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Autore: charliespoems    19/07/2015    6 recensioni
Il dolore e l’odio di Sasuke erano troppi per essere contenuti in quell’esile corpo. Lo spirito combattivo di Naruto, invece, gli lacerava l’anima. Tutte quelle emozioni erano esagerate anche per loro, quelli che sarebbe dovuti diventare gli eroi, ma che morirono da tali, uccidendosi a vicenda.
In una pozza di amore e sangue, con le parole non dette sulle labbra, le lacrime incastrate nelle ciglia e il cuore che, debolmente, batteva. Eppure a tutti è data una seconda possibilità, e Sasuke deve ancora riscattarsi. Deve riscattare lui, gli Uchiha, l’amore del ragazzo che giace al suo fianco.
E tutto si racchiude in un fascio di luce, che lo accoglierà accarezzandolo. Gli ricorda il suo Naruto, e ci si tuffa dentro.
Sasuke sconterà la sua pena, capirà i suoi errori in modo giusto seppur doloroso. Lo stesso dolore che, a causa sua, ha subito Naruto.
Perché nel nuovo mondo - quello di città, dove nessun coprifronte o casata conta - Sasuke dovrà rincorrerlo, e fare di tutto per essere di nuovo suo.
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Storia nata da una fanart trovata su Tumblr. É un esperimento; considerata un AU, ma sempre collegata al mondo del manga.
É la mia prima storia, spero vi incuriosisca!
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Sorpresa | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo settimo.
Di macchie vermiglie e nuovi arrivi.
 
     
        Cospargeva di colore la tela, pennellata dopo pennellata. Cercava i dettagli dentro la sua testa, a volte chiudeva gli occhi e lasciava che il polso scivolasse velocemente, impastando i colori, delineando l’immagine che in quel momento non riusciva a ricordare. Si soffermava sul rosso, poi sul nero. A volte sul bianco, giallo, blu. Era un vero casino, visto da fuori. Sembrava solo un’enorme macchia che si spargeva su tutta la tela un tempo bianca. Si ritrovò ansimante senza nemmeno sapere come, perché. Aveva fretta di capire, di sapere quello che tutto ciò che lo circondava gli nascondeva. Si soffermò a guardare la tela, mentre un paio d’occhi fatti a casaccio, rigorosamente scarlatti, lo fissavano. Avevano dei strani punti vicino alla pupilla, e un cerchio che la racchiudeva. Ne aveva fatto un altro, però, che aveva come un fiore che circondava l’iride. Che diamine voleva dire? Il resto della tela era tutto una sfumatura ed unione strana fra terra, sangue e quelli che dovevano essere raggi del sole. Era tutto così scomposto; la testa gli fece male e si sedette per terra, prendendo ancora boccate d’aria. Si passò una mano nei capelli. Cosa significava quel ragazzo, per lui? Lo conosceva? Era collegato alla figura che tentava di... ucciderlo? E allora perché sentiva quelle emozioni così forti mentre ci lottava contro? Si morse la lingua a sangue, tentando di trovare un filo – magari logico – che ricollegasse la faccenda.

       Non poteva far altro se non passarsi le mani nella faccia madida di sudore. Sospirò rumorosamente, alzandosi di scatto e dando un calcio ben assestato alla tela, in presa al nervoso, che si riversò a terra con un tonfo secco. Anche i colori caddero, formando pozzanghere vermiglie e nere nel pavimento. Il rosso e il nero che si univano. Non ci capiva proprio niente. Non era mai stato un cervellone, la scuola l’aveva abbandonata perché aveva preferito dedicarsi all’arte e sfondare in quel campo – fatto che gli riscuoteva un certo successo – quindi come pretendeva di venirne a capo così, dal nulla? Ebbe tanta voglia di sbattersi la testa al muro, spaccarsela a metà e darla in pasto ad un branco di lupi feroci. «Hai fatto un bel casino, mh?» Iruka lo fece sedere su una sedia affianco, vedendolo stranamente pallido, dopo di che cercò di rimediare al pasticcio sul pavimento. «Lascia stare, faccio io dopo» borbottò l’altro, ormai imbronciato. «Come mai quell’espressione da bambino? Non riesci a dipingere?» chiese, facendolo imbronciare se possibile ancora di più, tanto che mise le braccia conserte e si voltò dall’altra parte, in segno di diniego. A quel punto fu Iruka a sospirare, con un sorriso derisorio in volto.

