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Autore: velvetmachine    19/07/2015    15 recensioni
Dragons, Warrior!AU • Harry/Louis, accenni: Liam/Zayn | ambientazione fantastica (nordica), Mi.C. Death • ~194.8KB
“Dicono che esistesse un tempo in cui i mendicanti siano diventati eroi e il deserto sia cresciuto in torreggianti città di vetro. Si dice che allora le persone potessero chiamare i draghi dalle montagne ai confini del mondo, e maneggiare il cielo stesso come arma.
Dicono che ci sia stato un tempo in cui l’umanità ha portato gli dèi in ginocchio.
Ma questo era prima; e molto tempo fa.”


O quella dove per vivere, bisogna combattere. E sarà il guerriero dagli occhi azzurri che cavalca il drago nero, a doverlo insegnare al figlio della casata Styles.
Ma, ovviamente, le cose sono sempre più complicate di quanto sembrino.
Genere: Avventura, Erotico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I
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parte II

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Harry si rigira nel letto, abbandonando l’anello contro il suo petto: sente le guance andargli a fuoco al solo pensiero.

Complicazioni, si ripete mentalmente. Non è pronto a rinunciare al suo voto, questo è certo—Ma non è nemmeno pronto a prendersene completamente atto.

Si massaggia la radice del naso, percependo già i primi raggi di sole brillare timidamente sulle cime degli alberi.

È tutta colpa di Louis, dannazione. Se solo quel cavaliere non avesse—

Non riesce a terminare la frase.

C’è un rumore ovattato e tremendamente forte che si spegne il secondo dopo: Harry aggrotta le sopracciglia e, in un attimo, ha già afferrato i propri stivali e sta uscendo dalla sua baracca.

Appena scosta la tenda di pelli, un raggio di sole aranciato gli colpisce gli occhi, costringendolo a pararseli con le mani: sente altri correre intorno a lui, muoversi velocemente, borbottando.

L’aria fredda gli colpisce il petto nudo, ma lui non se ne preoccupa e cerca di mettere a fuoco ciò che sta succedendo al centro dell’accampamento: c’è un drago.

Un drago marrone chiaro, spinato, dagli occhi rosso sangue; è completamente immobile, ad ali conserte, mentre osserva le Sentinelle accorrere intorno a lui.

Davanti, un uomo.

Harry ha bisogno di un altro paio di secondi prima di riuscire a metterlo completamente a fuoco: indossa sul petto un’armatura di bronzo.

Ha guanti di cuoio sulle mani, e tiene saldamente un rotolo di pergamena su cui—C’è il marchio Styles.

Harry spalanca gli occhi, preso alla sprovvista: suo padre ha mandato un messaggero? Per quale motivo avrebbe mai dovuto farlo?

Decide di unirsi alla piccola folla di Sentinelle riunitesi a qualche metro di distanza dall’uomo, che pare osservare tutti con una glaciale professionalità.

Quando i borbottii sono cessati, quello si schiarisce la voce in un verso rauco.

“Chi è?” domanda solo allora Harry, a chiunque ci sia al suo fianco. (Non che abbia controllato, è troppo impegnato ad osservare la strana scena presentatagli davanti.)

“Simon Cowell” gli risponde in un sussurro—Luke? Sì, è decisamente Luke. “Come—” borbotta poi, lanciandogli un’occhiata bieca: “Come fai a non conoscerlo? È uno dei maggiori generali dei nostri eserciti—praticamente passa tre quarti del suo tempo con tuo padre per decidere le sorti della guerra.”

Harry corruga la fronte: non si ricorda di aver mai visto quel viso, in giro per il palazzo.

Ma c’è una grandissima possibilità che l’abbia effettivamente visto e poi dimenticato: troppi cavalieri e generali girano per casa sua per poterli memorizzare tutti.

Il generale—Cowell—lancia uno sguardo intorno a sé.

“Vengo da parte di sua Maestà il Re—” annuncia con voce ferma e mascella contratta; il suo tono possente riecheggia per qualche secondo.

“—In vista degli ultimi fatti avvenuti sulla Barriera a Nord del regno, mi trovo qui oggi per chiamare alcuni di voi a compiere il vostro mestiere e seguirmi in prima linea.”

Harry sente il proprio cuore perdere un battito; è quello di cui parlava Niall, è quello che ha reso ogni secondo passato in questo accampamento un inferno.

No, non si sta preoccupando per se stesso—è ancora troppo inesperto perché possano mandarlo a lottare—ma...

Si guarda intorno.

Per gli altri. È preoccupato per gli altri.

I loro volti sono contratti, ansiosi, ma non lasciano trasparire segni di paura.

Il generale Cowell srotola lentamente la pergamena, rompendo il sigillo della casata: contro luce, è possibile scorgere delle ombre d’inchiostro sulla carta.

“Sentinelle dell’Ovest; Ashton Irwin, Stan Lucas, Calum Hood e—” Si ferma un secondo, alzando gli occhi dalla pergamena.

“—Louis Tomlinson. Vi aspetteremo alla Barriera domani all’alba.” L’uomo chiude il pugno della mano destra e, con il gomito stretto al fianco, se lo batte sul cuore come il saluto che è d’uso del loro regno.

I ragazzi dell’accampamento lo imitano e rimangono rigidi nelle loro posizioni fin quando Cowell non rimonta sul proprio drago e, con enormi battiti d’ali che fanno vibrare la terra, sparisce oltre le nubi grigie.

Harry si sente confuso, sul fondo di un lago mentre cerca disperatamente di vedere il sole.

Si fa spazio tra gli altri, quasi sgomitando, finché non riesce a scorgere la figura di Louis in piedi, a fissare il punto nel quale qualche secondo fa c’era Cowell e il suo drago.

Il suo volto è inespressivo.

Qualcuno, da dietro, gli urla di andare a prepararsi perché il viaggio verso la Barriera dall’altra parte del regno è lungo e dovranno mettersi in marcia subito, coi loro draghi, se vogliono arrivare in tempo.

(Probabilmente lo sta urlando Stan, già corso a recuperare la fodera della propria spada.)

“Harry” sussurra Louis sorpreso, una volta che quello gli si è avvicinando sufficientemente.

Il ragazzo dagli occhi verdi non ha intenzioni di perdere tempo in convenevoli.

“Cosa vuol dire?” domanda, urgentemente, guardandolo.

Louis aggrotta un sopracciglio: “Come, scusa?”

“Cosa vuol dire che dovrai andare alla Barriera? Dovrai combattere? Dovrai—” Non sa cosa dire; non riesce a formulare una frase completa senza immaginare Louis trucidato dai Barbari, morto, sulla neve.

Il pensiero lo fa rabbrividire fino a fargli salire la nausea.

“Credo che mi metteranno a capo di un dipartimento sulla frontiera.”

“Non puoi andare” ringhia Harry; è costretto a stringere i pugni fino a diventare le nocche biancastre per tenere a freno la voglia di afferrargli le spalle e scuoterlo, svegliarlo, fargli capire che è follia pura.

“È tutta la vita che mi preparo per questo momento, Harry.” Non c’è rabbia nella sua voce, solo una rigida consapevolezza.

Harry lo odia.

Lo odia come non ha mai fatto nella sua vita; come—come può dire una cosa del genere?!

Lui non è una bestia mandata al macello, non è stato addestrato tutta la vita per andare a morire.

“Non sei stato preparato per andare a morire” sibila allora fissandolo con gli occhi socchiusi.

Louis rimane un attimo in silenzio. “Infatti sono stato preparato per vincere.”

I suoi occhi azzurri si sono fatti più taglienti mentre fissa Harry; c’è così tanta determinazione, lì dentro, da fare paura.

Louis vuole vendicarsi.

Il pensiero colpisce Harry come un lampo a ciel sereno.

Louis vuole vendicarsi per tutto ciò che i Barbari gli hanno fatto.

Per la cicatrice. Per la sua famiglia.

Harry rimane immobile, la mascella contratta: la rabbia che prova dentro di sé è a malapena contenibile.

Non vuole che Louis se ne vada, non vuole che vada a morire.

Ma il cavaliere s’è già voltato e sta seguendo Calum.

§

Il suo addestramento va avanti con il resto delle Sentinelle.

Per settimane, mesi interi, non riesce ad avere più notizie da parte di Louis o dei suoi dipartimenti sulla Barriera: l’unico contatto con il mondo esterno che ha sono le continue lettere di Gemma e i messaggeri che riportano i fatti che accadono a Nord.

Harry ha smesso addirittura di sperarci; preferisce impiegare il proprio tempo a concentrarsi sull’allenamento piuttosto che preoccuparsi del regno, di Louis.

Non riesce nemmeno a pensare il suo nome che immediatamente percepisce il proprio stomaco contorcesi in una morsa dolorosa; non ne capisce nemmeno il motivo.

Ma—ha altro su cui concentrarsi.

L’addestramento ha il ritmo di sempre, ma questa volta Harry svolge i propri compiti in maniera più rigida e attenta, e la sera non è così stanco come lo era una volta; la mattina scende dal letto ancora prima dell’alba e si va a lavare nella fonte più in cima alla montagna.

Dopo settimane passate ad allenarsi ora, quando si specchia sulla superficie del ruscello, a malapena riesce a riconoscersi.

Ha abbandonato da tempo le forme ancora paffute della sua adolescenza, lasciando spazio a degli zigomi affilati e ricoperti di macchie violacee per le troppe cadute, i suoi capelli sono cresciuti insieme alle sopracciglia che ora gli conferiscono un’aria eccessivamente seria.

Il suo petto s’è ampliato, le sue spalle si sono definite: le braccia sottili si sono gonfiate, lasciando spazio a bicipiti formati a causa di continui dolorosi sollevamenti.

Le sue gambe sono più lunghe, la schiena più larga.

Centinaia di piccole cicatrici e segni sbiaditi di tagli gli impreziosiscono il corpo, rendendo la sua pelle più ruvida e spessa.

Mentre si toglie la casacca e si sciacqua nella corrente fredda, il suo riflesso rimanda un’immagine di sé a cui Harry non è abituato; non è abituato a quella mascella così definita o al suo collo decisamente più lungo e le sue spalle più larghe.

C’è qualcosa persino nel suo sguardo—qualcosa che è cambiato: sarà che ora sembra addirittura più scuro, attento.

Uno sguardo che osserva attentamente quando è il momento giusto per scoccare la freccia e centrare perfettamente la preda che Zayn gli ha ordinato di cacciare; un tipo di sguardo abituato a rimanere immobile nella stessa posizione, nell’erba alta, per ore di fila, aspettando il momento giusto per agire.

Il suo allenamento, giorno dopo giorno dopo giorno, continua.

Niall gli insegna a guidare un drago, Liam a combattere con la spada; Harry ora riesce addirittura a vincere, quando si scontrano corpo a corpo.

Riesce ad avere abbastanza forza per afferrarlo di peso dal bacino e gettarlo a terra e bloccarlo, assestandogli le nocche contro la mascella ricoperta da un sottile strato di barba; Liam generalmente riesce a rialzarsi, ma ci sono giorni in cui la presa di Harry è talmente stretta e dolorosa, che proprio non ce la fa.

Allora il ragazzo dagli occhi verdi gli sorride—sputando via un altro grumo di sangue—e gli tende una mano per aiutarlo a tirarsi su.

Un giorno, addirittura, Luke lo porta con sé durante un giro di ricognizione: gli fa vedere le grotte dove si nascondono solitamente i Barbari, i boschi più a Sud—ora quasi completamente ricoperti di neve candida.

Durante le cene, tutti continuano a complimentarsi per i progressi che lui sta facendo; Harry li ringrazia con un cenno del capo e continua a mangiare in silenzio, stringendosi intorno al fuoco per cercare di allontanare il freddo invernale che gli attanaglia le ossa.

Il giorno passa, su questo non c’è dubbio; passa piuttosto velocemente.

È sempre la notte a causargli dei problemi.

È sempre la notte a tenerlo sveglio, con gli occhi sbarrati nel buio, mentre si chiede quante persone stiano morendo, proprio in quell’istante, trafitte da una spada.

E, proprio quando—dopo ore—riesce a cadere in un agognato dormiveglia, allora gli sembra di udire il suono delle lame che sbattono sugli scudi, delle urla; gli sembra di sentire l’odore del sangue.

Si sveglia di soprassalto. Si guarda intorno: non c’è niente. Non c’è Louis.

Allora si rimette sdraiato e si porta due dita alle labbra, accarezzandosele; se si concentra, riesce ancora a ricordare la sensazione delle loro bocche che si sfioravano.

§

Niall e Zayn lo portano con sé durante uno dei loro giri di ricognizione, una mattina, quando smette di nevicare; Harry sale in groppa a Neevae solo perché sembra tremendamente più sicuro, rispetto a Huton e alle sue ali corte e goffe.

È completamente diverso rispetto a cavalcare Masha o Urich—Neevae è così sottile.

Deve tenersi disperatamente aggrappato alle spalle di Zayn e stringere le cosce fino a quando quelle stesse non gli fanno tremendamente male, pur di non cadere.

La mancanza completa di ali e la lunga coda che continua ad ondeggiare paurosamente rendono il viaggio decisamente scomodo. E pauroso.

Nonostante tutto, crede che avrebbe fatto meglio a montare su Huton.

Volano fino alle Montagne Rocciose, dove poi atterrano; quando Harry scende dal drago, le sue gambe protestano per il dolore.

Zayn, dietro di lui, scende in un movimento elegante e si stringe dentro le vesti scure e pesanti; sulla sua schiena, incrociate, ci sono due spade foderate ed uno scudo pende dalla sua spalla.

(Il modo in cui lo porta addosso suggerisce che pesi poco o niente, ma. Harry lo sa: ci vogliono settimane e settimane di allenamento per portarselo dietro senza che il suo peso ti travolga.)

Huton atterra poco lontano da loro, tra i sassi, con un capitombolo; Niall salta giù appena un tempo, ridacchiando ed accarezzando il muso giallo dell’animale.

“Come mai ci siamo fermati?” domanda solo allora Harry.

Zayn lancia un’occhiata all’altro cavaliere, poi si passa una mano tra i capelli corvini:

“Michael, Will e Greg ieri hanno fatto il loro giro da queste parti e hanno trovato un Barbaro solitario che tentava di sorpassare il confine.”

Con un movimento netto e pulito, afferra entrambe le spade dietro la sua schiena; un sibilo metallico riempie l’aria.

Ne lancia una Harry e lui l’afferra al volo, senza esitare.

“Quindi?”

“È dentro quella grotta.” La figura di Niall sbuca dietro a quella di Zayn e il suo dito alzato in aria punta ad una rientranza nella roccia nuda.

Harry si volta, osservando l’oscurità in cui è immersa la grotta; è costretto a socchiudere gli occhi perché un’improvvisa folata di vento ha alzato una nuvola di terra.

“Cosa volete che faccia?”

“È una delle ultime prove di una recluta” gli dice Zayn, passandogli lo scudo: “Sconfiggere un nemico.”

Harry lo afferra. “E con sconfiggere intendete—?”

Uccidere.” Niall lo guarda: “Credi di poterlo fare? Credi di riuscire ad uccidere senza esitare?”

Harry è quasi spaventato dalla rapidità e dalla profonda convinzione della sua risposta: “Sì.”

Non c’è tentennamento né dubbio; Niall e Zayn annuiscono, quasi all’unisono.

“Noi staremo lì dietro—” lo avvisa poi il cavaliere corvino, indicando un masso particolarmente grande, qualche decina di metri più in là:

“—Se vediamo che le cose cominciano a mettersi male, veniamo ad aiutarti, chiaro?” Fa roteare l’altra spada in aria; Harry annuisce.

Entrambi fanno per rimontare sul proprio drago e volare poco lontano, quando improvvisamente Huton emette un basso gorgheggio spaventato; allunga il collo e comincia a sbatacchiare le ali tozze, emettendo piccoli versi striduli.

Niall gli accarezza le squame sulla fronte per farlo calmare: “Ha fiutato l’odore del nemico.”

Qualche secondo dopo Harry è solo, in mezzo a sassi e neve sporca; afferra più saldamente l’elsa della propria spada e prende un profondo respiro, esalando.

Una nuvola di condensa esce dalle sue labbra, oscurandogli per un secondo la vista.

Anche da quella distanza è in grado di percepire gli occhi degli altri cavalieri, osservarlo.

Cammina piano, i sassolini sotto le sue scarpe scricchiolano passo dopo passo; entra nella grotta che sembra più che altro un enorme squarcio scuro sul fianco della montagna, scuro come la pece.

Appena supera la frastagliata entrata, il silenzio pare avvolgerlo: ora i suoi passi sono diventati un eco che continua a rimbalzare sulla roccia.

La luce è flebile, ma sufficiente perché riesca a vedere dove sta mettendo i piedi.

Gli sembra di camminare per minuti interi, lì dentro, nel silenzio completo: più volte si ferma per controllare che non ci sia nessuno nascosto dietro ai massi o alle piccole stalagmiti, ma tutto sembra completamente immobile.

Abbassa l’arma; forse Michael s’è sbagliato. Forse il Barbaro è già scappato via, durante la nott—

Un grido.

Un grido agghiacciante proviene da un punto indefinito sopra la sua testa.

Harry alza il mento di scatto, stringendo la spada, e riesce a vedere una figura gettarsi sopra di lui con ferocia, tenendo stretto tra le mani un pugnare che risplende alla luce soffusa della grotta.

Delle braccia ruvide e viscide gli stringono il collo, delle ginocchia ossute e bitorzolute gli circondano i fianchi, stringendolo.

Gli manca l’aria: annaspa, cercando disperatamente di scuotersi via di dosso quell’essere mostruoso che continua ad alitargli sul collo.

Vede il pugnale brillare davanti a sé: riesce giusto in tempo ad afferrare il polso della creatura ed arrestare l’affondo, prima di gettarsi rudemente contro una parete della grotta, schiacciando il Barbaro.

Quello emette un verso agonizzante, lasciando andare la presa stritolante contro il corpo dell’altro; Harry si volta, respirando pesantemente per riprendere fiato.

