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parte II
»
Harry
si rigira nel letto, abbandonando l’anello contro il suo
petto: sente le guance
andargli a fuoco al solo pensiero.
Complicazioni,
si
ripete mentalmente. Non è
pronto a rinunciare al suo voto, questo è certo—Ma
non è nemmeno pronto a
prendersene completamente atto.
Si
massaggia la radice del naso, percependo già i primi raggi
di sole brillare
timidamente sulle cime degli alberi.
È
tutta colpa di Louis, dannazione. Se
solo quel cavaliere non avesse—
Non
riesce a terminare la frase.
C’è
un rumore ovattato e tremendamente forte che si spegne il secondo dopo:
Harry
aggrotta le sopracciglia e, in un attimo, ha già afferrato i
propri stivali e
sta uscendo dalla sua baracca.
Appena
scosta la tenda di pelli, un raggio di sole aranciato gli colpisce gli
occhi,
costringendolo a pararseli con le mani: sente altri correre intorno a
lui,
muoversi velocemente, borbottando.
L’aria
fredda gli colpisce il petto nudo, ma lui non se ne preoccupa e cerca
di
mettere a fuoco ciò che sta succedendo al centro
dell’accampamento: c’è un
drago.
Un
drago marrone chiaro, spinato, dagli occhi rosso sangue; è
completamente
immobile, ad ali conserte, mentre osserva le Sentinelle accorrere
intorno a
lui.
Davanti,
un uomo.
Harry
ha bisogno di un altro paio di secondi prima di riuscire a metterlo
completamente a fuoco: indossa sul petto un’armatura di
bronzo.
Ha
guanti di cuoio sulle mani, e tiene saldamente un rotolo di pergamena
su cui—C’è
il marchio Styles.
Harry
spalanca gli occhi, preso alla sprovvista: suo padre ha mandato un
messaggero?
Per quale motivo avrebbe mai dovuto farlo?
Decide
di unirsi alla piccola folla di Sentinelle riunitesi a qualche metro di
distanza dall’uomo, che pare osservare tutti con una glaciale
professionalità.
Quando
i borbottii sono cessati, quello si schiarisce la voce in un verso
rauco.
“Chi
è?” domanda solo allora Harry, a chiunque ci sia
al suo fianco. (Non che abbia
controllato, è troppo impegnato ad osservare la strana scena
presentatagli
davanti.)
“Simon
Cowell” gli risponde in un sussurro—Luke?
Sì,
è decisamente Luke.
“Come—” borbotta poi, lanciandogli
un’occhiata bieca: “Come fai a non
conoscerlo? È uno dei maggiori generali dei nostri
eserciti—praticamente passa
tre quarti del suo tempo con tuo padre per decidere le sorti della
guerra.”
Harry
corruga la fronte: non si ricorda di aver mai visto quel viso, in giro
per il
palazzo.
Ma
c’è una grandissima possibilità che
l’abbia effettivamente visto
e poi dimenticato: troppi cavalieri e generali girano per casa sua per
poterli
memorizzare tutti.
Il
generale—Cowell—lancia uno
sguardo intorno a sé.
“Vengo
da parte di sua Maestà il Re—” annuncia
con voce ferma e mascella contratta; il
suo tono possente riecheggia per qualche secondo.
“—In
vista degli ultimi fatti avvenuti sulla Barriera a Nord del regno, mi
trovo qui
oggi per chiamare alcuni di voi a compiere il vostro mestiere e
seguirmi in
prima linea.”
Harry
sente il proprio cuore perdere un battito; è quello di cui
parlava Niall, è
quello che ha reso ogni secondo passato in questo accampamento un
inferno.
No,
non si sta
preoccupando per se
stesso—è ancora troppo inesperto perché
possano mandarlo a lottare—ma...
Si
guarda intorno.
Per
gli altri. È
preoccupato per gli altri.
I
loro volti sono contratti, ansiosi, ma non lasciano trasparire segni di
paura.
Il
generale Cowell srotola lentamente la pergamena, rompendo il sigillo
della
casata: contro luce, è possibile scorgere delle ombre
d’inchiostro sulla carta.
“Sentinelle
dell’Ovest; Ashton Irwin, Stan Lucas, Calum Hood
e—” Si ferma un secondo,
alzando gli occhi dalla pergamena.
“—Louis
Tomlinson. Vi aspetteremo alla Barriera domani
all’alba.” L’uomo
chiude il pugno della mano destra e, con il gomito stretto al fianco,
se lo
batte sul cuore come il saluto che è d’uso del
loro regno.
I
ragazzi dell’accampamento lo imitano e rimangono rigidi nelle
loro posizioni
fin quando Cowell non rimonta sul proprio drago e, con enormi battiti
d’ali che
fanno vibrare la terra, sparisce oltre le nubi grigie.
Harry
si sente confuso, sul fondo di un lago mentre cerca disperatamente di
vedere il
sole.
Si
fa spazio tra gli altri, quasi sgomitando, finché non riesce
a scorgere la
figura di Louis in piedi, a fissare il punto nel quale qualche secondo
fa c’era
Cowell e il suo drago.
Il
suo volto è inespressivo.
Qualcuno,
da dietro, gli urla di andare a prepararsi perché il viaggio
verso la Barriera
dall’altra parte del regno è lungo e dovranno
mettersi in marcia subito, coi
loro draghi, se vogliono arrivare in tempo.
(Probabilmente
lo sta urlando Stan, già corso a recuperare la fodera della
propria spada.)
“Harry”
sussurra Louis sorpreso, una volta che quello gli si è
avvicinando
sufficientemente.
Il
ragazzo dagli occhi verdi non ha intenzioni di perdere tempo in
convenevoli.
“Cosa
vuol dire?” domanda, urgentemente, guardandolo.
Louis
aggrotta un sopracciglio: “Come, scusa?”
“Cosa
vuol dire che dovrai andare alla Barriera? Dovrai combattere?
Dovrai—” Non sa
cosa dire; non riesce a formulare una frase completa senza immaginare
Louis
trucidato dai Barbari, morto, sulla neve.
Il
pensiero lo fa rabbrividire fino a fargli salire la nausea.
“Credo
che mi metteranno a capo di un dipartimento sulla frontiera.”
“Non
puoi andare” ringhia Harry; è costretto a
stringere i pugni fino a diventare le
nocche biancastre per tenere a freno la voglia di afferrargli le spalle
e
scuoterlo, svegliarlo, fargli capire che è follia pura.
“È
tutta la vita che mi preparo per questo momento, Harry.” Non
c’è rabbia nella
sua voce, solo una rigida consapevolezza.
Harry
lo odia.
Lo
odia come non ha mai fatto nella sua vita; come—come
può dire una cosa del
genere?!
Lui
non è una bestia mandata
al macello, non è stato
addestrato tutta la vita per andare a morire.
“Non
sei stato preparato per andare a morire” sibila allora
fissandolo con gli occhi
socchiusi.
Louis
rimane un attimo in silenzio. “Infatti sono stato preparato
per vincere.”
I
suoi occhi azzurri si sono fatti più taglienti mentre fissa
Harry; c’è così
tanta determinazione, lì dentro, da fare paura.
Louis
vuole vendicarsi.
Il
pensiero colpisce Harry come un lampo a ciel sereno.
Louis
vuole vendicarsi per tutto ciò che i Barbari gli hanno fatto.
Per
la cicatrice. Per la sua famiglia.
Harry
rimane immobile, la mascella contratta: la rabbia che prova dentro di
sé è a
malapena contenibile.
Non
vuole che Louis se ne vada, non vuole che vada a morire.
Ma
il cavaliere s’è già voltato e sta
seguendo Calum.
§
Il
suo addestramento va avanti con il resto delle Sentinelle.
Per
settimane, mesi interi, non riesce ad avere più notizie da
parte di Louis o dei
suoi dipartimenti sulla Barriera: l’unico contatto con il
mondo esterno che ha
sono le continue lettere di Gemma e i messaggeri che riportano i fatti
che
accadono a Nord.
Harry
ha smesso addirittura di sperarci; preferisce impiegare il proprio
tempo a concentrarsi
sull’allenamento piuttosto che preoccuparsi del regno, di
Louis.
Non
riesce nemmeno a pensare il suo
nome che immediatamente
percepisce il proprio stomaco contorcesi in una morsa dolorosa; non ne
capisce
nemmeno il motivo.
Ma—ha
altro su cui concentrarsi.
L’addestramento
ha il ritmo di sempre, ma questa volta Harry svolge i propri compiti in
maniera
più rigida e attenta, e la sera non è
così stanco come lo era una volta; la
mattina scende dal letto ancora prima dell’alba e si va a
lavare nella fonte
più in cima alla montagna.
Dopo
settimane passate ad allenarsi ora, quando si specchia sulla superficie
del
ruscello, a malapena riesce a riconoscersi.
Ha
abbandonato da tempo le forme ancora paffute della sua adolescenza,
lasciando
spazio a degli zigomi affilati e ricoperti di macchie violacee per le
troppe
cadute, i suoi capelli sono cresciuti insieme alle sopracciglia che ora
gli
conferiscono un’aria eccessivamente seria.
Il
suo petto s’è ampliato, le sue spalle si sono
definite: le braccia sottili si
sono gonfiate, lasciando spazio a bicipiti formati a causa di continui
dolorosi
sollevamenti.
Le
sue gambe sono più lunghe, la schiena più larga.
Centinaia
di piccole cicatrici e segni sbiaditi di tagli gli impreziosiscono il
corpo,
rendendo la sua pelle più ruvida e spessa.
Mentre
si toglie la casacca e si sciacqua nella corrente fredda, il suo
riflesso
rimanda un’immagine di sé a cui Harry non
è abituato; non è abituato a quella
mascella così definita o al suo collo decisamente
più lungo e le sue spalle più
larghe.
C’è
qualcosa persino nel suo sguardo—qualcosa che è
cambiato: sarà che ora sembra
addirittura più scuro, attento.
Uno
sguardo che osserva attentamente quando è il momento giusto
per scoccare la
freccia e centrare perfettamente la preda che Zayn gli ha ordinato di
cacciare;
un tipo di sguardo abituato a rimanere immobile nella stessa posizione,
nell’erba alta, per ore di fila, aspettando il momento giusto
per agire.
Il
suo allenamento, giorno dopo giorno dopo giorno, continua.
Niall
gli insegna a guidare un drago, Liam a combattere con la spada; Harry
ora
riesce addirittura a vincere, quando si scontrano corpo a corpo.
Riesce
ad avere abbastanza forza per afferrarlo di peso dal bacino e gettarlo
a terra
e bloccarlo, assestandogli le nocche contro la mascella ricoperta da un
sottile
strato di barba; Liam generalmente riesce a rialzarsi, ma ci sono
giorni in cui
la presa di Harry è talmente stretta e dolorosa, che proprio
non ce la fa.
Allora
il ragazzo dagli occhi verdi gli sorride—sputando via un
altro grumo di
sangue—e gli tende una mano per aiutarlo a tirarsi su.
Un
giorno, addirittura, Luke lo porta con sé durante un giro di
ricognizione: gli
fa vedere le grotte dove si nascondono solitamente i Barbari, i boschi
più a
Sud—ora quasi completamente ricoperti di neve candida.
Durante
le cene, tutti continuano a complimentarsi per i progressi che lui sta
facendo;
Harry li ringrazia con un cenno del capo e continua a mangiare in
silenzio,
stringendosi intorno al fuoco per cercare di allontanare il freddo
invernale
che gli attanaglia le ossa.
Il
giorno passa, su questo non c’è dubbio; passa
piuttosto velocemente.
È
sempre la notte a causargli dei problemi.
È
sempre la notte a tenerlo sveglio, con gli occhi sbarrati nel buio,
mentre si
chiede quante persone stiano morendo, proprio in
quell’istante, trafitte da una
spada.
E,
proprio quando—dopo ore—riesce a cadere in un
agognato dormiveglia, allora gli
sembra di udire il suono delle lame che sbattono sugli scudi, delle
urla; gli
sembra di sentire l’odore del sangue.
Si
sveglia di soprassalto. Si guarda intorno: non
c’è niente. Non
c’è Louis.
Allora
si rimette sdraiato e si porta due dita alle labbra, accarezzandosele;
se si
concentra, riesce ancora a ricordare la sensazione delle loro bocche
che si
sfioravano.
§
Niall
e Zayn lo portano con sé durante uno dei loro giri di
ricognizione, una
mattina, quando smette di nevicare; Harry sale in groppa a Neevae solo
perché
sembra tremendamente più sicuro, rispetto a Huton e alle sue
ali corte e goffe.
È
completamente diverso rispetto a cavalcare Masha o
Urich—Neevae è così
sottile.
Deve
tenersi disperatamente aggrappato alle spalle di Zayn e stringere le
cosce fino
a quando quelle stesse non gli fanno tremendamente male, pur di non
cadere.
La
mancanza completa di ali e la lunga coda che continua ad ondeggiare
paurosamente rendono il viaggio decisamente scomodo. E pauroso.
Nonostante
tutto, crede che avrebbe fatto meglio a montare su Huton.
Volano
fino alle Montagne Rocciose, dove poi atterrano; quando Harry scende
dal drago,
le sue gambe protestano per il dolore.
Zayn,
dietro di lui, scende in un movimento elegante e si stringe dentro le
vesti
scure e pesanti; sulla sua schiena, incrociate, ci sono due spade
foderate ed
uno scudo pende dalla sua spalla.
(Il
modo in cui lo porta addosso suggerisce che pesi poco o niente, ma.
Harry lo
sa: ci vogliono settimane e settimane di allenamento per portarselo
dietro
senza che il suo peso ti travolga.)
Huton
atterra poco lontano da loro, tra i sassi, con un capitombolo; Niall
salta giù
appena un tempo, ridacchiando ed accarezzando il muso giallo
dell’animale.
“Come
mai ci siamo fermati?” domanda solo allora Harry.
Zayn
lancia un’occhiata all’altro cavaliere, poi si
passa una mano tra i capelli
corvini:
“Michael,
Will e Greg ieri hanno fatto il loro giro da queste parti e hanno
trovato un
Barbaro solitario che tentava di sorpassare il confine.”
Con
un movimento netto e pulito, afferra entrambe le spade dietro la sua
schiena;
un sibilo metallico riempie l’aria.
Ne
lancia una Harry e lui l’afferra al volo, senza esitare.
“Quindi?”
“È
dentro quella grotta.” La figura di Niall sbuca dietro a
quella di Zayn e il
suo dito alzato in aria punta ad una rientranza nella roccia nuda.
Harry
si volta, osservando l’oscurità in cui
è immersa la grotta; è costretto a
socchiudere gli occhi perché un’improvvisa folata
di vento ha alzato una nuvola
di terra.
“Cosa
volete che faccia?”
“È
una delle ultime prove di una recluta” gli dice Zayn,
passandogli lo scudo:
“Sconfiggere un nemico.”
Harry
lo afferra. “E con sconfiggere
intendete—?”
“Uccidere.”
Niall
lo guarda: “Credi di poterlo fare? Credi di riuscire ad
uccidere senza
esitare?”
Harry
è quasi spaventato dalla rapidità e dalla
profonda convinzione della sua
risposta: “Sì.”
Non
c’è tentennamento né dubbio; Niall e
Zayn annuiscono, quasi all’unisono.
“Noi
staremo lì dietro—” lo avvisa poi il
cavaliere corvino, indicando un masso
particolarmente grande, qualche decina di metri più in
là:
“—Se
vediamo che le cose cominciano a mettersi male, veniamo ad aiutarti,
chiaro?”
Fa roteare l’altra spada in aria; Harry annuisce.
Entrambi
fanno per rimontare sul proprio drago e volare poco lontano, quando
improvvisamente Huton emette un basso gorgheggio spaventato; allunga il
collo e
comincia a sbatacchiare le ali tozze, emettendo piccoli versi striduli.
Niall
gli accarezza le squame sulla fronte per farlo calmare: “Ha
fiutato l’odore del
nemico.”
Qualche
secondo dopo Harry è solo, in mezzo a sassi e neve sporca;
afferra più
saldamente l’elsa della propria spada e prende un profondo
respiro, esalando.
Una
nuvola di condensa esce dalle sue labbra, oscurandogli per un secondo
la vista.
Anche
da quella distanza è in grado di percepire gli occhi degli
altri cavalieri,
osservarlo.
Cammina
piano, i sassolini sotto le sue scarpe scricchiolano passo dopo passo;
entra
nella grotta che sembra più che altro un enorme squarcio
scuro sul fianco della
montagna, scuro come la pece.
Appena
supera la frastagliata entrata, il silenzio pare avvolgerlo: ora i suoi
passi
sono diventati un eco che continua a rimbalzare sulla roccia.
La
luce è flebile, ma sufficiente perché riesca a
vedere dove sta mettendo i
piedi.
Gli
sembra di camminare per minuti interi, lì dentro, nel
silenzio completo: più
volte si ferma per controllare che non ci sia nessuno nascosto dietro
ai massi
o alle piccole stalagmiti, ma tutto sembra completamente immobile.
Abbassa
l’arma; forse Michael s’è sbagliato.
Forse il Barbaro è già scappato via,
durante la nott—
Un
grido.
Un
grido agghiacciante proviene da un
punto indefinito sopra la
sua testa.
Harry
alza il mento di scatto, stringendo la spada, e riesce a vedere una
figura
gettarsi sopra di lui con ferocia, tenendo stretto tra le mani un
pugnare che
risplende alla luce soffusa della grotta.