      «Buongiorno, Naruto-kuun» Sakura gli prese le guance e gliele strizzò, allungandole e facendogli assumere facce buffe. Cercava di liberarsi, lui, ma inutilmente, poiché la stretta della ragazza era troppo forte. Non si era nemmeno accorto di quando era entrata: aveva sentito le sue guance fargli un male cane e subito dopo gli occhi verdi della sua amica guardarlo con un lieve sorriso nelle labbra. Scosse velocemente la testa, in modo che le sue guance si staccassero dalle mani dell’amica, per poi inclinare la testa verso il basso. Si sentiva un po’ depresso, in verità. Non aveva molta voglia di scherzare. «Allora, sei riuscito a dipingere qualcosa? È una settimana che ci provi, voglio vedere i risultati» era particolarmente allegra, quel giorno, non seppe il motivo. Ed era anche vestita molto bene, con una gonna che cadeva morbida sopra le ginocchia e una canottiera a fasciarle il busto. Era proprio carina. «Stai molto bene, Sakura-chan» la vide arrossire. «Però no, non ho combinato nulla se non occhi fatti male e casini sul pavimento» indicò con il mento Iruka, che ancora tentava di sistemare il pavimento.

        «Oh, salve, Iruka-san» la ragazza fece un piccolo inchino a mo’ di saluto. «Posso aiutarla?» «Sì, basta che lo porti fuori e lo fai smettere di avere quella faccia da cadavere in decomposizione» sorrise ad entrambi, soprattutto a Naruto, che si imbronciò nuovamente. Gli altri due risero: non sarebbe cambiato mai.
       Sakura accettò di portare fuori il biondo, ma prima volle vedere i quadri. Erano proprio gli occhi di Sasuke, anche se un po’ confusi il taglio e l’espressione erano i suoi, e il battito le mancò per un secondo. Nonostante tutto Naruto stava lavorando molto per far tornare i ricordi. Era convinta che, una volta incontrato il moro, avrebbe recuperato tutta la memoria, ma era chiedere troppo. Il punto era farli incontrare sempre più spesso. La prima volta aveva dato una mano parlando a Naruto del locale, ma per la seconda avrebbe dovuto pensarci da solo. Anche perché doveva pensare a sé stessa, oltre che ai suoi amici. E poi la prendeva come una piccola vendetta per Sasuke. D’altronde ancora non conosceva tutto di Naruto. Per esempio, non sapeva che era nella buona fase di ricordare. Il biondo sapeva del loro scontro, del fatto che provasse forti sentimenti per lui, ma non l’aveva ancora detto a Sasuke, e questo la fece sentire importante. Per una volta era lui a stare indietro. Inoltre, avrebbe dovuto acquistare per bene la fiducia di Naruto, in modo tale da non farlo soffrire di nuovo. Ma in ogni caso lei non lo avrebbe mai permesso, non ancora una volta. A causa di quella stupida promessa ai cancelli di Konoha l’aveva quasi fatto ammazzare.

         Lo prese per mano, regalandogli uno splendido sorriso, dopo di che si diressero all’esterno. «Lo Sharingan è una cosa che riguarda gli occhi, giusto? Non capisco se siano i puntini, i fiori, il colore rosso e nero mischiato insieme. So solo che gli occhi sono importanti per questo Sharingan. Solo che anche il locale si chiama in quel modo, quindi non capisco» aveva deciso di confidarle ogni cosa, Naruto. Aveva deciso che era meglio farsi aiutare, cercare di capire insieme a qualcun altro. Inoltre Sakura sapeva, lui ne era certo. Aveva sempre quel sorriso in volto, quando guardava Sasuke. Come se lo conoscesse. Ed era quasi sicuro di conoscerlo a sua volta. Doveva solo ricordarsi come, dove, perché. E capire anche se era lui a lottare oppure no. In una parte remota del cervello, però, sperava che non fosse lui. Sembrava così doloroso doverlo combattere: il suo cuore faceva male, così come ogni parte del corpo. Solamente pensarci gli causava dolore. «Potrebbe essere. Tu cosa vedi dentro di te, Naru? Devi pur sentire qualcosa. Come ti è venuta in mente questa cosa degli occhi?» chiese, con un tono così tenue che sembrava rivolto ad un bambino incapace di capire come svolgere un’addizione.