Non si concede più di pochi secondi per osservare il suo avversario e per realizzare—più che colpito che impaurito—che, effettivamente, i Barbari sono uguali alle leggende che ha sempre sentito raccontare a palazzo.

Creature dalla pelle pallida, screpolata e ruvida, con una bocca famelica e squadrata incorniciata da un paio di labbra grigiastre, e riempita da appuntiti denti sbeccati; gli occhi sono piccoli, completamente neri, il muso schiacciato e piegato in una smorfia perenne.

Le loro armature sono nere come il carbone, ricoperte di cinghie e fodere di cuoio scuro.

Harry rialza lo sguardo, puntando la cima della sua spada contro di lui; tiene ben alto lo scudo davanti al petto, reggendolo con l’avambraccio piegato.

Carica, ma l’altro è più veloce.

Salta via all’ultimo secondo, ponendosi alle spalle di Harry e alzando nuovamente il pugnale, emettendo un rauco verso: il ragazzo riesce a scorgerne il riflesso nell’interno del proprio scudo e schiva la lama, voltandosi su un fianco con un movimento di gambe.

I piedi, per riuscire nuovamente ad ancorarsi al suolo, compiono una strisciata che fa alzare della polvere dal terreno.

Harry non ci bada.

Costringendosi ad ignorare la spalla che comincia a dare i primi segni di spossatezza a causa dello scudo pesante, stringe i denti e ruota la spada in aria emettendo un sibilo acuto.

Carica contro il Barbaro, ma quello para col suo pugnale; il ragazzo ritira la spada e affonda, la ritira e affonda, schivano colpi su colpi.

Riesce a fare indietreggiare la creatura fino a metterla contro le spalle al muro: i suoi occhietti scuri brillano nell’oscurità completa.

L’ha a portata di mano.

Il cuore gli batte forte nelle tempie, e il sangue corre veloce dentro il suo corpo, come un mare in subbuglio.

Allontana appena la spada e si concede un unico, glorioso momento per sentire la sete di vittoria inebriargli la mente—La lama affonda.

Affonda nella carne morbida del collo del Barbaro, proprio tra la clavicola e la spalla; affonda con una facilità estrema, lasciando uscire fiotti di sangue scuro e denso che gli vanno a macchiare il volto.

Lo sguardo del suo avversario è una maschera di pura rabbia e paura, i suoi occhi sbattono ancora una, due, tre volte prima che la testa gli ricada inerme sul petto e il suo corpo cominci a scivolare lentamente contro la parete, fino ad accasciarsi al suolo.

Una scia di sangue viene lasciata sulla roccia alle sue spalle.

Harry non toglie la spada dalla carne dell’altro per ancora qualche secondo: si limita ad osservarlo, l’adrenalina che scorre nelle sue vene e lo inebria.

Quando sfila la lama, altro sangue esce e sporca la terra.

“Harry?” La voce di Niall gli arriva riecheggiando dall’entrata della grotta; “Tutto bene?”

Mai sentito meglio.

“Sì, è—” si asciuga una goccia di sudore dalla fronte con il dorso della mano: “—morto. L’ho ucciso.”

L’ho fatto davvero—ha appena ucciso un essere vivente e non ha esitato nemmeno un secondo.

Nemmeno un attimo la sua mano ha tremato, nemmeno quando la lama ha cominciato a squarciargli la pelle.

Gli sembra quasi che la voce di suo padre riecheggi in quella grotta, insieme ai passi di Niall e Zayn che si stanno avvicinando.

«Tu sei uno Styles. La sete di vittoria scorre nel tuo sangue—Tu hai sangue di guerriero, nelle vene. Non importa per quanto tempo rinnegherai il tuo destino; tu sei nato per combattere, uccidere e vincere.»

Non riesce a staccare gli occhi dal corpo esangue del suo nemico.

Percepisce Zayn, al suo fianco. “Tutto bene, sicuro?” gli domanda, guardandolo.

Harry annuisce lentamente; una profonda consapevolezza gli attanaglia lo stomaco, rallenta l’adrenalina nel sangue, costringe la sua mente a tornare lucida.

Vorrebbe farlo ancora.

Ucciderebbe ancora.

Harry alza lo sguardo verso i due compagni.

Suo padre aveva ragione.

§

Greg getta una catasta di rami secchi contro la fiancata di una branda; Harry si morde l’interno di una guancia per riuscire a sopportare l’ultimo sforzo prima di gettare anche la sua, di catasta, lì accanto.

Sbuffa, raddrizzandosi con la schiena: osserva per un attimo la punta dei propri stivali imbottiti ricoperta di neve grigiastra; alza lo sguardo, voltandosi.

“Ehi, Nì!” urla al ragazzo dall’altra parte dell’accampamento: “Io e Greg dobbiamo andare a prendere altra legna o questa era l’ultima?”

Il cavaliere biondo lancia un’occhiata ai rami. “Così dovrebbe bastare per questa notte!” gli grida in risposta.

Harry gli fa un segno d’assenso con il capo e si scrolla altra neve intrappolata tra le ciglia.

“Sto cominciando ad odiare l’inverno” borbotta, passandosi una mano tra i capelli ora molto più lunghi.

Greg annuisce, stringendosi di più nei suoi vestiti pesanti: “Immagina come sarà al Nord, in questo periodo.”

“Immagino come sarà alla Barriera.”

Il compagno gli lancia un’occhiata, prima di dargli una pacca sulla spalla: “Se la caveranno, tranquillo.”

Una parte di Harry vorrebbe tanto credere alle sue parole; vorrebbe non dover prestare attenzione alle lettere di Gemma—sempre più rare a causa della stagione burrascosa—che lo informano delle ultime vicende della guerra, di come i loro eserciti abbiano finalmente cominciato ad avanzare in territorio nemico.

Di suo padre che è partito per combattere e gli dèi solo sanno quanto potrà resistere.

Harry si costringe a scuotere la testa ed a non pensarci; la notte sta ormai arrivando ed oggi è il suo turno di mantenere il falò acceso fino all’alba, in modo da scaldare i draghi e non lasciarli morire di freddo.

Lascia Greg per andare a riposarsi un paio d’ore, prima che il sole cali.

Le riconosce tutte, le costellazioni.

Harry si stringe più vicino al grande falò, ravvivandolo con dei rami secchi; percepisce il respiro del drago di Michael scaldargli parte del corpo, mentre quello cerca di accoccolarsi meglio contro Huton, intrecciando i rispettivi lunghissimi colli.

Li guarda, uno per uno: draghi di forme, colori e dimensioni diversissime dormono accanto al fuoco, pelle contro pelle per riscaldarsi; si avvolgono nelle loro immense ali e cercando di mantenere il proprio sangue caldo, per non morire a causa dell’inverno.

Harry vede le ombre proiettate dal fuoco allungarsi per metri e metri, sotto di loro.

Il cielo è talmente buio da lasciare vedere chiaramente ogni stella ed ogni costellazione.

Le riconosce tutte; Louis gliel’ha insegnate una notte d’autunno, qualche mese prima: gli ha indicato ogni stella, il suo nome, e a che costellazione appartenesse.

Harry le guarda, col naso al cielo e le mani tese al fuoco scoppiettante.

Respira la brezza gelida e, quando fa per espirare—la vede.

È una macchia che per un secondo oscura la luce della luna per poi scomparire via, veloce com’è apparsa: Harry si alza, strizzando gli occhi per riuscire a mettere a fuoco l’oggetto che vorticosamente sta cadendo in picchiata verso l’accampamento.

Sfila dalla fodera alla cintola la spada e lascia ricadere il cappuccio che gli copriva la fronte, sulle spalle; spalanca leggermente le gambe e si prepara ad un eventuale scontro.

La macchiolina scura continua a farsi ogni secondo più vicina, ingrandendosi ed oscurando ogni secondo la luce brillante delle stelle.

Harry asspetta, in attesa, coi muscoli tesi e pronti a scattare.

Quando ormai mancano poche decine di metri prima che quella cosa si schianti letteralmente al suolo—due enormi ali di cuoio si spalancano, arrestando la caduta finale ed adagiandosi lentamente al suolo, pochi più in là rispetto all’accampamento.

Harry non riesce a muoversi, un solo nome urla dentro la sua testa ed è abbastanza potente da gelargli il sangue nelle gambe.

Masha.

Quelle ali—sono di Masha.

Ne è sicuro.

Riconoscerebbe gli artigli appuntiti e la forma squadrata anche a miglia di distanza; la consapevolezza gli stringe lo stomaco in una morsa.

Masha, non vedeva quel drago da... Mesi. Mesi interi.

E—e se c’è Masha, allora c’è anche—

Harry spalanca gli occhi, il sangue comincia a circolargli nuovamente dentro il corpo ad una velocità tale che gli fa quasi male; il cuore gli martella all’interno del petto e il freddo sparisce improvvisamente, lasciando posto ad un’agitazione ed un’eccitazione tale da farlo cominciare a sudare.

Abbandona la spada a terra, cominciando a correre più veloce che può.

Louis!”

È un grido che gli si sprigiona in gola più forte di quanto non vorrebbe e riecheggia tra gli alberi spogli; a forza di correre tra la neve rischia di scivolare più di una volta, ma non gli importa.

“Louis!” urla ancora, più forte che può, mentre continua ad avvicinarsi alla sagoma ansante del Masha.

Si ferma di scatto, solo per un secondo, il tempo sufficiente per osservare il corpo del drago completamente ferito, martoriato, bagnato.

Molte scaglie sono state strappate via, lasciando spazio a ferite dentro la carne; ferite che sanguinano e pulsano.

Gli occhi di Masha sono chiusi, le fauci semi aperte in un respiro affannato e dolorante. Il suo corpo è attorcigliato su se stesso in una posa innaturale e visibilmente dolorosa; tra le zampe—

Il sangue di Harry si raggela per un attimo, prima di cominciare a scorrere più velocemente che mai.

“Louis, Louis, Louis.” Accorre, s’avvicina, districando gli artigli di Masha uno ad uno dal corpo del cavaliere dagli occhi azzurri.

La sua pelle è gelida come la neve, i suoi vestiti e i suoi capelli completamente bagnati: tiene gli occhi chiusi e le labbra sembrano quasi diventategli viola.

Harry gli scuote il volto, lo schiaffeggia, cerca di farlo svegliare. Niente.

Non respira—è il primo pensiero che gli salta alla mente, quando posa una mano davanti alla sua bocca violacea.

“Resisti, resisti, ti prego.”

È una preghiera stretta tra i denti, sussurrata al vento, mentre afferra il suo corpo e se lo carica in spalla, ritornando più velocemente possibile all’accampamento.

Resisti, Louis.

Stringe gli occhi e si costringe a non lasciare—per almeno questa volta—che le emozioni abbiano la meglio su di lui; deve mantenersi lucido, agire. Non lascerà che Louis lo abbandoni.

Resisti, ti prego.

“Michael!” grida, quando raggiunge le brande.

Parte delle Sentinelle sono già in piedi, con le rispettive torce in mano: forse il rumore di Masha che cadeva al suolo deve avergli svegliati.

Si voltano tutti verso di lui, quando lo vedono arrivare.

Nei loro volti si legge confusione, domandandosi che cosa Harry stia tenendo in mano.

Poi, più si avvicina, più le loro espressioni si sgranano, impallidiscono, le loro mascelle si spalancano: gli corrono incontro, aiutandolo a trasportare il corpo di Louis fino ad un tavolo improvvisato.

Nessuno fa domande; per ora la priorità e badare a Louis.

Michael è l’unico a toccare quel corpo di ghiaccio, una volta posatolo sulla lastra di legno grezzo: Harry, lì accanto, non riesce a staccarne gli occhi di dosso.

“Cosa è successo?” gli domanda Liam, occhi sgranati dal terrore, lì accanto.

“Io—” Harry deglutisce a vuoto, cercando di rimettere in ordine le idee: “—Non lo so. Masha l’ha portato qui—Qualcuno deve badare a lei, s-sta morendo.”

“Dove si trova?”

“Appena fuori dall’accampamento.”

Liam annuisce e si trascina dietro anche Zayn, Greg e Luke, correndo verso il punto indicatoli.

Harry li vede scomparire lontano, nella notte, poi torna con lo sguardo su Louis.

La paura gli divora le ossa, gli stringe la gola fino a rendergli difficile respirare.

“Perché non respira?” domanda a Michael, urgentemente, come se si aspettasse che lui risolvesse ogni problema, con la sua medicina.

Il compagno non gli risponde e continua a far vagare le dita da una parte all’altra della pelle bluastra di Louis, premendo e tastando ovunque.

Il silenzio è tale da riuscire a sentire i battiti accelerati del proprio cuore.

Dopo un tempo che pare infinito, tenuto sulle spine fino alla nausea, Michael sussurra un: “È vivo.”

Harry si lascia esalare un respiro che non sapeva di aver trattenuto.

“È in ipotermia—” continua il cavaliere, rivolgendosi ai compagni intorno: “—deve essere caduto nell’acqua ghiacciata o qualcosa del genere” fa una pausa: “È troppo debole.”

“Cosa facciamo?” domanda qualcuno, poco più in là.

Michael tira fuori il proprio pugnale dalla cintola dei pantaloni; con un gesto secco taglia la casacca bagnata di Louis e gliela strappa lontano; il suo petto è così pallido da sembrare un fantasma.

“Dobbiamo riscaldarlo—dargli dei vestiti asciutti. Farlo riposare nella sua branda.”

“Sto io con lui.” La voce di Harry è ferma quando lo dice, attirando su di sé lo sguardo di Michael.

“Sicuro?” domanda: “Non hai dormito per tutta la notte e—”

Harry lo guarda intensamente. “Sto io con lui” ribadisce, scandendo le parole.

Michael annuisce: “Va bene. Assicurati che stia al caldo e che continui a respirare regolarmente.”

“Quando si riprenderà?”

“Non dipende da noi.”

Le Sentinelle rimangono in silenzio.

Trasportano il corpo di Louis dentro la sua vecchia branda, assicurandosi di accendere abbastanza ceri e candele da rendere l’ambiente sufficientemente caldo.

Harry lancia occhiate dubbiose ai vestiti pesanti con i quali hanno ricoperto Louis; non è sicuro che saranno sufficienti per tenerlo al caldo.

È inverno, dannazione.

Nemmeno tutte le coperte di pelliccia e i vestiti del mondo potranno mai dargli il calore di cui necessita; Harry si siede in fondo alla brada, su uno sgabello, osservandolo.

Sembra così diverso, dopo tutto quel tempo passato senza poterlo guardare: la sua barba è più lunga, tanto che pare coprirgli completamente il mento e le gote.

Sembra addirittura dimagrito, lasciando posto a muscoli ancora più definiti: le sue spalle paiono più larghe, la linea del collo più netta.

Il suo corpo trema, trema in maniera tanto violenta da fare quasi paura: trema per cercare di scaldarsi, inconsciamente.

Harry si morde il labbro inferiore; non può lasciarlo così.

Non può passare tutta la notte ad osservare Louis scosso da fremiti, mentre la sua pelle diventa più blu e i suoi occhi continuano a non aprirsi.

Non è abbastanza caldo, dannazione!

Scalcia una sedia con rabbia, e il movimento fa ondeggiare pericolosamente le fiamme delle lucerne intorno a loro, proiettando ombre sulle pareti.

Non può lasciare Louis così: non passerà la notte a guardarlo morire.

Prende un profondo respiro, cominciando a slacciarsi i lacci di cuoio della casacca pesante fin quando non rimane completamente a petto nudo. Rabbrividisce appena.

Appoggia l’indumento sullo sgabello e si toglie gli stivali ricoperti di neve, avvicinandosi al letto di Louis; si concede un secondo per osservarlo, poi alza il lembo di una coperta e si sistema accanto a lui, sfilandogli lentamente la maglia di lana pesante.

Gliel’ha insegnato Gemma, quand’era piccolo.

Sistema Louis su un fianco, coprendolo poi attentamente con delle coperte: la sua schiena pallida pare brillare come la luna, sotto la luce delle candele e la cicatrice sembra una scia di stelle luminose.

Si sdraia anche lui, sistemando il suo petto contro la sua schiena: immediatamente, il freddo che emana Louis sembra contagiarlo come un morbo doloroso, tanto che è costretto a stringere i denti per scacciare l’istinto d’allontanarsi.

Quando si abitua alla sensazione, stringe accuratamente le braccia intorno al busto dell’altro, spingendoselo contro. Intreccia le gambe con le sue.

Gliel’ha insegnato Gemma— il calore umano è uno dei fuochi più caldi della terra.

Affonda il naso tra i capelli—leggermente più lunghi di quanto si ricordasse—di Louis, mentre cerca di cedergli tutto il calore del suo corpo.

Petto contro schiena, Harry riesce a percepire molto molto piano il battito del cuore del cavaliere; veloce e silenzioso, mentre cerca con tutte le sue forze di non fermarsi e mantenersi in vita. Sembra un uccellino in gabbia che muove freneticamente le ali.

Harry aumenta la presa, incastrando il mento nell’incavo del collo di Louis e chiudendo gli occhi; deve dormire.

In gesto involontario, posa le labbra sulla sua pelle, sopra la cicatrice.

Sa di sale.

È un rumore improvviso e forte a svegliarlo.

Harry spalanca gli occhi, nell’oscurità completa—deve essere ancora notte.

Per un infinito secondo di puro terrore i ricordi della sera prima gli colpiscono la mente con una forza tale da stordirlo.

La prima reazione è quella di cercare il corpo di Louis, assicurarsi che stia bene, controllare che respiri ancora; è una reazione irragionevole e completamente dettata dall’istinto, considerando il fatto che il rumore che l’ha appena svegliato—l’ha prodotto Louis.

Harry sgrana gli occhi, osservando il ragazzo—ancora tra le sue braccia—tossire forte, fortissimo; percepisce la sua schiena contrarsi ad ogni boccata d’aria, ogni volta che cerca di prendere respiro.

Sono colpi di tosse improvvisi e violenti che lo fanno fremere e rigirarsi tra le coperte.

Harry fa per allentare la presa delle sue braccia strette intorno al corpo dell’altro, per farlo respirare liberamente ma. Non ci riesce.

Una mano gli va a stringere il polso, bloccandoglielo.