Delle
braccia ruvide e viscide gli stringono il collo, delle ginocchia ossute
e
bitorzolute gli circondano i fianchi, stringendolo.
Gli
manca l’aria: annaspa, cercando disperatamente di scuotersi
via di dosso
quell’essere mostruoso che continua ad alitargli sul collo.
Vede
il pugnale brillare davanti a sé: riesce giusto in tempo ad
afferrare il polso
della creatura ed arrestare l’affondo, prima di gettarsi
rudemente contro una
parete della grotta, schiacciando il Barbaro.
Quello
emette un verso agonizzante, lasciando andare la presa stritolante
contro il
corpo dell’altro; Harry si volta, respirando pesantemente per
riprendere fiato.
Non
si concede più di pochi secondi per osservare il suo
avversario e per
realizzare—più che colpito che
impaurito—che, effettivamente, i Barbari sono
uguali alle leggende che ha sempre sentito
raccontare a palazzo.
Creature
dalla pelle pallida, screpolata e ruvida, con una bocca famelica e
squadrata
incorniciata da un paio di labbra grigiastre, e riempita da appuntiti
denti
sbeccati; gli occhi sono piccoli, completamente neri, il muso
schiacciato e
piegato in una smorfia perenne.
Le
loro armature sono nere come il carbone, ricoperte di cinghie e fodere
di cuoio
scuro.
Harry
rialza lo sguardo, puntando la cima della sua spada contro di lui;
tiene ben
alto lo scudo davanti al petto, reggendolo con l’avambraccio
piegato.
Carica,
ma l’altro è più veloce.
Salta
via all’ultimo secondo, ponendosi alle spalle di Harry e
alzando nuovamente il
pugnale, emettendo un rauco verso: il ragazzo riesce a scorgerne il
riflesso
nell’interno del proprio scudo e schiva la lama, voltandosi
su un fianco con un
movimento di gambe.
I
piedi, per riuscire nuovamente ad ancorarsi al suolo, compiono una
strisciata
che fa alzare della polvere dal terreno.
Harry
non ci bada.
Costringendosi
ad ignorare la spalla che comincia a dare i primi segni di spossatezza
a causa
dello scudo pesante, stringe i denti e ruota la spada in aria emettendo
un
sibilo acuto.
Carica
contro il Barbaro, ma quello para col suo pugnale; il ragazzo ritira la
spada e
affonda, la ritira e affonda, schivano colpi su colpi.
Riesce
a fare indietreggiare la creatura fino a metterla contro le spalle al
muro: i
suoi occhietti scuri brillano nell’oscurità
completa.
L’ha
a portata di mano.
Il
cuore gli batte forte nelle tempie, e il sangue corre veloce dentro il
suo
corpo, come un mare in subbuglio.
Allontana
appena la spada e si concede un unico, glorioso momento per sentire la
sete di
vittoria inebriargli la mente—La lama affonda.
Affonda
nella carne morbida del collo del Barbaro, proprio tra la clavicola e
la
spalla; affonda con una facilità estrema, lasciando uscire
fiotti di sangue
scuro e denso che gli vanno a macchiare il volto.
Lo
sguardo del suo avversario è una maschera di pura rabbia e
paura, i suoi occhi
sbattono ancora una, due, tre volte prima che la testa gli ricada
inerme sul
petto e il suo corpo cominci a scivolare lentamente contro la parete,
fino ad
accasciarsi al suolo.
Una
scia di sangue viene lasciata sulla roccia alle sue spalle.
Harry
non toglie la spada dalla carne dell’altro per ancora qualche
secondo: si
limita ad osservarlo, l’adrenalina che scorre nelle sue vene
e lo inebria.
Quando
sfila la lama, altro sangue esce e sporca la terra.
“Harry?”
La voce di Niall gli arriva riecheggiando dall’entrata della
grotta; “Tutto
bene?”
Mai
sentito meglio.
“Sì,
è—” si asciuga una goccia di sudore
dalla fronte con il dorso della mano:
“—morto. L’ho ucciso.”
L’ho
fatto davvero—ha
appena ucciso un essere vivente e non ha esitato nemmeno un secondo.
Nemmeno
un attimo la sua mano ha tremato, nemmeno quando la lama ha cominciato
a
squarciargli la pelle.
Gli
sembra quasi che la voce di suo padre riecheggi in quella grotta,
insieme ai
passi di Niall e Zayn che si stanno avvicinando.
«Tu
sei uno Styles. La sete di vittoria scorre nel tuo sangue—Tu
hai sangue di
guerriero, nelle vene. Non importa per quanto tempo rinnegherai il tuo
destino;
tu sei nato per combattere, uccidere e vincere.»
Non
riesce a staccare gli occhi dal corpo esangue del suo nemico.
Percepisce
Zayn, al suo fianco. “Tutto bene, sicuro?” gli
domanda, guardandolo.
Harry
annuisce lentamente; una profonda consapevolezza gli attanaglia lo
stomaco,
rallenta l’adrenalina nel sangue, costringe la sua mente a
tornare lucida.
Vorrebbe
farlo ancora.
Ucciderebbe
ancora.
Harry
alza lo sguardo verso i due compagni.
Suo
padre aveva ragione.
§
Greg
getta una catasta di rami secchi contro la fiancata di una branda;
Harry si
morde l’interno di una guancia per riuscire a sopportare
l’ultimo sforzo prima
di gettare anche la sua, di catasta, lì accanto.
Sbuffa,
raddrizzandosi con la schiena: osserva per un attimo la punta dei
propri
stivali imbottiti ricoperta di neve grigiastra; alza lo sguardo,
voltandosi.
“Ehi,
Nì!” urla al ragazzo dall’altra parte
dell’accampamento: “Io e Greg dobbiamo
andare a prendere altra legna o questa era
l’ultima?”
Il
cavaliere biondo lancia un’occhiata ai rami.
“Così dovrebbe bastare per questa
notte!” gli grida in risposta.
Harry
gli fa un segno d’assenso con il capo e si scrolla altra neve
intrappolata tra
le ciglia.
“Sto
cominciando ad odiare l’inverno” borbotta,
passandosi una mano tra i capelli
ora molto più lunghi.
Greg
annuisce, stringendosi di più nei suoi vestiti pesanti:
“Immagina come sarà al
Nord, in questo periodo.”
“Immagino
come sarà alla Barriera.”
Il
compagno gli lancia un’occhiata, prima di dargli una pacca
sulla spalla: “Se la
caveranno, tranquillo.”
Una
parte di Harry vorrebbe tanto credere alle sue parole; vorrebbe non
dover
prestare attenzione alle lettere di Gemma—sempre
più rare a causa della
stagione burrascosa—che lo informano delle ultime vicende
della guerra, di come
i loro eserciti abbiano finalmente cominciato ad avanzare in territorio
nemico.
Di
suo padre che è partito per combattere e gli dèi
solo sanno quanto potrà resistere.
Harry
si costringe a scuotere la testa ed a non pensarci; la notte sta ormai
arrivando ed oggi è il suo turno di mantenere il
falò acceso fino all’alba, in
modo da scaldare i draghi e non lasciarli morire di freddo.
Lascia
Greg per andare a riposarsi un paio d’ore, prima che il sole
cali.
Le
riconosce tutte, le costellazioni.
Harry
si stringe più vicino al grande falò,
ravvivandolo con dei rami secchi;
percepisce il respiro del drago di Michael scaldargli parte del corpo,
mentre
quello cerca di accoccolarsi meglio contro Huton, intrecciando i
rispettivi
lunghissimi colli.
Li
guarda, uno per uno: draghi di forme, colori e dimensioni diversissime
dormono
accanto al fuoco, pelle contro pelle per riscaldarsi; si avvolgono
nelle loro
immense ali e cercando di mantenere il proprio sangue caldo, per non
morire a
causa dell’inverno.
Harry
vede le ombre proiettate dal fuoco allungarsi per metri e metri, sotto
di loro.
Il
cielo è talmente buio da lasciare vedere chiaramente ogni
stella ed ogni
costellazione.
Le
riconosce tutte; Louis gliel’ha insegnate una notte
d’autunno, qualche mese
prima: gli ha indicato ogni stella, il suo nome, e a che costellazione
appartenesse.
Harry
le guarda, col naso al cielo e le mani tese al fuoco scoppiettante.
Respira
la brezza gelida e, quando fa per espirare—la vede.
È
una macchia che per un secondo oscura la luce della luna per poi
scomparire
via, veloce com’è apparsa: Harry si alza,
strizzando gli occhi per riuscire a
mettere a fuoco l’oggetto che vorticosamente sta cadendo in
picchiata verso
l’accampamento.
Sfila
dalla fodera alla cintola la spada e lascia ricadere il cappuccio che
gli
copriva la fronte, sulle spalle; spalanca leggermente le gambe e si
prepara ad
un eventuale scontro.
La
macchiolina scura continua a farsi ogni secondo più vicina,
ingrandendosi ed
oscurando ogni secondo la luce brillante delle stelle.
Harry
asspetta, in attesa, coi muscoli tesi e pronti a scattare.
Quando
ormai mancano poche decine di metri prima che quella cosa
si
schianti letteralmente al suolo—due enormi ali di cuoio si
spalancano,
arrestando la caduta finale ed adagiandosi lentamente al suolo, pochi
più in là
rispetto all’accampamento.
Harry
non riesce a muoversi, un solo nome urla dentro la sua testa ed
è abbastanza
potente da gelargli il sangue nelle gambe.
Masha.
Quelle
ali—sono di Masha.
Ne
è sicuro.
Riconoscerebbe
gli artigli appuntiti e la forma squadrata anche a miglia di distanza;
la
consapevolezza gli stringe lo stomaco in una morsa.
Masha,
non
vedeva quel
drago da... Mesi. Mesi
interi.
E—e
se c’è Masha, allora c’è
anche—
Harry
spalanca gli occhi, il sangue comincia a circolargli nuovamente dentro
il corpo
ad una velocità tale che gli fa quasi male; il cuore gli
martella all’interno
del petto e il freddo sparisce improvvisamente, lasciando posto ad
un’agitazione ed un’eccitazione tale da farlo
cominciare a sudare.
Abbandona
la spada a terra, cominciando a correre più veloce che
può.
“Louis!”
È
un grido che gli si sprigiona in gola più forte di quanto
non vorrebbe e
riecheggia tra gli alberi spogli; a forza di correre tra la neve
rischia di
scivolare più di una volta, ma non gli importa.
“Louis!”
urla ancora, più forte che può, mentre continua
ad avvicinarsi alla sagoma
ansante del Masha.
Si
ferma di scatto, solo per un secondo, il tempo sufficiente per
osservare il
corpo del drago completamente ferito, martoriato, bagnato.
Molte
scaglie sono state strappate via, lasciando spazio a ferite dentro la
carne;
ferite che sanguinano e pulsano.
Gli
occhi di Masha sono chiusi, le fauci semi aperte in un respiro
affannato e
dolorante. Il suo corpo è attorcigliato su se stesso in una
posa innaturale e
visibilmente dolorosa; tra le zampe—
Il
sangue di Harry si raggela per un attimo, prima di cominciare a
scorrere più
velocemente che mai.
“Louis,
Louis, Louis.” Accorre,
s’avvicina, districando gli artigli di
Masha uno ad uno dal corpo del cavaliere dagli occhi azzurri.
La
sua pelle è gelida come la neve, i suoi vestiti e i suoi
capelli completamente
bagnati: tiene gli occhi chiusi e le labbra sembrano quasi diventategli
viola.
Harry
gli scuote il volto, lo schiaffeggia, cerca di farlo
svegliare. Niente.
Non
respira—è il
primo
pensiero che gli salta alla mente, quando posa una mano davanti alla
sua bocca
violacea.
“Resisti,
resisti, ti prego.”
È
una preghiera stretta tra i denti, sussurrata al vento, mentre afferra
il suo
corpo e se lo carica in spalla, ritornando più velocemente
possibile
all’accampamento.
Resisti,
Louis.
Stringe
gli occhi e si costringe a non lasciare—per almeno
questa volta—che le emozioni
abbiano la meglio su di lui; deve mantenersi lucido, agire. Non
lascerà che
Louis lo abbandoni.
Resisti,
ti prego.
“Michael!”
grida, quando raggiunge le brande.
Parte
delle Sentinelle sono già in piedi, con le rispettive torce
in mano: forse il
rumore di Masha che cadeva al suolo deve avergli svegliati.
Si
voltano tutti verso di lui, quando lo vedono arrivare.
Nei
loro volti si legge confusione, domandandosi che cosa
Harry
stia tenendo in mano.
Poi,
più si avvicina, più le loro espressioni si
sgranano, impallidiscono, le loro
mascelle si spalancano: gli corrono incontro, aiutandolo a trasportare
il corpo
di Louis fino ad un tavolo improvvisato.
Nessuno
fa domande; per ora la priorità e badare a Louis.
Michael
è l’unico a toccare quel corpo di ghiaccio, una
volta posatolo sulla lastra di
legno grezzo: Harry, lì accanto, non riesce a staccarne gli
occhi di dosso.
“Cosa
è successo?” gli domanda Liam, occhi sgranati dal
terrore, lì accanto.
“Io—”
Harry deglutisce a vuoto, cercando di rimettere in ordine le idee:
“—Non lo so.
Masha l’ha portato qui—Qualcuno deve badare a lei,
s-sta morendo.”
“Dove
si trova?”
“Appena
fuori dall’accampamento.”
Liam
annuisce e si trascina dietro anche Zayn, Greg e Luke, correndo verso
il punto
indicatoli.
Harry
li vede scomparire lontano, nella notte, poi torna con lo sguardo su
Louis.
La
paura gli divora le ossa, gli stringe la gola fino a rendergli
difficile
respirare.
“Perché
non respira?” domanda a Michael, urgentemente, come se si
aspettasse che lui
risolvesse ogni problema, con la sua medicina.
Il
compagno non gli risponde e continua a far vagare le dita da una parte
all’altra della pelle bluastra di Louis, premendo e tastando
ovunque.
Il
silenzio è tale da riuscire a sentire i battiti accelerati
del proprio cuore.
Dopo
un tempo che pare infinito, tenuto sulle spine fino alla nausea,
Michael
sussurra un: “È vivo.”
Harry
si lascia esalare un respiro che non sapeva di aver trattenuto.
“È
in ipotermia—” continua il cavaliere, rivolgendosi
ai compagni intorno: “—deve
essere caduto nell’acqua ghiacciata o qualcosa del
genere” fa una pausa: “È
troppo debole.”
“Cosa
facciamo?” domanda qualcuno, poco più in
là.
Michael
tira fuori il proprio pugnale dalla cintola dei pantaloni; con un gesto
secco
taglia la casacca bagnata di Louis e gliela strappa lontano; il suo
petto è
così pallido da sembrare un fantasma.
“Dobbiamo
riscaldarlo—dargli dei vestiti asciutti. Farlo riposare nella
sua branda.”
“Sto
io con lui.” La voce di Harry è ferma quando lo
dice, attirando su di sé lo
sguardo di Michael.
“Sicuro?”
domanda: “Non hai dormito per tutta la notte
e—”
Harry
lo guarda intensamente. “Sto io con lui” ribadisce,
scandendo le parole.
Michael
annuisce: “Va bene. Assicurati che stia al caldo e che
continui a respirare
regolarmente.”
“Quando
si riprenderà?”
“Non
dipende da noi.”
Le
Sentinelle rimangono in silenzio.
Trasportano
il corpo di Louis dentro la sua vecchia branda, assicurandosi di
accendere
abbastanza ceri e candele da rendere l’ambiente
sufficientemente caldo.
Harry
lancia occhiate dubbiose ai vestiti pesanti con i quali hanno ricoperto
Louis;
non è sicuro che saranno sufficienti per tenerlo al caldo.
È
inverno, dannazione.
Nemmeno
tutte le coperte di pelliccia e i vestiti del mondo potranno mai dargli
il
calore di cui necessita; Harry si siede in fondo alla brada, su uno
sgabello,
osservandolo.
Sembra
così diverso, dopo tutto quel tempo passato senza poterlo
guardare: la sua
barba è più lunga, tanto che pare coprirgli
completamente il mento e le gote.
Sembra
addirittura dimagrito, lasciando posto a muscoli ancora più
definiti: le sue
spalle paiono più larghe, la linea del collo più
netta.
Il
suo corpo trema, trema in maniera tanto violenta da fare quasi paura:
trema per
cercare di scaldarsi, inconsciamente.
Harry
si morde il labbro inferiore; non può lasciarlo
così.
Non
può passare tutta la notte ad osservare Louis scosso da
fremiti, mentre la sua
pelle diventa più blu e i suoi occhi continuano a non
aprirsi.
Non
è abbastanza caldo, dannazione!
Scalcia
una sedia con rabbia, e il movimento fa ondeggiare pericolosamente le
fiamme
delle lucerne intorno a loro, proiettando ombre sulle pareti.
Non
può lasciare Louis così: non passerà
la notte a guardarlo morire.
Prende
un profondo respiro, cominciando a slacciarsi i lacci di cuoio della
casacca
pesante fin quando non rimane completamente a petto nudo. Rabbrividisce
appena.
Appoggia
l’indumento sullo sgabello e si toglie gli stivali ricoperti
di neve,
avvicinandosi al letto di Louis; si concede un secondo per osservarlo,
poi alza
il lembo di una coperta e si sistema accanto a lui, sfilandogli
lentamente la
maglia di lana pesante.
