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Autore: Miss_Coffin_Maker    21/01/2009    4 recensioni
E poi, un giorno, qualcuno li aveva riportati indietro. Aveva ridato loro la libertà. Li aveva fatti tornare nel mondo. L’aveva fatta tornare alla vita. E che l’artefice di tutto fosse stato un…essere…che portava il nome di uno dei sette peccati capitali, beh, questo non aveva alcuna importanza.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greed, Martel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hiromu Arakawa; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Ciao a tutti! Prima di augurarvi buona lettura volevo precisare alcune cose: si tratta della mia primissima one shot (il che contravviene ad una mia vecchia abitudine, quella di essere particolarmente prolissa XD), quindi sono molto ben accette critiche costruttive e suggerimenti. Lo so, il pairing è assolutamente poco gettonato, ma fin dalla prima puntata dell'anime in cui sono stati introdotti i personaggi di Greed e Martel, ho pensato che formassero una bellissima coppia e che, in fondo, Martel provasse un affetto molto profondo per il "Signor Greed"; quindi, se la fiction dovesse essere collocata in una saga, di certo rientrerebbe in quella dell'anime, non del manga. Stavo cercando un'idea per una RoyAi e invece, in maniera del tutto inattesa, mi è venuta in mente questa ispirazione e ho dovuto metterla per iscritto, spero ne sia venuto fuori qualcosa di buono!

Beh, non credo di dover aggiungere altro. Recensite, se vi va, e...enjoy it!

 

 

 

NO ONE ELSE WOULD HAVE BEEN SO LOYAL...

 

 

“Che cosa stai fissando?”

Martel trasalì. “Di cosa parli?” disse con tono piatto, voltandosi verso il compagno.

Dolcetto seguì la direzione del suo sguardo. “Ah” sollevò le sopracciglia, osservando Greed che scherzava con due avvenenti fanciulle, seduto ad uno degli squallidi tavolini di legno scuro del Devil’s Nest.

Sospirò. “Quell’uomo è proprio incorreggibile. Non ti devi preoccupare così tanto per il signor Greed. Sa cavarsela benissimo da solo, non è necessario che tu gli faccia la guardia ventiquattro ore su ventiquattro”

“Guardia? -ripetè Martel, prendendo un bicchiere di whiskey dal bancone del bar- Non dire stupidaggini”

“Uhm…comunque, il cane sono io. Non mi rubare il mestiere” ribattè, sorridendo divertito. Le fece un cenno di saluto, prima di voltarle le spalle e allontanarsi a passo deciso.

Martel non riuscì a trattenere a sua volta un sorriso. Scosse la testa. Vuotò il bicchiere che teneva in mano. Sollevò lo sguardo verso il tavolino di fronte a lei. Già, Dolcetto aveva ragione, non aveva motivo di preoccuparsi per il signor Greed. Accidenti, era l’uomo più forte che avesse mai conosciuto. Diede un’occhiata ai due cubetti di ghiaccio che si stavano lentamente sciogliendo nel bicchiere. Uomo? In effetti, il signor Greed non era un uomo come tutti gli altri, era qualcosa di diverso. Di incredibilmente diverso. Ma ormai, da quando la sua ferita sul campo di battaglia l’aveva spedita dritta dritta in un laboratorio di ricerca, per lei il concetto di umanità era del tutto relativo. Se il signor Greed non poteva dirsi umano, che diritto aveva lei stessa di considerarsi tale?

Guardala lì, quell’oca con il caschetto castano. E la svampita bionda, che diavolo ha da ridere in quel modo?

Martel era cresciuta con la convinzione che sarebbe stata un militare, un militare vero, di quelli che si guadagnano l’onore sul campo di battaglia, e che importanza poteva avere se era una donna? No, non avrebbe avuto alcuna importanza. E, infatti, era stato proprio così. Martel era un ottimo soldato. Ed era una donna determinata. Così come era stata una ragazza risoluta e una bambina decisa. Eppure, c’era stato qualcosa che non aveva potuto prevedere. Se pure qualche volta le era capitato di pensare che sarebbe morta durante una guerra, non aveva mai neppure lontanamente immaginato di risvegliarsi da un sogno destinato a concludersi in modo irreparabile. Né tantomeno che al suo risveglio si sarebbe ritrovata in un corpo che non era il suo. O meglio, che era il suo. Fuso con quello di un animale.

