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Autore: Ink Voice    17/07/2015    2 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XXV
Improvvisamente

Nel vedere Chiara così imbarazzata e rossa in viso, mentre cercava di farsi coraggio per dirmi qualcosa, arrossii anche io di riflesso. Forse fu perché cercavo di trattenermi dal ridere, la situazione mi aveva fatto venir voglia di farlo, ma non per prendere in giro la ragazza e rinnovare l’addio che ci eravamo date quasi un anno prima. Avevo voglia di ridere e basta perché immaginavo le ragioni per cui volesse parlarmi. E perché ogni situazione critica o dubbia, bastava che fosse tesa, più volte mi aveva fatto avere una simile reazione.
Però i secondi passavano e Chiara non si decideva a dire nulla. Doveva star combattendo una lotta interna con il suo orgoglio mentre cercava di prepararsi mentalmente frasi di senso compiuto. Nel frattempo il mio volto, da sorpreso - abbastanza piacevolmente - e incuriosito, esprimeva il bisogno di capire se si stesse sentendo male o no. Valutai l’ipotesi che la ragazza stesse solo andando in infermeria perché non stava molto bene e che io fossi stata la prima sulla sua strada alla quale potesse essersi rivolta per farsi accompagnare.
-Chià…?- non potei fare a meno di abbreviare il suo nome, come sempre. -Va tutto bene?
-No che non va bene!- scattò lei alzando la testa. Era talmente rossa in viso che, dopo un primo momento di stupore per la sua forte reazione, nemmeno riuscii a portare una mano davanti alla bocca per impedirmi di ridere.
Esalai uno strano “pfff” e poi scoppiai, lasciando la ragazza di stucco. Risi per un minuto buono mentre lei mi fissava, pronta a bussare alla porta di Bellocchio se la situazione fosse peggiorata. Se fossimo state in un fumetto avrebbe avuto il viso cosparso di goccioline di sudore, tanto era basita. Forse le avevo rovinato la performance che si era programmata. In tutto ciò Bellocchio non si accorse del casino che stavo facendo davanti al suo ufficio.
Quando mi ripresi rischiai seriamente di riprendere a ridere per la sua espressione, rimasta indimenticabile per quanto era comica. Balbettai a fatica: -Ehm… cosa c’è che non va?
Conoscendola dovette sicuramente pensare che l’unica cosa che non andava, in quel momento, fossi io per le mie reazioni fuori luogo. Appena però mi riuscì di guardarla in faccia senza rischiare un’altra crisi di risatine, subito cercò di ridarsi un contegno e mi mollò il polso per potersi passare una mano tra i capelli bruni. Li aveva tagliati, poggiavano sulle spalle, ma li aveva tenuti ancora più corti come piaceva a lei da un lato della testa.
Il rossore si limitò a propagarsi sulle sue guance mentre altri istanti passavano in silenzio. Mi chiesi seriamente se fosse stata in grado di proferire parola, ma mi stupì poco dopo. -Ho… ho saputo dei tuoi genitori- mormorò.
-Ah!- feci soltanto, sorpresa dall’argomento introdotto e per niente turbata da esso. -E come hai fatto?
-Ero in missione. I Victory sanno bene di… noi due, e per cercare di distrarmi mentre combattevo insieme ad altre reclute dei nostri, be’, mi hanno chiesto qualcosa sul tuo stato d’animo… andando a parare poco dopo sul… sul fatto. Mi hanno chiesto qualcosa sulla tua reazione alla notizia, io ho chiesto di cosa stessero parlando. Una dei Capitani, Atena, che credo sia la compagna di Giovanni o qualcosa del genere, lo ha detto ad alta voce. Ma non credo che gli altri con cui sono partita, impegnati nelle lotte, abbiano sentito: ci stavo lottando da sola, quasi senza Pokémon- aggiunse frettolosamente come a volermi rassicurare sulla mia privacy, rimasta relativamente inviolata.
Annuii leggermente senza alcuna reazione forte. Non ero scossa da quello che aveva detto, pur chiedendomi se le notizie potessero fare il giro delle sedi Victory tanto velocemente, perché non credevo che una donna sempre stata residente a Kanto sapesse qualcosa su di me. Ma forse la sua stretta relazione con Giovanni l’aveva aiutata.
-Ho capito- dissi poi. Chiara era allibita per la mia apparente calma, la mia tranquillità. Le sorrisi lievemente imbarazzata, non potendole spiegare - sarebbe stato sgradevole - che probabilmente avevo già pianto tutte le mie lacrime per i miei genitori e che in ogni caso avevo un potere in grado di farmi gestire, seppure ancora con qualche difficoltà, i miei sentimenti e la mia psiche. Mi interessai, sperando di metterla a suo agio: -E che missione era?
Seguì un secondo contato di silenzio. -MA A TE CHE TE NE FREGA?!?
Indietreggiai di un passetto, sbalordita e preoccupata dalla sua reazione. Stava ansimando dopo quello strillo come se avesse appena fatto una lunga corsa. Aveva sbottato con quanto fiato aveva nei polmoni e mi guardava desiderando ardentemente di farmi bruciare le pupille, nelle quali aveva conficcato le sue. Tenendo le mani avanti, preoccupata da un’altra possibile aggressione spacca-timpani, mormorai: -Era… solo una domanda, calm…
-Non mi dire di calmarmi, Eleonora!!
Fu in quel momento che la porta si aprì, mozzando a metà il mio nome. Bellocchio ci guardava contrariato e altamente seccato. -La smettete di fare baccano, voi due? Strillatevi e ridetevi addosso da un’altra parte.
Poi sbatté la porta appena Chiara fu lì lì per sbraitare anche contro di lui. -Chiara…- la chiamai. Si voltò di scatto verso di me, mordendosi il labbro inferiore. -Se mi fai il favore di non urlare, perché potrebbe venir giù una valanga… perché non andiamo a parlare fuori, sul Monte?
-Ma sei impazzita?- sbottò. Mi era mancata la sua franchezza. -Fa un freddo boia, siamo a dicembre.
-Sì, ma…- Capii che era meglio non insistere. Sospirai: -Dove vuoi andare, allora?
-Il dormitorio andrà benissimo. Ora non c’è nessuno.
Fu così che la seguii in silenzio, temendo altri suoi possibili scatti d’ira dovuti alla mia tranquillità interiore ed esteriore. Il dormitorio era vuoto, eccezion fatta per la stessa Sara che tanto avevo cercato in giro. Notò prima me, nonostante stessi dietro; stava leggendo un libro e fece per salutarmi con la mano ma si bloccò quando vide che insieme a me c’era Chiara. Spalancò leggermente gli occhi e inarcò le sopracciglia azzurrine per la sorpresa; un mezzo sorrisetto le curvò le labbra. -Di nuovo insieme?- chiese con leggerezza.
Feci spallucce e subito l’altra guardò la mia risposta neutrale a quella domanda. Non disse nulla a Sara ma le chiese con quanta gentilezza aveva di lasciarci un attimo sole; velatamente le intimò di smammare. Ero sicura che, alterata com’era dai suoi programmi andati in fumo - probabilmente di vedermi scoppiare a piangere e insultarla per aver riaperto le mie ferite, poco ci mancava che non attaccasse pure lei per non aver fatto trovare il dormitorio assolutamente libero e silenzioso. Si voltò verso di me, tenendo le mani sui fianchi stretti, appena Sara uscì.
La ragazza fece poi un respiro profondo e chiuse gli occhi, incrociando le braccia. Mi guardò intensamente cercando qualcosa nel mio aspetto che tradisse una violenta reazione alla scomparsa dei miei. Non trovandola ne uscì ancora più confusa e per questo irritata. -Allora?- borbottò.
-Allora cosa?- Poi anticipai una sua possibile battuta, aggiungendo qualche parola più rude appropriata al suo linguaggio schietto: -“Non farmi spiegare idiozie, Eleono’, e non far finta di non sapere di cosa sto parlando!”
Un altro secondo di silenzio mi fece temere un urlo simile a quello di poco prima. Ma si contenne. -Ehm… va bene, più o meno la risposta sarebbe stata quella… ma possibile che tu sia così tranquilla? Che ti è successo?
Aveva seri dubbi sul fatto che io avessi realizzato la perdita. Le sorrisi, un po’ intenerita dalla situazione e dalle sue espressioni mostrate così bene dai suoi grandi occhi quasi parlanti, un po’ rabbuiata, più dai ricordi dei pianti e delle crisi avute a tal proposito anziché essere incupita dal fatto in sé. Ogni volta, dovevo ammetterlo, mi stupivo della freddezza, in quel caso quasi positiva, che riuscivo ad esercitare non proprio perfettamente. Ma sicuramente Chiara non avrebbe mai potuto far caso alla grande tristezza che ancora non riuscivo a cancellare, che mi limitavo a ripiegare per farle occupare meno spazio possibile dentro di me e che cercavo di nascondere.
-Ho scoperto dieci giorni fa che i miei genitori sono morti. Ho avuto tempo per versare tutte le lacrime che sono riuscita a dedicare loro e ad andare in confusione, rischiando di cadere in un baratro, temendo di non potermi più risollevare e di non avere più modo di riprendere a vivere normalmente. Poi ho dovuto imparare a non piangere più niente e nessuno, a controllare i miei sentimenti e il mio animo. È stata dura e ancora adesso ho dei momenti di difficoltà… ma a meno che non succeda qualcosa di terribile, dubito che di questo passo perderò di nuovo il controllo. Ci sto lavorando molto, tutto il giorno e tutti i giorni…
-Ma che diavolo stai dicendo?- mi interruppe lei, basita.
Scrollai le spalle, sedendomi sul letto più vicino. Potevo capire benissimo il fatto che fosse scandalizzata dalla mia tranquillità e da quei discorsi sull’autocontrollo, perché anche io avrei reagito ugualmente se fossi stata al suo posto e non avessi avuto tre poteri ad aiutarmi. -È così, Chià. L’unico modo per non dare di matto dalla tristezza o non cadere in depressione… era questo. È questo- mi corressi. Poi sorrisi appena e la guardai: mi chiesi se fosse il caso di parlarle del Legame. Preferii aspettare le successive battute di quel dialogo imprevedibile per decidere.