Gliel’ha
insegnato Gemma, quand’era piccolo.
Sistema
Louis su un fianco, coprendolo poi attentamente con delle coperte: la
sua
schiena pallida pare brillare come la luna, sotto la luce delle candele
e la
cicatrice sembra una scia di stelle luminose.
Si
sdraia anche lui, sistemando il suo petto contro la sua schiena:
immediatamente, il freddo che emana Louis sembra contagiarlo come un
morbo
doloroso, tanto che è costretto a stringere i denti per
scacciare l’istinto
d’allontanarsi.
Quando
si abitua alla sensazione, stringe accuratamente le braccia intorno al
busto
dell’altro, spingendoselo contro. Intreccia le gambe con le
sue.
Gliel’ha
insegnato Gemma— il
calore umano è uno dei fuochi più caldi della
terra.
Affonda
il naso tra i capelli—leggermente più lunghi di
quanto si ricordasse—di Louis,
mentre cerca di cedergli tutto il calore del suo corpo.
Petto
contro schiena, Harry riesce a percepire molto molto piano il battito
del cuore
del cavaliere; veloce e silenzioso, mentre cerca con tutte le sue forze
di non
fermarsi e mantenersi in vita. Sembra un uccellino in gabbia che muove
freneticamente le ali.
Harry
aumenta la presa, incastrando il mento nell’incavo del collo
di Louis e
chiudendo gli occhi; deve dormire.
In
gesto involontario, posa le labbra sulla sua pelle, sopra la cicatrice.
Sa
di sale.
È
un rumore improvviso e forte a svegliarlo.
Harry
spalanca gli occhi, nell’oscurità
completa—deve essere ancora notte.
Per
un infinito secondo di puro terrore i ricordi della sera prima gli
colpiscono
la mente con una forza tale da stordirlo.
La
prima reazione è quella di cercare il corpo di Louis,
assicurarsi che stia
bene, controllare che respiri ancora; è una reazione
irragionevole e
completamente dettata dall’istinto, considerando il fatto che
il rumore che
l’ha appena svegliato—l’ha
prodotto Louis.
Harry
sgrana gli occhi, osservando il ragazzo—ancora tra le sue
braccia—tossire
forte, fortissimo; percepisce la sua schiena contrarsi ad ogni boccata
d’aria,
ogni volta che cerca di prendere respiro.
Sono
colpi di tosse improvvisi e violenti che lo fanno fremere e rigirarsi
tra le
coperte.
Harry
fa per allentare la presa delle sue braccia strette intorno al corpo
dell’altro,
per farlo respirare liberamente ma. Non ci riesce.
Una
mano gli va a stringere il polso, bloccandoglielo.
“Non
allontanarti” la voce di Louis è sospirata, sembra
quasi un sussurro: “Ho—ho
ancora freddo.”
Harry
si ritrova a chiedersi da quanto tempo non sentiva quella voce: da
quanto tempo
non udiva quella cadenza strascicata dell’Ovest, quel timbro
limpido? Troppo,
decisamente troppo tempo.
Non
si era reso conto di quanto gli fosse mancata.
Rimane
un attimo immobile, stordito dalle dita del cavaliere che premono
contro la sua
pelle, poi annuisce; non è sicuro che Louis possa
effettivamente vederlo dato
che è ancora sdraiato e gli volta le spalle, ma.
Harry
che gli si risistema contro e lo stringe tra le braccia dovrebbe essere
una
risposta più che sufficiente.
Rimangono
immobili, in silenzio, per altri minuti: la pelle del cavaliere contro
il suo
petto ora non sembra più ghiaccio, il suo cuore ha
ricominciato a battere
normalmente.
“Ci
hanno fatto un agguato, di notte—Hanno preso tutto il mio
dipartimento.”
La
voce di Louis è talmente flebile che potrebbe essere
scambiata per il fischio
del vento: non sembra si stia rivolgendo a Harry quanto piuttosto a se
stesso,
come se cercasse di rimettere in ordine le idee, i pensieri. Per dare
loro
senso.
Harry
rimane in silenzio, ascoltandolo; non vuole chiedergli cosa sia
successo, non
vuole forzarlo a parlare.
“Li
hanno uccisi tutti.” Il cavaliere deglutisce, nella
semioscurità degli ultimi
ceri accesi: “Li ho visti morire
tutti. Anche Cowell è morto.
I rinforzi ci hanno messo una vita ad arrivare a causa della tempesta
di neve e
i Barbari hanno avuto tutto il tempo del mondo per uccidere
tutti.”
Prende
un respiro. “Tutti” ripete
poi.
Il
suo corpo è ancora troppo debole; infatti, quando cerca di
rigirarsi dentro le
braccia di Harry fin quando non si ritrovano faccia a faccia, il suo
volto si
piega in una smorfia di dolore.
Harry
si sente così impacciato, non sa nemmeno dove posare le
mani, dove stringere
quel corpo martoriato.
Louis
lo guarda, gli occhi enormi, stanchi e blu come non li ha mai visti.
“Masha
mi ha preso tra le zampe e mi ha portato via. Eravamo—eravamo
all’altezza del
lago quando—” stringe forte le palpebre, prima di
riaprirle.
“Non
devi raccontarmelo, se non vuoi” s’affretta a
sussurrargli Harry, ad appena
qualche centimetro dal suo volto.
Ma
l’altro sembra determinato a proseguire: “Eravamo
all’altezza del lago quando
delle frecce si sono scagliate addosso a Masha—lei ha
lasciato la presa.
Io—Sono caduto. Sono caduto per metri e metri, capisci? Ho
spaccato la
superficie ghiacciata del lago e ho cominciato ad affondare.
Lentamente.”
Fa
una piccola pausa, mordendosi il labbro inferiore; i suoi occhi sono
puntati in
basso, lontano, come se cercassero di non incrociare quelli di Harry.
“—Così
lentamente da sembrare una tortura; ogni metro che percorrevo sentivo
il sangue
ghiacciarsi in una parte del corpo diversa. Ho guardato in alto e
c’era il
riflesso della luna che dondolava sull’acqua. C’era
così tanto silenzio—Io.
Io riuscivo a sentire solo—me stesso mentre
affondavo.”
Alza
improvvisamente lo sguardo, incontrando un paio di occhi verdi
fissarlo,
immobili.
“—Ho
pregato gli dèi.” Ridacchia appena, senza
umorismo: “Per la prima volta nella
mia vita ho pregato, sai? Dovresti essere fiero di me.”
“Cosa—per
cosa hai pregato?” tenta l’altro.
Louis
prende un profondo respiro prima di rispondere, come se la sensazione
dell’acqua che gli ostruiva la gola fossa ancora presente.
“Di
morire.” Sputa, velocemente; come una miccia che si accende.
Il secondo dopo, è
ancora in silenzio.
“—Non
ce la facevo più. Ero stanco per aver combattuto, spossato,
impaurito e ora—ora
stavo affogando. Ho pregato così intensamente di morire che
per un attimo ho
creduto che stessi urlando, ma—c’era ancora tutto
quel silenzio. Roba
da perderci la testa, sul serio. Poi Masha mi ha afferrato.
Non—non ho idea di
come abbia fatto ma mi ha tirato fuori dall’acqua—e
ora sono qui.”
Spalanca
improvvisamente gli occhi: “Dov’è
Masha?” domanda, urgentemente.
Fa
per alzarsi ma non ci riesce e ricade nel letto in un tono sordido,
gemendo
piano di dolore. Il sangue che ricomincia a circolare normalmente
dentro il suo
corpo deve provocargli fitte di dolore incredibili.
Harry
cerca di tranquillizzarlo: “Si stanno occupando di lei,
è viva. Non ti preoccupare.”
Il
volto del cavaliere si distende. “Dèi,
grazie”
sussurra a nessuno
in particolare.
Questa
volta Louis smette per davvero di parlare; stringe le labbra in una
linea dura
e punta lo sguardo oltre la spalla di Harry, molto più
lontano: rimane in silenzio.
I
battiti dei loro cuori sono a contatto, petto contro petto: il corpo
del
cavaliere è ancora freddo, ma molto meno di quanto non lo
fosse ore fa.
La
sua barba decisamente più lunga gli ricopre le gote e le
labbra sottili; i
polpastrelli delle dita di Harry sembrano quasi bruciare dalla voglia
di
accarezzarla, accarezzare tutta la sua pelle e i suoi capelli scuri.
Louis
lo guarda, lo squadra, sorridendo: “Per quanto tempo sono
stato via?”
Harry
si morde l’interno della guancia. “Quasi cinque
mesi.”
“Sei
cambiato così tanto” gli sussurra, passandogli un
indice sulla guancia e lo
zigomo ora affilato: “Sei diventato un uomo, ormai.”
Il
suo respiro s’infrange contro le labbra di Harry,
stordendolo: non è sicuro di
poter contenere tutto quello che sta provando in questo momento, non
è sicuro
di essere in grado di controllarsi.
Louis,
che era sparito per giorni e settimane e mesi interi, adesso
è davanti a lui,
adesso gli sta parlando; sembra così assurdo che gli viene
quasi da ridere.
Louis
è davanti a lui.
Louis.
Il
dito contro la pelle della sua guancia sembra diventato di fuoco, ma
è una
sensazione piacevole: vorrebbe non smettesse mai.
Le
sue labbra sono socchiuse, rosa pallido e Harry non riesce a staccarne
gli
occhi nemmeno un secondo, si sente un idiota: si ricorda perfettamente
dell’espressione con cui l’aveva guardato Louis
dopo quella sorta di bacio
nella radura.
Benché
Harry voglia, voglia con
tutta l’anima, baciarlo
in questo preciso istante, sa di non poterlo fare; perché
gli sta fissando la
bocca? È solo un’ulteriore tortura.
Prima
che il suo cervello possa definitivamente rendersene conto, la mano di
Louis
s’è chiusa a coppa a lato del suo viso,
delicatamente: lo sta guardando, gli
occhi blu socchiusi.
Quando
si avvicina, Harry è costretto a trattenere il fiato: non ha
idea di cosa stia
accadendo.
Non
ha idea di cosa Louis abbia intenzione di fare fino
all’ultimo, agognato
secondo.
Le
loro labbra si scontrano.
Sono
più delicate e meno goffe della prima volta: quelle di Louis
si muovono con
dolcezza sopra quelle di Harry, massaggiandole, tastandole come un
animale in
un nuovo territorio.
Schiocca
uno, due, tre, dieci baci sulle labbra socchiuse di Harry, sugli angoli
della
sua bocca, sulla piccola arcata del labbro superiore; lo bacia, lo
accarezza.
La
sua mano si muove tra i ricci, tirandoglieli piano, massaggiandoglieli.
La
lingua di Louis non trova nessun tipo d’ostacolo quando preme
gentilmente per
entrare; quando gli accarezza piano il palato, qualcosa, nel cervello
di Harry,
si sblocca improvvisamente.
Si
stanno baciando.
Le
sue mani, fino ad adesso immobili, corrono su per il corpo di Louis,
toccandolo
urgentemente, mentre quello si sdraia con la schiena contro il
materasso
morbido e si trascina il corpo di Harry sopra di lui, facendolo
sistemare a
cavalcioni sul suo bacino.
Le
pellicce e le coperte scivolano via, ma i loro respiri e le loro pelli
sono
troppo accaldate per curarsene.
Si
baciano, si mordono, le loro lingue di mischiano, si assaggiando.
Le
dita, prima timide poi sempre più sicure, cominciano a
tastare tutta la pelle
che riescono a trovare.
Il
petto, le aureole morbide dei capezzoli, la linea netta delle clavicole
e della
mascella; Harry ridacchia appena, contro le sue labbra, quando
percepisce la
barba di Louis graffiargli le dita.
Il
cavaliere si concede giusto il tempo di sussurrare un:
“Domani me la taglio,
giuro” prima di riattaccare la sua bocca a quella
dell’altro, in un bacio
caotico.
Ogni
carezza della lingua di Louis corrisponde ad una scossa di brividi nel
corpo
del ragazzo più piccolo: un’ondata di fuoco che
gli vibra nelle vene.
Quando
si staccano, minuti interi dopo, non si allontanano più del
dovuto dalle
rispettive facce: continuano a respirarsi addosso; le mani di Louis
sono
strette ai fianchi di Harry, mentre quelle di quest’ultimo
stanno ancora
accarezzando i capelli cioccolato dell’altro.
Cosa
è successo?
Scosse
di eccitazione prendono possesso del suo corpo.
“Pensavo
mi odiassi” sospira, mentre cerca di riprendere fiato; le sue
guance saranno
diventate sicuramente scarlatte.
Louis
lo guarda, scostandogli un riccio dalla fronte; aggrotta le
sopracciglia.
“Odiarti?”
“Per—per
quel bacio che ti ho dato alla radura. Pensavo mi odiassi”
deglutisce, la gola
improvvisamente secca: “Pensavo fossi disgustato da
me.”
Il
cavaliere arriccia appena le labbra, prima di lasciargli un bacio
leggero sul
mento, poi sul collo e sulle clavicole.
Dèi—pensa
Harry,
mordendosi il labbro
inferiore e socchiudendo gli occhi—Fa che non si
fermi mai.
“Odiarti?”
lo sente sussurrare: “Non ti ho mai odiato Harry. Io
ero—” si ferma un attimo,
staccandosi per riuscirlo a guardare negli occhi:
“—spaventato.”
“Da
cosa?”
“Dal—Dal
fatto che siamo entrambi guerrieri. Che, uh, potrei dormire una notte
con te e
il pomeriggio trovarti morto in un campo di battaglia.”
Prende un respiro
profondo: “Tu sei così giovane,
Harry. Non hai idea di che
cosa voglia dire aspettare ogni secondo che qualcuno ti mandi a
morire.”
“Pensavo
che i guerrieri dovessero imparare a controllare la paura.”
“Questa
non è paura.”
“E
allora cos’è?”
Louis
rimane in silenzio, guardandolo; apre la bocca un paio di volte, ma la
richiude
sempre.
Si
passa una mano sul volto, sospirando: “È la voglia
di baciarti, di toccarti, di
parlarti, di accarezzarti. Di tenerti al sicuro. Non—so cosa
sia ma è più
forte. Provo qualcosa per te e sento che è più
forte della paura.”
Harry
lo guarda e non sa cosa dire; tutti i libri, tutte le parole che ha
sempre
conosciuto sembrano improvvisamente state rimosse dalla sua testa,
lasciandolo
stordito.
“Da
quanto?” si ritrova a domandare.
Louis
ridacchia: “Dal banchetto per tua sorella—Quando
eri uscito dalla sala pensavo
che fosse un invito a seguirti, pensavo—” nasconde
il volto dietro una mano:
“pensavo che fosse per quel motivo che mi avevi guardato
tutta la sera. Poi ho
capito che in realtà eri solo un ragazzino irritante e che
avevo interpretato
male il messaggio.”
Harry
scoppia a ridere, nascondendo il volto nell’incavo del suo
collo. “Pensavi che
ti stessi invitando a seguirmi in camera?” domanda,
ridacchiando e percorrendo
con la punta del naso la curva della spalla.
Louis
ruota gli occhi al soffitto, massaggiandogli coi pollici i fianchi.
“Ci
speravo.”
“Dèi,
Louis. Sei proprio—” ci pensa un attimo: “carnale.”
Lo
sente ridere. “Che avrei dovuto pensare? Tu mi fissavi,
arrossivi—Prima di
uscire dalla stanza mi hai anche lanciato un’occhiata, che
devo aver
frainteso.”
Harry
posa un bacio soffice sulla sua pelle, proprio sopra la cicatrice:
“Ripeto”
altro bacio, altro schiocco: “Sei proprio” un altro
sulla clavicola: “carnale.”
Si
allontana un attimo, giusto quanto basta per guardarlo nelle iridi blu.
“Ho
paura che domani mattina mi sveglierò e scoprirò
che è tutto un sogno. Che tu
sei ancora alla Barriera.”
“Ti
sono mancato così tanto?” lo schernisce dolcemente
l’altro.
Harry
si morde l’interno della guancia, distogliendo lo sguardo;
non si era reso
conto di quanto tenesse davvero a Louis fino alla mattina in cui era
andato.
Fin
quando non si era dovuto svegliare ogni giorno e non vederlo
più girare per il
campo.
“Tutto
bene?” domanda poco dopo il cavaliere, guardandolo con le
sopracciglia
aggrottate.
Il
ragazzo dagli occhi verdi annuisce. “Io
non—” sospira, allentando i muscoli
delle spalle: “C’è una parte di me che
ancora non riesce a crederci. Un’altra
che è spaventata da tutto questo. Una terza che vorrebbe
rimanere a baciarti
per sempre—Un’altra, uhm. Un’altra che mi
ricorda che un giorno dovrò diventare
re e sposare una donna per mandare avanti la dinastia e
poi—Poi c’è l’anello
che tengo appeso al collo.”
Posa
lo sguardo sull’oggetto: piccolo, risplendente e tondo mentre
dondola sul suo
petto; vorrebbe strapparlo via a morsi, urgentemente, ma
c’è una parte di lui
che glielo impedisce.
“—Mi
sembra di scoppiare” ammette poi.