C’erano stati dei momenti in cui si era fermata a riflettere sulla mezza vita che albergava in lei, convivendo con il suo corpo e con la sua anima. La vita strisciante di un viscido serpente. Si era domandata se esistessero delle affinità tra lei e quella strana bestia. Certo, era una cosa priva di senso, non c’era nessun motivo razionale per cui avessero deciso di unire il suo corpo a quello di un serpente, nessun motivo logico, chiunque fosse stato l’artefice di quel maledetto esperimento. Era successo e basta. E tutto sommato, si era abituata alla nuova condizione che le era stata imposta. In fondo doveva riconoscere che sarebbe potuta andarle peggio. Avrebbe sempre potuto risvegliarsi nel corpo di un cane, pensò con un sorriso benevolo.

E poi, un giorno, qualcuno li aveva riportati indietro. Aveva ridato loro la libertà. Li aveva fatti tornare nel mondo. L’aveva fatta tornare alla vita. E che l’artefice di tutto fosse stato un…essere…che portava il nome di uno dei sette peccati capitali, beh, questo non aveva alcuna importanza. Martel gli era sempre stata grata, incredibilmente grata per tutto quello che il signor Greed aveva fatto per lei e per i suoi compagni. Non l’aveva soltanto salvata da un destino crudelmente scontato. Lei, una cavia da laboratorio per tutta la sua esistenza. Lei, proprio lei che aveva sempre cercato di vivere a modo suo. L’aveva fatta sentire parte di qualcosa, di nuovo. Parte di un gruppo. Parte di un piccolo mondo. Un mondo popolato di creature che non potevano dirsi umane, questo si. Eppure felice.

Martel fissava quello strano uomo senza neppure rendersene conto. E lui, con il suo giubbino con tanto di colletto di pelo, con i suoi occhialetti rotondi a coprire gli occhi piccoli e sornioni, con il suo ghigno beffardo, continuava a ridere, facendosi portare di tanto in tanto un bicchiere di liquore.

Martel distolse lo sguardo. Dopo tutto, lui era Greed. Lui era avido. Prendeva qualunque cosa volesse. E voleva sempre di più. Ma in fondo, in che cosa era diverso da un comune essere umano?

 

 

I sotterranei del Devil’s Nest erano sempre un posto gradito in cui rifugiarsi. Quando voleva stare da sola, Martel andava lì. Si sedeva in un angolo solitario e silenzioso, uno qualsiasi, e rimaneva ferma ad ascoltare rumori che soltanto lei poteva udire. Erano spari di armi da fuoco, urla di uomini e donne feriti a morte, pianti disperati di bambini che non avrebbero più rivisto i propri genitori. Martel odiava quel boato assordante. Voleva farlo cessare. Eppure, il silenzio le faceva tornare in mente ricordi ben peggiori. Un freddo laboratorio dalle pareti bianche. Un ambiente terribilmente squallido e asettico. Una vita che le era stata rubata. Un’altra che le era stata imposta contro la sua volontà.

Qualcosa cui preferiva addirittura gli strepiti assordanti della guerra: erano familiari, nonostante il dolore e il sangue e la terribile sofferenza, le facevano tornare alla mente ricordi sereni, trascorsi con amici fidati. Amici che erano accanto a lei ancora adesso, questo non poteva negarlo. Anche se non erano più gli stessi, né mai lo sarebbero stati. Posò la testa sulle ginocchia, stringendole a sé, in una posizione che le dava sicurezza. Perché, dopo tutto, Martel ne aveva ancora bisogno. Aveva ancora bisogno di sentirsi protetta. Aveva ancora bisogno di sentirsi a casa. Quando mise a tacere i fragorosi strepiti nella sua testa, le giunse sommesso il brusio del Devil’s Nest. Un confuso suono di risate miste a voci indefinite e indefinibili. Eh si, quella era la sua nuova casa. 

“Ehi”

Martel sollevò lo sguardo. Non che ce ne fosse bisogno.

“Signor Greed…”

“Che ci fai qui da sola?”