Inizialmente lei sostenne il mio sguardo, ma dopo poco abbassò la testa e strinse i pugni. -Sono uno schifo.
“Oh cielo, no” pregai, spalancando gli occhi. “Ti prego, no. No, no, no. Non farla disp…!”
Mi ritrovai con il fiato mozzato da un suo repentino, violento abbraccio. Fui buttata sul letto mentre le sue braccia mi stringevano il collo, in una presa tanto pericolosa quanto, sperai, affettuosa. Mezza soffocata da esse e dal suo corpicino esile mezzo sdraiato sul mio in una posizione alquanto ambigua, annaspai in cerca d’aria: già lì nella base segreta scarseggiava, se Chiara quasi mi strangolava rischiavo grosso. -Chià… aiu…
-Ele, Ele, Eleonora!- piagnucolava. -Ti ho lasciata sola per tutto questo tempo solo perché io stessa avevo paura di rimanere sola e di essere buttata nel dimenticatoio! Sono uno schifo, sono un’insensibile egoista e sono stata disinformata, pure, perché ho cercato di fregarmene totalmente di quello che ti succedeva! Sono una…
Continuò a insultarsi con parole sempre più gravi e a balbettare scuse per poi demolire lei stessa quelle fragili giustificazioni sul suo comportamento, finché non mi feci forza e la buttai di lato per cercare di far circolare aria nei polmoni. Quando capì di avermi mezza asfissiata riprese a biasimarsi e ad offendersi in ogni modo possibile.
Appena riuscii a parlare le diedi un pizzico su una guancia. -Stai buona, Chià!- le intimai.
Di nuovo un attimo di silenzio, quell’attimo teso al quale seguiva una battuta inaspettata e temuta.
-Eleonora, picchiami.
-Eh?!- A malapena ci accorgemmo, sia io che lei, dei lacrimoni che le rigavano le gote arrossate.
-Ti prego, Ele, fammi del male!- mi pregò. Rischiai di scoppiare nuovamente a ridere se non fosse stato per la situazione drammatica. In realtà era tutto abbastanza comico; quando ce ne saremmo ricordate in seguito ci saremmo fatte grosse risate per quei minuti di delirio. -Fammi sentire fisicamente tutto il dolore che tu hai provato psicologicamente! Io credo che ne morirò al contrario tuo, ma tu non preoccuparti, è giusto così! Adesso picchiami!
Uno schiaffo glielo tirai davvero ma fu leggero e solo per svegliarla. -La vuoi smettere di fare la cretina?
-No, è nel mio DNA essere stupida, e lo sono stata talmente tanto da…
Mi chiesi se quel tristemente comico supplizio avrebbe mai avuto una fine. Strepitava che non l’avevo colpita con abbastanza cattiveria e violenza. Capii che l’unico modo per tapparle la bocca non era né farlo con una mano, né attaccarla in qualunque altro modo perché se lo aspettava. Quindi la abbracciai: immediatamente si zittì e la sentii solo tirare su con il naso mentre cercavo un modo per calmarla e farle capire che non c’era bisogno che la picchiassi, come lei a quanto pareva desiderava, anche se un vero ceffone gliel’avrei mollato volentieri. Mi staccai subito assumendo un’aria sprezzante e di sufficienza, lasciandola perplessa e lacrimante per la sorpresa.
-Ma chi ti credi di essere?- soffiai incrociando le braccia e inarcando le sopracciglia, squadrandola da capo a piedi con tutta la disapprovazione che possedessi. -Ti sembro il tipo che si mette a piagnucolare per una ragazzina che da un momento all’altro mi dice “non ti parlo più, non siamo più amiche!”?- Imitai una vocetta stridula da bambina. -Ma tu guarda questa, che si è creduta il centro del mio mondo!- Sbuffai allontanando una ciocca di capelli dal viso e spostando lo sguardo altrove. -Io proprio non la capisco… vuoi vedere che si pensava che io non potessi andare avanti normalmente senza di lei? Che arroganza, crede di avermi fatta star male così… eh?
Ripresi a squadrarla con lo stesso fare di disprezzo. Stettimo un po’ così, a guardarci, lei ammutolita e basita, io che cercavo di non scoppiare a ridere un’altra volta, sicura che mi sarebbe preso un colpo al cuore se avessi sghignazzato allo stesso modo di prima. Una risatina mi sfuggì dopo qualche momento e scossi la testa, tornando ad abbracciare Chiara; stavolta per tutto il tempo che avessimo voluto, non solo per farla stare zitta un attimo.
-Ahahah, Chiara!- ripetevo il suo nome mentre sorridevo piena di felicità. -Mi sei mancata, Chià!
-T… tu, tu…- mormorò lei più volte, singhiozzante. -Sei una scema… proprio una grandissima scema. La tua stupidità non conosce limiti. Cretina, idiota. Deficiente. Stupida. Scema, scema… scema…
-Sì, sì, lo so. Anche tu però non sei da meno, eh…
-Non girare il coltello nella piaga, scema! Scema, scema!!
Aspettai che si calmasse e per aiutarla le porsi un fazzoletto. Nel mentre pensavo a quello che aveva detto poco prima, ovvero che aveva avuto paura che io la lasciassi da sola in favore di qualcun altro. Per questo lei per prima, forse pensando che avrebbe fatto meno male che essere messa da parte, aveva deciso di tagliare i ponti.
Eppure io non mi ero mai accorta di averla dimenticata o di aver trascurato la nostra amicizia. I compagni del mio corso non avrebbero mai potuto competere con il legame che avevo avuto - e che avevo di nuovo - con lei, neanche Daniel che mi piaceva davvero nonostante Oxygen e nonostante avessi altro per la testa, ma perché il rapporto che avevo con lui e con l’altro ragazzo era diverso da quello con lei. Ilenia era diventata un punto di riferimento quando ero rimasta da sola ma altrimenti non avrei mai voluto lasciar perdere Chiara.
La verità era che avevo trascurato un po’ tutti i rapporti umani da quando avevo cominciato ad allenare i Pokémon. E ora che avevo saputo del Legame, che esso si era mostrato, capivo il perché di quella grande affinità, pur non realizzando la famosa intesa che il Master, Rosso, tanto osannava e predicava.
-Io non sarei mai stata in grado di lasciarti, Chià…
-Lo so, lo so, ma sono stata stupida e…
-… ma in effetti tu e tutti i miei compagni siete stati messi un po’ in secondo piano.- Fece silenzio e mi ascoltò. -Mi sono concentrata moltissimo sull’allenamento dei miei Pokémon, sul mio, e in questi dieci giorni ho vissuto più o meno la stessa situazione, pur concentrandomi solo su me stessa, anche vista la fragile situazione psichica ed emotiva… il fatto è che io… sono molto più vicina alla realtà dei Pokémon che a quella umana, Chiara.
Inarcò le sopracciglia. Avevo deciso di dirle tutto, era pur sempre la mia migliore amica: volevo che tornassimo subito ad essere tali, quindi le avrei confidato quello che a lungo era stato nascosto pure a me.
-Hai presente il famigerato segreto che non mi hanno mai voluto dire, no?- Annuì, incerta.
E le spiegai tutto. Le raccontai della missione in cui avevamo incontrato Cyrus e di come avessi fermato le fiamme, di quelle arcobaleno che avevo creato, dei miei occhi rossi e poi del colloquio avuto con Bellocchio, insieme a Sara, in cui i due mi avevano parlato dei Legami. Poi passai alle giornate di allenamento, alla crisi più terribile avuta non appena la mia mente, che dovevo allenare, era stata svuotata lasciando spazio al pensiero della morte dei miei a cui non avevo mai riservato nemmeno un momento. Dopodiché agli allenamenti, ai miei poteri e a come essi mi avessero aiutato a far fronte alle crisi più piccole avute in seguito, fino a farle sparire.
Alla fine Chiara sembrava svuotata di qualsiasi emozione e voglia di fare, tanto che non riuscì nemmeno a stupirsi più di tanto per la rivelazione che le avevo fatto. Evidentemente si era già sorpresa, sconvolta, turbata e confusa così tanto nei minuti precedenti che la sua reazione alla fine fu un semplice “ho capito”. Dopo un po’ però aggiunse: -Quindi i Victory danno la caccia a quelli come te perché siete infinitamente potenti?
-Infinitamente no… ma sicuramente siamo una spina nel fianco di chi ci ha come nemici.
-E questo criterio di selezione dei Legati è casuale, hai detto?
Annuii. -Non ho idea di come facciano a rilevare le nostre posizioni e a capire che siamo Legati a qualcuno se il Legame ancora non è stato “ufficializzato”… ma se non lo si è dalla nascita non si può sperare di ottenerne uno, almeno credo, o comunque da quello che ha detto Bellocchio sembra che i mezzi ci siano ma che siano davvero terribili, dolorosi e che condannino l’umano che ne ha voluto uno. Mi spiace, Chià.
-Per cosa?
-Be’, non sarai mai eccezionalmente figa come la sottoscritta!

Mi fece talmente piacere riprendere i contatti con Chiara che nei giorni successivi mi allenavo con il sorriso. Andavo con Sara in una palestra dei sotterranei che perciò era quasi sempre chiusa agli occhi degli altri ma non importava più di tanto a nessuno: lì sotto erano sempre tutti indaffarati alle proprie postazioni oppure dovevano fare su e giù per la base segreta. Quando incrociavamo Angelica era sempre troppo occupata e di corsa per poterci dedicare più di un saluto appena mormorato o un sorrisetto stanco.