Louis
lo accarezza dolcemente, passandogli le mani sui muscoli della schiena
per
aiutalo a scioglierli dalla tensione; rimane in silenzio per poco prima
di
mormorargli contro il padiglione dell’orecchio:
“Sei
mai stato con un uomo, Harry?” C’è un
pizzico d’insolenza, nel suo timbro.
L’altro
deglutisce rumorosamente e fa segno di no con
la testa,
dimenticandosi un attimo di tutti i suoi problemi e lasciando che il
tocco
gentile del cavaliere lo distragga.
Si
morde il labbro inferiore: “Tu?”
“Oh,
sì” ridacchia appena e preme piano il palmo della
mano contro il suo fianco,
ribaltando le posizioni e aiutandolo a sdraiarsi contro il materasso;
Harry
esegue tutto come un cucciolo ammaestrato, non staccando nemmeno un
secondo gli
occhi da quelli di Louis.
Le
sue guance sono diventate ancora più scarlatte.
“Louis, non so se sono pront—”
L’altro
lo azzittisce immediatamente con un’occhiata particolarmente
seria: “Harry, non
ho intenzione di fare niente che entrambi non vogliamo.
Solo—” gli accarezza il
basso ventre nudo con l’indice, facendolo rabbrividire:
“—rilassati.”
Harry
prende un profondo respiro, socchiudendo gli occhi: la voce, il tocco,
la
presenza di Louis lo stanno mandando fuori di testa.
Lo
confondono, lo eccitano.
Quando
percepisce delle dita cominciare lentamente a slacciare i lacci di
cuoio dei
pantaloni, trattiene il respiro e sibila tra i denti.
“È
la prima volta?” La voce di Louis è calda e
rassicurante, contro la sua pelle
increspata e sensibile.
“Sì.
No.”
“Sì
o no?”
Harry
si morde il labbro inferiore a sangue, osservando Louis giocherellare
con il
bordo dei suoi pantaloni: “Non così.”
“Non
con un uomo?”
“Non
con—qualcun altro.”
Louis
ci mette un secondo a metabolizzare ciò che Harry gli ha
appena rivelato e,
quando lo fa, si lascia scappare un gemito eccitato e sorpreso.
Gli
bacia l’inguine, premendogli un palmo contro la protuberanza
tra le gambe;
Harry sussulta immediatamente, lasciandosi scappare un gemito
strozzato: non si
era reso conto di essere già eccitato.
Louis
lo sta guardando, con la mano immobile sui suoi pantaloni:
“Vuoi che ti
tocchi?” domanda, inumidendosi con la lingua il labbro
inferiore.
Harry
ansima appena perché dèi, non
si era assolutamente reso conto
di essere così tanto eccitato:
percepire la sensazione di una
mano diversa dalla sua che lo tocca e l’accarezza
è qualcosa di nuovo
e—terribilmente piacevole.
“Sì—”
emette un verso strozzato: “Per piacere.”
Louis
gli massaggia dolcemente la zona interna della coscia.
“Prendiamoci il nostro
tempo, okay?” Applica sempre maggiore pressione sul membro
coperto di Harry:
“Se è la tua prima volta con qualcun
altro—voglio che sia importante. Uhm, va
bene?”
Harry
annuisce freneticamente, lasciando che i propri ricci gli ricoprano il
volto
accaldato: “Va bene, va bene, va bene tutto.”
Socchiude
le labbra: “Louiss” sibila
o forse sarebbe più corretto dire ansima; Harry
sta letteralmenteansimando in veloci e
piccoli respiri che fanno
arrossire le guance del cavaliere sopra di lui.
Harry
lo guarda, gli occhi leggermente lucidi: “Ti prego, ti prego,
ti prego. Fa’—qualcosa.”
Louis
deglutisce rumorosamente e—sì, anche lui
è decisamente eccitato.
Si
puntella sulle ginocchia e si sporge quel tanto che basta per
raggiungere il
volto dell’altro, stampandogli sopra un bacio languido;
dopodiché si stacca
appena.
“Voglio
assicurarmi che tu sia—” si morde al labbro
inferiore: “—al limite, prima
di cominciare a toccarti. Per te va bene?”
“Uhm.”
Harry è troppo preso dalla sensazione ruvida della mano di
Louis accarezzargli
il ventre, per poter rispondere; la sua pelle sfrega contro la sua,
graffiandola
appena.
Quando
i polpastrelli raggiungono i suoi capezzoli, trattiene un gemito acuto,
miagolando. Louis gli sorride, imprimendo una serie di baci lungo la
linea
della mascella:
“Oh,
abbiamo trovato un punto sensibile?” domanda in un sussurro
contro la sua
pelle, mentre stringe il nocciolo duro tra le dita:
“È sensibile qui—” lo
stringe appena, lasciando che Harry getti il capo indietro e trattenga
un nuovo
gemito: “—vero?”
C’è
un pizzico di maliziosità, nella sua voce; sfrega
più velocemente i polpastrelli
contro le aureole morbide, mentre le sue labbra continuano a baciare
ogni
centimetro di pelle, leccarlo, assaporarlo finché non
incontrano quegli stessi
capezzoli rosati.
Ci
posa sopra i denti, tirandoli appena, succhiandoli con un suono
ovattato e giocandoci
con la lingua: Harry stringe forte la coperta di lana tra le dita,
mordendosi
il labbro inferiore a sangue per trattenere i gemiti.
Louis
gli punta le iridi contro. “Non devi trattenerti,
piccolo.”
Piccolo,
oh.
Questo
è nuovo; è sempre stato
“verginello” o “ragazzino” o
ancora “principessa”.
Harry lo guarda, rigirandosi la parola sulla punta della
lingua. Piccolo. Gli
piace. Gli piace davvero.
Socchiude
le labbra, lasciando finalmente fuoriuscire un gemito rumoroso dovuto
ai suoi
capezzoli così sensibili e al fatto che il ginocchio
dell’altro contini a
premere contro il cavallo dei suoi pantaloni, insistentemente.
Sente
il ragazzo dagli occhi azzurri ridacchiare. “Piano, piano.
Così sveglierai
tutti.”
Harry
arrossisce, premendosi i palmi delle mani sugli occhi:
“Scusa, scusa. Io—So
di essere un disastro—è la prima volta
che—”
Louis
lo azzittisce immediatamente con un bacio sul collo, poi uno sulle
labbra
lucide: “Non scusarti—sei perfetto” gli
sussurra sulla pelle increspata: “È
tutto perfetto.”
La
sua mano continua a vagare per il petto liscio dell’altro,
torturandolo in
lente e dolci carezze e leggere pressioni nei punti in assoluto
più sensibili:
Harry è costretto a trattenere il fiato e pigolare
affannato, in un evidente
richiesta d’attenzione.
“Louis,
ti
prego.” È sicuro di essere
arrivato al limite di sopportazione; ne è
maledettamente sicuro.
Stringe
i capelli del cavaliere tra le dita, tirandoli appena per riuscire a
guardarlo
negli occhi.
Anche
se non riesce a vederle, è sicuro che le proprie guance
siano rosse come fuoco;
in parte per l’eccitazione, in parte per
l’imbarazzo.
“Dèi,”
sospira
Louis contro la sua pelle leggermente sudata: “sei al limite,
vero?”
Harry
annuisce, quasi al margine del piagnisteo, e si morde il labbro
inferiore.
Il
ragazzo dagli occhi azzurri si concede giusto un secondo per osservare
ogni
sfumatura di quel volto contorto dal bisogno, prima di sistemarsi
meglio tra le
sue gambe e tirare giù i pantaloni dell’altro,
spingendoli via in un angolo
della propria branda.
Posa
un altro bacio sul ventre di Harry, poi accarezza piano il suo membro
rosso e
ricurvo, prima di circondarlo completamente con un palmo.
Harry
alza il bacino di scatto, sibilando e gemendo per
l’improvviso contatto;
percepisce il proprio battito accelerare.
“Ti
piace, piccolo?” Louis comincia a pompare piano con la mano,
dalla base
all’altezza, con movimenti lenti ed agognanti.
“Sì,
sì—” La
voce di Harry è un sospiro inaudibile, mentre getta il capo
all’indietro e si
lascia in balia di quella mano esperta.
“—O,
dèi, Louis. Nght, Io—uhm.”
Non riesce a pensare lucidamente,
non è in grado di pronunciare altro se non suoni sconnessi
che fuoriescono
autonomamente dalle sue labbra martoriate dai morsi.
Non
riesce nemmeno a vedere chiaramente
perché le sue pupille sono
allargate, gli occhi lucidi per l’eccitazione; sente il
proprio corpo tremare
dalla tensione e dal piacere.
La
mano di Louis è troppo lenta per essere un ritmo
sufficientemente
soddisfacente, sembra quasi ci stia giocando, come se volesse
torturarlo dolcemente.
Emette
un lamento affannato: “Più—veloce.
T-ti prego.”
In
risposta, sente l’altro ridacchiare piano, con il respiro
pesante. “Piano,
piccolo. Va bene anche se andiamo lenti—senza forzare niente,
okay?”
Harry
vorrebbe rispondere, dire qualsiasi cosa, ma semplicemente non riesce a
mettere
in fila più di due parole senza che vengano interrotte da
una sessione di
gemiti e brividi.
Chiude
le mani a coppa intorno al volto dell’altro e se lo trascina
contro, baciandolo
a labbra aperte; i loro bacini si scontrano appena e Louis trattiene un
gemito
tra le labbra.
“Ti
dispiace—” la sua voce è improvvisamente
roca: “—se adesso continui da solo,
uh? Vorrei—vorrei guardarti.”
Harry
arriccia le labbra e no, no, ti prego non
togliere quella
mano, ti prego ma Louis l’ha
già fatto, lasciando il membro dell’altro
ancora insoddisfatto e più rosso e sensibile che mai.
Emette
un verso contrariato che si spegne in un gemito appena osserva la mano
di
Louis—quella che fino a poco prima stava stringendo la sua
lunghezza—insinuarsi
oltre l’orlo dei propri pantaloni.
Lo
osserva, incantato.
Louis
si sta toccando, davanti a lui; i suoi occhi blu sono socchiusi e
lucidi, gli
zigomi affilati sono tinti di rosso e le labbra sono socchiuse e lucide.
Il
suo polso dà stoccate nette alla sua lunghezza ripiegata
sullo stomaco e lui
geme sommessamente ogni volta che il palmo raggiunge
l’altezza.
La
mano di Harry, inconsciamente, si allaccia al proprio membro
perché quella
visione è semplicementetroppo.
Comincia
a pompare piano, sentendo il proprio stomaco restringersi ad ogni nuova
stoccata; percepire il corpo caldo di Louis sopra di lui che si sta
dando
piacere da solo lo eccita ancora di più.
Aumenta
il ritmo, sentendo i propri muscoli contrarsi. Ansima piano, a bocca
aperta,
mordendosi il labbro inferiore; osserva il cavaliere guardarlo e
sorridergli.
“Sei—nhgt.
Bellissimo.”
Harry
non risponde e l’altro continua. “Bello,
bello, bello.” Sembra
non voglia smetterla più; mentre parla gli lascia una scia
di baci per il collo
teso, il petto arrossato.
Ed
è tutto così terribilmente piacevole, ipnotico,
che Harry non è nemmeno più
sicuro saper pensare chiaramente. Non riesce a formulare un pensiero
coerente
perché le labbra dell’altro lo distraggono ogni
secondo.
“Louis—oh
dèi—Lou.” Pigola
affannato, il polso dolorante mentre cerca di
aumentare ancora di più il ritmo.
“Sto
per—sto per—” deglutisce a vuoto.
La
sua mano viene scacciata via da quella di Louis, che prende
repentinamente il
suo posto: Harry ansima, forte, a bocca aperta e strizza le palpebre.
Il
nuovo ritmo che l’altro detta è qualcosa di nuovo:
lento, sempre dalla base
all’altezza, ma adesso, ogni volta che raggiunge la cappella
arrossata, applica
ancora più pressione.
Goccioline
bianche di liquido pre-orgasmico fuoriescono ad ogni piccola strizzata,
bagnandogli la mano.
Harry
inarca ancora di più il bacino, gemendo incontrollatamente
perché—riesce a
percepirlo—sta superando il limite.
Non
il limite della sopportazione, ma il limite fisico del suo corpo. Ogni
centimetro di pelle sembra andargli a fuoco dal piacere, mentre la mano
di
Louis continua a muoversi sempre più velocemente,
ansimandogli nell’orecchio e
sulle labbra.
E
baciandolo, baciandolo, baciandolo.
“Sto—”
gli manca aria alla gola: “Per—”
Percepisce
l’istante prima dell’orgasmo come la corda tesa di
una freccia che scocca: i
suoi muscoli tremano incontrollatamente, la sua bocca non riesce a
trattenere i
miagolii affannati e gli ansimi, e in un colpo solo sente tutto il
piacere
rovesciarsi via.
Allontanarsi
dal suo corpo in un’unica, grande e violenta ondata.
La
mano di Louis rallenta, rallenta sempre di più, fin quando
non si stacca
completamente.
Harry
lo guarda, mentre cerca di riprendere fiato: l’altra mano di
Louis—quella che
non stava toccando il membro di Harry—continua a muoversi
sulla propria
lunghezza, anch’essa ormai spompata.
Liquido
bianco è sparso sui loro ventri e sulle coperte.
Louis
puntella i gomiti ai lati del collo ancora tremante di Harry e si piega
per
scoccargli un bacio sulle labbra; la barba pizzica contro la sua pelle.
“Come
è andata?” domanda, sorridendogli dolcemente.
In
risposta, Harry attacca le loro labbra in un ultimo bacio caotico,
mentre
ancora cerca di riprendere fiato.
Lo
guarda negli occhi intensamente.
“Mi
sei mancato da morire.”
§
Harry
costringe Louis a rimanere a riposarsi nel campo per tutto il tempo
necessario.
Non
importa se il cavaliere effettivamente stia bene e vorrebbe solo
tornare alla
Barriera per vedere se Calum o Ashton o Stan siano ancora vivi nei loro
rispettivi dipartimenti; Harry lo costringe ad un riposo forzato.
Non
vuole che Louis se ne vada di nuovo. Non riuscirebbe a sopportarlo.
Passano
i successivi giorni a compiere le loro solite mansioni, come ai vecchi
tempi, e
le successive notti a stringersi tra le coperte e baciarsi, toccarsi ed
abbracciarsi.
Al
campo ormai è chiaro che Harry non ha intenzione di
ritornare nel suo vecchio
letto; di dormire nel suo vecchio
letto.
Nessuno
sembra preoccuparsene, però, e solo occasionalmente Niall e
Liam gli lanciano
occhiate divertite ogni mattina, quando Harry esce dalla branda di
Louis e si
stiracchia.
Zayn
si limita sorridergli, di tanto in tanto.
Solo
una volta Louis ha deciso di parlare davanti alle altre Sentinelle di
ciò che è
successo quando è scappato via dal suo dipartimento, alla
Barriera;
perché—dice—quelle persone sono la sua
famiglia e hanno il
diritto di sapere.
Harry
lo osserva, seduto intorno al fuoco, mentre Louis parla e racconta agli
altri
quello che ha già raccontato a lui; cerca di non farli
preoccupare troppo,
ripete che i rinforzi sono arrivati e hanno ucciso tutti i Barbari che
avevano
osato entrare nel suo dipartimento.
“Volevi
vendicarti, vero?” domanda una notte Harry, sdraiato sul
letto e accoccolato
contro il suo petto. “Volevi vendicarti di chi ha ucciso la
tua famiglia?
Volevi uccidere più Barbari possibili?”
Louis
ci mette un paio di secondi prima di rispondere, per poi smettere di
accarezzare i ricci di dell’altro:
“Sì.” Sospira. “Volevo
farlo.”
Harry
non fa altre domande.
Masha,
con la gioia di tutti, si sta riprendendo.
Michael
ha fatto un ottimo lavoro. (Quel ragazzo dovrebbe diventare medico di
corte,
sul serio.)
È
Harry il primo ad andare a trovarla, ogni mattina; lei passa molto del
suo
tempo a dormire per riprendere le forze e Harry si limita ad
accarezzarla, per
la maggior parte del tempo.
Solitamente,
accanto a lui c’è anche Huton, che, a forza di
vedere il grande drago nero in
quelle condizioni, non può fare a meno di essere mogio e
meno saltellante.
Niall
gli dà una pacca sulla testa, accarezzandogli un corno
smussato: “Gli
manca mamma drago” borbotta,
ricominciando ad intagliare un
bastoncino di legno per farne delle frecce.
Harry
si sistema meglio contro l’albero di pino; ridacchia appena
al commento del
compagno: “Masha è un po’ la mamma di
tutti, qui.”
“Sappi
che sarà molto arrabbiata quando si
riprenderà.”
“Perché?”
Il
ragazzo biondo gli lancia un’occhiata maliziosa:
“Lei è molto gelosa
di Louis. Quando scoprirà che lui ha un nuovo compagno
preferito, ti divorerà
in un sol boccone.”
Harry
gli dà un pugno sul braccio, senza vera intenzione di fargli
male. “Dacci un
taglio. Possiamo sempre—uhm. Dividercelo.”
“Tipo.
Tu ti prendi la parte sotto e lei la parte sopra?”
Scoppia
a ridere, scuotendo la testa. “Sarà difficile per
Louis cavalcare il suo drago
senza l’utilizzo delle gambe.”
Niall
emette un sibilo basso per trattenere una risata:
“Effettivamente mi domando se
lui sia più bravo a cavalcare te o Masha.”