      Camminarono senza meta, per le strade dei vari quartieri di Tokyo, riflettendo sempre su cosa lui sentisse o provasse. La cosa strana era che proprio non lo sapeva. Vedeva gesti, sentiva parole, e squarci di quelli che sembravano sogni – o peggio, ricordi – si facevano largo nella sua mente, stringendosi l’uno con l’altro e facendogli venire un mal di testa degno delle peggio influenze.  «Non so, tutto mi appare di scatto» rispose, pensieroso. Quella situazione si sarebbe dovuta risolvere, e il prima possibile. «Devo parlarci, vero? Con il tizio del bar, Sasuke, intendo. Anche se non mi sembrava molto intenzionato» sbuffò nuovamente, per poi notare il sorriso divertito di Sakura. «Oh no, non era per niente intenzionato» sussurrò ironica, per poi scoppiare a ridere.
 
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        Cominciava a fare caldo, giugno non tardava a concludersi, lasciando afa un po’ ovunque. Le pelli sudavano, le docce aumentavano e la voglia di vivere – e soprattutto di lavorare – scarseggiava a vista d’occhio. La mattina, poi, alzarsi dal letto diventata praticamente impossibile, dal punto di vista di Naruto. Mentre Sasuke, con il suo tipico volto sdegnato, tentava di trascinarsi fuori di casa per fare il suo dovere sotto gli occhi vigili del fratello maggiore. Era una vita infernale, e su questo c’era ben poco da dire. Entrambi non se la spassavano: uno che doveva cercare di mandare avanti le sue idee artistiche e magari scoprire cosa gli passava per la mente; l’altro che aspettava, e aspettava, e aspettava ininterrottamente un nuovo incontro con il biondo. Era passata una settimana, da quel giorno, e gli sbuffi erano sempre di più. Sarebbe dovuto andare al mare, abbronzarsi e magari rilassarsi, ma ogni qualvolta Karin e Jugo gli si avvicinavano per trascinarlo con sé, schioccava la lingua, li guardava con un sopracciglio arcato, e sbuffava infastidito di lasciarlo perdere. Lui il mare proprio non lo sopportava. Non sapeva se era in quella vita, che lo odiava particolarmente, ma proprio non riusciva ad andarci.

         L’estate era da bandire per il semplice fatto di far sentire la gente disidratata. Ognuno cercava di riposarsi, si lamentava costantemente, pensava a poltrire, doveva stare per forza sotto la doccia per almeno due volte al giorno. Per non parlare del senso di appiccicaticcio nella pelle, della testa bollente dopo aver preso un po’ di sole, delle spalle dolenti e rigorosamente bruciate. Sbuffò per la centesima volta, mentre appoggiato al bancone rifletteva su quanto quella stagione gli facesse schifo. Che giornata di merda. «Vedo che sei di buon’umore anche oggi, Sas’ke» lo infastidì Suigetsu, sedendogli di fronte. «Tu proprio non ce la fai a sederti come un essere umano normale, vero?» s’intromise Jugo, cominciando a spazientirsi. Persino lui, la persona più calma che conosceva – dopo quel nullafacente del Nara – era nervoso. Il caldo faceva andare di matto tutti quanti. Era strano che, trovandosi in quella situazione e con il cervello per le sue, non avesse ancora sbraitato in faccia a tutti e fosse uscito dal locale come un isterico. «Jugo ha ragione, scendi» borbottò, articolando il gesto con la mano.

       Suigetsu tracannava litri e litri di acqua. Nonostante tutto era rimasto molto fedele alla bevanda, da quello che poteva notare. Se prima lo faceva per vivere, adesso lo faceva per resistere a quell’afa che da qualche giorno li circondava. Dannata città. Sembrava una mattinata tranquilla, quella. L’unica cosa decente del caldo era che a) venivano parecchi clienti a causa del sole o b) non venivano perché faceva così caldo che non si riusciva ad uscire. In ogni caso loro guadagnavano soldi o riposo, il che andava bene. «Sto rimpiangendo i bei tempi, quando potevo trasformarmi in una graziosa pozzanghera fottutamente fresca» si adagiò al bancone, sdraiandosi completamente. «Sei una cosa impossibile» lo rimproverò di nuovo Jugo, scuotendo la testa, ormai arreso. «Lo credo bene. Guardatevi: sembrate un branco di idioti. Oh, scherzavo, lo siete» Di tutto potevano aspettarsi, i nostri poveri malcapitati, ma non questo. A vederli dalla porta, effettivamente, non erano un bello spettacolo: Sasuke poggiato mollemente su un piccolo spazio libero del bancone, occupato da un disteso Suigetsu. A seguire Jugo che non faceva altro se non asciugarsi la fronte, seduto alla bell’e meglio su una sedia davanti al minuscolo ventilatore, e Karin che andava da una parte all’altra cercando di farsi vento. A seguire, tutte le imprecazioni da parte dei quattro.