Ogni tanto ci portammo dietro Chiara, consapevoli di non essere controllate da Bellocchio - se lo fossimo state, non aveva nulla da ridire. Lo facevamo per lo più su mia richiesta, scoprii che alla contraente di Articuno la mia amica era pressoché indifferente. Probabilmente se non fossi stata anch’io una Legata avrei ricevuto il medesimo trattamento, gentile ma distaccato, che la ragazza le riservava. Chiara era affascinata dai nostri poteri e se ne stupiva ogni volta, pur non essendosi sbilanciata troppo quando le avevo rivelato la mia identità, troppo stanca a causa della sorpresa del mio comportamento innaturale riguardo la morte dei miei genitori.
Ma arrivò il giorno in cui anche Sara dovette partire. Lei doveva andare a Kanto e sarebbe stata praticamente da sola. C’erano sicuramente altri due Legati, ovvero gli altri del trio di cui Articuno era parte, e buone probabilità che anche Mew si fosse messo in gioco con un Legame.
Non ero proprio triste quando partì, al contrario di quando se n’era andata Ilenia. Mi aveva detto, da brava maestra quale era diventata, di continuare ad allenarmi da sola o magari aiutandomi con i miei Pokémon. E poi sapevamo entrambe che Kanto e Johto erano vicinissime, avremmo avuto sicuramente occasione di reincontrarci prima che le Forze del Bene organizzassero un attacco consistente al cuore del Victory Team.
Però, rimasta sola con Chiara, mi accorsi di quanto fosse vuota la base segreta. Sentii dire che Oxygen ancora era in missione ed ero parecchio preoccupata; chiesi a Bellocchio notizie da Ilenia ma non mi raccontò nulla su di lei, se stesse bene o no; Daniel lo incontravo una volta ogni tanto e poi anche lui partì per una missione, forse nella stessa Sinnoh, finché non lo persi totalmente di vista. Tutti questi contatti perduti mi fecero realizzare quanto pochi fossero i miei amici o anche solo le mie conoscenze all’interno della base. Mi venne in mente Cynthia ma né Chiara, né tantomeno Melisse - almeno lei era rimasta - o Angelica sapevano dove fosse la formidabile Allenatrice. “Una forte come lei avrà sicuramente un Legame” mi dicevo, “e sarà partita per qualche regione lontana.”
Poi sospiravo mentre i giorni passavano, i miei miglioramenti senza l’aiuto di Sara si facevano molto più lenti e meno sensibili e il giorno della mia partenza inesorabilmente si avvicinava. Mancavano dieci giorni: trascorrevano veloci tra un allenamento e l’altro, le chiacchierate con Chiara erano lunghe e divertenti e mi facevano distrarre da qualsiasi altro pensiero. Poi feci un incontro inaspettato che accelerò ancora il corso del tempo.
Ero nella sala degli allenamenti, stavolta da sola, alla ricerca della giusta concentrazione che poteva mettermi in contatto con i miei Pokémon anche durante un combattimento, senza farmi prendere dall’ansia e dall’adrenalina. Un altro campo era occupato da due ragazzi che non conoscevo, ma quando capii di sentirmi osservata realizzai che c’era qualcun altro, lì dentro, che mi aveva individuata al posto loro.
Fece per andarsene ma io richiamai June nella Ball e gli corsi dietro. Volevo sapere qualcosa di più sull’intesa di cui aveva sempre parlato e su che basi avesse detto che ero tanto brava e adatta per la missione. -Aspetta… Rosso.
Si voltò con la sua solita espressione di diffidenza e disinteresse. Ma poi, inaspettatamente, accennò un mezzo sorriso che mi parve quasi beffardo. -Che c’è, contraente di Ho-Oh?
Vacillai per un momento sulle mie gambe nel sentirmi rivolgere quelle parole. Rosso sapeva dell’esistenza dei Legami?! Che Bellocchio lo venerasse così tanto da rivelargli ogni segreto che custodisse? Non volevo pensare alla sua vita privata, allora. Meno male che Rosso era così silenzioso e chiuso e a malapena parlava con i suoi studenti per qualcosa riguardante le sue “lezioni”. -E… e lei come fa a sapere dei Legami?- balbettai quindi.
Lui, tenendo quel mezzo sorriso che si addiceva parecchio al suo aspetto di “ragazzaccio trasandato”, rispose: -Dammi del tu. E poi queste sono cose che il Master dovrebbe sapere, no?
-Ehm… non lo so.
Ero parecchio imbarazzata e disorientata da tutta quella confidenza. Desiderai ardentemente di avere Chiara al mio fianco mentre Rosso ridacchiava. Ridacchiava. Avevo bisogno di qualcuno che mi confermasse di non avere un miraggio e con cui fare congetture sulla botta di vita che aveva d’un tratto preso possesso del gelido Rosso.
-Be’… quindi tu, Rosso, sai dei… va bene.- Le mie facoltà mentali avevano deciso di abbandonarmi proprio durante quei momenti; arrossii vistosamente. Mi succedeva sia quando andavo in confusione che quando parlavo con adulti o con chi non avevo confidenza. -Ne hai uno anche tu, per caso?… Di Legame, intendo.
Lui scrollò le spalle e scosse la testa. -Ma sinceramente non me ne importa nulla- aggiunse a quei due gesti. -Anzi, forse lo preferisco. Conoscendomi, credo che mi monterei la testa e abbandonerei la mia squadra per il mio eventuale Leggendario. E non voglio separarmi dai compagni di una vita.
“L’unica volta in cui l’ho sentito parlare così tanto è stata quando ci ha fatto la ramanzina in onore dei bei tempi andati…” pensai sempre più disorientata. Però le parole che aveva detto erano forti e soprattutto veritiere. Non dovevano essere pochi i casi in cui qualche Legato aveva abbandonato i Pokémon comuni per sopraelevarsi ancora di più, salire un ulteriore gradino verso la “divinità”. -Sì, in effetti…- mormorai soprappensiero.
-Tu hai un buon rapporto con i tuoi Pokémon, coltivalo con attenzione e non dimenticarti mai di loro. Possono esserti d’aiuto quando il tuo Leggendario non è in grado di starti accanto, potrebbe accadere, e ti conoscono molto di più e da più tempo- mi consigliò. E poi mi mise in guardia: -Però non riponi abbastanza fiducia nella tua squadra. Forse ti aspetti anche troppo da loro, eppure sono Pokémon giovani ed è normale, come te che da pochi anni sei un’Allenatrice: una novellina, insomma. Non dovresti mostrare loro il tuo malcontento quando non fanno quello che ti saresti aspettata, in questo modo li confondi e basta, oltre a scoraggiarli.
Avevo le sopracciglia talmente inarcate dalla sorpresa che giusto un centimetro di pelle doveva separarle dal cuoio capelluto. Non solo non mi aspettavo di incontrare Rosso, né di vederlo sorridere o sogghignare, né di sentirlo parlare così tanto: si metteva pure a darmi consigli come mai aveva fatto con altri studenti? “Ma forse è perché ho un Legame, l’avrà fatto pure con Ilenia e altri… però cavolo, non lo riconosco nemmeno! Si è pure tagliato la barba e ora sembra un quindicenne…! Qualcuno deve avergli fatto qualcosa, è inspiegabile!”
Tanto ero occupata a cercare di capire cosa gli fosse successo che quasi non feci caso a quel che mi aveva detto: lo sentii e lo assorbii, sì, ma sul momento non ci pensai. Ed evidentemente apparivo così concentrata e pensierosa che lui dovette domandarsi se lo avessi sentito. -Ehi… mi stai ascoltando o…?
-Sì!- scattai, arrossendo nuovamente. -Senti allora, Rosso, ma l’intesa di cui hai sempre parlato? Posso trovarla in questo modo, fidandomi della mia squadra? Oppure c’è qualcos’altro?
Fu così che Rosso tornò serio e la sua espressione si trasformò, smettendo di essere quella di un ragazzo allegro e chiacchierone, alla quale si sostituì quella adulta e concentrata sul suo ruolo di Master. -Il rapporto di cui parlo io si può costruire solo con il tempo e, soprattutto, solo con le esperienze all’aperto, dal vero- mormorò. -L’ambiente in cui gli Allenatori e i Pokémon delle Forze del Bene sono cresciuti è solo una simulazione di una realtà in cui ci si dedicava ad allenare sé stessi e i propri compagni, ma soprattutto a divertirsi. Ora siete… anzi, siamo in guerra. E fin da subito ho capito che era quasi impossibile che esistesse qualcuno che avesse costruito una simile intesa.
Lo ascoltavo in silenzio, rapita. -Quando ho detto quelle parole piuttosto dure nei vostri confronti… era perché non volevo impedirmi di sperare che uno di voi fosse stato in grado di farlo. In quel modo sarebbe uscito fuori, di sicuro, qualcuno che c’era riuscito. Non successe, qualcuno però ha fatto progressi mentre qualcuno non sa proprio cosa fare con i propri Pokémon, a parte combattere. Ma non per questo non dovevo provare, no? E poi tu sei pure avvantaggiata: con il potere della mente, credo che tu lo abbia, puoi comunicare con i tuoi Pokémon quando vuoi.
Non risposi, concentrata sulle sue parole. Oxygen aveva avuto ragione: Rosso non si era aspettato mai nulla. E probabilmente aveva riconosciuto grossi miglioramenti fatti durante quel percorso.
-… Secondo me non mi stai ascoltando.
-Eh?! Sì sì, l’ho fatto, davvero!- sobbalzai dopo il suo borbottio. Mi guardava con un viso a metà tra l’incuriosito e il sospettoso, e prima di distogliere velocemente lo sguardo da lui dovetti ammettere che quando non faceva troppo il Master i suoi occhi marroni, altrimenti freddi e vacui, erano davvero espressivi. -Stavo solo… pensando. Al tempo e all’esperienza che ancora dobbiamo fare un po’ tutti… sia come Allenatori che come Pokémon. E poi… ehm… niente, è solo che ho sempre pensato che tu ti aspettassi chissà cosa da noi, invece… sono un po’ sorpresa.
“Ma giusto un po’, eh.” Rosso riprese a sorridere, con aria di sfida. -Be’, fai bene a ragionare su queste cose! E sì, sono stato abbastanza freddo e detestabile, lo ammetto, ma dovevo darmi un po’ di arie in quanto Master… e poi dopo essere sceso da un Monte su cui ho temprato il mio spirito e la mia squadra era d’obbligo fare così!