Harry
si volta di scatto, con le guance scarlatte: “Niall!”
Il
compagno ride più forte, coprendosi la bocca con la mano:
“Scusa, scusa—mi è
sfuggita.”
Per
quanto possa provarci, Harry non è sicuro di poter
trattenere una risata: “Non
puoi fare queste battute! Non le hai mai fatto con Liam e Zayn.
È ingiusto!”
“Sì—perché
Liam e Zayn hanno il triplo della massa muscolare che avete te e Louis.
E poi—”
cerca di riprendere fiato dalla risata: “Dico, hai visto
Zayn? È in grado
d’incenerirti con un solo sguardo. Mi mette troppa
soggezione.”
Harry
ruota gli occhi al cielo e non commenta ulteriormente; fa per voltarsi
nuovamente verso Masha quando un improvviso gemito da parte di
quest’ultima
attira la sua attenzione.
Sia
lui che Niall si dirigono velocemente vicino all’animale, per
vedere cosa non
va: Masha continua a muovere l’ala malconcia, come se
cercasse di spostarla.
Huton,
lì accanto, si muove freneticamente, agitato.
“Cos’ha?”
gli domanda Niall.
“Credo—uh,
che voglia spostare l’ala. Forse le fa male.”
Il
punto è: Masha ha delle ali enormi.
Harry
guarda il compagno un attimo, prima che—con un tacito
accordo—comincino piano
ad afferrare gli estremi e a spostarla: la consistenza di quelle enormi
è ali è
molto simile a quella di una qualsiasi pelle, se non per il fatto che
è
decisamente più liscia e sottile.
Basta
muoverla di appena qualche metro, lasciandola adagiare lungo il corpo
del
drago, che improvvisamente qualcosa rotola via da sotto di essa,
cadendo nella
terra.
Harry
spalanca gli occhi.
“E
questo da dove esce fuori?” È Niall a dare voce ai
suoi pensieri.
Huton,
dietro di loro, osserva la scena coi piccoli occhi sgranati e le fauci
semiaperte: Harry fa qualche passo verso l’oggetto che ora
giace immobile—è
rotondo.
Lucido,
sporco di terra, ovale; Harry si
piega sulle ginocchia per
osservarlo meglio ma non ha il coraggio di prenderlo in mano.
“Deve
averlo tenuto nascosto sotto l’ala per tutto questo
tempo” commenta,
pensieroso.
“E
perché mai avrebbe dovuto farlo?” Niall fa qualche
passo nella sua direzione.
Improvvisamente,
osservandolo, Harry nota una piccola crepa formarsi a lato di quella
pietra
liscia; all’inizio è quasi invisibile ma, subito
dopo ne compare una seconda e
una terza.
Sono
piccole e sembrano partire tutte da uno stesso punto come
se—come se
qualcuno stesse picchiettando dall’interno.
Harry
fa un salto indietro, sorpreso: le crepe continuano a formarsi, seguite
da un
secco suono di rottura.
“È
un uovo.” Lo sussurra più a se stesso che ad
altri, continuando a fissare
l’oggetto.
“Doveva
tenerlo al caldo perché è un uovo”
dice,
più forte, in modo
che il compagno possa sentirlo.
Niall
spalanca gli occhi, rimanendo immobile.
Rimangono
in perfetto silenzio, in attesa, mentre le crepe sulla superficie si
duplicano,
triplicano; nel giro di qualche minuto, scaglie cadono
dall’uovo, lasciando
intravedere solo oscurità, all’interno di esso.
Poi,
proprio quando cominciano a credere che non ci sia niente
dentro
quell’uovo, un piccolo musino verde fa capolino da uno dei
fori; poi una
testolina, degli occhietti scuri che sbattono confusi alla vista del
sole, un
collo sottile.
Un
cucciolo di drago verde cerca di liberarsi dagli ultimi residui di uovo
per
cominciare a zampettare scompostamente sul terreno; Harry lo osserva
cercare di
aprire le piccole ali ancora sporche dell’albume denso, senza
riuscirci.
Scuote
il piccolo muso, guardandosi intorno affannosamente, come a chiedere
aiuto.
Niall
affianca Harry, indicando con un dito l’enorme drago nero che
sta osservando la
scena, impassibile: “Non è un cucciolo di
Masha.”
“Come
puoi dirlo?”
Il
ragazzo schiocca la lingua, sorridendo alla vista di Huton che cerca di
annusare il nuovo arrivato: “Quando il piccolo nasce, la
mamma ha il compito di
leccare via quel liquido; così s’instaura un
legame forte, tra i due. Masha non
lo sta facendo, quindi il cucciolo non è suo.”
Harry
si morde l’interno della guancia: “Allora di chi
è?”
“Non
saprei—forse l’ha preso quando lei e Louis hanno
sorvolato il lago, oppure l’ha
racimolato prima che i Barbari distruggessero l’accampamento
e uccidessero
tutti gli altri draghi.”
Niall
rimane immobile, osservando il piccolo cucciolo cercare disperatamente
di
liberarsi da quella specie di colla trasparente che gli impedisce di
stendere
le ali: dà una piccola spallata a Harry, come cercasse di
spingerlo avanti.
“Dài,
togligliela” lo invita, sorridendo.
Il
ragazzo dagli occhi verdi spalanca le palpebre:
“C-cosa?”
“Be’,
mi sembra più che palese che ti stia guardando per chiedere
aiuto.”
Effettivamente,
l’unica persona alla quale sembra che il cucciolo si stia
rivolgendo è Harry;
quello scuote la testa, improvvisamente agitato.
“Ma
se lo faccio—Dopo crederà che sia la
madre.”
“Già.”
Niall ridacchia: “E avrai il tuo drago. Il tuo compagno per
la vita.”
Il
cucciolo zampetta disperato verso Harry, trascinandosi dietro la coda.
Il
cavaliere biondo sorride: “Vedi? Ti ha scelto. Ormai sei
destinato.”
L’altro
deglutisce, emozionato: afferra un lembo della propria casacca e la
strappa
via, si avvicina poi lentamente all’animaletto, quasi come se
avesse paura di
farlo scappare.
Ma
quello, al contrario, sembra felice che finalmente qualcuno gli stia
donando
attenzioni; cammina ancora verso di lui, andando incontro alle sue mani
tese.
Harry
utilizza il pezzo di stoffa per avvolgere il cucciolo come se fosse un
fagotto
e tamponargli via quel liquido denso e appiccicoso.
L’animaletto scuote la
testa soddisfatto, spalancando la piccola bocca.
È
una sensazione estasiante tenere quella piccola creatura tra le mani;
Harry
percepisce il proprio cuore battere forte, dentro al petto.
Gli
sfrega via l’albume, lasciandolo pulito e asciutto: gli passa
la stoffa sulla
testa, tra le zampette e—
“Niall?”
dice, ridacchiando appena.
L’altro
alza un sopracciglio: “Sì?”
“Credo
che sia una femmina.”
La
piccola cucciola, per ringraziare Harry, comincia a sfregare la testa
contro la
sua mano, felice.
Niall
ridacchia: “Dovresti sceglierle un bel nome allora.”
Harry
l’accarezza sulla testa per qualche minuto, sorridendo, e ci
pensa un po’. “Sheen.”
Poi
si rivolge all’animale. “Ti piace?”
Quella continua a sfregare energicamente la
testolina cornuta contro il suo palmo; Harry decide di prenderlo come
un sì.
“Sheen,”
sente
il compagno rigirarsi la parola tra le labbra: “significa
qualcosa nell’idioma
delle rune, vero?”
Il
ragazzo dagli occhi verdi ridacchia, annuendo.
“Sheen”
ripete: “Colei che sorride.”
§
I
successivi giorni, all’accampamento, sono giorni che Harry
non viveva da anni
interi.
Tutti
sono tranquilli, svolgono felicemente le loro mansioni di giorno, e la
sera
mangiano e si siedono intorno al fuoco, mentre Niall tira fuori un
vecchio
strumento che Harry non ha mai visto, ma che—a quanto dice il
compagno—è tipico
del suo villaggio, nell’Est.
È
uno strumento a corde, che il cavaliere biondo suona divinamente,
premendo e
facendo vibrare quei crini intrecciati al metallo con perfetta
precisione e
accompagnandolo, di tanto in tanto, con testi di canzoni popolari che
parlano
degli dèi, delle guerre passate e dei grandi re.
Harry
si accoccola tra le gambe di Louis, seduti per terra, e ascoltano
incantati la
voce del compagno, insieme dallo scoppiettio del fuoco.
C’è
una canzone, in particolare, che Harry preferisce: parla di
un’epoca passata,
in cui un drago rosso bruciò il più grande
villaggio del Sud, e si rintanò
sotto la montagna.
Ogni
volta che l’ascolta, gli sembra di vedere le fiamme alzarsi
davanti ai suoi
occhi.
La
notte, invece, si ritirano nella branda di Louis dando la buonanotte a
tutte le
altre Sentinelle, poi si sdraiano nel loro letto, si baciano, parlano,
ridono,
si accarezzano e si toccano, senza andare oltre: per Harry è
ancora tutto così
nuovo, così bello.
Non
gli importa che Louis abbia quasi il doppio dei suoi
anni—anche se, da quando
s’è tagliato la barba, sembra quasi della sua
stessa età—o se le sue mani siano
molto più esperte delle sue; tutto è perfetto.
C’è
una parte di lui che ogni tanto si domanda ancora cosa
succederà quando dovrà
tornare alla reggia, ma è una parte che viene facilmente
messa a tacere ogni
volta che le labbra di Louis si appoggiano sulle sue.
Lì,
sulle montagne e tra la neve che comincia a sciogliersi, sembra che
niente e
nessuno possa toccarli: la realtà, il dovere sembrano
lontani ed incapaci di
scalfirli.
Passa
tantissimo tempo a curare ed addestrare Sheen insieme
all’aiuto di tutti: da
Louis a Zayn a Liam a Will, Michael, Greg e chiunque sia disposto a
farlo. Con
i loro rispettivi draghi, ovviamente.
Quella
dragonessa è ancora troppo piccola per saper volare,
così passa la maggior
parte del tempo appollaiata sulla sua spalla, o sul suo braccio; Harry
ha segni
di morsi sparsi per tutte le mani, ma non gli danno troppo fastidio.
Più
di una volta Louis ha cercato di farla giocare con Masha, ma il drago
nero
sembra ancora troppo stanco per riuscire a muoversi come un tempo,
anche se si
sta visibilmente riprendendo.
Michael
stima che, in un paio di settimane, dovrebbe tornare come nuova. (A
quanto pare
il veleno della freccia conteneva della passa
selvatica.)
Le
notizie che arrivano dalla Barriera avvisano che i Barbari stanno
retrocedendo
verso i loro territori e che,sì, Calum,
Ashton e Stan sono vivi e
vegeti nei loro rispettivi dipartimenti; la notizia fa tirare un
sospiro di
sollievo a tutti, nell’accampamento.
Nessun
generale chiede di Louis, nessuno domanda il suo immediato ritorno sul
campo di
battaglia,.
Harry
cerca sempre di persuaderlo a lasciare passare un po’ di
tempo prima di inviare
una qualche sorta di staffetta ai superiori. (Perché
Louis vuole tornare
in battaglia; purtroppo, la sua sete di vendetta non
s’è appianata.)
Ma,
sembra ancora debole; è una cosa che Harry nota una mattina,
mentre lo vede
fare incredibilmente fatica per piegarsi e raccogliere la propria spada.
Michael
dice che, quando è caduto nel lago, è stato in
ipotermia per ore intere; il
freddo deve avergli giocato un brutto scherzo alle articolazioni. Ma
potrebbe
riprendersi. Stando a lui, è un miracolo che sia ancora vivo.
Questa
è una scusa sufficiente per trattenerlo al campo.
Da
quel momento, Harry ritorna a pregare. Non lo faceva da settimane e
settimane.
Torna
ad accendere bastoncini d’incenso e recitare i testi delle
Scritture; principalmente
ringrazia che sia andato tutto bene, e ringrazia gli dèi di
aver trovato
qualcuno come Louis.
Sembra
che tutto vada per il meglio, durante i giorni quieti che trascorrono
felicemente.
Una
sera, mentre Harry sta appoggiando una catasta di legni
sull’altopiano, gli
sembra addirittura di scorgere Liam e Zayn allenarsi nel combattimento
a corpo
libero.
Rimane
un attimo ad osservarli incantato, di nascosto: sono due combattenti
provetti.
Se
Liam ha la forza fisica, Zayn ha l’astuzia e la precisione
dei movimenti;
sembra quasi che si completino.
I
loro busti nudi e sudati si muovono sinuosamente, schivandosi e
attaccando.
Dopo
un paio di minuti, Liam riesce a bloccare l’altro sotto il
peso del suo corpo,
a terra: gli tiene i polsi alti sopra la testa e le cosce sono ben
piantate al
lato del suo bacino.
Zayn
borbotta qualcosa, infastidito, mentre cerca di divincolarsi e Liam
ridacchia,
guardandolo dolcemente:
“Non
ho barato” sussurra.
Harry
non ne è sicuro, ma gli sembra di udire Zayn bofonchiare
qualcosa come: “Sì,
invece. Perché ti piacetroppo dimostrarmi
che sei più forte di me.”
Liam
ride ancora e si piega col busto fino a che le sue labbra non si
attaccano a
quelle sottili e leggermente sporche di sangue dell’altro.
Harry
arrossisce furiosamente; non li aveva mai visti baciarsi.
Non
sono esattamente il tipo di persone che amano scambiarsi effusioni in
pubblico,
quindi c’è qualcosa di strano nel vederli
così tranquilli e—vicini.
Decide
di fare retromarcia, più silenziosamente possibile, e
tornare all’accampamento.
Avranno
da fare per un bel po’—ridacchia.
E, sì—pensa, alzando
il volto al cielo imbrunito—, tutto va
bene.
§
Ovviamente
le cose non possono andare sempre il verso giusto.
Harry
lo realizza amaramente una mattina all’alba, quando, uscito
dalla branda di
Louis per andare a controllare Sheen, vede un drago atterrare proprio
lì
davanti; a cavalcarlo, oltre che un corriere con il marchio degli
Styles appeso
al petto, c’è anche—
Spalanca
gli occhi.
Gemma.
Gemma.
Sua
sorella Gemma. Quasi non riesce a crederci; sbatte le
palpebre una, due,
tre volte per cercare di mettere a fuoco la figura che scivola
dolcemente giù
dall’animale, appoggiandosi coi piedi a terra.
Sembra
così diversa, dall’ultima volta che l’ha
vista—mesi e mesi fa.
Gemma.
Gemma
con il suo vestito lungo rosso scuro e il velo delle Sacerdotesse a
ricoprirgli
i capelli dorati.
Rimane
immobile, raggelato sul posto: vorrebbe correre ad abbracciala,
stringerla ed
affondare il naso tra i suoi capelli profumati ma. Qualcosa glielo
impedisce.
Gli
occhi di sua sorella, glielo impediscono.
Sono
scuri, piegati in una smorfia di dolore e frustrazione, talmente
taglienti da
gelargli il sangue nelle vene.
Le
cose non possono andare sempre per il verso giusto.
Lo
capisce dall’espressione della ragazza.
Lei
comincia a correre, passo dopo passo, alzando piccole nuvole di
polvere; la
veste si muove sinuosa intorno alle sue gambe e alle caviglie sottili.
Prima
che possa effettivamente accorgersene, Gemma gli ha stretto due braccia
intorno
al collo, nascondendo il volto nell’incavo: il suo profumo lo
stordisce.
“Harry”
sospira lei: “Non ti riconoscevo nemmeno.”
Si
stacca appena, giusto quanto basta per guardarlo negli occhi; i suoi,
di occhi,
sono lucidi, le iridi più brillanti che mai. Gli sembra di
rivedere sua madre,
in quegli occhi.
Gemma
socchiude le labbra screpolate: “Nostro padre è
morto.”
Louis
porge loro due tazze d’infuso fumante che ha preparato Greg;
Gemma ringrazia,
attorcigliando le lunghe dita intorno alla ceramica grezza per
riscaldarsi.
La
luce del sole filtra appena dalla finestra della vecchia branda di
Harry; dove
ora il letto è stato tolto e sostituito da un tavolo con
alcune sedie di legno.
Louis,
in piedi dietro di lui, è in silenzio e sta appoggiato alla
parete, con le
braccia incrociate.
Gemma,
dopo un paio di sorsi, alza il volto, lanciando al fratello
un’occhiata
confusa.
Harry
fa un cenno sbrigativo col capo: “Lui è Louis, dei
Tomlinson—È la prima
Sentinella dell’Ovest.”
“Era
uno dei cavalieri invitati al pranzo della mia iniziazione?”
domanda la
ragazza, cordialmente.
Louis
si schiarisce la voce: “Sì, è stato un
onore potervi partecipare, vostra
altezza.”
Gemma
gli sorride, per poi rivolgersi a Harry:
“Parteciperà alla nostra
conversazione?”
Il
ragazzo dagli occhi verdi annuisce. “Mi fido di
lui.”
La
sorella non aggiunge altro e abbassa lo sguardo sulla propria tazza
ricolma di
liquido scuro alle erbe: sembra persa nei suoi pensieri, con
un’ombra che le
vela il volto delicato.
Dopo
un paio di minuti, Harry si sporge sopra il tavolo per afferrarle la
mano e
stringerla tra le sue. “Cosa è
successo?” domanda.