Martel abbassò di nuovo gli occhi. Rimase in silenzio.

Greed la scrutò con aria interrogativa. “C’è una festa di sopra. Sembra divertente” disse stringendosi nelle spalle.

“Arrivo” Martel si sforzò di sorridere.

Tutto sommato, non conosceva neppure lei il motivo della propria malinconica tristezza.

Greed sollevò un sopracciglio. Non sembrava affatto convinto delle sue parole. “Uhm…”

“Davvero. Arrivo. Sento le voci. E le risate. Deve essere veramente…divertente…”

L’uomo si guardò intorno. “E allora perché te ne stai qui? Tutta sola?” sottolineò volutamente le ultime due parole.

Martel non sapeva proprio cosa rispondere. Bella domanda. Perché se ne stava lì? Tutta sola? Aggirò l’ostacolo nell’unico modo cui seppe pensare. “Perché lei non è di sopra, signor Greed?” Il suo tono era un po’ più duro di quanto non desiderasse.

Probabilmente la biondina e la brunetta non sono contente che lui non ci sia.

“Uhm…mancava qualcuno”

La ragazza sollevò lo sguardo. Lo fissò con aria incredula.

Greed si appoggiò al muro e si lasciò scivolare fino a ritrovarsi seduto accanto a lei. Martel gli rivolse un’occhiata furtiva, poi voltò la testa. La poggiò di nuovo sulle ginocchia. Silenzio. Lui guardava il soffitto, respirando lentamente. Lei guardava il vuoto, con gli occhi socchiusi.

“Non è necessario che lei rimanga qui, signor Greed…” esordì, a mezza voce.   

Greed piegò il capo, volgendo lo sguardo verso Martel. “Lo so. E ti confesso che non ho nemmeno voglia di starmene qui. In effetti, l’unica cosa che voglio è che tu venga con me al piano di sopra –fece un cenno verso l’alto- E tu sai che quando voglio…”

“Non con me” ribattè lei, lapidaria.

Greed sospirò. “Accidenti, hai la lingua forcuta come quella di un serpente” disse con noncuranza.

Martel sorrise. “Si…” mormorò.

“Stai ridendo? Bene”

Martel non rispose.

Greed si strinse nelle spalle. “Va bene, ho capito” decretò, grattandosi la testa. Fece per alzarsi.

“Aspetti…”

Lui riprese il suo posto. Non che sembrasse veramente intenzionato a lasciarlo.

Martel sollevò la testa e appoggiò la schiena alla parete. Lentamente, rivolse lo sguardo verso l’uomo che le stava accanto. “La verità è che…non ha mai pensato che noi non saremmo mai dovuti esistere?” chiese semplicemente, come se rispondere a quella domanda potesse essere la cosa più facile e normale del mondo. Eppure, lei non conosceva la risposta. Non la conosceva, ma voleva che qualcun altro gliela desse.

Greed si prese il mento tra il pollice e l’indice. Girò la testa verso di lei.

I loro sguardi si incontrarono. Martel era sempre intimidita da quei piccoli occhi sfuggenti. Cercava di evitarli tutte le volte che poteva. E adesso lì, nel silenzio del sotterraneo di uno squallido bar di periferia, sembravano brillare di una luce strana. E incredibilmente rassicurante. La ragazza arrossì leggermente.

Greed sorrise, tornando a guardare il soffitto. “Si. Certe volte ho considerato il fatto che sarei potuto non esistere. No. Non credo di aver mai pensato che non sarei mai dovuto esistere. Ma in fondo, non c’è alcun bisogno di porsi questa domanda. Avrebbe avuto un senso se le cose non fossero andate come sono andate. E invece…io sono qui a parlare con te in questo sotterraneo. Io e te esistiamo. Siamo vivi, camminiamo su questa terra, dunque abbiamo diritto di esistere. Almeno diritto, se non motivo. Non credi?” rise sommessamente.

Martel fissava lo spazio di fronte a sé. Sorrise. “Si. Ha ragione lei”

“E poi, se voi non foste esistiti, chi mi avrebbe guardato le spalle?”

“Avrebbe trovato qualcun altro”

“Uhm…probabilmente. Ma non sarebbe stato altrettanto fedele. E valido”

Martel scoppiò a ridere.