Rise di gusto dopo aver detto questo. “Chi sei tu?! Cos’hai fatto al vero Rosso?”
-Allora quando devi partire, tu?- mi chiese poi.
-Oh? Per cercare i Legati a Johto?- Annuì. -Tra una decina di giorni, se non arrivano sufficienti informazioni prima. Ma devo innanzitutto ritrovare Ho-Oh e poi mettermi alla loro ricerca insieme alla mia amica.
-Che è Legata a…?- Risposi Lugia e inarcò le sopracciglia. Gli confermai che, nonostante i nostri Leggendari dovessero essere praticamente agli antipodi, andavamo molto d’accordo. Riprese: -Oh, bene! In effetti è giusto che i Legami non influenzino il rapporto con le altre persone. Sarebbe scorretto nei nostri confronti.
Mormorai l’ennesimo “eh?” confuso e sorpreso che lui neanche udì poiché stava girando i tacchi per andarsene. -Allora a presto, contraente di Ho-Oh!- Neanche ricordava il mio nome, probabilmente. -Ricordati quello che ti ho detto, mi raccomando, e non dire a nessuno di questa conversazione, altrimenti perderei tutta la mia aura leggendaria… anche se non ho uno straccio di Legame! Ahahah! Buona fortuna con la missione!
No davvero. Non era possibile che fosse lui, era troppo spensierato e scanzonato. Di sicuro aveva la stoffa per fare l’attore, vista la maschera impassibile e severa che era riuscito a indossare con tanta facilità.
Ma allora che fosse il vero Rosso quello che ghignava beffardo e si impicciava un po’ dei fatti altrui? Che quel giovane uomo in grado di apparire come un ragazzetto, almeno nei comportamenti oltre che nel modo di presentarsi, avesse voluto farmi vedere com’era lui prima di isolarsi sul Monte Argento?
Se sì, ammisi con un sorriso dopo averlo salutato appena con una mano, era di gran lunga migliore quel suo carattere da giovanotto temerario e curioso. Il mio era un sorriso nostalgico, come se avessi e quindi rimpiangessi ricordi di quando Rosso era ragazzino e girava la sua regione natale, Kanto, insieme ai suoi Pokémon.
Aveva ragione. Solo vivendo nella realtà e non simulando un accumulo di esperienze che solamente un viaggio con i propri compagni poteva offrire, si poteva sperare di stringere un rapporto quasi telepatico, empatico al massimo con la propria squadra. Le avventure leggere, spensierate ma piene di sana adrenalina che si potevano vivere in un simile viaggio… non sapevo dire se avrei mai avuto la possibilità di sperimentarle. Sperai ardentemente di sì, se i risultati potevano essere quelli che Rosso aveva ottenuto con i suoi Pokémon.
A guerra finita, se si fosse presentata l’occasione, avrei viaggiato per il mondo. Me lo ripromisi. Di rado ero stata così decisa e determinata a fare qualcosa, ma giurai che avrei fatto di tutto pur di imitare ciò che aveva fatto Rosso e di tagliare i suoi stessi traguardi, non per ottenere qualcosa ma per completarmi come Allenatrice.
Intanto dovevo contattare qualcuno. Un altro professore, quello con cui ero senza dubbio più in confidenza e che era il mio preferito. Scrissi a Oxygen sul PokéGear: “Quando tornerai dalla tua missione? Mi manchi.”
A dire la verità non mi aspettavo che rispondesse, credevo che la risposta l’avrei avuta direttamente quando lo avrei incrociato per i corridoi della base segreta e magari avessimo combinato un incontro per parlare un po’.
Invece la sera stessa mi arrivò un messaggio: laconico e freddo ma conciso. “Sono a Hoenn. Non so quando mi faranno rientrare.” Ero molto emozionata ma il mio sesto senso di contraente mi diceva che qualcosa non andava.
Avrei voluto rispondergli “ti aspetto”, ma visto che non aveva idea di quando sarebbe tornato sarebbe stata una bugia, perché di lì a dieci giorni io me ne sarei andata a Johto e non sapevo se l’avrei rivisto in tempo. E quindi, mentre Chiara parlottava di qualcosa sia con me che con una del suo corso, facendo finta di sentirla mi sistemai le coperte e gli risposi, prima di mettere via il Gear, con la verità. “Io tra neanche dieci giorni devo partire per Johto e, sinceramente, dubito che tornerò mai in questa base segreta.”
Sospirai, spegnendo il Gear e augurando la buonanotte a Chiara, nonostante fosse presto. Misi come scusa che mi ero allenata tutto il giorno e che avrei dovuto svegliarmi di buon’ora la mattina successiva. Ma rimasi sveglia per parecchio tempo a rimuginare su Oxygen e sull’eventualità di non vederci più: il solo pensiero mi faceva star male. Non volevo che ci dividessero, volevo incontrarlo almeno una volta prima di separarci. Per me sarebbe stato rassicurante andar via con il pensiero di qualche parola di conforto detta da lui e forse anche l’illusione della possibilità di rivederci mi avrebbe fatto piacere, se l’avesse presentata lui.
Ma poi mi ricordai delle catene delle relazioni affettive che dovevo spezzare. Ebbi un tuffo al cuore al pensiero di quello che mi spettava veramente: abbandonare anche lui. Non solo i miei genitori ma ora mi toccava lasciar andare anche la persona che amavo. Almeno gli amici potevo tenermeli? Era quello che speravo; ma subito capii che anche loro potevano dover essere cancellati dalla mia vita. Perché dovevo recidere quelle catene?
Perché in questo modo niente mi avrebbe trattenuta dal fare qualcosa che poteva nuocere agli altri, soprattutto se necessario. Perché io per prima avrei sofferto di meno a smettere di amare e di voler bene a qualcuno che poteva ostacolarmi nel mio ruolo di Legata, di contraente, che non doveva agire in base alle proprie emozioni e a quello che desiderava ma solo per ordine del proprio Leggendario. Sarebbe stato meglio coinvolgere, sempre e solo se necessario, persone nei confronti delle quali non provavo nulla anziché i propri affetti.
Quindi forse per il momento potevo permettermi di continuare ad avere degli amici. Ma se poi questi si fossero messi in mezzo per qualsiasi ragione, se Ho-Oh e altri Leggendari e Legati con cui mi sarei alleata - in primis Ilenia con cui avrei intrapreso quella missione - non li avessero ritenuti degni o li avessero considerati un impiccio, un ostacolo… allora dovevo eseguire gli ordini che mi avrebbero dato. Che mi aspettasse un’altra volta la Morte?
Strinsi involontariamente il piumone. Era giusto così, era giusto, “È giusto così” mi dissi più volte nel tentativo di calmarmi e di convincermi, per l’ennesima volta. Avrebbe mai smesso, quella parte ostinata di me, a cercare di rifiutare quell’aspetto del mio futuro? Doveva farlo, altrimenti non sarei mai riuscita ad adempiere ai miei compiti di Legata. Forse potevo ancora non pensare alla morte che io stessa, se fosse stato necessario, avrei dovuto portare.
Sospirai lievemente e chiusi gli occhi. Allora era quella una delle situazioni in cui si rivelava la doppia faccia di Ho-Oh, portatore di vita e altrettanto messaggero di morte. O meglio, io sarei stata la sua messaggera in ogni caso, perché lui era una vera e propria divinità. Quasi non ci credevo. Era davvero difficile pensare che i Pokémon, esseri che nemmeno erano conosciuti alla gran parte del mondo, gestissero le questioni umane e della natura.
Intanto però dovevo sistemare la faccenda con Oxygen. Era meglio che quei discorsi, quei dubbi, li facessi con Ho-Oh stesso, che sarebbe stato in grado di aiutarmi e mostrarmi come andare avanti. Non era detto, poi, che sarei riuscita a incontrare il - ancora mio? - ragazzo prima della partenza… in quel caso non lo avrei nemmeno salutato, sarei sparita senza dire nulla. Forse lo avrei rimpianto per qualche tempo ma poi avrei lasciato perdere.
E invece Oxygen tornò qualche giorno dopo, mettendomi di fronte alla difficoltà di dovergli dire addio faccia a faccia, nella realtà. Mi sentii una codarda ad avere quelle paure ma forse potevo considerarlo ancora normale. Mi avvisò del suo arrivo ma non riuscii a incontrarlo nella base, per questo decidemmo di vederci fuori.
Quando vidi la sua figura allampanata e così ben conosciuta mi prese, com’era prevedibile, il batticuore. Prima di avvicinarmi feci un respiro profondo, senza programmare alcuna battuta, sicura che non avrei seguito alcun copione neanche se lo avessi voluto, e senza sapere in che modo presentarmi a lui. Mi diressi verso Oxygen simulando la calma più totale e attribuendo il mio volto corrucciato al vento teso che soffiava. Nuvoloni plumbei che oscuravano il cielo ci minacciavano con una pioggia che sarebbe stata violenta e improvvisa.
“Ho-Oh, dammi la forza” pregai appena il ragazzo si accorse della mia presenza. Detto fatto, anche se non me lo aspettavo: sentii un’ondata di calore propagarsi nel mio cuore e calmarlo, rassicurandolo e riscaldandolo.
Oxygen mi sorrise lievemente e subito lessi nei suoi occhi socchiusi e nel suo animo, con il potere della mente, che qualcosa lo turbava e lo impensieriva. Inoltre avvertivo una nuova essenza nella sua aura che non mi ispirava niente di buono a giudicare dai suoi sentimenti, anche se dipendeva dai punti di vista. Non riuscii a parlare per prima e il mio silenzio dovette essere eloquente per lui. Parlando piano mi chiese: -Qualcosa non va, Eleonora?
Sentirlo pronunciare il mio nome mi faceva ancora un certo effetto ma subito esso non divenne altro che un’eco di tempi piacevoli passati assieme, pronta a sparire appena l’avessi voluta cancellare. Con voce ferma risposi: -Uhm, diciamo. Ci sono cose importanti e impegnative che ti devo dire e spero di riuscirci. Sicuramente con l’aiuto necessario ce la farò ma tanto, ormai, sono poche le situazioni in cui non riesco a parlare.