Lei
emette un sibilo basso, derisorio ed arrabbiato: “Cosa credi
che sia successo?
È andato in guerra, senza ascoltarmi, ed è stato
ucciso.” Distoglie lo sguardo:
“Gliel’avevo detto. Gli avevo detto che sarebbe
morto.”
“Sono
stati i Barbari?”
“No.
Una valanga ha distrutto il loro accampamento, una settimana
fa—Il messaggio è
arrivato solo ieri e ho cercato di trovare il primo drago disponibile
per
dirtelo di persona.”
Alza
lo sguardo e fissa intensamente Harry. “Lo so che non riesci
a dispiacerti, per
la sua morte. Lo leggo nei tuoi occhi.”
L’altro
espira, ingobbendosi nelle spalle.
Può
forse biasimarlo? Il
ragazzo scuote la testa, mordendosi l’interno della guancia;
è quasi più
disgustato dal fatto che non stia provando dolore, piuttosto che
dall’effettiva
morte del re.
Ma
come potrebbe provarlo, dopo tutto ciò che è
stato?
Forse,
adesso che ci pensa, per lui suo padre è morto anni e anni
fa, forse lo stesso
giorno in cui sua madre lasciò le terre del regno per sempre.
La
voce flebile di Gemma lo strappa lentamente via dai suoi pensieri:
“Non sono
venuta qui per rinfacciartelo.” Si scosta il velo dalla
fronte: “Sono venuta
qui per compiere il mio dovere e dirti che—”
Si
ferma un attimo, sospira: “—ora tu sei re. Devi
tornare con me a palazzo.”
Harry
spalanca gli occhi, un’improvvisa folata di vento lo fa
rabbrividire: lui sarà
re. Non—non ci aveva nemmeno pensato.
Re.
E
dovrà tornare alla reggia, con Gemma, e governare il suo
popolo e—Trattiene
faticosamente l’istinto di voltarsi verso Louis.
Non
vedrà mai più Louis.
Sente
la propria gola stringersi in una morsa al solo pensiero.
Non
può farlo. Non può.
Percepisce
la voce di Gemma continuare a parlare, completamente ignara della
reazione
scioccata del fratello:
“—I
giorni funebri dedicati a nostro padre cominceranno domani, con la
cerimonia
del Passaggio. La tua incoronazione avverrà cinque giorni
dopo, come usanza, se
non ci saranno inconvenienti.”
Harry
sbatte le palpebre una , due, tre volte. “Lo dici come se ce
ne saranno.”
Gemma
non risponde immediatamente; continua a fissare il proprio infuso, che
si sta
già raffreddando. Sembra sul punto di scoppiare a urlare o a
piangere, o tutte
e due le cose: ma, come sempre, riesce a tirare fuori il suo lato
pratico in
ogni occasione.
Fa
sparire una mano tra la veste e il mantello che la ricopre, tirandone
poi fuori
una lettera con un marchio che Harry non riesce a riconoscere.
Dietro
di lui, sente Louis raddrizzarsi e muoversi contro la parete, agitato.
Afferra
la lettera che la ragazza gli porge: è scritta
nell’idioma comune del Nord,
risale a due giorni fa.
A
piè pagina, sono riportate delle firme; sono dei maggiori
cavalieri e
combattenti dell’esercito e dei Saggi, e c'è anche
quella di Gemma; sul retro,
scritte che non riesce a comprendere, di una lingua a lui sconosciuta.
“Cos’è?”
domanda, aggrottando le sopracciglia.
La
ragazza lo guarda, gli occhi stanchi che segnano il suo volto gentile.
“Ha
chiesto una cessazione provvisoria dei conflitti. Un armistizio; vuole
incontrare il re del nostro regno al confine della Barriera per porre
fine alla
guerra, tra due giorni. Vuole incontrare te.”
Harry
alza lo sguardo dalla carta ruvida della lettera: “Chi? Chi
mi vuole incontrare?”
Gemma
lancia un’occhiata dietro la sua spalla, verso Louis, poi
lascia ricadere gli
occhi sul fratello: “Othrod. Il re dei Barbari.”
§
Il
rito funebre del Passaggio deve cominciare all’alba, come
usanza.
Harry
si sveglia improvvisamente nella sua vecchia camera da letto, nel
castello;
rivede i suoi vecchi mobili di legno scuro, i suoi tappeti decorati, i
candelabri di bronzo.
Non
gli sembrano cose familiari.
Il
giorno prima, quando Gemma l’ha costretto a prepararsi in
fretta e furia e
montare su un drago qualsiasi per volare fino a Nord, alla sua casa,
Harry
credeva che gli avrebbe fatto piacere tornarci.
Ora
che è qui, invece, si rende conto di quante vuote e piene di
ricordi spiacevoli
siano quelle pareti di mattoni, quei corridoi illuminati dalle torce
consumate.
Sheen,
appollaiata su uno dei candelabri spenti, zampetta fino al letto,
utilizzando
le piccole ali per afferrare le lenzuola e salendoci sopra, fino ad
accoccolarsi sul ventre di Harry.
Lui
l’accarezza; non poteva mica lasciare Sheen
all’accampamento. L’ha tenuta sotto
braccio per tutto il viaggio, fin quando non sono atterrati alla
reggia, poi
l’ha portata in camera sua.
Forse
non il posto più raccomandabile.
Prima
che il drago di suo padre fosse ucciso—anni e anni e anni
prima—veniva accudito
in una delle stalle nell’ala Est del castello: dei magazzini
di pietra e legna
enormi, alti il triplo di un tempio e larghi il quadruplo.
Dormiva
e veniva addomesticato lì; Harry però ha
preferito lasciare quelle stalle per i
draghi degli altri importanti cavalieri venuti per partecipare al
funerale del
padre, come ospiti.
Tra
i quali, per fortuna, c’è Louis.
Lasciare
i compagni conosciuti sulle montagne dell’Ovest è
stata la cosa forse più dura,
Harry ne è sicuro.
Ma
il fatto che Louis abbia potuto seguirlo, e sapere che adesso
probabilmente
starà dormendo nelle sale degli ospiti, ha reso la partenza
molto meno dolorosa
di quando non fosse.
Non
sa quando il cavaliere sarà costretto a ripartire. Non lo
vuole sapere.
Prende
un profondo respiro, accarezzando il muso di Sheen.
Non
ha idea di che ore siano, ma il buio pesto e la luce soffusa della luna
che
entra dalla finestra gli suggeriscono che sia notte fonda.
Non
capisce perché si sia svegliato—ha il battito
veloce e sta sudando.
Probabilmente
ha fatto solo un brutto sogno.
Le
sorti della guerra e del suo popolo dipendono esclusivamente da lui.
Tra
due giorni, a questa stessa ora, Harry avrà già
incontrato il suo più temuto
nemico.
Chiude
gli occhi un attimo, smettendo di accarezzare la bestiolina; prende un
nuovo,
profondo respiro.
Scende
giù dal letto, infilandosi velocemente gli stivali e la
prima giacca pesante
che trova.
Lancia
un’ultima occhiata a Sheen, che lo osserva curiosa da sopra
il letto, poi si
chiude la porta della stanza alle spalle e afferra una delle torce
ancora
accese appese al muro.
Comincia
a camminare.
Cammina,
cammina, cammina, svoltando,
scegliendo le porte d’aprire con
sicurezza, fin quando non si ritrova nel cortile del castello;
l’aria fredda
della notte lo fa rabbrividire e trasforma ogni respiro in una nuvola
biancastra che fuoriesce dalle sue labbra.
Si
concede un momento per osservare ogni pianta, ogni fontana di pietra
che lo
decorano, poi si dirige al portone principale e, premendo forte con
entrambe le
mani—ha gettato la torcia via, la luce naturale è
più che sufficiente—cerca di
aprirsi uno spiraglio per passare.
Si
stringe dentro il suo cappotto e incassa la testa tra le spalle.
L’erba
alta di quel prato fuori dal castello gli fa rallentare appena
l’andatura, e la
rugiada incastrata tra i fili gli bagna i calzoni.
C’è
un piccolo cortile recintato, a qualche centinaio di metri dalle mura
della
reggia, chiuso da un grosso cancello in ottone tenuto sempre aperto:
è un
piccolo spazio rettangolare dall’erba soffice e regolare, e
pieno di cespugli
profumati.
Al
centro, non più grande di un paio di metri, svetta una
piccola cappella
dedicata alla dea della terra e della fertilità: ha le
pareti di mattone rosato
e il tetto intrecciato con rami di edera.
Harry
si concede giusto un secondo per osservare lo stemma delle
casata—il drago
rampante—appena sotto la runa del dio Wyrd, custode
della vita; entra.
Incastrate
sulle pareti, lastre di granito con incisi i nomi dei suoi
più importanti
antenati, illuminati fiocamente nella notte; fa qualche passo.
Davanti
all’ultima lastra di granito, Harry decide di sedersi a
terra, sul pavimento
freddo, per osservarla un poco.
“È
buffo che venga qui ogni volta che c’è un
problema, eh?” sussurra, inarcando
appena gli angoli della bocca.
Il
nome di sua madre si trova proprio al centro del granito, intagliato
profondamente.
Harry
si morde l’interno della guancia. “Vorrei solo
dirti che—” abbassa lo sguardo:
“—non so cosa succederà domani, ma
qualsiasi cosa sia, spero solo che lui
riesca finalmente a trovare la pace, accanto a te.”
Rimane
un attimo in silenzio: “Gli mancavi tantissimo. Non
è stato più lo stesso da
quando te ne sei andata.”
Socchiude
gli occhi, prendendo un profondo respiro: “Spero che ti abbia
trovato, e che
sia felice. Credo—credo che si meriti un po’ di
tranquillità, dopo tutto.”
Appoggia
una mano sulla lastra fredda, accarezzando il nome impressogli sopra:
“Stammi
vicino domani. Te ne prego. Stammi vicino.”
Al
funerale è presente chiunque si possa permettere di venire.
Il
cortile, la sala cerimoniale, i corridoi e le stanze sono gremite di
gente
silenziosa, dagli abiti scuri, che portano doni e offerte da appoggiare
sopra
la bara di marmo, nella sala principale.
Dai
cittadini, ai combattenti, alle donne ai bambini; sembrano esserci
tutti.
Durante
il rito, è uno dei Sacerdoti più anziani a
spargere sale e vino, a ripetere le
Scritture, ad accendere candele di incenso e sandalo; Harry e Gemma
sono in
prima fila, ad osservare il sarcofago ricolmo di pezzidel
padre,
perché ovviamente è stato impossibile ritrovare
il corpo integro.
Dietro
di loro ci sono i Saggi, i generali, poi le prime Sentinelle di ogni
versante
del regno, poi i cittadini.
Louis
tiene la testa alta, la schiena dritta anche se l’armatura e
la spada devono
pesare tantissimo; lancia basse occhiate a Harry, di tanto in tanto,
solo per
assicurarsi che stia bene.
Il
funerale scorre, in una maniera o nell’altra, ma Harry non
è sicuro di essere
effettivamente partecipe di quello
che sta accadendo; sente il
Sacerdote parlare, sente l’odore forte
dell’incenso, la pioggia che batte sulle
vetrate, il calore delle altre centinaia di persone presenti
lì dentro, ma—è
come se osservasse la scena da dietro un velo.
Un
velo che gli ovatta la vista e l’udito. Non si sente parte di
quel dolore, non
riesce a capirlo.
“Che
hai intenzione di fare?”
Harry
non si volta immediatamente: è in camera sua, il rito del
Passaggio è appena
terminato e il sarcofago del padre è stato collocato
esattamente nello stesso
tempietto in cui lui s’era rifugiato la notte stessa.
In
qualche modo è riuscito a superare la barricata di uomini e
cittadini che gli
si sono avvicinati per rivolgere a lui le condoglianze e offrire doni,
e s’è
trascinato pesantemente in camera, strappandosi via di dosso quei
vestiti
cerimoniali e soffocanti.
Dopo
essersi sfilato la cotta di maglia d’argento, si volta
lentamente: Louis è
entrato, chiudendo la porta alle spalle, indossa ancora l'armatura, ma
la spada
non si trova più al proprio posto; deve averla posata da
qualche parte.
Harry
lo guarda con occhi stanchi ma attenti: “A che
proposito?”
“Al
fatto che domani devi incontrarti con Othrod per discutere
di
un’ipotetica trattativa di pace.”
Il
ragazzo dagli occhi verdi si siede sul bordo del letto, massaggiandosi
la
radice del naso. “Andrò da lui,
ovviamente.”
“Sei
impazzito?”
“Ho
altra scelta?!” sbotta, guardandolo.
Louis
espira, frustrato, prima di sfilarsi con un gesto secco
l’armatura che gli
ricopre il busto, appoggiandola poi in un angolo; si avvicina a Harry,
osservandolo con le sopracciglia aggrottate.
S’inginocchia
per terra, in modo da raggiunge l’altezza del suo volto.
“Tu sai che lui ti
ucciderà, vero? Non verrà da solo,
porterà un esercito con lui.”
“Lo
so, lo so. Gemma ha già
mandato dei telegrammi per avvertire
tutti sulla Barriera che domani dovranno farmi da scorta per
l’incontro—e
dovranno essere pronti a combattere, se necessario.”
Harry
fa cadere lo sguardo sulle proprie mani abbandonate sulle ginocchia; le
mani
dell’altro, il secondo dopo, si stringono dolcemente intorno
alle sue:
“Ehi.”
La
voce gentile di Louis lo costringe ad alzare lo sguardo, incontrando i
suoi
occhi blu: “Non andare, ti prego. Non andare a
morire.”
“Questa
conversazione mi sembra familiare.”
Il
cavaliere ride amaramente, appoggiando la fronte contro quella
dell’altro: le
sue mani sono ancora chiuse intorno a quelle di Harry e le massaggiano
delicatamente. “Manda me. Tu sei ancora troppo giovane per
questo—per tutto questo.”
Harry
strofina la punta del naso contro il suo zigomo, percependo il forte
odore di
Louis riempirgli le narici: prende un profondo respiro, godendosi
quell’aroma
di pino, sapone e sale.
“Non
ti lascerei mai andare al posto mio, lo sai bene.”
“Allora
verrò con te—non puoi fermarmi. Masha è
nelle tue stalle e niente m’impedirà di
prenderla per seguirti.”
“Louis—”
“Pensa
a Sheen.” Il ragazzo dagli occhi azzurri lo guarda e pare
disperato, di una
disperazione frustrata e dolorosa. Lancia un’occhiata al
cucciolo di drago
verde che dorme tranquillamente in fondo alla stanza: “Pensa
a Gemma, pensa al
tuo popolo—Se muori tu, finisce il mondo. Se io muoio, non se
ne accorge
nessuno.”
Harry
sfila dolcemente le mani dalla presa dell’altro e gliele posa
intorno al viso,
accarezzandogli gli zigomi con i pollici: “Non dire mai
più una cosa del
genere, hai capito? Giuralo. Giuralo sulla mia vita.”
“Io
non—”
“Giuralo.”
Harry
è ad un respiro dalle sue labbra: “Giuralo, ti
prego. Se—se tu morissi oggi—”
Si
avvicina ancora di più, ora le loro labbra si sfiorano
appena, lasciandosi
maree di brividi le une sulle altre: percepisce Louis socchiudere gli
occhi, il
suo battito aumenta, le labbra si protraggono dal desiderio.
“Cosa?”
La domanda è quasi inudibile: “Cosa faresti se io
morissi oggi?”
La
voce di Harry è un sussurro di brividi: “Morirei
domani.”
Preme
le sue labbra contro quelle di Louis e tutti gli argini improvvisamente
si
sgretolano, lasciando fuoriuscire un sentimento forte ed
inebriante.
Le
loro bocche sono morbide, calde, s’incastrano perfettamente
tra loro; Harry
piega la testa di lato e incrocia i polsi dietro il collo del
cavaliere,
lasciandosi completamente al suo tocco.
Socchiude
gli occhi. Percepisce quelle labbra fini imprimergli baci sulla
mascella, sul
mento, poi giù, sempre più giù, fino a
posarsi sulla pelle sensibile del collo,
delle clavicole.
Le
dita di Louis gli stringono i fianchi, la schiena, come se si stessero
aggrappando all’ultimo scoglio in mezzo ad una tempesta: la
sua bocca imprime
piccoli baci veloci, poi voraci morsi possessivi.
Harry
ansima appena, mordendosi a sangue il labbro inferiore quando
l’altro lo preme
delicatamente contro il materasso, facendo combaciare la sua schiena
col letto
morbido; sale sopra di lui a cavalcioni, continuando a torturare il suo
collo
sensibile.
Incastra
le dita tra i capelli alla base della sua nuca e li tira appena,
trattenendo un
gemito quando sente i denti di Louis tirargli appena la pelle arrossata.
“Amo
le tue labbra” dice, sconnessamente, preso
dall’eccitazione del momento.
Louis
ridacchia contro di lui: “Dovresti vedere le tue, in questo
momento.”
“Per—uhgmn.
Perché?”
“Gli
dèi devono aver colto tutte le rose più rosse
della terra e tutta la lussuria
del mondo per aver fatto quelle labbra.”
Harry
sorride, arrossendo. “Credo che sia la cosa più
romantica che qualcuno mi abbia
mai detto.”