“Non allontanarti” la voce di Louis è sospirata, sembra quasi un sussurro: “Ho—ho ancora freddo.”

Harry si ritrova a chiedersi da quanto tempo non sentiva quella voce: da quanto tempo non udiva quella cadenza strascicata dell’Ovest, quel timbro limpido? Troppo, decisamente troppo tempo.

Non si era reso conto di quanto gli fosse mancata.

Rimane un attimo immobile, stordito dalle dita del cavaliere che premono contro la sua pelle, poi annuisce; non è sicuro che Louis possa effettivamente vederlo dato che è ancora sdraiato e gli volta le spalle, ma.

Harry che gli si risistema contro e lo stringe tra le braccia dovrebbe essere una risposta più che sufficiente.

Rimangono immobili, in silenzio, per altri minuti: la pelle del cavaliere contro il suo petto ora non sembra più ghiaccio, il suo cuore ha ricominciato a battere normalmente.

“Ci hanno fatto un agguato, di notte—Hanno preso tutto il mio dipartimento.”

La voce di Louis è talmente flebile che potrebbe essere scambiata per il fischio del vento: non sembra si stia rivolgendo a Harry quanto piuttosto a se stesso, come se cercasse di rimettere in ordine le idee, i pensieri. Per dare loro senso.

Harry rimane in silenzio, ascoltandolo; non vuole chiedergli cosa sia successo, non vuole forzarlo a parlare.

“Li hanno uccisi tutti.” Il cavaliere deglutisce, nella semioscurità degli ultimi ceri accesi: “Li ho visti morire tutti. Anche Cowell è morto. I rinforzi ci hanno messo una vita ad arrivare a causa della tempesta di neve e i Barbari hanno avuto tutto il tempo del mondo per uccidere tutti.”

Prende un respiro. “Tutti” ripete poi.

Il suo corpo è ancora troppo debole; infatti, quando cerca di rigirarsi dentro le braccia di Harry fin quando non si ritrovano faccia a faccia, il suo volto si piega in una smorfia di dolore.

Harry si sente così impacciato, non sa nemmeno dove posare le mani, dove stringere quel corpo martoriato.

Louis lo guarda, gli occhi enormi, stanchi e blu come non li ha mai visti.

“Masha mi ha preso tra le zampe e mi ha portato via. Eravamo—eravamo all’altezza del lago quando—” stringe forte le palpebre, prima di riaprirle.

“Non devi raccontarmelo, se non vuoi” s’affretta a sussurrargli Harry, ad appena qualche centimetro dal suo volto.

Ma l’altro sembra determinato a proseguire: “Eravamo all’altezza del lago quando delle frecce si sono scagliate addosso a Masha—lei ha lasciato la presa. Io—Sono caduto. Sono caduto per metri e metri, capisci? Ho spaccato la superficie ghiacciata del lago e ho cominciato ad affondare. Lentamente.”

Fa una piccola pausa, mordendosi il labbro inferiore; i suoi occhi sono puntati in basso, lontano, come se cercassero di non incrociare quelli di Harry.

“—Così lentamente da sembrare una tortura; ogni metro che percorrevo sentivo il sangue ghiacciarsi in una parte del corpo diversa. Ho guardato in alto e c’era il riflesso della luna che dondolava sull’acqua. C’era così tanto silenzio—Io. Io riuscivo a sentire solo—me stesso mentre affondavo.”

Alza improvvisamente lo sguardo, incontrando un paio di occhi verdi fissarlo, immobili.

“—Ho pregato gli dèi.” Ridacchia appena, senza umorismo: “Per la prima volta nella mia vita ho pregato, sai? Dovresti essere fiero di me.”

“Cosa—per cosa hai pregato?” tenta l’altro.

Louis prende un profondo respiro prima di rispondere, come se la sensazione dell’acqua che gli ostruiva la gola fossa ancora presente.

“Di morire.” Sputa, velocemente; come una miccia che si accende. Il secondo dopo, è ancora in silenzio.

“—Non ce la facevo più. Ero stanco per aver combattuto, spossato, impaurito e ora—ora stavo affogando. Ho pregato così intensamente di morire che per un attimo ho creduto che stessi urlando, ma—c’era ancora tutto quel silenzio. Roba da perderci la testa, sul serio. Poi Masha mi ha afferrato. Non—non ho idea di come abbia fatto ma mi ha tirato fuori dall’acqua—e ora sono qui.”

Spalanca improvvisamente gli occhi: “Dov’è Masha?” domanda, urgentemente.

Fa per alzarsi ma non ci riesce e ricade nel letto in un tono sordido, gemendo piano di dolore. Il sangue che ricomincia a circolare normalmente dentro il suo corpo deve provocargli fitte di dolore incredibili.

Harry cerca di tranquillizzarlo: “Si stanno occupando di lei, è viva. Non ti preoccupare.”

Il volto del cavaliere si distende. “Dèi, grazie” sussurra a nessuno in particolare.

Questa volta Louis smette per davvero di parlare; stringe le labbra in una linea dura e punta lo sguardo oltre la spalla di Harry, molto più lontano: rimane in silenzio.

I battiti dei loro cuori sono a contatto, petto contro petto: il corpo del cavaliere è ancora freddo, ma molto meno di quanto non lo fosse ore fa.

La sua barba decisamente più lunga gli ricopre le gote e le labbra sottili; i polpastrelli delle dita di Harry sembrano quasi bruciare dalla voglia di accarezzarla, accarezzare tutta la sua pelle e i suoi capelli scuri.

Louis lo guarda, lo squadra, sorridendo: “Per quanto tempo sono stato via?”

Harry si morde l’interno della guancia. “Quasi cinque mesi.”

“Sei cambiato così tanto” gli sussurra, passandogli un indice sulla guancia e lo zigomo ora affilato: “Sei diventato un uomo, ormai.”

Il suo respiro s’infrange contro le labbra di Harry, stordendolo: non è sicuro di poter contenere tutto quello che sta provando in questo momento, non è sicuro di essere in grado di controllarsi.

Louis, che era sparito per giorni e settimane e mesi interi, adesso è davanti a lui, adesso gli sta parlando; sembra così assurdo che gli viene quasi da ridere.

Louis è davanti a lui.

Louis.

Il dito contro la pelle della sua guancia sembra diventato di fuoco, ma è una sensazione piacevole: vorrebbe non smettesse mai.

Le sue labbra sono socchiuse, rosa pallido e Harry non riesce a staccarne gli occhi nemmeno un secondo, si sente un idiota: si ricorda perfettamente dell’espressione con cui l’aveva guardato Louis dopo quella sorta di bacio nella radura.

Benché Harry voglia, voglia con tutta l’anima, baciarlo in questo preciso istante, sa di non poterlo fare; perché gli sta fissando la bocca? È solo un’ulteriore tortura.

Prima che il suo cervello possa definitivamente rendersene conto, la mano di Louis s’è chiusa a coppa a lato del suo viso, delicatamente: lo sta guardando, gli occhi blu socchiusi.

Quando si avvicina, Harry è costretto a trattenere il fiato: non ha idea di cosa stia accadendo.

Non ha idea di cosa Louis abbia intenzione di fare fino all’ultimo, agognato secondo.

Le loro labbra si scontrano.

Sono più delicate e meno goffe della prima volta: quelle di Louis si muovono con dolcezza sopra quelle di Harry, massaggiandole, tastandole come un animale in un nuovo territorio.

Schiocca uno, due, tre, dieci baci sulle labbra socchiuse di Harry, sugli angoli della sua bocca, sulla piccola arcata del labbro superiore; lo bacia, lo accarezza.

La sua mano si muove tra i ricci, tirandoglieli piano, massaggiandoglieli.

La lingua di Louis non trova nessun tipo d’ostacolo quando preme gentilmente per entrare; quando gli accarezza piano il palato, qualcosa, nel cervello di Harry, si sblocca improvvisamente.

Si stanno baciando.

Le sue mani, fino ad adesso immobili, corrono su per il corpo di Louis, toccandolo urgentemente, mentre quello si sdraia con la schiena contro il materasso morbido e si trascina il corpo di Harry sopra di lui, facendolo sistemare a cavalcioni sul suo bacino.

Le pellicce e le coperte scivolano via, ma i loro respiri e le loro pelli sono troppo accaldate per curarsene.

Si baciano, si mordono, le loro lingue di mischiano, si assaggiando.

Le dita, prima timide poi sempre più sicure, cominciano a tastare tutta la pelle che riescono a trovare.

Il petto, le aureole morbide dei capezzoli, la linea netta delle clavicole e della mascella; Harry ridacchia appena, contro le sue labbra, quando percepisce la barba di Louis graffiargli le dita.

Il cavaliere si concede giusto il tempo di sussurrare un: “Domani me la taglio, giuro” prima di riattaccare la sua bocca a quella dell’altro, in un bacio caotico.

Ogni carezza della lingua di Louis corrisponde ad una scossa di brividi nel corpo del ragazzo più piccolo: un’ondata di fuoco che gli vibra nelle vene.

Quando si staccano, minuti interi dopo, non si allontanano più del dovuto dalle rispettive facce: continuano a respirarsi addosso; le mani di Louis sono strette ai fianchi di Harry, mentre quelle di quest’ultimo stanno ancora accarezzando i capelli cioccolato dell’altro.

Cosa è successo?

Scosse di eccitazione prendono possesso del suo corpo.

“Pensavo mi odiassi” sospira, mentre cerca di riprendere fiato; le sue guance saranno diventate sicuramente scarlatte.

Louis lo guarda, scostandogli un riccio dalla fronte; aggrotta le sopracciglia. “Odiarti?”

“Per—per quel bacio che ti ho dato alla radura. Pensavo mi odiassi” deglutisce, la gola improvvisamente secca: “Pensavo fossi disgustato da me.”

Il cavaliere arriccia appena le labbra, prima di lasciargli un bacio leggero sul mento, poi sul collo e sulle clavicole.

Dèi—pensa Harry, mordendosi il labbro inferiore e socchiudendo gli occhi—Fa che non si fermi mai.

“Odiarti?” lo sente sussurrare: “Non ti ho mai odiato Harry. Io ero—” si ferma un attimo, staccandosi per riuscirlo a guardare negli occhi: “—spaventato.”

“Da cosa?”

“Dal—Dal fatto che siamo entrambi guerrieri. Che, uh, potrei dormire una notte con te e il pomeriggio trovarti morto in un campo di battaglia.” Prende un respiro profondo: “Tu sei così giovane, Harry. Non hai idea di che cosa voglia dire aspettare ogni secondo che qualcuno ti mandi a morire.”

“Pensavo che i guerrieri dovessero imparare a controllare la paura.”

“Questa non è paura.”

“E allora cos’è?”

Louis rimane in silenzio, guardandolo; apre la bocca un paio di volte, ma la richiude sempre.

Si passa una mano sul volto, sospirando: “È la voglia di baciarti, di toccarti, di parlarti, di accarezzarti. Di tenerti al sicuro. Non—so cosa sia ma è più forte. Provo qualcosa per te e sento che è più forte della paura.”

Harry lo guarda e non sa cosa dire; tutti i libri, tutte le parole che ha sempre conosciuto sembrano improvvisamente state rimosse dalla sua testa, lasciandolo stordito.

“Da quanto?” si ritrova a domandare.

Louis ridacchia: “Dal banchetto per tua sorella—Quando eri uscito dalla sala pensavo che fosse un invito a seguirti, pensavo—” nasconde il volto dietro una mano: “pensavo che fosse per quel motivo che mi avevi guardato tutta la sera. Poi ho capito che in realtà eri solo un ragazzino irritante e che avevo interpretato male il messaggio.”

Harry scoppia a ridere, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo. “Pensavi che ti stessi invitando a seguirmi in camera?” domanda, ridacchiando e percorrendo con la punta del naso la curva della spalla.

Louis ruota gli occhi al soffitto, massaggiandogli coi pollici i fianchi. “Ci speravo.”

“Dèi, Louis. Sei proprio—” ci pensa un attimo: “carnale.”

Lo sente ridere. “Che avrei dovuto pensare? Tu mi fissavi, arrossivi—Prima di uscire dalla stanza mi hai anche lanciato un’occhiata, che devo aver frainteso.”

Harry posa un bacio soffice sulla sua pelle, proprio sopra la cicatrice: “Ripeto” altro bacio, altro schiocco: “Sei proprio” un altro sulla clavicola: “carnale.”

Si allontana un attimo, giusto quanto basta per guardarlo nelle iridi blu.

“Ho paura che domani mattina mi sveglierò e scoprirò che è tutto un sogno. Che tu sei ancora alla Barriera.”

“Ti sono mancato così tanto?” lo schernisce dolcemente l’altro.

Harry si morde l’interno della guancia, distogliendo lo sguardo; non si era reso conto di quanto tenesse davvero a Louis fino alla mattina in cui era andato.

Fin quando non si era dovuto svegliare ogni giorno e non vederlo più girare per il campo.

“Tutto bene?” domanda poco dopo il cavaliere, guardandolo con le sopracciglia aggrottate.

Il ragazzo dagli occhi verdi annuisce. “Io non—” sospira, allentando i muscoli delle spalle: “C’è una parte di me che ancora non riesce a crederci. Un’altra che è spaventata da tutto questo. Una terza che vorrebbe rimanere a baciarti per sempre—Un’altra, uhm. Un’altra che mi ricorda che un giorno dovrò diventare re e sposare una donna per mandare avanti la dinastia e poi—Poi c’è l’anello che tengo appeso al collo.”

Posa lo sguardo sull’oggetto: piccolo, risplendente e tondo mentre dondola sul suo petto; vorrebbe strapparlo via a morsi, urgentemente, ma c’è una parte di lui che glielo impedisce.

“—Mi sembra di scoppiare” ammette poi.

Louis lo accarezza dolcemente, passandogli le mani sui muscoli della schiena per aiutalo a scioglierli dalla tensione; rimane in silenzio per poco prima di mormorargli contro il padiglione dell’orecchio:

“Sei mai stato con un uomo, Harry?” C’è un pizzico d’insolenza, nel suo timbro.

L’altro deglutisce rumorosamente e fa segno di no con la testa, dimenticandosi un attimo di tutti i suoi problemi e lasciando che il tocco gentile del cavaliere lo distragga.

Si morde il labbro inferiore: “Tu?”

“Oh, sì” ridacchia appena e preme piano il palmo della mano contro il suo fianco, ribaltando le posizioni e aiutandolo a sdraiarsi contro il materasso; Harry esegue tutto come un cucciolo ammaestrato, non staccando nemmeno un secondo gli occhi da quelli di Louis.

Le sue guance sono diventate ancora più scarlatte. “Louis, non so se sono pront—”

L’altro lo azzittisce immediatamente con un’occhiata particolarmente seria: “Harry, non ho intenzione di fare niente che entrambi non vogliamo. Solo—” gli accarezza il basso ventre nudo con l’indice, facendolo rabbrividire: “—rilassati.”

Harry prende un profondo respiro, socchiudendo gli occhi: la voce, il tocco, la presenza di Louis lo stanno mandando fuori di testa.

Lo confondono, lo eccitano.

Quando percepisce delle dita cominciare lentamente a slacciare i lacci di cuoio dei pantaloni, trattiene il respiro e sibila tra i denti.

“È la prima volta?” La voce di Louis è calda e rassicurante, contro la sua pelle increspata e sensibile.

“Sì. No.”

“Sì o no?”

Harry si morde il labbro inferiore a sangue, osservando Louis giocherellare con il bordo dei suoi pantaloni: “Non così.”

“Non con un uomo?”

“Non con—qualcun altro.”

Louis ci mette un secondo a metabolizzare ciò che Harry gli ha appena rivelato e, quando lo fa, si lascia scappare un gemito eccitato e sorpreso.

Gli bacia l’inguine, premendogli un palmo contro la protuberanza tra le gambe; Harry sussulta immediatamente, lasciandosi scappare un gemito strozzato: non si era reso conto di essere già eccitato.

Louis lo sta guardando, con la mano immobile sui suoi pantaloni: “Vuoi che ti tocchi?” domanda, inumidendosi con la lingua il labbro inferiore.

Harry ansima appena perché dèi, non si era assolutamente reso conto di essere così tanto eccitato: percepire la sensazione di una mano diversa dalla sua che lo tocca e l’accarezza è qualcosa di nuovo e—terribilmente piacevole.

“Sì—” emette un verso strozzato: “Per piacere.”

Louis gli massaggia dolcemente la zona interna della coscia. “Prendiamoci il nostro tempo, okay?” Applica sempre maggiore pressione sul membro coperto di Harry: “Se è la tua prima volta con qualcun altro—voglio che sia importante. Uhm, va bene?”

Harry annuisce freneticamente, lasciando che i propri ricci gli ricoprano il volto accaldato: “Va bene, va bene, va bene tutto.”

Socchiude le labbra: “Louiss” sibila o forse sarebbe più corretto dire ansima; Harry sta letteralmenteansimando in veloci e piccoli respiri che fanno arrossire le guance del cavaliere sopra di lui.

Harry lo guarda, gli occhi leggermente lucidi: “Ti prego, ti prego, ti prego. Fa’—qualcosa.”

Louis deglutisce rumorosamente e—sì, anche lui è decisamente eccitato.

Si puntella sulle ginocchia e si sporge quel tanto che basta per raggiungere il volto dell’altro, stampandogli sopra un bacio languido; dopodiché si stacca appena.

“Voglio assicurarmi che tu sia—” si morde al labbro inferiore: “—al limite, prima di cominciare a toccarti. Per te va bene?”

“Uhm.” Harry è troppo preso dalla sensazione ruvida della mano di Louis accarezzargli il ventre, per poter rispondere; la sua pelle sfrega contro la sua, graffiandola appena.

Quando i polpastrelli raggiungono i suoi capezzoli, trattiene un gemito acuto, miagolando. Louis gli sorride, imprimendo una serie di baci lungo la linea della mascella:

Oh, abbiamo trovato un punto sensibile?” domanda in un sussurro contro la sua pelle, mentre stringe il nocciolo duro tra le dita: “È sensibile qui—” lo stringe appena, lasciando che Harry getti il capo indietro e trattenga un nuovo gemito: “—vero?”