Quelle parole dovettero stranirlo un po’. Forse si aspettava che quell’aiuto lo stessi chiedendo a lui e decise, per il momento, di non rispondere. Piuttosto mi disse: -Sì, in effetti anche io devo dirti qualcosa.
-Per questo motivo sei tanto turbato?- Lui si stupì e mi chiese di ripetere. Sentii che una parte di lui voleva fingere di non capire. Grazie all’influenza di Ho-Oh riuscivo a parlare spontaneamente e senza difficoltà. -Sento che sei molto preoccupato per qualche motivo, ma se non vuoi dirmelo non importa, lo posso capire. Però non posso non avvertire quanto tu sia diverso, o forse lo posso sentire solo ora.
Feci una pausa. Lui, dopo un momento di stupore, sorrise amaramente e distolse lo sguardo da me. -Ho capito. Da quale Leggendario derivano i tuoi occhi rossi, Eleonora? Io non ho la facoltà di leggere un’aura, purtroppo.
-Da Ho-Oh… immagino che io non possa mettermi in contatto con lui senza cambiare il colore dei miei occhi…- sbuffai, un po’ seccata dalle mie iridi cangianti e fin troppo rivelatrici. -Sono Legata a lui. Si è manifestato mentre ero in missione dentro la Via Vittoria e sono riuscita ad affrontare Cyrus senza troppi problemi, grazie a lui. Devo ammettere che è meraviglioso avere un Legame, ma Bellocchio non poteva immaginare tanta positività da parte mia… e quindi ha rimandato a lungo quest’informazione. Per questo non sono più arrabbiata con lui.
Il mezzo sorriso di Oxygen era talmente falso che cercavo di trattenermi dallo sbraitargli di essere normale e sincero e di non fingere, perché non riusciva a farlo decentemente. Il mio tono tranquillo lo facevo derivare dalla concentrazione che esercitavo per il potere della mente ma ancora non volevo guardare a chi fosse Legato lui.
-Non t’importa se anche io ho un Legame, Eleonora?- mi chiese riprendendo a guardarmi.
Gli sorrisi. Vidi la sua maschera incrinarsi di fronte al distacco e alla freddezza che comunicavo. Avere il potere del fuoco non significava affatto non riuscire ad essere impassibile e gelida, soprattutto se mi facevo aiutare da quello della mente. -A me non importa più di niente, ormai. Non mi deve importare più di niente.
Guardò altrove. Quando riparlò aveva la voce piuttosto spezzata. -Eppure io sto malissimo, al contrario tuo. Io sto malissimo anche se ho un Legame, e lo ho da tempo, ma tu prima non potevi saperlo, non potevi vederlo… e mentre tu hai superato tanto tranquillamente la morte dei genitori, io non riesco a far fronte al rapimento di Argon e Kripton…! I Victory li hanno presi e Rayquaza non ha neanche provato ad aiutarmi, da solo non ce l’ho fatta, e il Nemico continuava ad attaccare; loro mi hanno aiutato a fuggire ma per farlo si sono fatti prendere…!
Forse non lo amavo più - o non potevo amarlo più, ma sentirlo singhiozzare e parlare con tanta difficoltà dopo mesi in cui era stato lui a consolarmi, ad essere forte per me, mi fece stare inevitabilmente male. Era pur sempre un mio “simile”, se non eravamo amanti eravamo amici e se non potevamo essere neanche quello allora alleati. Dovevo aiutarlo per il suo bene e per quello di tutti noi Legati, affinché non fosse lui a cadere nel baratro.
-Oxygen…- mi avvicinai, ma appena lo toccai nel tentativo di abbracciarlo lui si ritrasse. Provai tanta amarezza per quel gesto e fu accentuata dalla vista dei suoi occhi: iridi gialle, pupille strette e sclera nera. Eccolo, Rayquaza.
Misi le mani in tasca e per scaldarmi il naso, che era tremendamente freddo, soffiai un po’ di fuoco arcobaleno che mise ancor più in difficoltà Oxygen. Non potevo farci nulla se non riusciva a sostenere la sua identità e non stava bene con il proprio Leggendario, anche se la cosa mi faceva stare molto male. Sospirai.
-Ho passato quasi quattro giorni talmente pieni di allenamenti, dopo essere rientrata dalla missione e aver scoperto la mia identità, che ho messo da parte la perdita dei miei genitori, tanto ero impegnata da altri pensieri e da quelle novità. Quando poi ho svuotato la mia mente durante un allenamento e ho cercato di rilassarmi, il peso della loro morte si è fatto strada dentro di me. Ho pianto come poche volte nella mia vita. Ero depressa e anche arrabbiata, sia con me, perché non li avevo più pensati, sia con i Victory… che me li hanno portati via.
Pur non guardandomi, Oxygen mi ascoltava. -In quei momenti mi sono infuriata con Sara, pensando e temendo che pretendesse di capirmi e di rendersi partecipe della mia tristezza. Ho creato fiamme di morte, rosso sangue, con lingue violacee e nere… è stato terribile. E non è stato indolore né tranquillo. Poi ho capito una cosa e, pur incontrando innumerevoli difficoltà anche adesso, l’ho dovuta imparare; non l’ho ancora assorbita del tutto. Quel che ho dovuto fare e che devo continuare a fare è spezzare le catene che mi legano a questo mondo, che potrebbero impedirmi di servire senza alcun ripensamento il mio Leggendario, ormai mio unico punto di riferimento.
-Oxygen, sai sicuramente cosa ho potuto provare al pensiero di non essere del tutto umana. È stato a dir poco scioccante, terribile, mi ha mandata in confusione. Ma allo stesso tempo è stata l’unica cosa che sono riuscita ad accettare. Questo perché l’unico modo per andare avanti che ho, senza impazzire dal dolore e senza spaventarmi per quello che potrebbe essere un futuro di morte e di sangue… è proprio questo. Rifiutare di affezionarmi al prossimo è stato difficile ed è una delle cose che devo ancora perfezionare. Per questo ho rinnegato ogni rapporto con i miei genitori… e ho dovuto pentirmi di aver sentito la tua mancanza.
Sapevo di starlo ferendo e per questo mi affrettai a precisare, non sopportando la vista delle lacrime silenziose che scivolavano lungo le sue guance sempre più pallide: -Io… voglio adempiere al mio dovere di Legata!- esclamai portando una mano al petto. -Voglio farlo perché Ho-Oh mi sarà vicino anche nei momenti di difficoltà, anche se non sarà sempre in grado di aiutarmi davvero. E lo voglio fare perché quando tutto questo sarà finito farò di tutto per tornare alla normalità e, se mi sarà possibile, riprendere a voler bene a qualcuno, ad amare, magari. Ho già un sogno, quello di viaggiare per migliorarmi ancora e crescere come Allenatrice… ma per ora, e questo dovrebbe valere anche per te, la cosa migliore da fare per noi stessi e per i nostri Leggendari è combattere con ogni mezzo che ci è concesso, prevenendo già da ora ogni possibile ostacolo che potrebbe esserci!
Sperai che queste parole lo potessero aiutare. -Per questo, Oxygen…- smisi di parlare con voce forte e decisa, mi calmai nuovamente; -… Io posso capire come tu ti senta. L’ho provato sulla mia pelle da poco tempo e per molti giorni. E per questo motivo l’unica cosa che mi sento di consigliarti per farti stare meglio, che ha migliorato anche le mie, di condizioni… è proprio di lasciar andare tutto e tutti. I tuoi fratelli, i tuoi amici… e me.
Seguì un lungo silenzio. Capii di aver sconvolto Oxygen e le sue speranze di poter sfuggire al suo destino. Ma così doveva essere e doveva accettarlo anche lui. Ebbi una reazione quasi spaventata quando lo sentii sbuffare, sorridendo per il nervosismo e la tristezza. -Si vede proprio che ancora non hai conosciuto il tuo Leggendario, Eleonora… si vede che ancora devi ottenere la forma materiale del Legame ed essere sempre a contatto con lui, sei troppo ottimista… sarà per il fuoco?- disse e poi chiese, frugando nella tasca della giacca invernale.
Ne tirò fuori una spilla. Uno smeraldo brillava vistosamente nel timido sole di gennaio assorbendo anche la luce della neve candida e pura. Guardava la spilla fatta d’argento, in cui era incastonata la pietra preziosissima, come se la volesse distruggere con gli occhi. Sentivo il suo desiderio di disfarsene e la tremenda frustrazione nel non riuscire a separarsi da essa: quei sentimenti violenti mi turbavano, non li sentivo suoi. Non era l’Oxygen che avevo conosciuto ed amato. Era una persona sull’orlo della follia per il dolore di non essere normale.
-Tu odii Rayquaza- mormorai stringendo i pugni. -Lo odii perché non ti vuole permettere di essere umano e di provare sentimenti umani. Eppure è proprio questo che un Legato dovrebbe fare ma che tu non riesci a fare perché non lo vuoi. Tu non vuoi smettere di voler bene ai tuoi fratelli e a chi altri ami… perché…
-Ti prego, Eleonora!… Se non riesci a dire altro, fai silenzio. E… e vai via.- Mi interruppe con queste parole trasudanti una disperazione che a malapena riusciva a nascondere. -Altrimenti dimmi…- riprese, -dimmi come fare per riportare te alla normalità! Io non sopporto… non riesco a sentirti parlare in questo modo! Non ho potuto fare a meno di amarti e di desiderare che il tuo Leggendario non rovinasse il tuo essere così meravigliosamente umana, per me sarebbe… sarebbe meglio vederti piangere e soffrire, ma almeno avere la possibilità di proteggerti e di percepire la tua normalità! Sapevo che avevi un Legame quando abbiamo iniziato a frequentarci, ma…
-Basta così.