Osserva
l’altro aggrottare le sopracciglia: “Vuoi forse
dire che non ti ho mai detto
quanto mi piaccia la tua bocca?”
“Uhm,
no?”
Louis
distende le sopracciglia, passando una mano sul petto di Harry.
“Ma—questo ti
ho detto quanto mi piaccia, vero?”
“Questo
sì.”
“E
questo?”
La
sua mano continua a scendere, accarezzandogli il ventre, insinuandosi
sotto
l’orlo dei pantaloni; il ragazzo dagli occhi verdi getta il
capo all’indietro e
trattiene un sibilo di piacere.
“—Non
dirmi che mi sono dimenticato di dirti questo. Non posso averlo
dimenticato.”
C’è un sorriso da gatto, sul volto di Louis,
mentre modella il corpo dell’altro
sotto le sue mani.
“Allora,”
domanda, lasciandogli una scia di baci sul collo: “te
l’ho detto o no?”
Harry
non crede di avere abbastanza lucidità per rispondere
coerentemente, così si
limita ad aggrapparsi alle spalle di Louis e baciarlo con forza.
“Sì”
ansima: “M-me l’hai detto—dimmelo
ancora.”
Un
improvviso rumore contro la porta di legno della camera li fa raggelare
sul
colpo, bloccandoli.
“Harry?”
È
Gemma.
Dannazione,
non
adesso.
Louis
lo guarda, in parte divertito, in parte scocciato e—con un
lungo e basso
lamento di disapprovazione da parte
dell’altro—sfila la mano dai suoi
pantaloni.
“Harry,
ci sei? Dobbiamo parlare.”
“S-sì—”
cerca di rialzarsi e di sistemarsi i capelli in disordine
più velocemente
possibile, mentre si riallaccia i pantaloni scesi appena oltre
l’inguine.
“—puoi
entrare.”
L’attimo
dopo, la porta è spalancata e la figura sinuosa della
principessa del regno
svetta contro l’oscurità del corridoio: guarda
stupita Louis, appoggiato al
tavolo di legno in fondo alla stanza.
Passa
lo sguardo da lui al fratello, dal fratello a lui.
(Harry
si ritrova a sperare che le sue guance rosse d’eccitazione e
le sue labbra
color sangue siano tornate ad un colorito naturale, se non altro per
non
destare sospetti, ma. Non ci giurerebbe.)
“Io—uh.”
La ragazza si schiarisce la voce, scostando una ciocca di capelli
fuoriuscitale
dal velo: “Ti chiederei di seguirmi nei sotterranei, i Saggi
vogliono parlare
privatamente con te.”
“È
per nostro padre?”
“No,
no. È per ciò che accadrà
domani.”
Harry
annuisce e lascia la stanza, seguendo la sorella: prima di uscire
lancia
un’ultima occhiata a Louis.
Quello
gli risponde con un sorriso forzato e uno sguardo dolce.
§
Sorge
un sole rosso e acquoso, oltre le montagne.
Harry
prende un profondo respiro d’aria gelida, costringendosi a
rilassare le spalle.
La
sua spada è saldamente legata al suo fianco,
sull’armatura, e lo scudo giace a
terra, tra l’erba ricoperta di rugiada. Il drago che lo
scorterà fino alla
Barriera è qualche centinaio di metri più in
là, che si sta stiracchiando le
enormi ali grigiastre.
Non
sa bene a chi effettivamente appartenga, Gemma ha accennato
qualcosa—forse è di
un generale o qualcosa di simile.
Non
che gli importi eccessivamente; ha già una scorta di
ufficiali che lo
guideranno fino al confine e da lì in poi ci sarà
l’esercito.
È
il giorno. È arrivato
il fatidico giorno.
Dopo
oggi, una guerra che è durata per anni e decenni, potrebbe
finire.
Il
suo popolo potrebbe tornare a splendere come un tempo.
Tutto
dipende da lui—è agitato,
ma. Il ragazzo che si lasciava
trasportare dalle emozioni fino al punto in cui la lucidità
era completamente
perduta, è sparito settimane e settimane fa.
Se
c’è una cosa che ha imparato, negli ultimi mesi, a
causa di tutti questi
repentini cambiamenti, è saper sopprimere quella parte di
sé che non riesce ad
avere controllo, nei momenti più cruciali, almeno.
“Maestà,
siete pronto?” gli domanda un uomo accanto a lui.
Harry
guarda il cielo limpido, poi lascia cadere lo sguardo su Masha, insieme
ai
draghi degli altri, e su Louis, intento ad accarezzarla e a fissare
l’orizzonte.
Annuisce
e l’uomo fa un cenno agli altri presenti, invitandoli a
prepararsi per partire;
abbraccia un’ultima volta Gemma, promettendole che
andrà tutto bene.
Lei
non gli fa pressioni, si limita a sorridergli con gli occhi piegati in
una
smorfia di preoccupazione.
Lei
sarebbe una grande regina—pensa
Harry, dirigendosi verso il proprio drago, non può fare a
meno di pensarlo.
Appena
riesce a cavalcarci sopra—le lezioni di Liam e Niall si sono
rivelate molto più
utili del previsto, in merito—dà una piccola pacca
alla schiena rugosa e
squamosa dell’animale, lanciando un’occhiata alle
sue grosse ali grigie, ancora
strette intorno al corpo.
Si
sistema meglio la spada contro un fianco, facendola tintinnare, poi lo
scudo
sulla schiena. Si volta, prendendo un profondo respiro, per indicare al
seguito
che sono pronti a partire.
Ma,
si ferma.
Louis,
a cavallo di Masha, è accanto a lui e indica con una mano
guantata un punto nel
cielo, sopra di loro.
“Cosa—?”
Harry si volta, zittendosi.
Ci
sono—ci sono dei draghi che
stanno viaggiando verso di loro.
Cosa?
Chi
sono? Da dove escono fuori?
Si
volta verso il cavaliere dagli occhi azzurri, che si limita a
sorridergli:
“Sapevo che sarebbero arrivati.”
“Louis,
di che cosa stai parland—?”
E,
oh. Oh.
Harry
sgrana gli occhi, poi li assottiglia per vedere più
chiaramente, perché quello
è decisamente—Urich.
Dèi,
riconoscerebbe quel drago a metri e metri di distanza ed è
super sicuro
che sia effettivamente Urich; con
dietro—Neevae, Huton e tutti
i draghi delle Sentinelle dell’Ovest.
Con
a cavallo i rispettivi padroni.
Il
ragazzo dagli occhi verdi trattiene il fiato, esterrefatto, fin quando
Michael
e il rispettivo drago non atterrano al suo fianco, seguito da tutti gli
altri.
I
cavalieri nel cortile fuori dalla reggia si guardano intorno, curiosi e
confusi, ma Harry non li nota; è troppo impegnato a
riconoscere quei volti, che
non vedeva da appena qualche giorno ma che gli sono mancati tanto,
troppo.
Niall
si fa spazio tra gli altri, su Huton che sbatacchia la grande e tozza
coda da
una parte all’altra. All’occhiata che gli riserva
Harry, risponde con una
scrollata di spalle e un sorriso divertito.
“Non
avremmo mai potuto lasciarti da solo, andiamo—Se stai andando
a morire il
minimo che possiamo fare è starti dietro per raccogliere la
tua carcassa, no?”
Liam
gli lancia un’occhiataccia: “Intende dire che
staremo al tuo fianco. Sempre.”
Harry
non riesce a togliersi il sorriso dalla faccia, vorrebbe scendere da
quel drago
ed abbracciare tutti, uno per uno. E ringraziarli, ringraziarli di
essere
diventati parte fondamentale della sua vita e per averlo aiutato a
maturare e
diventare la persona che è adesso.
Invece,
si limita a voltarsi verso Louis.
“Lo
sapevi?” domanda.
Quello
scuote le spalle, mordendosi l’interno della guancia:
“Conoscendoli, sapevo che
sarebbero venuti.”
Harry
gli sorride e si ruota nuovamente verso gli altri; cerca di guardarli
uno per
uno, sorridendo incoraggiante e grato.
“Grazie.”
Non crede di essere stato più sincero in tutta la sua vita.
Fa
cenno al resto del seguito che ora, davvero,
è
pronto a
partire verso la Barriera.
I
draghi prendono la rincorsa e si librano su nel cielo rosso sangue,
proiettando
ombre gigantesche su chi è rimasto a terra.
Prende
un nuovo respiro d’aria fredda, socchiudendo gli occhi e
stringendo più forte
il corno del drago al quale s’è aggrappato: il
vento gli spinge indietro i
capelli, sulle spalle.
Con
la coda dell’occhio si guarda indietro e li vede tutti.
Vede
i generali amici di suo padre, e vede Will, Greg, Jeff, Liam e Zayn, e
tutti
gli altri; sotto di lui, poco lontano, Louis.
Benché
l’ansia e la paura gli stiano ancora divorando le ossa, sente
i suoi nervi
allentarsi un po’, la realizzazione che
s’impadronisce lentamente di ogni fibra
del suo corpo.
Ci
siamo. Si
morde
il labbro inferiore.
Ci
siamo.
Ci
vogliono ore intere per arrivare alla Barriera.
Un
enorme confine sulle montagne innevate che si estende fin dove la vista
può
vedere; accampamenti di soldati, muri fatti con tronchi
d’alberi segati ed
appuntiti, odore di legna bruciata e terra.
Atterrano
su un altopiano scavato nella roccia ricoperta da un sottile strato di
neve,
proprio davanti all’accampamento principale delle Sentinelle
del Nord: ad
aspettarli, all’ingresso, c’è un uomo
dalla folta barba bruna, con il suo
seguito.
Si
presenta come Tom, e guida Harry e gli altri attraverso dei tunnel
scavati
nella montagna, illuminati malamente da un paio di torce.
Louis
riconosce quei luoghi, e la sua tensione è percepibile da
chiunque. I ricordi
del tempo passato lì devono riaffiorargli dolorosamente.
Harry
gli sorride e l’altro pare tranquillizzarsi.
Camminano
per un tempo che pare infinito, tra cunicoli e strettoie e
quell’odore di umido
e stantio.
Harry
è in cima alla lunga fila, seguito immediatamente da Louis,
che tiene alta una
torcia alta per illuminargli la strada e gli stringe la mano e gli
pizzica il
gomito.
La
tensione è letteralmente palpabile, nell’aria. Ci
provano—ci stanno
provando tutti—a non pensarci, a
non pensare che tra poco
incontreranno Othrod in persona.
Quello
di cui tutte le leggende parlano, e che tutti segretamente temono.
Ma,
è difficile non
pensarci. Insomma.
Questo
giorno, comunque vada, farà la storia; ci scriveranno
canzoni e ci cuciranno
arazzi e dipingeranno pareti.
Harry
si obbliga a non pensarci; seguirlo in questa missione non è
stato solo un atto
d’affetto, ma d’incredibile coraggio e audacia. Se
oggi le cose non andranno
per il meglio, tutti i nomi di tutte le persone presenti con lui
verranno
irrimediabilmente infangati.
Famiglie
intere disonorate, compresa la sua.
Viene
strappato via dai suoi pensieri quando Tom, davanti a lui, si blocca di
colpo,
proprio davanti ad una porta chiusa dalla quale fessura esce uno
spiraglio di
luce biancastra.
“Abbiamo
attraversato la montagna da lato a lato” annuncia, col suo
tono possente:
“Othrod, questa notte, ha mandato una lettera. Dice che
v’incontrerete alla
Rupe dei Falchi; è uno sperone di roccia a poche miglia da
qui.”
Harry
annuisce, lasciandolo continuare.
“—Ha
scritto che dovrete andare lassù da solo, scontrandovi con
lui. I nostri
rispettivi eserciti combatteranno in un’ultima, decisiva
battaglia nel passo
proprio sotto la Rupe.”
Fruga
sotto l’armatura, estraendone una pergamena con lo stesso
marchio di quella che
Gemma, giorni prima, gli aveva dato: la lingua è ancora a
lui sconosciuta, ma
dietro al foglio la traduzione è scarabocchiata.
Le
dà un’occhiata, poi alza gli occhi: “Io
ho un esercito?”
L’uomo
lo guarda, ghignando dietro la folta barba; preme una grossa e ruvida
mano
contro la porta di legno, spalancandola in un colpo solo.
La
luce accecante del giorno costringe tutti i presenti dentro il tunnel a
serrare
per un attimo gli occhi; Harry è il primo ad aprirne uno.
Poi l’altro.
Fa
qualche passo in avanti, oltrepassando Tom e la porta, fino ad uno
spiazzo di
pietra che assomiglia molto ad un balcone.
Appoggia
i palmi delle mani sulla pietra fredda del cornicione, mettendo a fuoco
lo
spettacolo che gli è presentato davanti.
File
e file e file di uomini sotto di lui, perfettamente allineati ed
armati;
centinaia di teste ricoperte da elmi che brillano sotto la luce del
sole,
armature che sembrano prendere fuoco.
Il
suo respiro sembra scivolargli via dai polmoni, mentre osserva quello
che è
il suo esercito.
Le
punte delle lance e delle spade sembrano allungarsi
all’infinito, sopra gli
uomini, mentre i loro capi sono rivolti a lui in attesa di rendergli
servizio.
Tom
lo affianca, insieme a tutti gli altri. Nessuno non riesce a spalancare
la
bocca, davanti ad uno spettacolo del genere, salvo Louis, che
probabilmente ne
è già abituato.
“Avete
il migliore esercito che si possa desiderare, vostra
altezza.” L’uomo batte una
mano sul cornicione di pietra: “E sono pronti a morire per
voi e per il nostro
regno.”
Harry
annuisce, lentamente. Ci siamo. Una voce
dentro di lui glielo
ricorda, ma non lo spaventa.
Sa
che arrivato il momento, sente una tranquillità ed una
convinzione disarmanti
prendere possesso del suo corpo.
Ci
sono. E
sono
pronto. È nato per
combattere.
“Non
lotteranno invano.”
Viene
dato un cavallo, a Harry, per raggiungere la Rupe; nel tempo che ci
impiegherà
per farlo, tutti i soldati si dirigeranno al passo per prepararsi
all’ultimo
scontro.
“Mettila
così,” Liam gli dà una pacca sulla
spalla: “mentre tu cercherai di ucciderlo,
noi saremo qualche centinaia di metri sotto di te a cercare di non
farci trafiggere.
Sarà—molto epico.”
Harry
abbozza un sorriso. “Non fatevi uccidere, okay?
Davvero.”
Michael
scoppia a ridere: “Se succederà, sta pur certo che
non sarà per nostro volere.”
Si
allontanano tutti, seguendo uno dei generali e le sue truppe; accanto a
Harry,
rimane solo Louis.
Guarda
il cavallo, qualche metro più in là, legato ad un
palo di legno, poi lascia
ricadere lo sguardo sul ragazzo dagli occhi verdi.
“Sai
che—” comincia, grattandosi il retro del collo:
“—ho incontrato Calum, Ashton e
Stan prima, mentre stavi parlando con quei generali? Sono in mezzo
all’esercito
anche loro.”
Harry
spalanca gli occhi, piacevolmente sorpreso.
“D-davvero?” esclama: “Dove
sono?”
“Con
le loro truppe, ma ti mandano i loro saluti, avrebbero voluto
incontrati ma il
tempo non ci è amico.”
Il
ragazzo dagli occhi verdi non risponde; una parte di lui è
davvero, davvero
felice di sapere che dei compagni che non vedeva da mesi interi stiano
bene,
un’altra è terrorizzata dall’idea che
altre persone stiano effettivamente
andando a combattere la sua battaglia.
Rimangono
in silenzio per qualche minuto.
“Se
adesso ti prego in ginocchio di mandare me, al posto tuo,
avrò qualche
possibilità?” sussurra in fine Louis,
avvicinandosi ancora di più.
Harry
ridacchia. “Non credo proprio—Insomma, non vuoi
andare in battaglia per vendicarti e
uccidere più Barbari che puoi?”
Louis
alza lo sguardo al cielo. “Sai cosa? Ho sempre creduto che,
una volta arrivato
alla Barriera, l’unico mio pensiero sarebbe stato uccidere e
uccidere e uccidere. Ma—quando
ero davvero qui, l’unica cosa a cui riuscivo pensare
era—”
Lo
guarda, si morde l’interno della guancia:
“—era: vi prego, lasciatemi
vedere un’ultima volta le persone che amo.”
Harry
sospira avvicinandosi a lui: “Spero che, alla fine di questa
giornata, io possa
rivederti.”
Louis
posa una mano sul suo petto, sull’armatura. “Tu sei
un grande combattente,
Harry.” Lo guarda dritto negli occhi, scavandoci dentro:
“Non ho mai visto
qualcuno più abile e veloce di te, con la spada—Io
so che tu puoi riuscirci. So
che puoi farlo. So che puoi salvarci tutti. Ma—”
Distoglie
lo sguardo: “—qualsiasi cosa succederà
oggi—uhm. Sappi, sappi che—Io non ho mai
creduto agli dèi o alla vita dopo la morte,
ma—Spero che esista solo per
rincontrarti, per rivederti.”
Harry
se lo trascina contro, affondando il naso nei suoi capelli.
È
cresciuto tantissimo dalla prima volta in cui l’ha incontrato
ed ora è
un’intera spanna a dividerli; l’armatura rende
l’abbraccio più goffo di quanto
in realtà non sia, ma va bene comunque.
Dopo
qualche minuto, Louis si stacca, ma solo per posare delicatamente le
labbra
sulle sue.