C’è un pizzico di maliziosità, nella sua voce; sfrega più velocemente i polpastrelli contro le aureole morbide, mentre le sue labbra continuano a baciare ogni centimetro di pelle, leccarlo, assaporarlo finché non incontrano quegli stessi capezzoli rosati.

Ci posa sopra i denti, tirandoli appena, succhiandoli con un suono ovattato e giocandoci con la lingua: Harry stringe forte la coperta di lana tra le dita, mordendosi il labbro inferiore a sangue per trattenere i gemiti.

Louis gli punta le iridi contro. “Non devi trattenerti, piccolo.”

Piccolo, oh.

Questo è nuovo; è sempre stato “verginello” o “ragazzino” o ancora “principessa”. Harry lo guarda, rigirandosi la parola sulla punta della lingua. Piccolo. Gli piace. Gli piace davvero.

Socchiude le labbra, lasciando finalmente fuoriuscire un gemito rumoroso dovuto ai suoi capezzoli così sensibili e al fatto che il ginocchio dell’altro contini a premere contro il cavallo dei suoi pantaloni, insistentemente.

Sente il ragazzo dagli occhi azzurri ridacchiare. “Piano, piano. Così sveglierai tutti.”

Harry arrossisce, premendosi i palmi delle mani sugli occhi: “Scusa, scusa. Io—So di essere un disastro—è la prima volta che—”

Louis lo azzittisce immediatamente con un bacio sul collo, poi uno sulle labbra lucide: “Non scusarti—sei perfetto” gli sussurra sulla pelle increspata: “È tutto perfetto.”

La sua mano continua a vagare per il petto liscio dell’altro, torturandolo in lente e dolci carezze e leggere pressioni nei punti in assoluto più sensibili: Harry è costretto a trattenere il fiato e pigolare affannato, in un evidente richiesta d’attenzione.

“Louis, ti prego.” È sicuro di essere arrivato al limite di sopportazione; ne è maledettamente sicuro.

Stringe i capelli del cavaliere tra le dita, tirandoli appena per riuscire a guardarlo negli occhi.

Anche se non riesce a vederle, è sicuro che le proprie guance siano rosse come fuoco; in parte per l’eccitazione, in parte per l’imbarazzo.

Dèi,” sospira Louis contro la sua pelle leggermente sudata: “sei al limite, vero?”

Harry annuisce, quasi al margine del piagnisteo, e si morde il labbro inferiore.

Il ragazzo dagli occhi azzurri si concede giusto un secondo per osservare ogni sfumatura di quel volto contorto dal bisogno, prima di sistemarsi meglio tra le sue gambe e tirare giù i pantaloni dell’altro, spingendoli via in un angolo della propria branda.

Posa un altro bacio sul ventre di Harry, poi accarezza piano il suo membro rosso e ricurvo, prima di circondarlo completamente con un palmo.

Harry alza il bacino di scatto, sibilando e gemendo per l’improvviso contatto; percepisce il proprio battito accelerare.

“Ti piace, piccolo?” Louis comincia a pompare piano con la mano, dalla base all’altezza, con movimenti lenti ed agognanti.

“Sì, sì—” La voce di Harry è un sospiro inaudibile, mentre getta il capo all’indietro e si lascia in balia di quella mano esperta.

“—O, dèi, Louis. Nght, Io—uhm.” Non riesce a pensare lucidamente, non è in grado di pronunciare altro se non suoni sconnessi che fuoriescono autonomamente dalle sue labbra martoriate dai morsi.

Non riesce nemmeno a vedere chiaramente perché le sue pupille sono allargate, gli occhi lucidi per l’eccitazione; sente il proprio corpo tremare dalla tensione e dal piacere.

La mano di Louis è troppo lenta per essere un ritmo sufficientemente soddisfacente, sembra quasi ci stia giocando, come se volesse torturarlo dolcemente.

Emette un lamento affannato: “Più—veloce. T-ti prego.”

In risposta, sente l’altro ridacchiare piano, con il respiro pesante. “Piano, piccolo. Va bene anche se andiamo lenti—senza forzare niente, okay?”

Harry vorrebbe rispondere, dire qualsiasi cosa, ma semplicemente non riesce a mettere in fila più di due parole senza che vengano interrotte da una sessione di gemiti e brividi.

Chiude le mani a coppa intorno al volto dell’altro e se lo trascina contro, baciandolo a labbra aperte; i loro bacini si scontrano appena e Louis trattiene un gemito tra le labbra.

“Ti dispiace—” la sua voce è improvvisamente roca: “—se adesso continui da solo, uh? Vorrei—vorrei guardarti.”

Harry arriccia le labbra e no, no, ti prego non togliere quella mano, ti prego ma Louis l’ha già fatto, lasciando il membro dell’altro ancora insoddisfatto e più rosso e sensibile che mai.

Emette un verso contrariato che si spegne in un gemito appena osserva la mano di Louis—quella che fino a poco prima stava stringendo la sua lunghezza—insinuarsi oltre l’orlo dei propri pantaloni.

Lo osserva, incantato.

Louis si sta toccando, davanti a lui; i suoi occhi blu sono socchiusi e lucidi, gli zigomi affilati sono tinti di rosso e le labbra sono socchiuse e lucide.

Il suo polso dà stoccate nette alla sua lunghezza ripiegata sullo stomaco e lui geme sommessamente ogni volta che il palmo raggiunge l’altezza.

La mano di Harry, inconsciamente, si allaccia al proprio membro perché quella visione è semplicementetroppo.

Comincia a pompare piano, sentendo il proprio stomaco restringersi ad ogni nuova stoccata; percepire il corpo caldo di Louis sopra di lui che si sta dando piacere da solo lo eccita ancora di più.

Aumenta il ritmo, sentendo i propri muscoli contrarsi. Ansima piano, a bocca aperta, mordendosi il labbro inferiore; osserva il cavaliere guardarlo e sorridergli.

“Sei—nhgt. Bellissimo.”

Harry non risponde e l’altro continua. “Bello, bello, bello.” Sembra non voglia smetterla più; mentre parla gli lascia una scia di baci per il collo teso, il petto arrossato.

Ed è tutto così terribilmente piacevole, ipnotico, che Harry non è nemmeno più sicuro saper pensare chiaramente. Non riesce a formulare un pensiero coerente perché le labbra dell’altro lo distraggono ogni secondo.

“Louis—oh dèi—Lou.” Pigola affannato, il polso dolorante mentre cerca di aumentare ancora di più il ritmo.

“Sto per—sto per—” deglutisce a vuoto.

La sua mano viene scacciata via da quella di Louis, che prende repentinamente il suo posto: Harry ansima, forte, a bocca aperta e strizza le palpebre.

Il nuovo ritmo che l’altro detta è qualcosa di nuovo: lento, sempre dalla base all’altezza, ma adesso, ogni volta che raggiunge la cappella arrossata, applica ancora più pressione.

Goccioline bianche di liquido pre-orgasmico fuoriescono ad ogni piccola strizzata, bagnandogli la mano.

Harry inarca ancora di più il bacino, gemendo incontrollatamente perché—riesce a percepirlo—sta superando il limite.

Non il limite della sopportazione, ma il limite fisico del suo corpo. Ogni centimetro di pelle sembra andargli a fuoco dal piacere, mentre la mano di Louis continua a muoversi sempre più velocemente, ansimandogli nell’orecchio e sulle labbra.

E baciandolo, baciandolo, baciandolo.

“Sto—” gli manca aria alla gola: “Per—”

Percepisce l’istante prima dell’orgasmo come la corda tesa di una freccia che scocca: i suoi muscoli tremano incontrollatamente, la sua bocca non riesce a trattenere i miagolii affannati e gli ansimi, e in un colpo solo sente tutto il piacere rovesciarsi via.

Allontanarsi dal suo corpo in un’unica, grande e violenta ondata.

La mano di Louis rallenta, rallenta sempre di più, fin quando non si stacca completamente.

Harry lo guarda, mentre cerca di riprendere fiato: l’altra mano di Louis—quella che non stava toccando il membro di Harry—continua a muoversi sulla propria lunghezza, anch’essa ormai spompata.

Liquido bianco è sparso sui loro ventri e sulle coperte.

Louis puntella i gomiti ai lati del collo ancora tremante di Harry e si piega per scoccargli un bacio sulle labbra; la barba pizzica contro la sua pelle.

“Come è andata?” domanda, sorridendogli dolcemente.

In risposta, Harry attacca le loro labbra in un ultimo bacio caotico, mentre ancora cerca di riprendere fiato.

Lo guarda negli occhi intensamente.

“Mi sei mancato da morire.”

§

Harry costringe Louis a rimanere a riposarsi nel campo per tutto il tempo necessario.

Non importa se il cavaliere effettivamente stia bene e vorrebbe solo tornare alla Barriera per vedere se Calum o Ashton o Stan siano ancora vivi nei loro rispettivi dipartimenti; Harry lo costringe ad un riposo forzato.

Non vuole che Louis se ne vada di nuovo. Non riuscirebbe a sopportarlo.

Passano i successivi giorni a compiere le loro solite mansioni, come ai vecchi tempi, e le successive notti a stringersi tra le coperte e baciarsi, toccarsi ed abbracciarsi.

Al campo ormai è chiaro che Harry non ha intenzione di ritornare nel suo vecchio letto; di dormire nel suo vecchio letto.

Nessuno sembra preoccuparsene, però, e solo occasionalmente Niall e Liam gli lanciano occhiate divertite ogni mattina, quando Harry esce dalla branda di Louis e si stiracchia.

Zayn si limita sorridergli, di tanto in tanto.

Solo una volta Louis ha deciso di parlare davanti alle altre Sentinelle di ciò che è successo quando è scappato via dal suo dipartimento, alla Barriera; perché—dice—quelle persone sono la sua famiglia e hanno il diritto di sapere.

Harry lo osserva, seduto intorno al fuoco, mentre Louis parla e racconta agli altri quello che ha già raccontato a lui; cerca di non farli preoccupare troppo, ripete che i rinforzi sono arrivati e hanno ucciso tutti i Barbari che avevano osato entrare nel suo dipartimento.

“Volevi vendicarti, vero?” domanda una notte Harry, sdraiato sul letto e accoccolato contro il suo petto. “Volevi vendicarti di chi ha ucciso la tua famiglia? Volevi uccidere più Barbari possibili?”

Louis ci mette un paio di secondi prima di rispondere, per poi smettere di accarezzare i ricci di dell’altro: “Sì.” Sospira. “Volevo farlo.”

Harry non fa altre domande.

Masha, con la gioia di tutti, si sta riprendendo.

Michael ha fatto un ottimo lavoro. (Quel ragazzo dovrebbe diventare medico di corte, sul serio.)

È Harry il primo ad andare a trovarla, ogni mattina; lei passa molto del suo tempo a dormire per riprendere le forze e Harry si limita ad accarezzarla, per la maggior parte del tempo.

Solitamente, accanto a lui c’è anche Huton, che, a forza di vedere il grande drago nero in quelle condizioni, non può fare a meno di essere mogio e meno saltellante.

Niall gli dà una pacca sulla testa, accarezzandogli un corno smussato: “Gli manca mamma drago” borbotta, ricominciando ad intagliare un bastoncino di legno per farne delle frecce.

Harry si sistema meglio contro l’albero di pino; ridacchia appena al commento del compagno: “Masha è un po’ la mamma di tutti, qui.”

“Sappi che sarà molto arrabbiata quando si riprenderà.”

“Perché?”

Il ragazzo biondo gli lancia un’occhiata maliziosa: “Lei è molto gelosa di Louis. Quando scoprirà che lui ha un nuovo compagno preferito, ti divorerà in un sol boccone.”

Harry gli dà un pugno sul braccio, senza vera intenzione di fargli male. “Dacci un taglio. Possiamo sempre—uhm. Dividercelo.”

“Tipo. Tu ti prendi la parte sotto e lei la parte sopra?”

Scoppia a ridere, scuotendo la testa. “Sarà difficile per Louis cavalcare il suo drago senza l’utilizzo delle gambe.”

Niall emette un sibilo basso per trattenere una risata: “Effettivamente mi domando se lui sia più bravo a cavalcare te o Masha.”

Harry si volta di scatto, con le guance scarlatte: “Niall!”

Il compagno ride più forte, coprendosi la bocca con la mano: “Scusa, scusa—mi è sfuggita.”

Per quanto possa provarci, Harry non è sicuro di poter trattenere una risata: “Non puoi fare queste battute! Non le hai mai fatto con Liam e Zayn. È ingiusto!”

“Sì—perché Liam e Zayn hanno il triplo della massa muscolare che avete te e Louis. E poi—” cerca di riprendere fiato dalla risata: “Dico, hai visto Zayn? È in grado d’incenerirti con un solo sguardo. Mi mette troppa soggezione.”

Harry ruota gli occhi al cielo e non commenta ulteriormente; fa per voltarsi nuovamente verso Masha quando un improvviso gemito da parte di quest’ultima attira la sua attenzione.

Sia lui che Niall si dirigono velocemente vicino all’animale, per vedere cosa non va: Masha continua a muovere l’ala malconcia, come se cercasse di spostarla.

Huton, lì accanto, si muove freneticamente, agitato.

“Cos’ha?” gli domanda Niall.

“Credo—uh, che voglia spostare l’ala. Forse le fa male.”

Il punto è: Masha ha delle ali enormi.

Harry guarda il compagno un attimo, prima che—con un tacito accordo—comincino piano ad afferrare gli estremi e a spostarla: la consistenza di quelle enormi è ali è molto simile a quella di una qualsiasi pelle, se non per il fatto che è decisamente più liscia e sottile.

Basta muoverla di appena qualche metro, lasciandola adagiare lungo il corpo del drago, che improvvisamente qualcosa rotola via da sotto di essa, cadendo nella terra.

Harry spalanca gli occhi.

“E questo da dove esce fuori?” È Niall a dare voce ai suoi pensieri.

Huton, dietro di loro, osserva la scena coi piccoli occhi sgranati e le fauci semiaperte: Harry fa qualche passo verso l’oggetto che ora giace immobile—è rotondo.

Lucido, sporco di terra, ovale; Harry si piega sulle ginocchia per osservarlo meglio ma non ha il coraggio di prenderlo in mano.

“Deve averlo tenuto nascosto sotto l’ala per tutto questo tempo” commenta, pensieroso.

“E perché mai avrebbe dovuto farlo?” Niall fa qualche passo nella sua direzione.

Improvvisamente, osservandolo, Harry nota una piccola crepa formarsi a lato di quella pietra liscia; all’inizio è quasi invisibile ma, subito dopo ne compare una seconda e una terza.

Sono piccole e sembrano partire tutte da uno stesso punto come se—come se qualcuno stesse picchiettando dall’interno.

Harry fa un salto indietro, sorpreso: le crepe continuano a formarsi, seguite da un secco suono di rottura.

“È un uovo.” Lo sussurra più a se stesso che ad altri, continuando a fissare l’oggetto.

“Doveva tenerlo al caldo perché è un uovo” dice, più forte, in modo che il compagno possa sentirlo.

Niall spalanca gli occhi, rimanendo immobile.

Rimangono in perfetto silenzio, in attesa, mentre le crepe sulla superficie si duplicano, triplicano; nel giro di qualche minuto, scaglie cadono dall’uovo, lasciando intravedere solo oscurità, all’interno di esso.

Poi, proprio quando cominciano a credere che non ci sia niente dentro quell’uovo, un piccolo musino verde fa capolino da uno dei fori; poi una testolina, degli occhietti scuri che sbattono confusi alla vista del sole, un collo sottile.

Un cucciolo di drago verde cerca di liberarsi dagli ultimi residui di uovo per cominciare a zampettare scompostamente sul terreno; Harry lo osserva cercare di aprire le piccole ali ancora sporche dell’albume denso, senza riuscirci.

Scuote il piccolo muso, guardandosi intorno affannosamente, come a chiedere aiuto.

Niall affianca Harry, indicando con un dito l’enorme drago nero che sta osservando la scena, impassibile: “Non è un cucciolo di Masha.”

“Come puoi dirlo?”

Il ragazzo schiocca la lingua, sorridendo alla vista di Huton che cerca di annusare il nuovo arrivato: “Quando il piccolo nasce, la mamma ha il compito di leccare via quel liquido; così s’instaura un legame forte, tra i due. Masha non lo sta facendo, quindi il cucciolo non è suo.”

Harry si morde l’interno della guancia: “Allora di chi è?”

“Non saprei—forse l’ha preso quando lei e Louis hanno sorvolato il lago, oppure l’ha racimolato prima che i Barbari distruggessero l’accampamento e uccidessero tutti gli altri draghi.”

Niall rimane immobile, osservando il piccolo cucciolo cercare disperatamente di liberarsi da quella specie di colla trasparente che gli impedisce di stendere le ali: dà una piccola spallata a Harry, come cercasse di spingerlo avanti.

“Dài, togligliela” lo invita, sorridendo.

Il ragazzo dagli occhi verdi spalanca le palpebre: “C-cosa?”

“Be’, mi sembra più che palese che ti stia guardando per chiedere aiuto.”

Effettivamente, l’unica persona alla quale sembra che il cucciolo si stia rivolgendo è Harry; quello scuote la testa, improvvisamente agitato.

“Ma se lo faccio—Dopo crederà che sia la madre.”

“Già.” Niall ridacchia: “E avrai il tuo drago. Il tuo compagno per la vita.”

Il cucciolo zampetta disperato verso Harry, trascinandosi dietro la coda. Il cavaliere biondo sorride: “Vedi? Ti ha scelto. Ormai sei destinato.”

L’altro deglutisce, emozionato: afferra un lembo della propria casacca e la strappa via, si avvicina poi lentamente all’animaletto, quasi come se avesse paura di farlo scappare.

Ma quello, al contrario, sembra felice che finalmente qualcuno gli stia donando attenzioni; cammina ancora verso di lui, andando incontro alle sue mani tese.

Harry utilizza il pezzo di stoffa per avvolgere il cucciolo come se fosse un fagotto e tamponargli via quel liquido denso e appiccicoso. L’animaletto scuote la testa soddisfatto, spalancando la piccola bocca.