Trasalì e si fermò di colpo. Non lo guardavo più, non volevo guardarlo ma sentivo fin troppo bene quanto fosse distrutto. Non volevo che le sue parole mi contaminassero e mi impedissero di andare avanti sulla strada che avevo scelto, insieme a tutte le perdite che essa comportava. -Tu resti mio alleato, Oxygen. Finché vivremo saremo sempre alleati, che tu lo voglia o no. E poiché siamo legati l’uno all’altro da un destino comune ho voluto aiutarti, mostrandoti un modo per resistere al peggio. Ma la verità è che, finché rimarrai umano, avrai sempre la possibilità di rifiutare il tuo destino. Già, peccato che…- mi sfuggì una sorta di ghigno, quasi malevolo e impietosito per i comportamenti del ragazzo; -L’unico modo per essere veramente libero sia di ucciderti…
Non sapevo perché continuavo a sorridere e a guardare in basso. Forse me lo comandava Ho-Oh che in quel modo voleva punire Oxygen, tramite me, la ragazza che amava. Fu allora che riconobbi di essere finalmente più vicina al mondo dei Leggendari che a quello umano, perché anche io volevo rimproverare il ragazzo. Gli avevo offerto di sfuggire al dolore con la mia comprensione e condividendo il modo in cui ero riuscita ad accettarmi e ad amare l’altro contraente del mio Legame, oltre alla parte non umana di me che iniziava a prendere il sopravvento, a prevalere su quella della normale Eleonora.
Oxygen non rispose nulla e forse era meglio così. Conclusi io quel triste incontro. -Allora addio, Oxygen. Prima di agire in base alla tua follia di umano, contempla la possibilità di apprezzare l’altra tua identità. Altrimenti non faresti che logorarti ancora. Spero che farai la scelta migliore per tutti noi, ma è soprattutto per te, sai?…
Mi voltai dopo avergli lanciato un’ultima occhiata e tornai nella base segreta, sentendo che Ho-Oh se ne andava momentaneamente da me stessa. Ma stavolta non ci fu molta differenza tra uno stato d’animo e l’altro. Ci stavo riuscendo, stavo abbandonando tutto e tutti… com’era giusto che fosse.

Passarono altri due giorni relativamente tranquilli; ripresi ad allenarmi come se niente fosse, parlando con Chià del più e del meno, divertendomi, e rimuovendo completamente ogni traccia di Oxygen dalla mia vita. Anche perché non incontrai più il ragazzo: probabilmente era tornato a Hoenn. Ma non m’importava più. Capivo ancora quanto dovesse essere stato doloroso per lui non riconoscere più in me la ragazza di cui si era innamorato e sentirsi chiamato ad adempiere al suo dovere. Allo stesso tempo, però, provavo un po’ di pena per lui e per la sua fragilità. Ma non c’era altro modo, davvero, per aiutarlo.
Continuavo a parlare con Chiara fingendo di non immaginare un giorno in cui avrei dovuto lasciare anche lei. Questo perché ero sicura che se fosse venuto sarei stata in grado di dimenticarla senza reticenze.
Poi incontrai Daniel e fui molto felice di rivederlo, soprattutto perché non me lo aspettavo. Quella sera - avevo già cenato - stavo andando in biblioteca in cerca di un libro riguardante l’utilizzo dei poteri, e per farlo passai davanti alla porta dell’ufficio di Bellocchio. Mentre mi stavo avvicinando quella si aprì e ne uscì il ragazzo.
-Daniel!- esclamai alla sua vista, sorridendo.
Si voltò verso di me e ricambiò l’espressione di piacevole sorpresa. Non lo abbracciai né altro e nemmeno lui cercò un contatto fisico; dopo avermi salutata gli chiesi: -Che ci fai qui? Non eri stato mandato in un’altra base?
-Ehm… diciamo di sì, a dirla tutta mi hanno messo a zonzo per Sinnoh. Però poi mi hanno chiamato da qui per fare rapporto, quindi sono tornato. Ma è solo per oggi, riprenderò la mia missione al massimo domani.
-Oh, ho capito. Anche io devo partire tra due giorni… o tre. Sì, tre.
Mi chiese quale fosse la mia meta e gli dissi che sarei andata a Johto per un bel po’ di tempo. Replicò che gli sarei mancata ma che anche a lui toccava stare lontano dalla base principale per parecchio. Mentre parlava riconobbi qualcosa di strano sia nel suo aspetto che in ciò che lui era, cosa che potevo vedere grazie al potere della mente; tutto quello era stato offuscato dalla felicità di reincontrarlo quando avevo smesso di sperarci.
-I tuoi capelli…- “E la tua aura” pensai in più, ma non lo dissi appena mi arrivò un’ondata di preoccupazione e di ansia da parte sua. Si riavviò, spettinandosela, la chioma non più del tutto castana. Alcune ciocche erano tinte di blu e parti di esse e del resto erano striate di un luminoso grigio.
-Ah, eh… ho fatto…
-Tu hai un Legame- mormorai.
Non sapevo dire perché fossi tanto turbata da quella scoperta ma i cambiamenti nella sua aura, mista a quella di un Leggendario, e nel suo aspetto - si era alzato e mi pareva avesse le spalle più larghe, oltre alle braccia più muscolose, ma non sapevo dirlo con certezza a causa dei vestiti invernali - furono per me una grande sorpresa. Forse perché non mi aspettavo che anche lui fosse coinvolto in tutto quello, che anche lui avesse un Legame. Forse perché quello lo rendeva diverso dal Daniel che avevo conosciuto, trasformandolo in un servitore divino. Come me, così come il mio Legame aveva cambiato profondamente anche me.
Passarono lunghi secondi di silenzio. Immaginai che i miei occhi avessero cambiato colore, perché Daniel si riscosse e finalmente smise di essere basito; rispose: -Sì… sì. Allora anche tu… io sono Legato a Dialga.
“Ma certo.” I discorsi sul tempo, quella sua improvvisa filosofia di due mesi prima… da chi potevano essere stati instillati in lui e ispirati, se non dalla divinità a cui era affidato il controllo del tempo?
-Quando si è rivelato?- chiesi a bassa voce. La risposta fu quella che mi aspettavo: prima del suo compleanno, quando mi aveva chiesto cosa fosse, secondo me, il tempo.
Quasi non lo sentii chiedermi quale fosse, invece, il mio Legame. Le mie orecchie si chiusero al mondo appena sentii Ho-Oh insinuarsi dentro di me senza alcun preavviso e senza richieste da parte mia. Lo avvertii più pesante e terribile che mai: c’era qualcosa che non andava, lo percepivo chiaramente. Era turbato: mi misi in ascolto, isolandomi dalla realtà. Svuotai la mente di ogni pensiero ed emozione e sentii la sua voce.
“Arriva il pericolo. Scappate.”
I battiti della roccia che veniva attraversata senza che nessuno si accorgesse di nulla e il ronzio di elicotteri, non visibili dai mezzi che possedevano i tecnici all’esterno del Monte Corona, risuonarono spaventosamente dentro di me. Arrivavano i Victory portatori di terrore e pronti a distruggerci senza che i sensori e gli strumenti dei nostri tecnici rilevassero alcunché. Questo perché qualcosa che andava oltre la tecnologia più sviluppata li aiutava.
-Daniel, oh no…- Portai le mani alla bocca ma subito le tolsi e lo guardai con occhi colmi di disperazione. Capii subito cosa dovevamo fare. -Fa’ uscire Bellocchio, portalo in salvo, allertiamo la base segreta…!
-Eleonora, cosa…?
-Arrivano i Victory, Daniel!- strillai. -Sono qui, sono…
Un’esplosione alle mie spalle mi fece ammutolire e voltare di scatto, nonostante fossi tremendamente impaurita dalla vicinanza del nemico in un luogo che avevo sempre considerato protetto e sicuro, l’unico che avessi sempre definito inviolabile ed inviolato. Ci avevano trovati.
Ho-Oh mi suggeriva di andarmene con Daniel e il mio capo, eravamo gli unici Legati rimasti nella base segreta e Bellocchio era di vitale importanza. Ma non riuscivo a sentire altro che il panico dentro di me che dilagava, forse anche la stretta di Daniel sul mio polso mentre mi strattonava e gridava qualcosa a Bellocchio che si era precipitato fuori dall’ufficio, di quello me ne ero accorta. Fissavo le macerie della parete crollata e il fumo che si propagava per il corridoio. Da quella nuvola nera uscirono due persone che non avevo mai visto in vita mia.
Il mio Leggendario mi risvegliò e mi diede una spinta, facendomi erigere un muro di fiamme arcobaleno tra noi e loro. Ebbi un secondo di tempo per ricordarmi del mio ruolo e di cosa dovevo fare. Trasformando il panico in impeto ed energia per difendere me, Daniel e Bellocchio, gridai loro di scappare mentre mi inventavo qualcosa.
-I teletrasporti, Eleonora!- urlò Bellocchio sopra gli allarmi che erano immediatamente scattati e che mi stavano trapanando le orecchie. -Rileva i teletrasporti, puoi riuscirci! Ho-Oh non può trasferirti come invece fa Dialga!
“Al momento non me ne frega nulla di questo…!” avrei voluto replicare, ma vidi il muro di fiamme abbassarsi e poi spegnersi al gesto noncurante di una donna, una delle due figure emerse dal fumo. L’altro era un giovane uomo, entrambi dovevano essere sui venti anni, al massimo venticinque. Ed erano bellissimi. Talmente tanto che dovetti sprecare un secondo a guardarli: il loro aspetto era magnifico, sembravano senza difetti. Sentivo di aver già visto la loro fisicità e la loro bellezza, l’armonia nel loro aspetto, da qualche parte.
Mi ripresi subito dopo realizzando che la donna aveva qualche potere e aveva spento le mie fiamme. Cercai di farli arretrare investendoli con l’aria ma lei difese entrambi annullando il mio attacco. Percepivo in tutti e due un Legame di eccezionale potenza, tanto che dubitai ne avessero soltanto uno.
