla bacchetta enorme questa risucchiò l’oggetto e fece comparire la chiave nelle mani di Carlo. Che tirò fuori le altri chiavi che teneva nella tasca con David. Guardò le cinque chiavi che avevano. Tre d’oro con incastonati dei gioielli, una di smeraldo e l’ultima di quarzo rosa con due piccole alucce d’acqua marina. Le rimise nella sua tasca dove erano al sicuro. Miriam aveva creato un campo di forza nella tasca di Carlo in modo che solo lui e David potessero oltrepassarlo. La stessa Miriam che stava seduta depressa e pensierosa. Ormai calava la sera e Miriam non era in grado di andare avanti perciò decisero di passare lì la notte.

 

 

 

Aido intanto riceveva la visita di un piccolo passerotto. Era così che i generali ribelli comunicavano tra loro. Altre cattive notizie. L’esercito nemico avanzava sempre di più. Ogni giorno le linee nemiche conquistavano posizioni. Della loro unica speranza non c’erano notizie. Sperava che i suoi allievi stessero bene. Vedeva gli uomini combattere dimentichi dello stile, avventarsi sul nemico con la forza della disperazione o accecati dall’ira. I nemici non sembravano umani. Lucidi nella loro determinazione, non facevano mai rumore e uccidevano con innaturale freddezza. Quegli uomini calcolatori avevano preso il posto degli orchi. Tutti i giorni combatteva fino allo stremo delle forze fiancheggiato da Asches. Distratto dai suoi pensieri Aido non si accorse che il sole era già tramontato all’orizzonte. Sentendo però il freschetto della sera preferì rientrare. Mentre dormiva, un uomo con intenzioni losche entrò nella sua tenda. Tutti gli anni passati in battaglia avevano affinato i suoi sensi di Aido. Bastò lo scalpiccio delle scarpe dell’intruso svegliare Aido. Saltò addosso allo sconosciuto urlando. Tirò fuori il pugnale che teneva sempre a portata di mano. E immobilizzò il nemico. Dopo accese la luce E sempre tenendo puntato il pugnale al collo dello spaventato nemico lo legò alla sedia. Era un brutto ceffo. Aveva un enorme cicatrice che partiva da sopra l’occhio sinistro, di colore arancione, e prendeva tutta la guancia. L’altro occhio era di colore blu. Aveva i capelli del colore della paglia. Mancava un pezzo della pelle del naso. Insopportabile era un ghigno da idiota stampato sulla faccia. Il brutto ceffo ruppe il silenzio dicendo: “Vecchio nano rinsecchito non la farai franca”. Aido rispose: “Se vuoi proprio parlare dimmi chi ti manda”.  L’uomo facendo lo spavaldo rispose: “ Io, Martin, non te lo dirò mai”. Aido lanciò un coltello vicinissimo al viso di Martin. Che urlò: “Va bene! Mi manda il Generale Barden”. “Perché?”chiese ancora Aido. “Te lo dico, ma non mi accoppare. Hai un gioiello che gli serve per non so quale arma segreta da attivare, forse costruire una potentissima macchina…”. Non riuscì a finire la frase che una freccia gli squarciò il petto. Aido corse fuori, ma l’assassino si era dileguato. Ci doveva essere qualche talpa qualche talpa nel campo. Che aveva prima fatto entrare Martin e poi lo aveva ucciso in modo che non parlasse. Chi era? Non poteva più fidarsi di nessuno. A parte di Asches. Neanche il sorgere del sole riuscì a calmarlo. Si sentì pungere sul collo. Si girò e vide Anarr, uno del campo, armato di cerbottana lanciagli. Ecco chi era il traditore. Aido lanciò il pugnale il pugnale e lo colpì al collo. Lo uccise. Un'altra puntura. Ci doveva essere qualche altra spia. Fu il suo ultimo pensiero prima di cadere a terra privo di sensi. Essendo ancora presto nessuno si accorse del suo rapimento.

 

 

 

Ringrazio:

 

Milli Li Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto.  Secondo me tu non hai un neurone, ma un cervellone gigantesco. Non se si capisce, ma è un complimento. Io me li ricordo tutti perché sono l’autrice, ma non credere, prima o poi anche io rischierò di confondere qualche personaggio. Anche a me l’alieno balbuziente mi fa tanta tanta tenerezza, peccato che il nome sia impronunciabile. Io a un amico che si chiama Lotshar rischierei di offenderlo in continuazione storpiandogli in nome. Un mio povero collega di università a un nome un po’ diverso, non c’è una volta che lo azzecchi. Sigh ç_ç Si, anche a me piace moltissimo la fenice. Però per indovinare chi sono dovresti almeno fare dei tentativi. Sono molto curiosa di sapere cosa hai pensato di questo capitolo.

 

 

Berry345 Grazie. Però credo che la tua storia sia meglio. Si, aggiorno in fretta quando posso. Ho recensito l’ultimo aggiornamento della tua storia. ciao

 

  
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