È una sensazione estasiante tenere quella piccola creatura tra le mani; Harry percepisce il proprio cuore battere forte, dentro al petto.

Gli sfrega via l’albume, lasciandolo pulito e asciutto: gli passa la stoffa sulla testa, tra le zampette e—

“Niall?” dice, ridacchiando appena.

L’altro alza un sopracciglio: “Sì?”

“Credo che sia una femmina.”

La piccola cucciola, per ringraziare Harry, comincia a sfregare la testa contro la sua mano, felice.

Niall ridacchia: “Dovresti sceglierle un bel nome allora.”

Harry l’accarezza sulla testa per qualche minuto, sorridendo, e ci pensa un po’. “Sheen.”

Poi si rivolge all’animale. “Ti piace?” Quella continua a sfregare energicamente la testolina cornuta contro il suo palmo; Harry decide di prenderlo come un sì.

Sheen,” sente il compagno rigirarsi la parola tra le labbra: “significa qualcosa nell’idioma delle rune, vero?”

Il ragazzo dagli occhi verdi ridacchia, annuendo.

“Sheen” ripete: “Colei che sorride.”

§

I successivi giorni, all’accampamento, sono giorni che Harry non viveva da anni interi.

Tutti sono tranquilli, svolgono felicemente le loro mansioni di giorno, e la sera mangiano e si siedono intorno al fuoco, mentre Niall tira fuori un vecchio strumento che Harry non ha mai visto, ma che—a quanto dice il compagno—è tipico del suo villaggio, nell’Est.

È uno strumento a corde, che il cavaliere biondo suona divinamente, premendo e facendo vibrare quei crini intrecciati al metallo con perfetta precisione e accompagnandolo, di tanto in tanto, con testi di canzoni popolari che parlano degli dèi, delle guerre passate e dei grandi re.

Harry si accoccola tra le gambe di Louis, seduti per terra, e ascoltano incantati la voce del compagno, insieme dallo scoppiettio del fuoco.

C’è una canzone, in particolare, che Harry preferisce: parla di un’epoca passata, in cui un drago rosso bruciò il più grande villaggio del Sud, e si rintanò sotto la montagna.

Ogni volta che l’ascolta, gli sembra di vedere le fiamme alzarsi davanti ai suoi occhi.

La notte, invece, si ritirano nella branda di Louis dando la buonanotte a tutte le altre Sentinelle, poi si sdraiano nel loro letto, si baciano, parlano, ridono, si accarezzano e si toccano, senza andare oltre: per Harry è ancora tutto così nuovo, così bello.

Non gli importa che Louis abbia quasi il doppio dei suoi anni—anche se, da quando s’è tagliato la barba, sembra quasi della sua stessa età—o se le sue mani siano molto più esperte delle sue; tutto è perfetto.

C’è una parte di lui che ogni tanto si domanda ancora cosa succederà quando dovrà tornare alla reggia, ma è una parte che viene facilmente messa a tacere ogni volta che le labbra di Louis si appoggiano sulle sue.

Lì, sulle montagne e tra la neve che comincia a sciogliersi, sembra che niente e nessuno possa toccarli: la realtà, il dovere sembrano lontani ed incapaci di scalfirli.

Passa tantissimo tempo a curare ed addestrare Sheen insieme all’aiuto di tutti: da Louis a Zayn a Liam a Will, Michael, Greg e chiunque sia disposto a farlo. Con i loro rispettivi draghi, ovviamente.

Quella dragonessa è ancora troppo piccola per saper volare, così passa la maggior parte del tempo appollaiata sulla sua spalla, o sul suo braccio; Harry ha segni di morsi sparsi per tutte le mani, ma non gli danno troppo fastidio.

Più di una volta Louis ha cercato di farla giocare con Masha, ma il drago nero sembra ancora troppo stanco per riuscire a muoversi come un tempo, anche se si sta visibilmente riprendendo.

Michael stima che, in un paio di settimane, dovrebbe tornare come nuova. (A quanto pare il veleno della freccia conteneva della passa selvatica.)

Le notizie che arrivano dalla Barriera avvisano che i Barbari stanno retrocedendo verso i loro territori e che,sì, Calum, Ashton e Stan sono vivi e vegeti nei loro rispettivi dipartimenti; la notizia fa tirare un sospiro di sollievo a tutti, nell’accampamento.

Nessun generale chiede di Louis, nessuno domanda il suo immediato ritorno sul campo di battaglia,.

Harry cerca sempre di persuaderlo a lasciare passare un po’ di tempo prima di inviare una qualche sorta di staffetta ai superiori. (Perché Louis vuole tornare in battaglia; purtroppo, la sua sete di vendetta non s’è appianata.)

Ma, sembra ancora debole; è una cosa che Harry nota una mattina, mentre lo vede fare incredibilmente fatica per piegarsi e raccogliere la propria spada.

Michael dice che, quando è caduto nel lago, è stato in ipotermia per ore intere; il freddo deve avergli giocato un brutto scherzo alle articolazioni. Ma potrebbe riprendersi. Stando a lui, è un miracolo che sia ancora vivo.

Questa è una scusa sufficiente per trattenerlo al campo.

Da quel momento, Harry ritorna a pregare. Non lo faceva da settimane e settimane.

Torna ad accendere bastoncini d’incenso e recitare i testi delle Scritture; principalmente ringrazia che sia andato tutto bene, e ringrazia gli dèi di aver trovato qualcuno come Louis.

Sembra che tutto vada per il meglio, durante i giorni quieti che trascorrono felicemente.

Una sera, mentre Harry sta appoggiando una catasta di legni sull’altopiano, gli sembra addirittura di scorgere Liam e Zayn allenarsi nel combattimento a corpo libero.

Rimane un attimo ad osservarli incantato, di nascosto: sono due combattenti provetti.

Se Liam ha la forza fisica, Zayn ha l’astuzia e la precisione dei movimenti; sembra quasi che si completino.

I loro busti nudi e sudati si muovono sinuosamente, schivandosi e attaccando.

Dopo un paio di minuti, Liam riesce a bloccare l’altro sotto il peso del suo corpo, a terra: gli tiene i polsi alti sopra la testa e le cosce sono ben piantate al lato del suo bacino.

Zayn borbotta qualcosa, infastidito, mentre cerca di divincolarsi e Liam ridacchia, guardandolo dolcemente:

“Non ho barato” sussurra.

Harry non ne è sicuro, ma gli sembra di udire Zayn bofonchiare qualcosa come: “Sì, invece. Perché ti piacetroppo dimostrarmi che sei più forte di me.”

Liam ride ancora e si piega col busto fino a che le sue labbra non si attaccano a quelle sottili e leggermente sporche di sangue dell’altro.

Harry arrossisce furiosamente; non li aveva mai visti baciarsi.

Non sono esattamente il tipo di persone che amano scambiarsi effusioni in pubblico, quindi c’è qualcosa di strano nel vederli così tranquilli e—vicini.

Decide di fare retromarcia, più silenziosamente possibile, e tornare all’accampamento.

Avranno da fare per un bel po’—ridacchia. E, sì—pensa, alzando il volto al cielo imbrunito—, tutto va bene.

§

Ovviamente le cose non possono andare sempre il verso giusto.

Harry lo realizza amaramente una mattina all’alba, quando, uscito dalla branda di Louis per andare a controllare Sheen, vede un drago atterrare proprio lì davanti; a cavalcarlo, oltre che un corriere con il marchio degli Styles appeso al petto, c’è anche—

Spalanca gli occhi.

Gemma.

Gemma. Sua sorella Gemma. Quasi non riesce a crederci; sbatte le palpebre una, due, tre volte per cercare di mettere a fuoco la figura che scivola dolcemente giù dall’animale, appoggiandosi coi piedi a terra.

Sembra così diversa, dall’ultima volta che l’ha vista—mesi e mesi fa.

Gemma.

Gemma con il suo vestito lungo rosso scuro e il velo delle Sacerdotesse a ricoprirgli i capelli dorati.

Rimane immobile, raggelato sul posto: vorrebbe correre ad abbracciala, stringerla ed affondare il naso tra i suoi capelli profumati ma. Qualcosa glielo impedisce.

Gli occhi di sua sorella, glielo impediscono.

Sono scuri, piegati in una smorfia di dolore e frustrazione, talmente taglienti da gelargli il sangue nelle vene.

Le cose non possono andare sempre per il verso giusto.

Lo capisce dall’espressione della ragazza.

Lei comincia a correre, passo dopo passo, alzando piccole nuvole di polvere; la veste si muove sinuosa intorno alle sue gambe e alle caviglie sottili.

Prima che possa effettivamente accorgersene, Gemma gli ha stretto due braccia intorno al collo, nascondendo il volto nell’incavo: il suo profumo lo stordisce.

“Harry” sospira lei: “Non ti riconoscevo nemmeno.”

Si stacca appena, giusto quanto basta per guardarlo negli occhi; i suoi, di occhi, sono lucidi, le iridi più brillanti che mai. Gli sembra di rivedere sua madre, in quegli occhi.

Gemma socchiude le labbra screpolate: “Nostro padre è morto.”

Louis porge loro due tazze d’infuso fumante che ha preparato Greg; Gemma ringrazia, attorcigliando le lunghe dita intorno alla ceramica grezza per riscaldarsi.

La luce del sole filtra appena dalla finestra della vecchia branda di Harry; dove ora il letto è stato tolto e sostituito da un tavolo con alcune sedie di legno.

Louis, in piedi dietro di lui, è in silenzio e sta appoggiato alla parete, con le braccia incrociate.

Gemma, dopo un paio di sorsi, alza il volto, lanciando al fratello un’occhiata confusa.

Harry fa un cenno sbrigativo col capo: “Lui è Louis, dei Tomlinson—È la prima Sentinella dell’Ovest.”

“Era uno dei cavalieri invitati al pranzo della mia iniziazione?” domanda la ragazza, cordialmente.

Louis si schiarisce la voce: “Sì, è stato un onore potervi partecipare, vostra altezza.”

Gemma gli sorride, per poi rivolgersi a Harry: “Parteciperà alla nostra conversazione?”

Il ragazzo dagli occhi verdi annuisce. “Mi fido di lui.”

La sorella non aggiunge altro e abbassa lo sguardo sulla propria tazza ricolma di liquido scuro alle erbe: sembra persa nei suoi pensieri, con un’ombra che le vela il volto delicato.

Dopo un paio di minuti, Harry si sporge sopra il tavolo per afferrarle la mano e stringerla tra le sue. “Cosa è successo?” domanda.

Lei emette un sibilo basso, derisorio ed arrabbiato: “Cosa credi che sia successo? È andato in guerra, senza ascoltarmi, ed è stato ucciso.” Distoglie lo sguardo: “Gliel’avevo detto. Gli avevo detto che sarebbe morto.”

“Sono stati i Barbari?”

“No. Una valanga ha distrutto il loro accampamento, una settimana fa—Il messaggio è arrivato solo ieri e ho cercato di trovare il primo drago disponibile per dirtelo di persona.”

Alza lo sguardo e fissa intensamente Harry. “Lo so che non riesci a dispiacerti, per la sua morte. Lo leggo nei tuoi occhi.”

L’altro espira, ingobbendosi nelle spalle.

Può forse biasimarlo? Il ragazzo scuote la testa, mordendosi l’interno della guancia; è quasi più disgustato dal fatto che non stia provando dolore, piuttosto che dall’effettiva morte del re.

Ma come potrebbe provarlo, dopo tutto ciò che è stato?

Forse, adesso che ci pensa, per lui suo padre è morto anni e anni fa, forse lo stesso giorno in cui sua madre lasciò le terre del regno per sempre.

La voce flebile di Gemma lo strappa lentamente via dai suoi pensieri: “Non sono venuta qui per rinfacciartelo.” Si scosta il velo dalla fronte: “Sono venuta qui per compiere il mio dovere e dirti che—”

Si ferma un attimo, sospira: “—ora tu sei re. Devi tornare con me a palazzo.”

Harry spalanca gli occhi, un’improvvisa folata di vento lo fa rabbrividire: lui sarà re. Non—non ci aveva nemmeno pensato.

Re.

E dovrà tornare alla reggia, con Gemma, e governare il suo popolo e—Trattiene faticosamente l’istinto di voltarsi verso Louis.

Non vedrà mai più Louis.

Sente la propria gola stringersi in una morsa al solo pensiero.

Non può farlo. Non può.

Percepisce la voce di Gemma continuare a parlare, completamente ignara della reazione scioccata del fratello:

“—I giorni funebri dedicati a nostro padre cominceranno domani, con la cerimonia del Passaggio. La tua incoronazione avverrà cinque giorni dopo, come usanza, se non ci saranno inconvenienti.”

Harry sbatte le palpebre una , due, tre volte. “Lo dici come se ce ne saranno.”

Gemma non risponde immediatamente; continua a fissare il proprio infuso, che si sta già raffreddando. Sembra sul punto di scoppiare a urlare o a piangere, o tutte e due le cose: ma, come sempre, riesce a tirare fuori il suo lato pratico in ogni occasione.

Fa sparire una mano tra la veste e il mantello che la ricopre, tirandone poi fuori una lettera con un marchio che Harry non riesce a riconoscere.

Dietro di lui, sente Louis raddrizzarsi e muoversi contro la parete, agitato.

Afferra la lettera che la ragazza gli porge: è scritta nell’idioma comune del Nord, risale a due giorni fa.

A piè pagina, sono riportate delle firme; sono dei maggiori cavalieri e combattenti dell’esercito e dei Saggi, e c'è anche quella di Gemma; sul retro, scritte che non riesce a comprendere, di una lingua a lui sconosciuta.

“Cos’è?” domanda, aggrottando le sopracciglia.

La ragazza lo guarda, gli occhi stanchi che segnano il suo volto gentile. “Ha chiesto una cessazione provvisoria dei conflitti. Un armistizio; vuole incontrare il re del nostro regno al confine della Barriera per porre fine alla guerra, tra due giorni. Vuole incontrare te.”

Harry alza lo sguardo dalla carta ruvida della lettera: “Chi? Chi mi vuole incontrare?”

Gemma lancia un’occhiata dietro la sua spalla, verso Louis, poi lascia ricadere gli occhi sul fratello: “Othrod. Il re dei Barbari.”

§

Il rito funebre del Passaggio deve cominciare all’alba, come usanza.

Harry si sveglia improvvisamente nella sua vecchia camera da letto, nel castello; rivede i suoi vecchi mobili di legno scuro, i suoi tappeti decorati, i candelabri di bronzo.

Non gli sembrano cose familiari.

Il giorno prima, quando Gemma l’ha costretto a prepararsi in fretta e furia e montare su un drago qualsiasi per volare fino a Nord, alla sua casa, Harry credeva che gli avrebbe fatto piacere tornarci.

Ora che è qui, invece, si rende conto di quante vuote e piene di ricordi spiacevoli siano quelle pareti di mattoni, quei corridoi illuminati dalle torce consumate.

Sheen, appollaiata su uno dei candelabri spenti, zampetta fino al letto, utilizzando le piccole ali per afferrare le lenzuola e salendoci sopra, fino ad accoccolarsi sul ventre di Harry.

Lui l’accarezza; non poteva mica lasciare Sheen all’accampamento. L’ha tenuta sotto braccio per tutto il viaggio, fin quando non sono atterrati alla reggia, poi l’ha portata in camera sua.

Forse non il posto più raccomandabile.

Prima che il drago di suo padre fosse ucciso—anni e anni e anni prima—veniva accudito in una delle stalle nell’ala Est del castello: dei magazzini di pietra e legna enormi, alti il triplo di un tempio e larghi il quadruplo.

Dormiva e veniva addomesticato lì; Harry però ha preferito lasciare quelle stalle per i draghi degli altri importanti cavalieri venuti per partecipare al funerale del padre, come ospiti.

Tra i quali, per fortuna, c’è Louis.

Lasciare i compagni conosciuti sulle montagne dell’Ovest è stata la cosa forse più dura, Harry ne è sicuro.

Ma il fatto che Louis abbia potuto seguirlo, e sapere che adesso probabilmente starà dormendo nelle sale degli ospiti, ha reso la partenza molto meno dolorosa di quando non fosse.

Non sa quando il cavaliere sarà costretto a ripartire. Non lo vuole sapere.

Prende un profondo respiro, accarezzando il muso di Sheen.

Non ha idea di che ore siano, ma il buio pesto e la luce soffusa della luna che entra dalla finestra gli suggeriscono che sia notte fonda.

Non capisce perché si sia svegliato—ha il battito veloce e sta sudando.

Probabilmente ha fatto solo un brutto sogno.

Le sorti della guerra e del suo popolo dipendono esclusivamente da lui.

Tra due giorni, a questa stessa ora, Harry avrà già incontrato il suo più temuto nemico.

Chiude gli occhi un attimo, smettendo di accarezzare la bestiolina; prende un nuovo, profondo respiro.

Scende giù dal letto, infilandosi velocemente gli stivali e la prima giacca pesante che trova.

Lancia un’ultima occhiata a Sheen, che lo osserva curiosa da sopra il letto, poi si chiude la porta della stanza alle spalle e afferra una delle torce ancora accese appese al muro.

Comincia a camminare.

Cammina, cammina, cammina, svoltando, scegliendo le porte d’aprire con sicurezza, fin quando non si ritrova nel cortile del castello; l’aria fredda della notte lo fa rabbrividire e trasforma ogni respiro in una nuvola biancastra che fuoriesce dalle sue labbra.

Si concede un momento per osservare ogni pianta, ogni fontana di pietra che lo decorano, poi si dirige al portone principale e, premendo forte con entrambe le mani—ha gettato la torcia via, la luce naturale è più che sufficiente—cerca di aprirsi uno spiraglio per passare.

Si stringe dentro il suo cappotto e incassa la testa tra le spalle.

L’erba alta di quel prato fuori dal castello gli fa rallentare appena l’andatura, e la rugiada incastrata tra i fili gli bagna i calzoni.

C’è un piccolo cortile recintato, a qualche centinaio di metri dalle mura della reggia, chiuso da un grosso cancello in ottone tenuto sempre aperto: è un piccolo spazio rettangolare dall’erba soffice e regolare, e pieno di cespugli profumati.