-Proprio voi tre cercavamo- disse tranquillo il giovane uomo. Parlava normalmente ma riuscii a sentirlo benissimo, nonostante gli allarmi assordanti. -I due Legati e il direttore del circo.
Notai le loro tute aderenti, molto belle e ben disegnate, recanti sul petto e sulle spalle lo stemma dei Victory, tinte con gli stessi colori di esso: nero, bianco, rosso e grigio. Mi soffermai di più sulle loro spade, così in contrasto con il resto del loro abbigliamento, legate alle cinture che indossavano insieme a sei Poké Ball ciascuno.
Poi mi arrivò una preziosa informazione di Ho-Oh che subito trasmisi agli altri due. -Sono loro i Comandanti…
-Ah! La contraente della Leggendaria Fenice!- esclamò teatralmente la donna. -Allora sai già usare un po’ i tuoi poteri psichici. I nostri complimenti, Eleonora, Messaggera degli Dèi!
-Eh?- mormorai di rimando, perplessa.
Subito dovetti ricominciare a cercare di colpirli con il fuoco e con l’aria: tentai qualcosa con il potere della mente ma fui respinta da una forza incredibile che i due trasudavano. Daniel mi aiutò piegando al suo volere l’acciaio che rivestiva le pareti del corridoio, spostandole per creare un muro, e dandoci tempo sufficiente per iniziare a correre mentre io continuavo a seminare fuoco arcobaleno ma minaccioso, pericoloso.
Peccato che svoltando un angolo ci ritrovammo nuovamente davanti alla donna. La paura in me iniziò a trasformarsi in rabbia, mettendo in moto tutta la mia spavalderia e la mia voglia di rendermi degna del mio Legame. Mi rivolsi a Daniel: -Metti in salvo Bellocchio in qualche modo, visto che puoi usare il teletrasporto, e poi vai a combattere contro il maschio. Io penso a lei.
-Sì, sono gli stessi programmi di Dialga- ringhiò il mio compagno.
Senza impormi alcun limite dovuto alla stanchezza o alle emozioni tempestose che provavo, iniziai a mostrare a quella donna che, insieme all’altro, comandava i Victory con chi aveva a che fare. Fiamme e vento la costrinsero a indietreggiare, niente avrebbe fermato me e Ho-Oh che mi stava appoggiando. Passavano i minuti, lo sentivo. La donna preferiva difendersi anziché attaccare e si aiutava con la spada, oltre ad usare le mani nude, protette solo da mezziguanti. L’arma resisteva ai miei colpi e la usava per spostare le vampate e per bloccare le folate impetuose.
Intanto riuscii a capire dove mi pareva di aver già visto quei bellissimi lineamenti equilibrati, simmetrici. Molti libri di storia del Primo Mondo e di storia dell’arte riportavano numerose immagini di reperti archeologici, andati per la maggior parte distrutti. Le statue cosiddette di età greca e romana, anche più belle di quelle “neoclassiche”, erano opere d’arte eccezionali, soprattutto quelle di alcuni scultori geniali. L’armoniosa bellezza rappresentata era quella che apparteneva alla donna e al suo compagno: pelle diafana senza imperfezioni, capelli biondi e ricci tanto lucenti da sembrare oro, corpi tonici e muscolosi, non proprio magri, che non riuscivo a non considerare belli.
-Qual è il tuo nome?- mi ritrovai costretta a chiedere.
La concentrazione sul viso della donna sparì e si distese in un meraviglioso sorriso. Mi distrassi, persino Ho-Oh vacillò di fronte a tanta vera, mera bellezza. Caddi a terra per evitare un fendente della sua spada e me la ritrovai puntata al collo. Serenamente, sorridendo, mi parlò con la sua voce altrettanto meravigliosa: -Io mi chiamo Nike!
Nike. Vittoria, questo lo sapevo. Che avesse dato lei il nome al suo Team? E come poteva chiamarsi quello che doveva essere certamente suo fratello, vista la somiglianza nel loro aspetto? O forse erano gemelli, una la versione femminile del concetto universale di bellezza e l’altro quella maschile.
Allontanò la spada ma non riuscii a muovermi, inchiodata al terreno da una forza superiore. Nike mi sdraiò a terra completamente con i suoi poteri eccezionali, le mie fiamme arcobaleno mi circondavano, improvvisamente innocue. Si inginocchiò e poi si mise mezza distesa su di me, guardandomi dritta negli occhi. Ora avevo paura di quel suo bel sorriso, provocante e terrificante, e anche Ho-Oh era molto in difficoltà.
-Perché ci combatti, Eleonora?- mi chiese a bassa voce, il suo naso a pochi centimetri dal mio. La guardavo negli occhi, incantata e forse costretta a farlo. Le palpebre leggermente calate lasciavano vedere le iridi di un bel grigio chiaro con qualche riflesso verde, ombreggiate dalle lunghe ciglia chiare, bionde. -Eppure è da tanto che stiamo cercando di farti capire quanto ti convenga allearti con noi. Perché ci combatti?- ripeté.
Avrei voluto dirle che non lo sapevo, che da tanto non combattevo più veramente e che in quegli ultimi tempi mi stavo semplicemente affidando agli ordini di Ho-Oh. Che gli unici motivi che avevo per rifiutarli era la paura nei loro confronti e l’odio per avermi portato via tutto, avermi trascinata in quel caos. Ma stetti in silenzio.
Nike sorrise più dolcemente, accarezzandomi il viso. Rabbrividii. -Devo cercare le risposte dentro la tua mente? Non credi che sarebbe più indolore dirmele mentre vieni con noi, cara?
Spalancai le palpebre ancora di più quando un campanello d’allarme - quelli della base segreta ormai si erano spenti - risuonò nella mia testa, inviato da Ho-Oh.
-I tuoi occhi…- balbettai iniziando a sudare freddo mentre mi immergevo nei miei stessi ricordi.
Nike appariva intenerita da me. Le facevo pena? -Come dici, Eleonora?
Poi intervenne la voce del suo gemello. Le imprecazioni e le esclamazioni di Daniel, che gli strillava di lasciarci andare, mi fecero capire che lo teneva sotto scacco. Doveva avere le mani legate.
-Purtroppo il contraente di Dialga ha creato un portale per Bellocchio, Nike cara- disse con voce soave. -Ci è scappato e il resto della base segreta si è riversata nel Monte Corona, ma tanto deve affrontare le reclute e tutti i Generali. Intanto possiamo andare via insieme a loro due…
-… e la sua voce- completai in un mormorio la frase di prima, interrompendolo.
Ebbi l’attenzione dei tre su di me. Nike continuava a punzecchiarmi. -Ma cosa sussurri, mia cara?
Ho-Oh mi suggerì i ricordi di cui ero in cerca. Il bosco del percorso 203 nel quale mi ero nascosta, volando con Altair sopra gli alberi e nascondendomi grazie alle loro folte chiome, appena l’Accademia era stata distrutta. Una bambina dalla pelle candida e dai lunghi, ricci capelli biondi, che indossava un vestitino di foggia classica ed era accompagnata da un Victini. I suoi occhi di quello stesso grigio chiaro che rifletteva il verde del bosco, anche se forse erano proprio grigi e verdi. Poi una voce maschile a cui la ragazzina aveva risposto tornando sui suoi passi.
-Vì…- mormorai, ricordando e imitando quel richiamo. -“Vì! Dove sei? Torna qui!”… Allora lei…?
Non lo vidi chiaramente ma lo sconvolgimento dei due Comandanti si propagò fin dentro le mie viscere. Nike si alzò di scatto e sguainò la spada. Aveva gli occhi spalancati in un’espressione di shock e anche avversità nei miei confronti: non sembrava più tanto bella. Udii la voce che aveva cercato Vì bisbigliare, scandalizzata: -Tu c’eri…?!
Una vampata di fiamme si creò da ogni poro della mia pelle e lo strillo sorpreso di Nike, che credeva di avermi bloccata, mi informò che aveva rimediato qualche scottatura. Daniel riuscì a liberarsi del ragazzo e mi afferrò per un polso. Sentii la sua voce nella mia mente: “Facciamoci strada fuori di qui.”
Diedi fuoco a tutto ciò che ci circondava e poi lui arrestò il corso del tempo. Attraversammo le fiamme senza scottarci grazie ai miei poteri e corremmo per il corridoio, spingendo più che mai sulle nostre gambe. Nike e il gemello erano stati fermati insieme al tempo.
Poi Daniel mollò la presa su di me e aprì due squarci nella parete. Erano dei portali, uno per me e uno per lui. -Ti mando a Johto, Eleonora- ansimò. -Ad Amarantopoli.
Annuii. Feci per entrare dentro la porta mistica che aveva creato mentre lui si buttava a capofitto nel proprio varco e spariva con esso. Ma qualcosa mi strattonò, cercando di trattenermi lì. Era il gemello di Nike, di cui ancora non conoscevo il nome. Era pericolosamente vicino: accostò la bocca al mio orecchio e mi strinse con forza inaudita i polsi, ammanettandomi con una sola mano. Gemetti addirittura dal dolore per la sua presa.
-Non preoccuparti, Eleonora- ringhiò, facendomi invece preoccupare non poco. -Siamo ancora disposti a perdonarti, ma dovremo chiederti chiarimenti su “Vì”…!
-Lasciami, lasciami!- strillai in preda al panico. Strinsi i pugni e invocai mentalmente Ho-Oh. L’uomo gridò qualcosa di imprecisato appena le fiamme si avventarono nuovamente contro di lui, nonostante avesse pensato di bloccare i miei poteri grazie ai suoi, e io entrai nel portale.
Ma avevo un brutto presentimento. Qualcosa nel teletrasporto sarebbe andato male a causa dell’intervento del Comandante, questo mi disse Ho-Oh prima di svanire da me. Questo perché l’uomo lo aveva manomesso.