Greed la guardò. Spiò il volto della ragazza di fronte a lui, di solito così serio…era la prima volta che la vedeva ridere così di gusto? Si. “Che c’è?” chiese ghignando, a metà tra il sorpreso e il divertito.

“Niente, niente. Solo…fedele…mi è venuta in mente l’immagine di Dolcetto scodinzolante e con un giornale in bocca” rispose lei, soffocando una risata.

Greed parve pensarci su per un attimo. Poi scoppiò a ridere a sua volta. Continuarono così per alcuni minuti, ridendo e ridendo fino alle lacrime. Martel si asciugò gli occhi con una mano. Quando fece per posarla di nuovo sul pavimento, sfiorò quella di Greed. La ragazza la ritrasse subito. Lui non parve accorgersene. Martel ne fu lieta, si sentiva stranamente stupida. Stupida, senza sapere perché. Era solo…una mano. Le rivolse un’occhiata. Vide quello strano tatuaggio rosso, un serpente intento a mordersi la coda.

“Carino eh?” disse Greed, portandosi il dorso della mano davanti al viso.

Martel trasalì. Non si era accorta che lo stava fissando.

“Mi scusi, signor Greed…”

“Ah, sciocchezze. –fece un gesto di noncuranza- Questo disegno è ciò che mi ricorda ogni giorno quello che sono. Ed è una consapevolezza divertente, sai?”

Martel abbassò lo sguardo. “Certo. Lo è. Lo è se si è in pace con sé stessi” disse con amarezza.

“E tu non lo sei?”

Silenzio.

“Te l’ho già detto, ragazza mia. Se tu non fossi esistita, avrei dovuto guardarmi le spalle da solo”

Ancora silenzio.

“Quindi, lo vedi? Anche tu hai una ragione per la quale esistere”

Martel si voltò di nuovo verso di lui. Esitò. “Quale?”

Greed sollevò la mano. “Questo” disse indicando il tatuaggio con uno dei suoi sorrisi obliqui.

La ragazza piegò la testa da un lato. Ricambiò il sorriso. Annuì.

Greed si mise in piedi. Allungò un braccio verso Martel. “E allora? Che cosa ci facciamo ancora qui? C’è una festa, mi pare”

Martel si alzò da sola, allontanando con un gesto di risoluta gentilezza la mano che le era stata porta.

Lui si strinse nelle spalle. Si voltò. Fece qualche passo.

Martel rimase immobile per alcuni secondi.

“Signor Greed”

Lui si fermò. Le rivolse uno sguardo interrogativo.

“Io…non le ho mai detto grazie…”

Greed la fissò. Coprì a passi calmi la breve distanza che li separava. Le mani affondate nelle tasche. I capelli spettinati come al solito. Le si parò davanti. Poi, lentamente, le sistemò dietro l’orecchio il biondo ciuffo ribelle che le ricadeva davanti al viso. Martel trattenne quasi il respiro, sorpresa, mentre un leggero rossore le colorava le guance. Lo sguardo smarrito.

Greed sorrise. “Dovere” rispose semplicemente.

 

 

Martel guardò il cielo. Si era allontanata da quello strano ragazzino con il corpo di metallo. Aveva fatto esattamente quello che le aveva ordinato il signor Greed. Aspetta l’alba. Se non sono ancora tornato, scappa. Anche lui. Dolcetto, Roa…e adesso…anche Greed. Si guardò intorno. Appoggiò la schiena al tronco di un albero. Nascose il viso tra le mani. Sentì le lacrime scenderle calde sul volto, rigarle le guance, cadere lente e brucianti sul tappeto erboso di quella piccola radura in una foresta sconosciuta.

La sua casa…era così lontana…

Respirò profondamente. Aveva davvero tempo per il dolore? Si asciugò gli occhi con un rapido gesto della mano.

Per un attimo, le parve di vedere qualcosa. Un serpente rosso che si mordeva la coda.

Martel sollevò lo sguardo verso il cielo. Nonostante tutto, sorrise tra le lacrime.

Grazie, signor Greed.

Sono esistita per un motivo.

 

 

 

 

 

  

 

  
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