Al centro, non più grande di un paio di metri, svetta una piccola cappella dedicata alla dea della terra e della fertilità: ha le pareti di mattone rosato e il tetto intrecciato con rami di edera.

Harry si concede giusto un secondo per osservare lo stemma delle casata—il drago rampante—appena sotto la runa del dio Wyrd, custode della vita; entra.

Incastrate sulle pareti, lastre di granito con incisi i nomi dei suoi più importanti antenati, illuminati fiocamente nella notte; fa qualche passo.

Davanti all’ultima lastra di granito, Harry decide di sedersi a terra, sul pavimento freddo, per osservarla un poco.

“È buffo che venga qui ogni volta che c’è un problema, eh?” sussurra, inarcando appena gli angoli della bocca.

Il nome di sua madre si trova proprio al centro del granito, intagliato profondamente.

Harry si morde l’interno della guancia. “Vorrei solo dirti che—” abbassa lo sguardo: “—non so cosa succederà domani, ma qualsiasi cosa sia, spero solo che lui riesca finalmente a trovare la pace, accanto a te.”

Rimane un attimo in silenzio: “Gli mancavi tantissimo. Non è stato più lo stesso da quando te ne sei andata.”

Socchiude gli occhi, prendendo un profondo respiro: “Spero che ti abbia trovato, e che sia felice. Credo—credo che si meriti un po’ di tranquillità, dopo tutto.”

Appoggia una mano sulla lastra fredda, accarezzando il nome impressogli sopra: “Stammi vicino domani. Te ne prego. Stammi vicino.”

Al funerale è presente chiunque si possa permettere di venire.

Il cortile, la sala cerimoniale, i corridoi e le stanze sono gremite di gente silenziosa, dagli abiti scuri, che portano doni e offerte da appoggiare sopra la bara di marmo, nella sala principale.

Dai cittadini, ai combattenti, alle donne ai bambini; sembrano esserci tutti.

Durante il rito, è uno dei Sacerdoti più anziani a spargere sale e vino, a ripetere le Scritture, ad accendere candele di incenso e sandalo; Harry e Gemma sono in prima fila, ad osservare il sarcofago ricolmo di pezzidel padre, perché ovviamente è stato impossibile ritrovare il corpo integro.

Dietro di loro ci sono i Saggi, i generali, poi le prime Sentinelle di ogni versante del regno, poi i cittadini.

Louis tiene la testa alta, la schiena dritta anche se l’armatura e la spada devono pesare tantissimo; lancia basse occhiate a Harry, di tanto in tanto, solo per assicurarsi che stia bene.

Il funerale scorre, in una maniera o nell’altra, ma Harry non è sicuro di essere effettivamente partecipe di quello che sta accadendo; sente il Sacerdote parlare, sente l’odore forte dell’incenso, la pioggia che batte sulle vetrate, il calore delle altre centinaia di persone presenti lì dentro, ma—è come se osservasse la scena da dietro un velo.

Un velo che gli ovatta la vista e l’udito. Non si sente parte di quel dolore, non riesce a capirlo.

“Che hai intenzione di fare?”

Harry non si volta immediatamente: è in camera sua, il rito del Passaggio è appena terminato e il sarcofago del padre è stato collocato esattamente nello stesso tempietto in cui lui s’era rifugiato la notte stessa.

In qualche modo è riuscito a superare la barricata di uomini e cittadini che gli si sono avvicinati per rivolgere a lui le condoglianze e offrire doni, e s’è trascinato pesantemente in camera, strappandosi via di dosso quei vestiti cerimoniali e soffocanti.

Dopo essersi sfilato la cotta di maglia d’argento, si volta lentamente: Louis è entrato, chiudendo la porta alle spalle, indossa ancora l'armatura, ma la spada non si trova più al proprio posto; deve averla posata da qualche parte.

Harry lo guarda con occhi stanchi ma attenti: “A che proposito?”

“Al fatto che domani devi incontrarti con Othrod per discutere di un’ipotetica trattativa di pace.”

Il ragazzo dagli occhi verdi si siede sul bordo del letto, massaggiandosi la radice del naso. “Andrò da lui, ovviamente.”

“Sei impazzito?”

“Ho altra scelta?!” sbotta, guardandolo.

Louis espira, frustrato, prima di sfilarsi con un gesto secco l’armatura che gli ricopre il busto, appoggiandola poi in un angolo; si avvicina a Harry, osservandolo con le sopracciglia aggrottate.

S’inginocchia per terra, in modo da raggiunge l’altezza del suo volto. “Tu sai che lui ti ucciderà, vero? Non verrà da solo, porterà un esercito con lui.”

“Lo so, lo so. Gemma ha già mandato dei telegrammi per avvertire tutti sulla Barriera che domani dovranno farmi da scorta per l’incontro—e dovranno essere pronti a combattere, se necessario.”

Harry fa cadere lo sguardo sulle proprie mani abbandonate sulle ginocchia; le mani dell’altro, il secondo dopo, si stringono dolcemente intorno alle sue:

Ehi.” La voce gentile di Louis lo costringe ad alzare lo sguardo, incontrando i suoi occhi blu: “Non andare, ti prego. Non andare a morire.”

“Questa conversazione mi sembra familiare.”

Il cavaliere ride amaramente, appoggiando la fronte contro quella dell’altro: le sue mani sono ancora chiuse intorno a quelle di Harry e le massaggiano delicatamente. “Manda me. Tu sei ancora troppo giovane per questo—per tutto questo.”

Harry strofina la punta del naso contro il suo zigomo, percependo il forte odore di Louis riempirgli le narici: prende un profondo respiro, godendosi quell’aroma di pino, sapone e sale.

“Non ti lascerei mai andare al posto mio, lo sai bene.”

“Allora verrò con te—non puoi fermarmi. Masha è nelle tue stalle e niente m’impedirà di prenderla per seguirti.”

“Louis—”

“Pensa a Sheen.” Il ragazzo dagli occhi azzurri lo guarda e pare disperato, di una disperazione frustrata e dolorosa. Lancia un’occhiata al cucciolo di drago verde che dorme tranquillamente in fondo alla stanza: “Pensa a Gemma, pensa al tuo popolo—Se muori tu, finisce il mondo. Se io muoio, non se ne accorge nessuno.”

Harry sfila dolcemente le mani dalla presa dell’altro e gliele posa intorno al viso, accarezzandogli gli zigomi con i pollici: “Non dire mai più una cosa del genere, hai capito? Giuralo. Giuralo sulla mia vita.”

“Io non—”

Giuralo.” Harry è ad un respiro dalle sue labbra: “Giuralo, ti prego. Se—se tu morissi oggi—”

Si avvicina ancora di più, ora le loro labbra si sfiorano appena, lasciandosi maree di brividi le une sulle altre: percepisce Louis socchiudere gli occhi, il suo battito aumenta, le labbra si protraggono dal desiderio.

“Cosa?” La domanda è quasi inudibile: “Cosa faresti se io morissi oggi?”

La voce di Harry è un sussurro di brividi: “Morirei domani.”

Preme le sue labbra contro quelle di Louis e tutti gli argini improvvisamente si sgretolano, lasciando fuoriuscire un sentimento forte ed inebriante.

Le loro bocche sono morbide, calde, s’incastrano perfettamente tra loro; Harry piega la testa di lato e incrocia i polsi dietro il collo del cavaliere, lasciandosi completamente al suo tocco.

Socchiude gli occhi. Percepisce quelle labbra fini imprimergli baci sulla mascella, sul mento, poi giù, sempre più giù, fino a posarsi sulla pelle sensibile del collo, delle clavicole.

Le dita di Louis gli stringono i fianchi, la schiena, come se si stessero aggrappando all’ultimo scoglio in mezzo ad una tempesta: la sua bocca imprime piccoli baci veloci, poi voraci morsi possessivi.

Harry ansima appena, mordendosi a sangue il labbro inferiore quando l’altro lo preme delicatamente contro il materasso, facendo combaciare la sua schiena col letto morbido; sale sopra di lui a cavalcioni, continuando a torturare il suo collo sensibile.

Incastra le dita tra i capelli alla base della sua nuca e li tira appena, trattenendo un gemito quando sente i denti di Louis tirargli appena la pelle arrossata.

“Amo le tue labbra” dice, sconnessamente, preso dall’eccitazione del momento.

Louis ridacchia contro di lui: “Dovresti vedere le tue, in questo momento.”

“Per—uhgmn. Perché?”

“Gli dèi devono aver colto tutte le rose più rosse della terra e tutta la lussuria del mondo per aver fatto quelle labbra.”

Harry sorride, arrossendo. “Credo che sia la cosa più romantica che qualcuno mi abbia mai detto.”

Osserva l’altro aggrottare le sopracciglia: “Vuoi forse dire che non ti ho mai detto quanto mi piaccia la tua bocca?”

“Uhm, no?”

Louis distende le sopracciglia, passando una mano sul petto di Harry. “Ma—questo ti ho detto quanto mi piaccia, vero?”

“Questo sì.”

“E questo?”

La sua mano continua a scendere, accarezzandogli il ventre, insinuandosi sotto l’orlo dei pantaloni; il ragazzo dagli occhi verdi getta il capo all’indietro e trattiene un sibilo di piacere.

“—Non dirmi che mi sono dimenticato di dirti questo. Non posso averlo dimenticato.” C’è un sorriso da gatto, sul volto di Louis, mentre modella il corpo dell’altro sotto le sue mani.

“Allora,” domanda, lasciandogli una scia di baci sul collo: “te l’ho detto o no?”

Harry non crede di avere abbastanza lucidità per rispondere coerentemente, così si limita ad aggrapparsi alle spalle di Louis e baciarlo con forza.

“Sì” ansima: “M-me l’hai detto—dimmelo ancora.”

Un improvviso rumore contro la porta di legno della camera li fa raggelare sul colpo, bloccandoli.

Harry?”

È Gemma.

Dannazione, non adesso.

Louis lo guarda, in parte divertito, in parte scocciato e—con un lungo e basso lamento di disapprovazione da parte dell’altro—sfila la mano dai suoi pantaloni.

Harry, ci sei? Dobbiamo parlare.”

“S-sì—” cerca di rialzarsi e di sistemarsi i capelli in disordine più velocemente possibile, mentre si riallaccia i pantaloni scesi appena oltre l’inguine.

“—puoi entrare.”

L’attimo dopo, la porta è spalancata e la figura sinuosa della principessa del regno svetta contro l’oscurità del corridoio: guarda stupita Louis, appoggiato al tavolo di legno in fondo alla stanza.

Passa lo sguardo da lui al fratello, dal fratello a lui.

(Harry si ritrova a sperare che le sue guance rosse d’eccitazione e le sue labbra color sangue siano tornate ad un colorito naturale, se non altro per non destare sospetti, ma. Non ci giurerebbe.)

“Io—uh.” La ragazza si schiarisce la voce, scostando una ciocca di capelli fuoriuscitale dal velo: “Ti chiederei di seguirmi nei sotterranei, i Saggi vogliono parlare privatamente con te.”

“È per nostro padre?”

“No, no. È per ciò che accadrà domani.”

Harry annuisce e lascia la stanza, seguendo la sorella: prima di uscire lancia un’ultima occhiata a Louis.

Quello gli risponde con un sorriso forzato e uno sguardo dolce.

§

Sorge un sole rosso e acquoso, oltre le montagne.

Harry prende un profondo respiro d’aria gelida, costringendosi a rilassare le spalle.

La sua spada è saldamente legata al suo fianco, sull’armatura, e lo scudo giace a terra, tra l’erba ricoperta di rugiada. Il drago che lo scorterà fino alla Barriera è qualche centinaio di metri più in là, che si sta stiracchiando le enormi ali grigiastre.

Non sa bene a chi effettivamente appartenga, Gemma ha accennato qualcosa—forse è di un generale o qualcosa di simile.

Non che gli importi eccessivamente; ha già una scorta di ufficiali che lo guideranno fino al confine e da lì in poi ci sarà l’esercito.

È il giorno. È arrivato il fatidico giorno.

Dopo oggi, una guerra che è durata per anni e decenni, potrebbe finire.

Il suo popolo potrebbe tornare a splendere come un tempo.

Tutto dipende da lui—è agitato, ma. Il ragazzo che si lasciava trasportare dalle emozioni fino al punto in cui la lucidità era completamente perduta, è sparito settimane e settimane fa.

Se c’è una cosa che ha imparato, negli ultimi mesi, a causa di tutti questi repentini cambiamenti, è saper sopprimere quella parte di sé che non riesce ad avere controllo, nei momenti più cruciali, almeno.

“Maestà, siete pronto?” gli domanda un uomo accanto a lui.

Harry guarda il cielo limpido, poi lascia cadere lo sguardo su Masha, insieme ai draghi degli altri, e su Louis, intento ad accarezzarla e a fissare l’orizzonte.

Annuisce e l’uomo fa un cenno agli altri presenti, invitandoli a prepararsi per partire; abbraccia un’ultima volta Gemma, promettendole che andrà tutto bene.

Lei non gli fa pressioni, si limita a sorridergli con gli occhi piegati in una smorfia di preoccupazione.

Lei sarebbe una grande regina—pensa Harry, dirigendosi verso il proprio drago, non può fare a meno di pensarlo.

Appena riesce a cavalcarci sopra—le lezioni di Liam e Niall si sono rivelate molto più utili del previsto, in merito—dà una piccola pacca alla schiena rugosa e squamosa dell’animale, lanciando un’occhiata alle sue grosse ali grigie, ancora strette intorno al corpo.

Si sistema meglio la spada contro un fianco, facendola tintinnare, poi lo scudo sulla schiena. Si volta, prendendo un profondo respiro, per indicare al seguito che sono pronti a partire.

Ma, si ferma.

Louis, a cavallo di Masha, è accanto a lui e indica con una mano guantata un punto nel cielo, sopra di loro.

“Cosa—?” Harry si volta, zittendosi.

Ci sono—ci sono dei draghi che stanno viaggiando verso di loro.

Cosa? Chi sono? Da dove escono fuori?

Si volta verso il cavaliere dagli occhi azzurri, che si limita a sorridergli: “Sapevo che sarebbero arrivati.”

“Louis, di che cosa stai parland—?”

E, oh. Oh.

Harry sgrana gli occhi, poi li assottiglia per vedere più chiaramente, perché quello è decisamente—Urich.

Dèi, riconoscerebbe quel drago a metri e metri di distanza ed è super sicuro che sia effettivamente Urich; con dietro—Neevae, Huton e tutti i draghi delle Sentinelle dell’Ovest.

Con a cavallo i rispettivi padroni.

Il ragazzo dagli occhi verdi trattiene il fiato, esterrefatto, fin quando Michael e il rispettivo drago non atterrano al suo fianco, seguito da tutti gli altri.

I cavalieri nel cortile fuori dalla reggia si guardano intorno, curiosi e confusi, ma Harry non li nota; è troppo impegnato a riconoscere quei volti, che non vedeva da appena qualche giorno ma che gli sono mancati tanto, troppo.

Niall si fa spazio tra gli altri, su Huton che sbatacchia la grande e tozza coda da una parte all’altra. All’occhiata che gli riserva Harry, risponde con una scrollata di spalle e un sorriso divertito.

“Non avremmo mai potuto lasciarti da solo, andiamo—Se stai andando a morire il minimo che possiamo fare è starti dietro per raccogliere la tua carcassa, no?”

Liam gli lancia un’occhiataccia: “Intende dire che staremo al tuo fianco. Sempre.”

Harry non riesce a togliersi il sorriso dalla faccia, vorrebbe scendere da quel drago ed abbracciare tutti, uno per uno. E ringraziarli, ringraziarli di essere diventati parte fondamentale della sua vita e per averlo aiutato a maturare e diventare la persona che è adesso.

Invece, si limita a voltarsi verso Louis.

“Lo sapevi?” domanda.

Quello scuote le spalle, mordendosi l’interno della guancia: “Conoscendoli, sapevo che sarebbero venuti.”

Harry gli sorride e si ruota nuovamente verso gli altri; cerca di guardarli uno per uno, sorridendo incoraggiante e grato.

“Grazie.” Non crede di essere stato più sincero in tutta la sua vita.

Fa cenno al resto del seguito che ora, davvero, è pronto a partire verso la Barriera.

I draghi prendono la rincorsa e si librano su nel cielo rosso sangue, proiettando ombre gigantesche su chi è rimasto a terra.

Prende un nuovo respiro d’aria fredda, socchiudendo gli occhi e stringendo più forte il corno del drago al quale s’è aggrappato: il vento gli spinge indietro i capelli, sulle spalle.

Con la coda dell’occhio si guarda indietro e li vede tutti.

Vede i generali amici di suo padre, e vede Will, Greg, Jeff, Liam e Zayn, e tutti gli altri; sotto di lui, poco lontano, Louis.

Benché l’ansia e la paura gli stiano ancora divorando le ossa, sente i suoi nervi allentarsi un po’, la realizzazione che s’impadronisce lentamente di ogni fibra del suo corpo.

Ci siamo. Si morde il labbro inferiore.

Ci siamo.

Ci vogliono ore intere per arrivare alla Barriera.

Un enorme confine sulle montagne innevate che si estende fin dove la vista può vedere; accampamenti di soldati, muri fatti con tronchi d’alberi segati ed appuntiti, odore di legna bruciata e terra.

Atterrano su un altopiano scavato nella roccia ricoperta da un sottile strato di neve, proprio davanti all’accampamento principale delle Sentinelle del Nord: ad aspettarli, all’ingresso, c’è un uomo dalla folta barba bruna, con il suo seguito.

Si presenta come Tom, e guida Harry e gli altri attraverso dei tunnel scavati nella montagna, illuminati malamente da un paio di torce.

Louis riconosce quei luoghi, e la sua tensione è percepibile da chiunque. I ricordi del tempo passato lì devono riaffiorargli dolorosamente.

Harry gli sorride e l’altro pare tranquillizzarsi.

Camminano per un tempo che pare infinito, tra cunicoli e strettoie e quell’odore di umido e stantio.

Harry è in cima alla lunga fila, seguito immediatamente da Louis, che tiene alta una torcia alta per illuminargli la strada e gli stringe la mano e gli pizzica il gomito.