Fui buttata nel mezzo di un praticello, circondata da dell’erba alta e dall’oscurità della notte già scesa. Senza la forza, l’audacia e l’adrenalina che mi erano state trasmesse dal mio Leggendario per sostenermi, ebbi un capogiro e barcollai malamente nel tentativo di rimettermi in piedi da che ero sdraiata. Ansimavo, sfiancata, senza dare segni di miglioramento. Non riuscivo a calmarmi né a dare un ordine ai miei pensieri, ai ricordi, agli eventi che erano appena trascorsi. L’unica cosa chiara era l’immagine di Vì e del suo compagno, il Victini cromatico.
I miei occhi si abituarono all’oscurità ma non distinsi niente oltre alle sagome degli alberi, spogli ma molto fitti. Ero nel mezzo di una piccola radura e l’erba alta si beffava del clima rigido, crescendo rigogliosa. Brividi di freddo mi investivano a causa del misero maglioncino che indossavo, non abbastanza contro l’inverno. Lo stesso si poteva dire dei jeans strappati e degli stivali rovinati.
Riuscii ad inginocchiarmi a metà e stavo per darmi lo slancio, che mi sarebbe costato una fatica immane, per mettermi in piedi. Sentii un fruscio nelle vicinanze e ingenuamente lo attribuii al vento, senza nemmeno mettere mano alle Poké Ball per difendermi da un eventuale pericolo. Fu un errore ma non avrei comunque avuto modo di evitare quel qualcosa di appuntito e affilato che si conficcò in una mia spalla: persi i sensi poco dopo aver avvertito un forte bruciore lì dove ero stata presa e aver lanciato un mugolio.
Mi svegliai dopo quello che mi parve essere poco tempo perché l’oscurità non si era fatta più pesante. Subito desiderai svenire nuovamente quando ogni parte del mio corpo fu pervasa da dolori lancinanti, come scottature sottopelle: mi raggomitolai in una posizione fetale, distesa su un fianco, nel tentativo di contenere la sofferenza. Strizzai gli occhi ma dovetti riaprirli subito perché mi ero accorta di una figura inginocchiata accanto a me. Il mio cuore perse un battito al pensiero che il Comandante potesse avermi seguita entrando nel portale creato da Daniel. Poi però misi a fuoco quella persona e capii chi fosse; fece per alzarsi.
Ma io la bloccai, chiamandola. Non potevo credere che fosse lei ma la ritenni una fortuna. -Cyn… Cynthia!
Quell’esclamazione mi costò un attacco di tosse ma almeno la fermai. Sì, era proprio lei: i capelli di quel biondo chiarissimo, corti, parevano brillare nell’oscurità della sera. Quella cosa che mi aveva colpita mi stava facendo acuire i sensi prima di farmeli perdere. Sarei svenuta di lì a poco, dovevo avvertirla di quello che era successo.
-Eleonora- mormorò lei di rimando, alzandosi.
-Aspetta, aiutami…! Il nemico… nella… base del Mon… urgh!- Le mie labbra smisero di rispondere ai miei comandi e le sentii seccarsi, stanche e brucianti di dolore anch’esse. Ripresi a tossire e il sapore del sangue riempì la mia bocca: per la sorpresa rischiai di farmelo andare di traverso. Sentii un rivolo di esso bagnarmi le labbra e poi la guancia per finire a terra e macchiare l’erbetta. -Cynthia…!
-Silenzio- ordinò lei. La sua freddezza mi fece trasalire. Non riuscivo a capire quale fosse la sua espressione ma ora che ero da sola con la donna mi sentivo in pericolo. Cambiando tono di voce riprese a dire: -Aspettami qui… vado a cercare aiuto, va bene? Sta’ buona, non è niente. Torno subito…
-No, il Gear, Cyn, il…! Aaah!- Riuscii a toccarmi la spalla ferita dopo aver emesso quel gemito sfiancato e tastai quello che capii essere un lungo ago. Era sicuramente una Velenospina, ma perché Cynthia se ne andava senza lasciarmi uno dei suoi Pokémon Veleno, in grado di far ritirare la sostanza che mi stava facendo del male?
I suoi passi si fecero sempre più lontani mentre lunghi secondi passavano inesorabili. Sentivo che le forze mi stavano abbandonando e che il buio sopraggiungeva. “Ho-Oh…? E tu dove sei?”
Ma notai un cartello davanti a me. Il baluginio di luce bianca che fuoriuscì da due o tre delle Poké Ball che avevo con me mi consentì di leggerlo. Prima di svenire emisi un ultimo lamento, una preghiera. Chiesi al cielo che tutto quello non fosse vero, immaginando in un momento il futuro imminente.

“Bosco Smeraldo”






Angolo ottuso di un’autrice ottusa
È passato un anno e un giorno da quando ho pubblicato il prologo di questa seconda parte di Not the same story. Ammetto che speravo di metterci un po’ di meno ma ho avuto un lungo periodo di scarsa ispirazione a cavallo tra il 2014 e il 2015, durato da fine dicembre a febbraio, più o meno - spero di ricordarmi bene…
E quindi niente, quei mesi di vuoto hanno rallentato molto i miei progetti. Ma non importa, mi sono ripresa e ho ricominciato a pubblicare con costanza, almeno secondo i miei standard. Considero un buon risultato aver scritto 27 capitoli di una parte che conta circa 224 pagine totali in poco più di un anno. Lo considero tale soprattutto perché non avevo preparato alcun capitolo prima di partire e portare a termine una storia - in questo caso una parte - che ho quindi iniziato a scrivere da zero.
Questa seconda parte mi è piaciuta davvero tanto. In particolare da quando ho iniziato a fare capitoli più lunghi e impegnativi (lol): potremmo considerare quelli dal 12 in poi, ma soprattutto quelli a partire dall’extra mi hanno appassionata e non ho avuto grandi difficoltà a scriverli.
Ammetto però di aver avuto qualche momento di sconforto mentre scrivevo, temendo di non essere seguita e di star facendo una schifezza con questa storia, di star sbagliando tutto; ma sono andata avanti perché scrivere mi piace tantissimo e non posso fare a meno di continuare. Proprio durante quest’anno ho capito quanto fosse importante per me la scrittura e se non ho mollato, anche in periodi in cui non ricevevo recensioni, è perché non avrei saputo cosa fare altrimenti. Lo stesso vale anche per adesso e varrà per simili tempi futuri.

Ora passiamo al commento del capitolo! Scrivere la parte di Chiara mi ha divertita alquanto: qualsiasi cosa mi venisse in mente l’ho scritta; mi piace molto il rapporto di amicizia che hanno le due, tra l’altro ispirato non poco a quello che ho io con la “vera” Chiara - ciao pomodorah <3
Avevo però in mente cose molto diverse da quelle che ho scritto, soprattutto per Oxygen e Daniel. Il primo avrebbe dovuto fare il primo passo per lasciare Eleonora e sarebbe stata una cosa a dir poco deprimente, ma ho voluto essere buona e l’ho aiutata un po’, lasciando che fosse Oxygen a soffrire (che poi quasi tutti lo detestate, quindi vabbenecosì) :P Triste sarebbe dovuta essere anche la parte con Daniel: Eleonora, dopo essersi appena lasciata con il suo prof preferito avrebbe dovuto rivelare i propri sentimenti al ragazzo, ma ho deciso di no. Perché io e le storie d’amore, anche tristi, non andiamo d’accordo. Soprattutto quando devo scriverle io.
Ah, piccola nota: Nike non si legge all’americana, ma “normalmente”, quindi così come si scrive.

Adesso mi tocca fare ringraziamenti, uh…! Siete in tanti, arrivata su efp un anno e mezzo fa mi aspettavo al massimo due persone a seguirmi, l’avrei già ritenuta una fortuna, e pur avendo alzato le mie aspettative migliorando la mia scrittura non posso non stupirmi dei progressi fatti da ogni punto di vista.
Il primo ringraziamento va ad AuraNera_, mia illustr(at)issima collega e carissima amica da tanti anni e che troppo di rado posso vedere (tipo ieri), che mi sostiene sempre leggendo ogni capitolo e recensendolo puntualmente, facendomi morire dalle risate anche con le sue poche parole.
Poi ringrazio chi sta recensendo, anche chi si è fermato da molti mesi a questa parte e che spero riprenderà a leggere, ovviamente solo se gli farà piacere: non voglio obbligare nessuno e nemmeno ottenere recensioni con i “famosi” scambi. Chi vuole leggere lo faccia e se preferisce non recensire, per qualsiasi motivo, me ne farò una ragione!
Indistintamente in questa lunga lista ci vanno lagunablu, Mad_Dragon, Ashura_exarch, Barks, Akitabiba, Andy Black, Vespus, gaelle e Levyan.
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite: AngyloveMika, artorias_abysswalker, AuraNera_, Blair_chan_lovely, Foxy the fox, gaelle, Irish_irish, lagunablu e Vespus.
Grazie a gabegallo per averla tra le ricordate.
Per le seguite ringrazio ancora gabegallo, poi Akitabiba, Ashura_exarch, AuraNera_, Foxy the fox, Himeko Stukishiro, Irish_irish, Lady Darky, lagunablu, Mad_Dragon, otoshigami e Vespus.
In più tutti coloro che mi hanno inserita tra gli autori preferiti.
Un grande ringraziamento anche a chi legge e basta, non so cosa ne pensiate ma spero vi piaccia e che continuerete a seguirla, anche durante la terza parte. E grazie in anticipo a chi mai leggerà questa storia.
A proposito di terza parte. Prima di scriverla, be’, devo fare una cosa… che mi porterà via un po’ di tempo… eh. I’m sorry… ma neanche tanto. È un mio capriccio, lo ammetto, ma devo farlo per stare a posto con me stessa (?): vedrete sabato prossimo di cosa si tratta, se tutto va bene.
Grazie mille un’altra volta a tutti, ripeto che siete tanti e che mai mi sarei aspettata, appena iscritta su efp, un seguito così. Spero di non deludervi, è bellissimo e rassicurante vedere che non abbia ancora ricevuto, praticamente, commenti negativi su questa storia.
Tanti saluti, vi mando tutto l’affetto virtuale che posso darvi! A presto!
Eleonora - Ink Voice
  
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