          «Non essere così, suvvia» «No ma, dico, li hai visti? Dove diamine è tuo fratello, quando serve, mh?» Madara Uchiha, vestito di abiti eleganti, dal viso imbronciato e dal sarcasmo sempre pronto fra le labbra, li guardava con stizza. Sembrava stato costretto sotto tortura, e non era difficile capire da chi: Hashirama Senju li osservava tutti con un velo di tenerezza negli occhi. Sembravano diversi, dall’ultima volta, per quanto potesse ricordarsi. Cresciuti, alti, quasi imponenti. Ah, la gioventù. Gli faceva ricordare tante cose. Sorrise calorosamente, e a Sasuke venne sempre quella fastidiosa morsa allo stomaco. Quel sorriso maledetto. Si chiese per la millesima volta perché dovesse essere così caldo. «Ciao, ragazzi. Come ve la state passando? Avreste bisogno di un altro ventilatore. Dobbiamo avvisare tuo fratello, Sasuke» «Mh» rispose, facendogli un cenno con la testa indicandogli una porta su un corridoio ad angolo. All’esterno la struttura sembrava molto più piccola, invece aveva parecchi spazi. Nonostante tutto era un bel locale, pensò Hashirama, mentre cercava Itachi.

         «E avete avuto il coraggio di chiamare questo schifo di posto Sharingan?» chiese Madara, non particolarmente d’accordo con il compagno. «Ma che cazzo ci sei venuto a fare tu, qui?» chiese di rimando Sasuke, rispondendo a tono. Lo vide sorridergli, e quel gesto lo fece innervosire maggiormente. Quel maledetto. «A pararti il culo, moccioso. Mi sembra ovvio. Alla fine tutto questo casino lo avete fatto tu e quell’altro cretino dell’Uzumaki» «Ehi zio Uchiha, cominci a starmi simpatico, anche se Naruto non è così male, sai?» Suigetsu gli sorrise di scherno, facendo sbuffare il più anziano. Zio Uchiha?!? Anche Sasuke diede un’occhiata maledetta a Suigetsu, sperando crepasse lì difronte a lui. Se solo avesse avuto lo Sharingan. «Perché mai dovresti pararmi il culo? Nessuno ha chiesto il tuo aiuto» «Taci. Non l’avrei mai fatto di mia spontanea volontà, razza di idiota. È tutta opera di Hashirama e dei suoi cazzo di sentimenti» «Dovrebbe essere più beneducato» lo interruppe Jugo, subendosi uno sguardo di fuoco. Il rosso alzò le spalle: in quel mondo non avrebbe potuto fargli nemmeno un graffio.

          «Sono molto contento di essere qui, in ogni caso. E sono contento che ci siate anche voi. Hai tutto il diritto di passare la tua vita con Sasuke, adesso. Andrò a trovare presto Naruto. A dire la verità pensavo di trovarlo qui» disse Hashirama, mentre parlottava con un Itachi sorridente. «Naruto non sa nemmeno chi sei» sputò acido Sasuke, senza nemmeno guardarlo in volto. «Lo so benissimo» gli rispose l’altro, facendolo rimanere sorpreso. Aggrottò le sopracciglia, cercando di capire la situazione. Ma a quanto pareva non doveva sapere nulla, poiché l’Hokage gli sorrise e basta, guardandolo con la tipica luce colma di tenerezza nelle iridi. «Sei cresciuto molto, Sas’ke» «Tu invece hai sempre la stessa faccia da-» si zittì appena in tempo dopo aver ricevuto un’occhiataccia dal fratello, per poi addossarsi nuovamente sul bancone.