La tensione è letteralmente palpabile, nell’aria. Ci provano—ci stanno provando tutti—a non pensarci, a non pensare che tra poco incontreranno Othrod in persona.

Quello di cui tutte le leggende parlano, e che tutti segretamente temono.

Ma, è difficile non pensarci. Insomma.

Questo giorno, comunque vada, farà la storia; ci scriveranno canzoni e ci cuciranno arazzi e dipingeranno pareti.

Harry si obbliga a non pensarci; seguirlo in questa missione non è stato solo un atto d’affetto, ma d’incredibile coraggio e audacia. Se oggi le cose non andranno per il meglio, tutti i nomi di tutte le persone presenti con lui verranno irrimediabilmente infangati.

Famiglie intere disonorate, compresa la sua.

Viene strappato via dai suoi pensieri quando Tom, davanti a lui, si blocca di colpo, proprio davanti ad una porta chiusa dalla quale fessura esce uno spiraglio di luce biancastra.

“Abbiamo attraversato la montagna da lato a lato” annuncia, col suo tono possente: “Othrod, questa notte, ha mandato una lettera. Dice che v’incontrerete alla Rupe dei Falchi; è uno sperone di roccia a poche miglia da qui.”

Harry annuisce, lasciandolo continuare.

“—Ha scritto che dovrete andare lassù da solo, scontrandovi con lui. I nostri rispettivi eserciti combatteranno in un’ultima, decisiva battaglia nel passo proprio sotto la Rupe.”

Fruga sotto l’armatura, estraendone una pergamena con lo stesso marchio di quella che Gemma, giorni prima, gli aveva dato: la lingua è ancora a lui sconosciuta, ma dietro al foglio la traduzione è scarabocchiata.

Le dà un’occhiata, poi alza gli occhi: “Io ho un esercito?”

L’uomo lo guarda, ghignando dietro la folta barba; preme una grossa e ruvida mano contro la porta di legno, spalancandola in un colpo solo.

La luce accecante del giorno costringe tutti i presenti dentro il tunnel a serrare per un attimo gli occhi; Harry è il primo ad aprirne uno. Poi l’altro.

Fa qualche passo in avanti, oltrepassando Tom e la porta, fino ad uno spiazzo di pietra che assomiglia molto ad un balcone.

Appoggia i palmi delle mani sulla pietra fredda del cornicione, mettendo a fuoco lo spettacolo che gli è presentato davanti.

File e file e file di uomini sotto di lui, perfettamente allineati ed armati; centinaia di teste ricoperte da elmi che brillano sotto la luce del sole, armature che sembrano prendere fuoco.

Il suo respiro sembra scivolargli via dai polmoni, mentre osserva quello che è il suo esercito.

Le punte delle lance e delle spade sembrano allungarsi all’infinito, sopra gli uomini, mentre i loro capi sono rivolti a lui in attesa di rendergli servizio.

Tom lo affianca, insieme a tutti gli altri. Nessuno non riesce a spalancare la bocca, davanti ad uno spettacolo del genere, salvo Louis, che probabilmente ne è già abituato.

“Avete il migliore esercito che si possa desiderare, vostra altezza.” L’uomo batte una mano sul cornicione di pietra: “E sono pronti a morire per voi e per il nostro regno.”

Harry annuisce, lentamente. Ci siamo. Una voce dentro di lui glielo ricorda, ma non lo spaventa.

Sa che arrivato il momento, sente una tranquillità ed una convinzione disarmanti prendere possesso del suo corpo.

Ci sono. E sono pronto. È nato per combattere.

“Non lotteranno invano.”

Viene dato un cavallo, a Harry, per raggiungere la Rupe; nel tempo che ci impiegherà per farlo, tutti i soldati si dirigeranno al passo per prepararsi all’ultimo scontro.

“Mettila così,” Liam gli dà una pacca sulla spalla: “mentre tu cercherai di ucciderlo, noi saremo qualche centinaia di metri sotto di te a cercare di non farci trafiggere. Sarà—molto epico.”

Harry abbozza un sorriso. “Non fatevi uccidere, okay? Davvero.”

Michael scoppia a ridere: “Se succederà, sta pur certo che non sarà per nostro volere.”

Si allontanano tutti, seguendo uno dei generali e le sue truppe; accanto a Harry, rimane solo Louis.

Guarda il cavallo, qualche metro più in là, legato ad un palo di legno, poi lascia ricadere lo sguardo sul ragazzo dagli occhi verdi.

“Sai che—” comincia, grattandosi il retro del collo: “—ho incontrato Calum, Ashton e Stan prima, mentre stavi parlando con quei generali? Sono in mezzo all’esercito anche loro.”

Harry spalanca gli occhi, piacevolmente sorpreso. “D-davvero?” esclama: “Dove sono?”

“Con le loro truppe, ma ti mandano i loro saluti, avrebbero voluto incontrati ma il tempo non ci è amico.”

Il ragazzo dagli occhi verdi non risponde; una parte di lui è davvero, davvero felice di sapere che dei compagni che non vedeva da mesi interi stiano bene, un’altra è terrorizzata dall’idea che altre persone stiano effettivamente andando a combattere la sua battaglia.

Rimangono in silenzio per qualche minuto.

“Se adesso ti prego in ginocchio di mandare me, al posto tuo, avrò qualche possibilità?” sussurra in fine Louis, avvicinandosi ancora di più.

Harry ridacchia. “Non credo proprio—Insomma, non vuoi andare in battaglia per vendicarti e uccidere più Barbari che puoi?”

Louis alza lo sguardo al cielo. “Sai cosa? Ho sempre creduto che, una volta arrivato alla Barriera, l’unico mio pensiero sarebbe stato uccidere e uccidere e uccidere. Ma—quando ero davvero qui, l’unica cosa a cui riuscivo pensare era—”

Lo guarda, si morde l’interno della guancia: “—era: vi prego, lasciatemi vedere un’ultima volta le persone che amo.

Harry sospira avvicinandosi a lui: “Spero che, alla fine di questa giornata, io possa rivederti.”

Louis posa una mano sul suo petto, sull’armatura. “Tu sei un grande combattente, Harry.” Lo guarda dritto negli occhi, scavandoci dentro: “Non ho mai visto qualcuno più abile e veloce di te, con la spada—Io so che tu puoi riuscirci. So che puoi farlo. So che puoi salvarci tutti. Ma—”

Distoglie lo sguardo: “—qualsiasi cosa succederà oggi—uhm. Sappi, sappi che—Io non ho mai creduto agli dèi o alla vita dopo la morte, ma—Spero che esista solo per rincontrarti, per rivederti.”

Harry se lo trascina contro, affondando il naso nei suoi capelli.

È cresciuto tantissimo dalla prima volta in cui l’ha incontrato ed ora è un’intera spanna a dividerli; l’armatura rende l’abbraccio più goffo di quanto in realtà non sia, ma va bene comunque.

Dopo qualche minuto, Louis si stacca, ma solo per posare delicatamente le labbra sulle sue.

“Ho così tanta paura per te, Harry.”

“Io credo che le ginocchia si rifiuteranno di camminare, una volta arrivato lì.”

Louis ridacchia appena. “Non mi dire che sei terrorizzato anche te.”

“Da morire. Ma, sai, una volta una persona mi ha detto una cosa che non credo dimenticherò mai.”

“Ah, sì? E cos’era?”

Harry gli posa un altro bacio sulle labbra. “Che non devo lasciare che le mie paure si prendano la parte migliore di me. O qualcosa del genere.”

Louis rimane in silenzio: “Era Liam, vero?” sbotta infine.

L’altro annuisce, ridacchiando appena.

Il cavaliere dagli occhi azzurri emette un sibilo basso: “Lo sapevo—Lui è esattamente il tipo di persona da dare questi consigli.”

C’è un ultimo grido di richiamata, per l’esercito; Louis si trova costretto a lasciare Harry.

“Promettimi di non morire. Promettilo.”

“Lo prometto.” E lo pensa davvero, mentre vede Louis allontanarsi, di spalle.

Gli zoccoli del cavallo producono un rumore secco contro la pietra, mentre percorre il sentiero che Tom gli ha indicato per raggiungere la Rupe.

Le rocce sono grigie e spigolose, ricoperte da neve sciolta.

Se si sporge appena, riesce a scorgere—centinaia di metri sotto di lui—i soldati camminare in fila per il passo tra le montagne.

Anche se sa perfettamente che è impossibile riuscire a riconoscere una singola persona da quell’altezza, non può fare a meno di cercare disperatamente di trovare qualche sagoma familiare, tra tutti quei soldati e quegli uomini.

Distoglie lo sguardo. Deve concentrarsi, solo su se stesso.

Stringe le ginocchia intorno al ventre dell’animale e, prese più saldamente le briglie in mano, lo intima ad accelerare.

Riesce a scorgere la Rupe da lì: un enorme sperone di roccia appuntita, orizzontale e liscia, che svetta dalla montagna come il prolungamento di un arto.

Lo scudo, la spada, l’armatura e il pugnale pesano, ma non è niente in confronto alla forza che gli stringe il petto e gli blocca il cuore.

Per un attimo gli manca l’aria e sente il suo corpo iniziare a scivolare via dalla sella.

Si riprende il secondo successivo; socchiudendo gli occhi per costringersi a ricacciare indietro la paura.

Respira.

Se volta lo sguardo a destra, riesce a scorgere tutte le montagne e, ancora più in là, le foreste, i laghi, le colline che formano il suo regno; è così bello.

Suo padre, e il padre prima di lui, e quello prima ancora hanno governato su tutte quelle terre: dal versante Sud al Nord, dall’Est all’Ovest, passando per ogni pianura, fiume e bosco.

E poi le città, i villaggi che sono sorti e hanno proliferato, crescendo ed acquistando potere.

Sembra tutto immobile e tranquillo, da lì. Immortale e statico.

La Rupe si avvicina, ogni metro di più.

Scosta appena lo sguardo a sinistra, e il cuore gli sale in gola: da lì, riesce a scorgere una massa nera, scura, muoversi come un’unica onda.

Non perde nemmeno tempo a chiedersi cosa sia, perché sa che quelli sono Barbari, e si stanno dirigendo proprio contro il suo esercito, per combattere.

Indossano le loro armature nere e le lance svettano dai loro capi, scendono il pendio con vorace frenesia, quasi non vedessero l’ora di scontrarsi coi loro nemici: Harry è sicuro che, sotto si lui, nessuno dei suoi li abbia ancora visti.

Ci sono troppi speroni e rocce a dividerli, ma presto si scontreranno. Poco ma sicuro.

Prende un altro profondo respiro, fin quando non decide di fermare il cavallo; scende dalla sella con un movimento fluido.

Dà una pacca sulla coscia dell’animale, facendolo allontanare nel verso opposto: si gode per un attimo la vista di quel bellissimo destriero correre per il sentiero e sparire, in lontananza.

Decide di voltarsi, respirando lentamente. È ai piedi della Rupe dei Falchi, il sole è alto nel cielo, ma ricoperto da nuvole grigie che ne oscurano la luce.

Passo dopo passo, comincia ad arrampicarsi su quella salita di roccia brulla, per arrivare allo sperone; sente i sassi scricchiolare sotto i suoi piedi, e ode vagamente il rumore del vento tra le fessure della pietra.

Il suo corpo si muove con rigidità e precisione, non tentenna nemmeno un secondo.

Quando, dopo quelle che sembrano ore intere, riesce finalmente a raggiungere lo sperone di roccia; si concede un paio di secondi per riprendere fiato e guardarsi intorno.

Ad una prima occhiata, gli sembra di essere solo.

La roccia è liscia e prosegue orizzontale e dritta, fin dove l’occhio riesce a vedere; non c’è un arbusto, o un albero. È spoglia e brulla, nemmeno la neve sembra essersi posata su di essa.

Sente un fruscio provenire dalla sua destra ed, automaticamente, afferra l’elsa della propria spada, voltandosi.

Harry non sa cosa aspettarsi.

Non che l’abbia mai effettivamente saputo, ma. Non aveva mai nemmeno perso tempo ad immaginare come fosse effettivamente il rivale: le leggende non sono mai state attendibili.

Ora che lo vede, però,—ora che Othrod è davanti a lui—può confermare che, dietro a tutte quelle storie, dietro a tutte quelle parole, forse qualcosa di vero c’è.

Harry fa un passo indietro, come se il suo nemico, il re dei Barbari, non riuscisse ad entrare completamente nella sua visuale; cosa che, almeno in parte, è vera.

La prima cosa che nota è che lui è molto più umano di quando non fosse quel Barbaro che aveva ucciso dentro la grotta: la sua pelle grigia è liscia e tesa, sopra i muscoli delle braccia e delle gambe.

Cicatrici profonde gli solcano ogni parte del corpo, creando reticoli di linee biancastre: è alto e possente, tanto che Harry è costretto ad alzare di molto lo sguardo, per riuscire a scorgere la sua intera figura.

Il suo corpo è quasi completamente ricoperto dall’armatura nera e graffiata e solo il capo è lasciato libero: il volto è schiacciato e, in mezzo, sono incastrati due occhi più neri della pece.

Poco più giù, una bocca frastagliata e scura, riempita di denti affilati come lame, piegata in una smorfia indecifrabile.

Non è umano, non è la sua razza, Harry lo sa—ma c’è qualcosa nel suo portamento fiero, nelle sue spalle ben piantate, nella postura, che in qualche modo ricorda l’orgoglio spregiudicato tipico degli essere umani.

Le sue mani, enormi e gonfie, tengono tra le mani una spada lunga e seghettata, dal manico d’osso.

Harry alza nuovamente lo sguardo, incrociando i suoi occhi; scintillano di una luce incomprensibile.

“Non credevo saresti venuto, Styles.” Il suono della sua voce è un falco che gratta gli artigli contro la pietra: un rauco, basso e stridulo suono da far ghiacciare il sangue nelle vene.

Utilizza l’idioma del Nord, per parlare, ma è stentato è molto gutturale.

Harry si raddrizza nelle spalle, aumentando la presa sulla spada e sullo scudo: “Ho finalmente davanti Othrod il Nero, di cui parlano tanto le leggende, nel mio popolo.”

La sua voce è ferma e rilassata, in contrapposizione al suo corpo teso e attento, pronto a scattare al minimo movimento.

Il Barbaro davanti a lui emette una risata simile ad un latrato agognante, e ruota in aria la spada, con un sibilo:

“Il tuo popolo parlerà anche di questo giorno” gorgheggia, facendo un passo indietro: “Avranno altre leggende da raccontare.”

“Perché oggi? Perché questo incontro? Cosa speri d’ottenere?” Harry pianta saldamente i piedi al suolo, la voce che gli fuoriesce dalle labbra è netta e pulita; non ha potuto fare a meno di domandarlo, domandarsi ilperché tutto questo è perché proprio ora.

Othrod, davanti a lui, rimane immobile per un attimo.

“I nostri popoli hanno lottato troppo a lungo” ringhia poi, con voce pensante: “Li senti? Li senti combattere sotto di noi?”

Harry non ha idea a cosa si stia riferendo il suo nemico fin quando, con una folata di vento freddo, non giungono alle sue orecchie suoni lontani di una battaglia: urla, scudi che battono su scudi, spade che sibilano, lance e frecce che vengono scagliate.

La battaglia, sotto di loro, è cominciata.

Spalanca gli occhi, e Othrod coglie l’espressione all’istante.

“—Li senti, vero?” Rimane in silenzio per un attimo e altre urla riempiono l’aria, urla di dolore e di incitamento: “Per troppi anni del sangue è stato versato inutilmente. È il momento di finire ciò che è iniziato con il re prima di te e che ora la montagna ha inghiottito.”

Fa una pausa, prima di continuare. “Questi sono i nostri eserciti” urla al vento: “I nostri unici eserciti. Oggi non ci saranno superstiti. Fino all’ultima goccia di sangue, combatteremo. Fin quando non ci sarà un vincitore.”

Harry deglutisce, e sente la sua gola bruciare.

Solo vincitori e vinti.

“Ma—” Il Barbaro davanti a lui alza la lama seghettata in aria: “—volevo essere io ad uccidere il mio nemico con le mie stesse mani. Per questo ti ho chiamato qui. Per combattere, fino alla morte—Se in questo giorno vincerò, le tue terre saranno mie.”

“E se vincerò io, voi non verrete mai più a minacciare i miei confini.”

C’è tensione nell’aria.

La lama di Othrod gli si scaglia contro prima che Harry sia in grado di rendersene conto; la riesce a bloccare all’ultimo secondo, con la propria.

L’altro la ritira immediatamente indietro, e la affonda nuovamente, l’istante dopo: Harry si ruota su un fianco ma non abbastanza velocemente. Sente la lama dell’altro squarciargli la guancia, in una ferita.

Si getta a terra, cercando di utilizzare lo scudo per parare i colpi che Othrod cerca di infliggergli pesantemente: la lama seghettata più di una volta s’incastra nel legno e nel ferro dello scudo, quasi spezzandolo a metà.

Harry sente la roccia e la polvere appiccicarsi al suo corpo sudato ed entrargli nelle narici.

Si alza con un movimento fluido affonda con la spada proprio nello spesso istante in cui il Barbaro alza la sua arma per un ulteriore colpo: il ragazzo riesce ad aprire una ferita scura sul fianco dell’altro, proprio tra le giunture dell’armatura.

Poi si ruota e si allontana appena, saltando su una serie di piccoli massi per riuscire a raggiungere l’altezza ideale per scagliare un colpo, cercando di mirare alla spalla spoglia del suo nemico; quello, però, è troppo veloce.

Con un braccio possente gli si scaglia contro, spingendolo indietro con una forza tale da fargli compiere un volo di qualche metro.

Harry cade a terra, di schiena, con un tonfo sordo: un dolore lancinante gli si propaga per tutta la schiena e le spalle, rendendogli impossibile respirare per qualche secondo.

Sente i passi pesanti di Othrod avvicinarsi: “Ma non capisci?” gli ringhia, passando la spada da una mano all’altra: “Siete già tutti morti.”

La alza, scagliandola con quanta più forza ha nel corpo contro la testa del ragazzo dagli occhi verdi; quello riesce a rotolarsi via, in modo da schivarlo e la lama finisce per incastrarsi tra la terra.

Harry si alza, e decide di che lo scudo non gli è più d’utilità: lo afferra saldamente, buttandolo con violenza contro il costato del suo nemico.

Quello emette un gemito basso, dolorante: la forza di quel colpo deve sicuramente avergli fratturato qualche osso, anche se è protetto dall’armatura.

I suoi occhi, se possibile, sembrano diventare ancora più neri: libera la spada con un ultimo gesto secco e comincia ad affondare colpi netti e precisi contro Harry.

Quello schiva e para, contrattaccando di tanto in tanto, quando non è troppo impegnato a retrocedere, sotto la spinta dei colpi dell’altro.

Per quando ci provi, non riesce a non pensare agli urli e ai suoi di spada che sente provenire dal passo sotto lo sperone: ogni minuto che perde in questo stupido combattimento, sono centinaia e centinaia di uomini uccisi in battaglia, proprio sotto di lui.

E ci potrebbe essere Louis, lì in mezzo.

Il pensiero lo terrorizza a tal punto che per un attimo perde la concentrazione e rischia d’inciampare su una roccia: per fortuna il riflesso è veloce e riesce a riprendersi prima di cadere.

Lascia la propria lama scivolare con uno stridio acuto contro tutta la lunghezza di quello dell’altro, sentendo i propri muscoli tendersi e pompare sangue più velocemente possibile; il sudore gli cola giù per il volto e sotto l’armatura.

Riesce a respingerlo, affondando la lama contro il suo braccio, ma lo graffia appena.

Othrod lo colpisce a mani nude, con un pugno chiuso, facendogli compiere con la testa una rotazione di novanta gradi, repentina e dolorosa; i denti squarciano l’interno della guancia, lasciando che un fiotto di sangue gli impasti la lingua.

Indietreggia di qualche passo, sputando grumi su grumi. Una massa di puntini bianchi gli acceca per un attimo la vista.

“Stupido.” Othrod si lancia un’occhiata spregiudicata alla ferita sul fianco, senza battere ciglio: “Li stai portando tutti alla morte, sai? Uno per uno—Li senti? Stanno tutti morendo per te.”

“Non è vero” borbotta Harry, tra uno sputo e l’altro.

Il Barbaro lo guarda. “No?”

“Non—non stanno combattendo per me.” Alza lo sguardo, una smorfia divertita gli piega il volto: “Non stanno morendo per me.”

Othrod rimane immobile, la spada stretta tra le mani; osserva il ragazzo. “E per chi, allora?”

Harry sorride, anche se prova talmente dolore che potrebbe mettersi a vomitare da un momento all’altro: “Lottano perché domani i loro figli non vengano mandati alla Barriera, lottano per avere un futuro—e per sconfiggere chi glielo sta negando.”

Percepisce fuoco, scorrergli nelle vene; perché lo pensa, lo pensa davvero.

Lui non è re, adesso, nessuno sta combattendo perché lui gliel’ha ordinato.

Tutti, da primo all’ultimo, stanno lottando perché sono stanchi di questa guerra e vogliono solo che finisca.

E se deve succedere oggi, che succeda nel migliore dei modi.

Harry ruota la spada in aria e la punta proprio contro il suo nemico: con una rincorsa, si getta contro di lui, affondando la lama.

Quello la para malamente, preso alla sprovvista, ed indietreggia. Il rumore secco e metallico dei colpi che si stanno infliggendo e parando uno dietro l’altro, a velocità stupefacente.

La precisione di Harry nello scagliare i colpi, lascia il nemico esterrefatto per qualche secondo.

Othrod si limita ad indietreggiare, cercando di non lasciare che la lama del ragazzo si avvicini troppo al suo corpo.

Dopo qualche secondo di confusione, riesce a riacquistare lucidità e a parare più nettamente ai colpi: spinge indietro Harry, affondando e colpendo con più forza possibile.

Il ragazzo comincia indietreggiare, ma non perde speranza: i suoi colpi sono ancora puliti e netti, mentre cerca di colpire per scalfire il suo nemico.

Passano minuti interi, in una continua lotta disperata, in continui affondi parati o schivati.

Solo dopo tutto ciò, improvvisamente, un’ombra oscura il sole per qualche istante; entrambi alzano la testa al cielo vedendo—draghi.

Draghi su draghi che volano sopra di loro, lasciando cadere le rocce che tengono tra le zampe, sui Barbari: emettono ruggiti bassi che fanno vibrare la terra stessa.

Stanno partecipando alla battaglia—È il primo pensiero che colpisce la mente di Harry, mentre osserva esterrefatto i loro ventri volare sopra la sua testa.

E questo è strano, perché i draghi non potrebbero partecipare a questo tipo di battaglia: sono creature troppo preziose e grandi per combattere in luoghi così angusti, sulle montagne.

Eppure—eppure sembra che adesso loro vogliano essere lì. Vogliano dare una mano.

Harry riabbassa lo sguardo, sorridendo inconsciamente; vinceranno, ne è sicuro.

Riesce a leggere la rabbia e la frustrazione negli occhi del nemico, l’istante prima che quello, con tutta l’ira che ha nel corpo, si scagli sopra di lui e lo blocchi a terra, sotto il peso del suo corpo.

Il ragazzo dagli occhi azzurri non riesce a metabolizzare ciò che sta accadendo fin quando non scorge la lama di Othrod alzarsi nel cielo e cadere pesantemente contro di lui.

La punta scava nella carne della sua spalla, proprio vicino al collo, trapassandolo di netto.

Urla, forte, fortissimo. Un grido agghiacciante.

Sbatte le palpebre, piegando la testa per osservare tutto—tutto quel sangue fuoriuscire dalla ferita, sporcando la lama dell’altro.

Non credeva fosse possibile perdere tutto quel sangue. Non sapeva che dentro il suo corpo ci fosse così tanto sangue.

Bagna la terra, la sua armatura, gli cola fino al collo, gli sporca le braccia.

Il dolore è talmente forte da non permettergli di pensare lucidamente; un unico urlo gli rimbomba dentro la testa, ed è quello che lo avverte che la fine è vicina.

Che è finita.

Anche se vinceranno, Harry non vivrà abbastanza a lungo per godersi la vittoria.

Sta per morire. Ne è consapevole.

Il volto di Othrod, sudato e sconvolto dalla rabbia, è a poca distanza dal suo: lo guarda, gli occhi neri spalancati.

“Tu morirai, oggi” gli ringhia: “E sarò io ad ucciderti—qualsiasi cosa accada.”

Con un movimento secco, estrae la spada dalla ferita, afferrandola con entrambe le mani e puntandola proprio al centro della fronte di Harry.

Quello urla, il dolore diventa insopportabile.

È finita.

Ma—nella sua mano destra è ancora stretta la spada.

Una nuova, sconosciuta voce si fa largo dentro di lui.

No, non ancora.

Con la mano libera afferra una manciata di terriccio da suolo e lo getta contro gli occhi di Othrod, facendolo vacillare per un attimo.

Un attimo più che sufficiente.

Harry afferra la propria spada, facendo ricorso a tutte le sue ultime forze, e la spinge contro il suo collo scoperto: la lama affonda nella carne, del sangue nero cola dappertutto, sporcandogli anche il volto.

La preme più forte, più forte ancora fin quando non percepisce l’altra estremità della lama passare oltre il collo, trapassandolo.

Gli occhi di Othrod sono spalancati, lo guardano.

Apre la bocca, esce del sangue ad ogni pulsazione.

C’è un silenzio assordante.

Dopo un paio di gorgoglii incomprensibili, Harry riesce ad udire un flebile: “Giochi sporco.”

Poi il suo corpo cade, lentamente, su un fianco: il suo sangue sporca tutta la terra intorno a loro.

E non ci sono urla, non ci sono tonfi né botti: tutto si ferma.

Tutto è finito così, in un lamento gorgogliato.

Respira pesantemente, ributtandosi a terra con la schiena e cercando di strisciare lontano dalla carcassa del Barbaro: il dolore lo colpisce come un colpo in testa.

Boccheggia, mentre brividi di freddo s’impossessano del suo corpo.

Non riesce a smettere di sorridere; stanno vincendo.

Finalmente, stanno vincendo. Gli viene quasi da ridere al pensiero.

Prende un’ultima boccata d’aria, già percependo il suo corpo abbandonare le forze e cadere nell’oblio.

“Preferisco il termine—” la sua voce è un sussurro dolorante, inudibile: “cercare di vincere.”

Sorride ancora, chiude gli occhi.

E lascia che l’oscurità l’avvolga.

§

Le palpebre gli si spalancano di scatto, insieme alle labbra, che cercano disperatamente ossigeno con cui riempirsi i polmoni.

È buio, buio pesto. E—non ha idea di dove si trovi.

Una finestra illumina vagamente la stanza—e il letto su cui è sdraiato.

Cerca di voltare la testa ma un dolore lancinante gli blocca il movimento. La ferita alla base del suo collo pulsa di dolore, sotto le—bendature?

Sbatte più volte le palpebre, la testa sembra esplodergli di dolore.

“Shh, fa piano.” Una voce proviene alla sua destra: si volta appena.

È Michael.

Michael che gli sorride.

“Sono felice di vedere che ti sei svegliato, hai dormito per quasi due giorni—Ora sta’ buono, devo cambiarti le bende.”

Le sue dita esperte cominciano a tagliare vie le bende vecchie dalla sua pelle; Harry vorrebbe poter parlare, dire qualcosa, ma la sua gola è talmente secca e lui si sente così debole da non riuscirci.

Alzando appena la testa, riesce a scorgere una sagoma, seduta scompostamente su uno sgabello, accanto al letto: spalanca gli occhi, un calore pare invadergli improvvisamente le membra.

Louis.

Vorrebbe urlarlo, ma non ci riesce.

Michael sembra capire i suoi pensieri: “È stato lui a trovarti—pensava fossi morto. È stato qui accanto a te per tutto il tempo” ridacchia appena, cominciando ad applicare le bende pulite sulla sua pelle: “L’ho costretto a dormire un po’—non lo svegliare.”

Harry annuisce e lascia ricadere la propria testa sul cuscino. Rimane in silenzio.

“Dove siamo?”

“All’accampamento a Nord.”

“Abbiamo vinto?” La sua voce risulterebbe completamente inudibile, se non fosse per il silenzio e per il fatto che Michael è ad appena qualche spanna dal suo volto.

Lo guarda, sorride, ha gli occhi lucidi.

“Abbiamo vinto.”

§

Ripartono per tornare al castello tre giorni più tardi, quando tutti sembrano essersi ripresi dalle ferite che si sono procurati in battaglia.

Harry fa ancora fatica a reggersi in piedi perché, stando ai medici dell’accampamento Nord, ha perso quantità di sangue disumane.

Hanno avuto molte perdite, Harry costata nei giorni successivi: ma nessuna delle Sentinelle dell’Ovest è stata fatalmente colpito.

Louis riporta solo una ferita, su un fianco, piuttosto profonda, ma curabile.

Quando Harry lo rivede per la prima volta, gli si fionda praticamente addosso, abbracciandolo: Louis gli racconta di come, una volta terminata la battaglia, lo fosse andato a cercare e di come aveva trovato i suoi corpo—accanto a quello di Othrod—completamente esangue.

“Credevo fossi morto—Dèi, non puoi capire quanta paura avessi in quel momento” gli rivela con la voce tremante, dentro l’abbraccio.

“—Ma io sapevo—sapevo che non potevi essere morto. Mi avevi promesso che non saresti morto.”

Harry lo guarda. Lo guarda e gli sembra di vederlo sotto una luce molto più splendente di quanto non sia: i suoi occhi sono più blu e limpidi.

Si baciano, si baciando anche se entrambi sono ancora deboli e anche quando gli manca l’aria, si baciano perché ancora tutto sembra troppo bello per essere vero.

Festeggiano con grandi banchetti, tutti elogiano Harry e gli chiedono di raccontare per filo e per segno cosa sia accaduto sulla Rupe.

Harry lo fa, e tutti pendono dalle sue labbra.

Ritornano al castello coi draghi (solo alcuni sono rimasti gravemente feriti, durante l’attacco e gli altri sono perfettamente in grado di volare), pochi giorni dopo, e Harry si aggrappa tutto il tempo alla vita di Louis, su Masha, col mento appoggiato alla sua spalla.

Lancia occhiate a Niall, Greg, Calum e Asthon, a Liam e Zayn che volano vicini, un po’ ammaccati, ma salvi.

Quando atterra nel cortile della reggia è Gemma la prima ad andargli incontro—subito prima di Sheen, che si appollaia sul suo braccio—; lo abbraccia, quasi scoppiando in lacrime e lo ringrazia centinaia e centinaia di volte perché è tutto davvero finito.

Una volta per tutte.

Quando si stacca, gli bacia le guance e gli sorride come se lo vedesse per la prima volta.

“Il nostro popolo sarà fiero di avere un re come te.”

Harry la guarda: “Gemma, io—io ho preso una decisione che spero tu accetterai.”

Prende un profondo respiro, guardandola dritta negli occhi.

“Voglio sia che sia tu a governare questo regno.”

Sale un sussulto generale da tutti i presenti, dalle Sentinelle ai cavalieri alla sorella stessa, che spalanca gli occhi:

“C-cosa—?”

“Ascoltami,” Harry le sorride: “io ho avuto tanta, troppa fortuna ultimamente. Non sono forte né potente come sembro. Non ho né il carattere né la volontà di governare su un regno come questo, ma—tu sì.”

Le afferra le spalle, scuotendola piano: “Tu sei—realista, pragmatica. Riesci sempre a controllare tutto e assicurarti che tutti stiano bene. Sei intelligente, istruita, brava con la spada. Io non sono così; andrei in panico al primo problema e non riuscirei a risolverlo.” Prende un profondo respiro: “Voglio che tu diventi la nuova sovrana di questo regno e non accetterò un no come risposta.”

Gemma lo guarda; gli angoli dei suoi occhi sono ricolmi di lacrime di gioia.

“E tu dove andrai?” domanda dopo minuti interi: “Pensavo che saresti rimasto qui—e saremmo diventanti entrambi Sacerdoti—Non vuoi più esserlo?”

Harry sorride, e si sfila dal collo l’anello di ferro dal collo, posandolo tra le mani della sorella.

“Io non ne ho più bisogno.” Lancia uno sguardo a Louis: “Credo—Credo che tornerò all’accampamento all’Ovest. Credo che tutto vada bene così. È quella la mia casa, adesso.”

Louis gli sorride di rimando, dolcemente.

Harry si volta verso la sorella, che sta facendo passare lo sguardo su entrambi, come se avesse già capito tutto; lei ha sempre capito tutto. Harry l’adora per questo.

“Prometti che mi verrai a trovare. Spesso—molto spesso” gli sussurra.

Harry l’abbraccia, la stringe forte e si gode il suo profumo dolce per qualche attimo.

“Lo prometto.”

Ritornare all’accampamento riempie il cuore di Harry di gioia.

È ormai l’ora del tramonto, quando i draghi raggiungono l’altopiano e planano; Harry riappoggia i piedi su quel suolo tanto familiare e si gode l’aria fresca della sera.

Sheen saltella giù dalla sua spalla ed emette uno sbadiglio gutturale, prima di zampettare verso Huton per giocare un po’.

La luce del sole illumina gli alberi, creando giochi di luce e ombra incredibili.

Tutti, silenziosamente, si dirigono alle baracche: sono stanchi e vogliono solo riposarsi dopo tutto quel viaggio e tutto quello che è successo.

Liam ha un braccio stretto intorno alla vita di Zayn e si dirigono dentro la stessa branda, in silenzio.

“Sai che un giorno li ho visti baciarsi?” sussurra Harry a Louis, appena fuori dalla loro, di branda.

Il cavaliere dagli occhi azzurri trattiene uno sbadiglio contro il palmo della mano: “Io una volta li ho visti fare di peggio—credimi.”

Harry ridacchia. “Non dirmi che sei già stanco, uh.”

Ehi, io—” gli punta un dito contro, aggrottando le sopracciglia in un’aria fintamente offesa; l’espressione, però, casca qualche secondo dopo, appena si perde negli occhi verdi dell’altro.

Alza gli angoli della bocca. “Sei così—maturato, Harry. Quasi non mi ricordo di come eri, la prima volta che ti ho incontrato” dice, dolcemente.

Harry gli posa una mano sul volto, accarezzandolo. “Irritante? Infantile?”

“Non essere così duro con te stesso. È solo che—mi sembra che tu sia sbocciato. E ora—ora sei davvero stupendo.”

"Per quanto possa dirne, non—credo sia stato tu a cambiarmi, Louis." Gli sorride: "Penso di essere cresciuto da solo."

"Sono fiero di averti aiutato in questo." Louis gli preme un bacio leggero sulla mascella, facendolo ridacchiare.

"Suppongo che dovrai continuare ad aiutarmi ancora per un po'."

Harry si stacca improvvisamente dal suo corpo, osservandolo con una smorfia indecifrabile sul volto; Louis aggrotta le sopracciglia:

"Cosa intendi dire?"

"Be'—” il dito di Harry scorre sulla sua spalla, leggero, prima che il ragazzo sopprima una risata e si diriga verso la loro branda.

"Forse domani potrei svegliarmi e non essere più un Vergine—chi lo sa?"

Ci vogliono un paio di secondi prima che il cervello di Louis riesca ad assorbire l'informazione.

Si volta di scatto, gli occhi spalancati e un misto di eccitazione ed adrenalina a riempirgli le vene, il sonno completamente abbandonato: osserva Harry lanciargli un'ultima occhiata maliziosa, prima di scomparire definitivamente dentro la tenda e fargli segno di seguirlo sul loro letto.

Louis inspira rumorosamente, mentre si libera già dei primi pezzi dell’armatura e si avvia dietro l’altro.

Harry—Harry domani potrebbe non essere più vergine? Intende che—?

"Oh.” deglutisce: “Ooh.

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“So comes snow after fire, and even dragons have their endings.

― J.R.R. Tolkien

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*enter, fase sclero*

((se non ne avete ancora abbastanza di questa storia, cliccate qui e morite con me))

*exit, fase sclero*

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