            «Saaaalve, quanto tempo!» a quel tono di voce Sasuke pensò davvero di scavarsi la fossa utilizzando quelle fottute tazzine, sistemarcisi dentro un po’ goffamente, e poi lasciarsi morire fino alla fine di quella vita. Sempre se si poteva chiamare in quel modo. Aveva vari dubbi a riguardo. Non poteva essere possibile. Non si girò nemmeno a guardare: non ne ebbe il tempo. Una furia bionda, seguita da quel pazzo sclerotico, si era lanciata addosso a suo fratello. «Itaaachiii» Deidara restava appollaiato con la guancia schiacciata contro quella di suo fratello, mentre gli stringeva le spalle in quello che doveva essere un abbraccio. «Per Jashin, che caldo in questo postaccio. Essere un comune mortale è una bella fatica, vero, Sas’ke?» gli chiese, sorridendogli. E da quando Hidan si comportava in quel modo così… normale? E soprattutto, da quando lo chiamava con quel tono così pacato e scherzoso? Che poi Hidan nemmeno sorrideva. Il suo sembrava più un ghigno storto, che un sorriso. Sempre pronto a sacrificare tutti a quel minchione di Jashin. Sbuffò, passandosi le mani in testa, cercando di far cessare le gocce di sudore che imperlavano la sua fronte.

          «Si può sapere cosa ci fate voi qui?» chiese Itachi affettuosamente, dopo essere scoppiato a ridere vedendo tutto l’entusiasmo di Deidara. Era strano che fossero insieme, quei due. «Non so, ci hanno detto di venire qui, che potevamo esservi di aiuto» alzò le spalle l’albino, sorridendo ancora. Sasuke proprio non riusciva a crederci. Suigetsu se la sghignazzava, mentre Karin e Jugo parevano due amebe. «Né, né, Itachi-san, sai che vado nella stessa facoltà di Aoyama? Lei ovviamente è molto più brava di me, e come sai sta per laurearsi, ma mi aiuta tanto e dice che sto diventando sempre più bravo. A volte con Sasori vado a fare spettacoli pirotecnici per i bambini, mentre lui usa qualche marionetta. Senza il chakra e tutto il resto è un vero casino, però ci arrangiamo. Voi invece avete questo bar, giusto? Bella idea chiamarlo Sharingan, chi l’ha avuta? Scommetto il caro, piccolo e orgoglioso Uchiha. Indra ci ha raccontato anche di te e Naruto. Sai che è cugino di Nagato? Dovrebbe tornare a Tokyo fra qualche settimana, ci siamo tenuti in contatto in questi anni. O meglio, il Deidara giapponese. Con Nagato non ho mai avuto un gran bel rapporto, nell’Akatsuki, ma chi se ne fotte. Ah, ma che sciocco, lo sapevate di sicuro: è il fratello di Karin!»

           Deidara parlava anche troppo, per i gusti di Sasuke, ma l’ultima parte gli interessava. Naruto e Nagato erano cugini? E Nagato era fratello di Karin? Quindi la stronza con i capelli rossi oltre ad essere la cugina di Naruto, non gli aveva detto niente? La vide arrossire, diventando quasi del suo stesso colore di capelli. Prese a torturarsi le mani, mentre si mordeva il labbro inferiore. Si aspettava chissà quale reazione. «Come mai non ce l’hai detto, Uzumaki?» chiese poi Suigetsu, inclinando la testa da un lato con fare bambinesco. «Zitto tu! Non pensavo fosse importante! E-E poi non mi avete chiesto n-niente! Nemmeno tu, Sas’ke. Non sapevo, io... no, non sapevo» incespicò un poco, con il solito falso tono saccente. Cercava di fare la dura per niente, proprio come quando erano il Team Taka e andava dietro a Sasuke, notava che non se la filava e gli rispondeva malamente. Suigetsu alzò gli occhi al cielo, sbadigliando sonoramente. Osservò Madara, era seduto da una parte e sembrava non star ascoltando nessuno. Gli fece pena: dovevano averlo portato in quella vita con la forza per davvero. Sorrise un po’: se lo meritava, dopo tutto il macello che aveva combinato.

        «Comunque siamo venuti solamente per salutare. Spero che un giorno tutti quanti noi dell’Akatsuki ci riuniremo. Magari qui, a bere qualcosa. Sarà divertente, né, Hidan?» Deidara gli diede una gomitata, come a voler attirare la sua attenzione, tanto che quello annuì visibilmente, scuotendo la testa. «Un giorno trascinerò anche Sasori. Adesso che viviamo insieme è tutto più semplice. E non è più una marionetta, quindi è ancora più bello» fece l’occhiolino, il biondo, facendo sorridere il maggiore degli Uchiha. «Ci rivedremo di sicuro, adesso immagino che la pausa sia finita e dobbiate aprire il locale. Ciao Itacchan, ci vediamo presto» agitò una mano, poi, sorridendo. Anche Hidan li salutò, facendo cessare il chiasso che si erano portati appresso. Sasuke sospirò ad alta voce, una mano a tenergli la testa che cominciava a farsi pesante.

         «Itachi-san, chi è Aoyama?» chiese Karin, con ancora un lieve strato di imbarazzo. Quella volta, però, fu Itachi a sgranare impercettibilmente gli occhi, e a guardarsi intorno. «Una ragazza, l’aiuto con il tirocinio che andrà a fare una volta terminata la laurea. Inizierà come mia assistente, dopo di che si vedrà» sorrise come al solito, ma Sasuke sapeva che Karin aveva fatto centro. Andò a mettere la divisa, si legò quello che doveva essere il grembiule nero in vita e svogliatamente si avvicinò al bancone. A guardare Suigetsu fare quel lavoro era semplicissimo. Sorrisi gentili, chiacchiere veloci, rapido con le ordinazioni. Sembrava fatto apposta per quel mestiere. Lui, invece, sentiva di appartenere a qualcosa di più importante. «Il ragazzo non frequenta la scuola, Itachi?» chiese Madara, poi, come se gli avesse letto nella mente. Ricordava qualcosa dell’istituto, se ci pensava un attimo, eppure da quando il Sasuke di Konoha si era unito a quello del Giappone – e nonostante la cosa suonasse malissimo – non si era mai recato al liceo, o università, o qualunque cosa fosse.
 
           «Si è ritirato l’anno scorso, diceva di non volerci più avere niente a che fare e non sono riuscito a convincerlo a tornare indietro. Però adesso puoi fare quello che vuoi, Sasuke» si rivolse a lui, e poté notare un briciolo di speranza in quegli occhi. «Potrei andare a fare visita alla scuola, o alle altre presenti» rispose. «Non ti starai mettendo in testa di andare nella stessa di Naruto?» chiese Suigetsu, il tipico sorriso sghembo a riempirgli quella faccia che avrebbe volentieri preso a pugni. Non lo degnò di uno sguardo, si limitò a sbuffare ed alzare un sopracciglio. Itachi andò ad aprire la transenna, e si preparò mentalmente al lavoro che lo aspettava, al caldo che avrebbe dovuto sopportare, allo sguardo ardente di Madara e al sorriso del cazzo di Hashirama. Che giornata di merda.



















Angolo autrice:
chi è quella in ritardo? *alza la mano* *tutti la giudicano*
Ovviamente io, per l'appunto. Mi dispiace, sono ben tre giorni in ritardo, non era mia intenzione. E dire che il capitolo precedente l'avevo postato un giorno in anticipo! Ebbene, non si può essere sempre perfetti, sfortunatamente.
Parlando del capitolo, questo è solo di passaggio. Un po' povero, ma spero che possa far sempre piacere.
Già dal prossimo vedremo qualcosa di più su i due protagonisti, e spero possa piacervi.
Qui vediamo Madara e Hashirama, Deidara e Hidan. Ovviamente i personaggi ci saranno un po' tutti, chi sottoforma di comparsa - come Kurama o Gaara, anche se il rosso lo rivedremo - chi come il team Taka che rimarrà sempre presente.
Spero che l'inserimento di alcuni personaggi non dispiaccia.
Non temete per Indra e Ashura, arriverranno presto!
Inoltre entra in gioco Aoyama, compagna di Deidara e futura tirocinante di Itachi. (Non cantate vittoria troppo presto!)
Spero davvero che questa storia possa procedere e che non stanchi. In tal caso potete tranquillamente farmelo sapere, mi comporterò di conseguenza e cercherò di migliorare costantemente.
Sto cercando di impegnarmi sul serio, e vorrei che almeno questa storia possa concludersi nel migliore dei modi.

Grazie mille a tutti coloro che ci sono stati fin'ora, a chi segue, mette nei preferiti, nelle ricordate e a chi recensisce. Grazie mille anche ai lettori silenziosi.
Un bacio, e spero a presto!
Perdonate eventuali errori: scappano sempre.
Charlie;

P.S. Il kanji utilizzato per l'ellissi significa "ricerca".
   
 
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