“Ho
così tanta paura per te, Harry.”
“Io
credo che le ginocchia si rifiuteranno di camminare, una volta arrivato
lì.”
Louis
ridacchia appena. “Non mi dire che sei terrorizzato anche
te.”
“Da
morire. Ma, sai, una volta una persona mi ha detto una cosa che non
credo
dimenticherò mai.”
“Ah,
sì? E cos’era?”
Harry
gli posa un altro bacio sulle labbra. “Che non devo lasciare
che le mie paure
si prendano la parte migliore di me. O qualcosa del genere.”
Louis
rimane in silenzio: “Era Liam, vero?” sbotta infine.
L’altro
annuisce, ridacchiando appena.
Il
cavaliere dagli occhi azzurri emette un sibilo basso: “Lo
sapevo—Lui è
esattamente il tipo di persona da dare
questi consigli.”
C’è
un ultimo grido di richiamata, per l’esercito; Louis si trova
costretto a
lasciare Harry.
“Promettimi
di non morire. Promettilo.”
“Lo
prometto.” E lo pensa davvero, mentre vede Louis
allontanarsi, di spalle.
Gli
zoccoli del cavallo producono un rumore secco contro la pietra, mentre
percorre
il sentiero che Tom gli ha indicato per raggiungere la Rupe.
Le
rocce sono grigie e spigolose, ricoperte da neve sciolta.
Se
si sporge appena, riesce a scorgere—centinaia di metri sotto
di lui—i soldati
camminare in fila per il passo tra le montagne.
Anche
se sa perfettamente che è impossibile riuscire a riconoscere
una singola
persona da quell’altezza, non può fare a meno di
cercare disperatamente di
trovare qualche sagoma familiare, tra tutti quei soldati e quegli
uomini.
Distoglie
lo sguardo. Deve concentrarsi, solo su se stesso.
Stringe
le ginocchia intorno al ventre dell’animale e, prese
più saldamente le briglie
in mano, lo intima ad accelerare.
Riesce
a scorgere la Rupe da lì: un enorme sperone di roccia
appuntita, orizzontale e
liscia, che svetta dalla montagna come il prolungamento di un arto.
Lo
scudo, la spada, l’armatura e il pugnale pesano, ma non
è niente in confronto
alla forza che gli stringe il petto e gli blocca il cuore.
Per
un attimo gli manca l’aria e sente il suo corpo iniziare a
scivolare via dalla
sella.
Si
riprende il secondo successivo; socchiudendo gli occhi per costringersi
a
ricacciare indietro la paura.
Respira.
Se
volta lo sguardo a destra, riesce a scorgere tutte le montagne e,
ancora più in
là, le foreste, i laghi, le colline che formano il suo
regno;
è così bello.
Suo
padre, e il padre prima di lui, e quello prima ancora hanno governato
su tutte
quelle terre: dal versante Sud al Nord, dall’Est
all’Ovest, passando per ogni
pianura, fiume e bosco.
E
poi le città, i villaggi che sono sorti e hanno proliferato,
crescendo ed
acquistando potere.
Sembra
tutto immobile e tranquillo, da lì. Immortale e statico.
La
Rupe si avvicina, ogni metro di più.
Scosta
appena lo sguardo a sinistra, e il cuore gli sale in gola: da
lì, riesce a
scorgere una massa nera, scura, muoversi come un’unica onda.
Non
perde nemmeno tempo a chiedersi cosa sia, perché sa
che
quelli
sono Barbari, e si stanno dirigendo proprio contro il suo esercito, per
combattere.
Indossano
le loro armature nere e le lance svettano dai loro capi, scendono il
pendio con
vorace frenesia, quasi non vedessero l’ora di scontrarsi coi
loro nemici: Harry
è sicuro che, sotto si lui, nessuno dei suoi li abbia ancora
visti.
Ci
sono troppi speroni e rocce a dividerli, ma presto si scontreranno.
Poco ma
sicuro.
Prende
un altro profondo respiro, fin quando non decide di fermare il cavallo;
scende
dalla sella con un movimento fluido.
Dà
una pacca sulla coscia dell’animale, facendolo allontanare
nel verso opposto:
si gode per un attimo la vista di quel bellissimo destriero correre per
il
sentiero e sparire, in lontananza.
Decide
di voltarsi, respirando lentamente. È ai piedi della Rupe
dei Falchi, il sole è
alto nel cielo, ma ricoperto da nuvole grigie che ne oscurano la luce.
Passo
dopo passo, comincia ad arrampicarsi su quella salita di roccia brulla,
per
arrivare allo sperone; sente i sassi scricchiolare sotto i suoi piedi,
e ode
vagamente il rumore del vento tra le fessure della pietra.
Il
suo corpo si muove con rigidità e precisione, non tentenna
nemmeno un secondo.
Quando,
dopo quelle che sembrano ore intere, riesce finalmente a raggiungere lo
sperone
di roccia; si concede un paio di secondi per riprendere fiato e
guardarsi
intorno.
Ad
una prima occhiata, gli sembra di essere solo.
La
roccia è liscia e prosegue orizzontale e dritta, fin dove
l’occhio riesce a
vedere; non c’è un arbusto, o un albero.
È spoglia e brulla, nemmeno la neve
sembra essersi posata su di essa.
Sente
un fruscio provenire dalla sua destra ed, automaticamente, afferra
l’elsa della
propria spada, voltandosi.
Harry
non sa cosa aspettarsi.
Non
che l’abbia mai effettivamente saputo, ma. Non aveva mai
nemmeno perso tempo
ad immaginare come fosse
effettivamente il rivale: le leggende
non sono mai state attendibili.
Ora
che lo vede, però,—ora che Othrod
è davanti a lui—può
confermare
che, dietro a tutte quelle storie, dietro a tutte quelle parole, forse
qualcosa
di vero c’è.
Harry
fa un passo indietro, come se il suo nemico, il re dei Barbari, non
riuscisse
ad entrare completamente nella sua visuale; cosa che, almeno in parte,
è vera.
La
prima cosa che nota è che lui è molto
più umano di quando non fosse quel
Barbaro che aveva ucciso dentro la grotta: la sua pelle grigia
è liscia e tesa,
sopra i muscoli delle braccia e delle gambe.
Cicatrici
profonde gli solcano ogni parte del corpo, creando reticoli di linee
biancastre: è alto e possente, tanto che Harry è
costretto ad alzare di molto
lo sguardo, per riuscire a scorgere la sua intera figura.
Il
suo corpo è quasi completamente ricoperto
dall’armatura nera e graffiata e solo
il capo è lasciato libero: il volto è schiacciato
e, in mezzo, sono incastrati
due occhi più neri della pece.
Poco
più giù, una bocca frastagliata e scura, riempita
di denti affilati come lame,
piegata in una smorfia indecifrabile.
Non
è umano, non è la sua razza, Harry lo
sa—ma c’è qualcosa nel suo portamento
fiero, nelle sue spalle ben piantate, nella postura, che in qualche
modo
ricorda l’orgoglio spregiudicato tipico degli essere umani.
Le
sue mani, enormi e gonfie, tengono tra le mani una spada lunga e
seghettata,
dal manico d’osso.
Harry
alza nuovamente lo sguardo, incrociando i suoi occhi; scintillano di
una luce
incomprensibile.
“Non
credevo saresti venuto, Styles.” Il suono della sua voce
è un falco che gratta
gli artigli contro la pietra: un rauco, basso e stridulo suono da far
ghiacciare il sangue nelle vene.
Utilizza
l’idioma del Nord, per parlare, ma è stentato
è molto gutturale.
Harry
si raddrizza nelle spalle, aumentando la presa sulla spada e sullo
scudo: “Ho
finalmente davanti Othrod il Nero, di cui parlano tanto le leggende,
nel mio
popolo.”
La
sua voce è ferma e rilassata, in contrapposizione al suo
corpo teso e attento,
pronto a scattare al minimo movimento.
Il
Barbaro davanti a lui emette una risata simile ad un latrato agognante,
e ruota
in aria la spada, con un sibilo:
“Il
tuo popolo parlerà anche di questo giorno”
gorgheggia, facendo un passo
indietro: “Avranno altre leggende da raccontare.”
“Perché
oggi? Perché questo incontro? Cosa speri
d’ottenere?” Harry pianta saldamente i
piedi al suolo, la voce che gli fuoriesce dalle labbra è
netta e pulita; non ha
potuto fare a meno di domandarlo, domandarsi ilperché
tutto
questo
è perché proprio ora.
Othrod,
davanti a lui, rimane immobile per un attimo.
“I
nostri popoli hanno lottato troppo a lungo” ringhia poi, con
voce pensante: “Li
senti? Li senti combattere sotto di noi?”
Harry
non ha idea a cosa si stia riferendo il suo nemico fin quando, con una
folata
di vento freddo, non giungono alle sue orecchie suoni lontani di una
battaglia:
urla, scudi che battono su scudi, spade che sibilano, lance e frecce
che
vengono scagliate.
La
battaglia, sotto di loro, è cominciata.
Spalanca
gli occhi, e Othrod coglie l’espressione
all’istante.
“—Li
senti, vero?” Rimane in silenzio per un attimo e altre urla
riempiono l’aria,
urla di dolore e di incitamento: “Per troppi anni del sangue
è stato versato
inutilmente. È il momento di finire ciò che
è iniziato con il re prima di te e
che ora la montagna ha inghiottito.”
Fa
una pausa, prima di continuare. “Questi sono i nostri
eserciti” urla al vento:
“I nostri unici eserciti.
Oggi non ci saranno superstiti. Fino
all’ultima goccia di sangue, combatteremo. Fin quando non ci
sarà un
vincitore.”
Harry
deglutisce, e sente la sua gola bruciare.
Solo
vincitori e vinti.
“Ma—”
Il Barbaro davanti a lui alza la lama seghettata in aria:
“—volevo essere io ad
uccidere il mio nemico con le mie stesse mani. Per questo ti ho
chiamato qui.
Per combattere, fino alla morte—Se in questo giorno
vincerò, le tue terre
saranno mie.”
“E
se vincerò io, voi non verrete mai più a
minacciare i miei confini.”
C’è
tensione nell’aria.
La
lama di Othrod gli si scaglia contro prima che Harry sia in grado di
rendersene
conto; la riesce a bloccare all’ultimo secondo, con la
propria.
L’altro
la ritira immediatamente indietro, e la affonda nuovamente,
l’istante dopo:
Harry si ruota su un fianco ma non abbastanza velocemente. Sente la
lama
dell’altro squarciargli la guancia, in una ferita.
Si
getta a terra, cercando di utilizzare lo scudo per parare i colpi che
Othrod
cerca di infliggergli pesantemente: la lama seghettata più
di una volta
s’incastra nel legno e nel ferro dello scudo, quasi
spezzandolo a metà.
Harry
sente la roccia e la polvere appiccicarsi al suo corpo sudato ed
entrargli
nelle narici.
Si
alza con un movimento fluido affonda con la spada proprio nello spesso
istante
in cui il Barbaro alza la sua arma per un ulteriore colpo: il ragazzo
riesce ad
aprire una ferita scura sul fianco dell’altro, proprio tra le
giunture
dell’armatura.
Poi
si ruota e si allontana appena, saltando su una serie di piccoli massi
per
riuscire a raggiungere l’altezza ideale per scagliare un
colpo, cercando di
mirare alla spalla spoglia del suo nemico; quello, però,
è troppo veloce.
Con
un braccio possente gli si scaglia contro, spingendolo indietro con una
forza
tale da fargli compiere un volo di qualche metro.
Harry
cade a terra, di schiena, con un tonfo sordo: un dolore lancinante gli
si
propaga per tutta la schiena e le spalle, rendendogli impossibile
respirare per
qualche secondo.
Sente
i passi pesanti di Othrod avvicinarsi: “Ma non
capisci?” gli ringhia, passando
la spada da una mano all’altra: “Siete
già tutti morti.”
La
alza, scagliandola con quanta più forza ha nel corpo contro
la testa del
ragazzo dagli occhi verdi; quello riesce a rotolarsi via, in modo da
schivarlo
e la lama finisce per incastrarsi tra la terra.
Harry
si alza, e decide di che lo scudo non gli è più
d’utilità: lo afferra
saldamente, buttandolo con violenza contro il costato del suo nemico.
Quello
emette un gemito basso, dolorante: la forza di quel colpo deve
sicuramente
avergli fratturato qualche osso, anche se è protetto
dall’armatura.
I
suoi occhi, se possibile, sembrano diventare ancora più
neri: libera la spada
con un ultimo gesto secco e comincia ad affondare colpi netti e precisi
contro
Harry.
Quello
schiva e para, contrattaccando di tanto in tanto, quando non
è troppo impegnato
a retrocedere, sotto la spinta dei colpi dell’altro.
Per
quando ci provi, non riesce a non pensare agli urli e ai suoi di spada
che
sente provenire dal passo sotto lo sperone: ogni minuto che perde in
questo
stupido combattimento, sono centinaia e centinaia di uomini uccisi in
battaglia,
proprio sotto di lui.
E
ci potrebbe essere Louis, lì in mezzo.
Il
pensiero lo terrorizza a tal punto che per un attimo perde la
concentrazione e
rischia d’inciampare su una roccia: per fortuna il riflesso
è veloce e riesce a
riprendersi prima di cadere.
Lascia
la propria lama scivolare con uno stridio acuto contro tutta la
lunghezza di
quello dell’altro, sentendo i propri muscoli tendersi e
pompare sangue più
velocemente possibile; il sudore gli cola giù per il volto e
sotto l’armatura.
Riesce
a respingerlo, affondando la lama contro il suo braccio, ma lo graffia
appena.
Othrod
lo colpisce a mani nude, con un pugno chiuso, facendogli compiere con
la testa
una rotazione di novanta gradi, repentina e dolorosa; i denti
squarciano
l’interno della guancia, lasciando che un fiotto di sangue
gli impasti la
lingua.
Indietreggia
di qualche passo, sputando grumi su grumi. Una massa di puntini bianchi
gli
acceca per un attimo la vista.
“Stupido.”
Othrod si lancia un’occhiata spregiudicata alla ferita sul
fianco, senza
battere ciglio: “Li stai portando tutti alla morte, sai? Uno
per uno—Li senti?
Stanno tutti morendo per te.”
“Non
è vero” borbotta
Harry, tra uno sputo e l’altro.
Il
Barbaro lo guarda. “No?”
“Non—non
stanno combattendo per me.” Alza lo sguardo, una smorfia
divertita gli piega il
volto: “Non stanno morendo per me.”
Othrod
rimane immobile, la spada stretta tra le mani; osserva il ragazzo.
“E per chi,
allora?”
Harry
sorride, anche se prova talmente dolore che potrebbe mettersi a
vomitare da un
momento all’altro: “Lottano perché
domani i loro figli non vengano mandati alla
Barriera, lottano per avere un futuro—e per sconfiggere chi
glielo sta
negando.”
Percepisce
fuoco, scorrergli nelle vene; perché lo pensa, lo
pensa davvero.
Lui
non è re, adesso, nessuno sta combattendo perché
lui gliel’ha ordinato.
Tutti,
da primo all’ultimo, stanno lottando perché sono
stanchi di questa guerra e
vogliono solo che finisca.
E
se deve succedere oggi, che succeda nel migliore dei modi.
Harry
ruota la spada in aria e la punta proprio contro il suo nemico: con una
rincorsa, si getta contro di lui, affondando la lama.
Quello
la para malamente, preso alla sprovvista, ed indietreggia. Il rumore
secco e
metallico dei colpi che si stanno infliggendo e parando uno dietro
l’altro, a
velocità stupefacente.
La
precisione di Harry nello scagliare i colpi, lascia il nemico
esterrefatto per
qualche secondo.
Othrod
si limita ad indietreggiare, cercando di non lasciare che la lama del
ragazzo
si avvicini troppo al suo corpo.
Dopo
qualche secondo di confusione, riesce a riacquistare
lucidità e a parare più
nettamente ai colpi: spinge indietro Harry, affondando e colpendo con
più forza
possibile.
Il
ragazzo comincia indietreggiare, ma non perde speranza: i suoi colpi
sono
ancora puliti e netti, mentre cerca di colpire per scalfire il suo
nemico.
Passano
minuti interi, in una continua lotta disperata, in continui affondi
parati o
schivati.
Solo
dopo tutto ciò, improvvisamente, un’ombra oscura
il sole per qualche istante;
entrambi alzano la testa al cielo vedendo—draghi.
Draghi
su draghi che volano sopra di loro, lasciando cadere le rocce che
tengono tra
le zampe, sui Barbari: emettono ruggiti bassi che fanno vibrare la
terra
stessa.
Stanno
partecipando alla battaglia—È
il primo pensiero che colpisce la mente di Harry, mentre osserva
esterrefatto i
loro ventri volare sopra la sua testa.
E
questo è strano, perché i draghi non
potrebbero
partecipare a
questo tipo di battaglia: sono creature troppo preziose e grandi per
combattere
in luoghi così angusti, sulle montagne.
Eppure—eppure
sembra che adesso loro vogliano essere lì. Vogliano dare una
mano.
Harry
riabbassa lo sguardo, sorridendo inconsciamente; vinceranno, ne
è sicuro.
Riesce
a leggere la rabbia e la frustrazione negli occhi del nemico,
l’istante prima
che quello, con tutta l’ira che ha nel corpo, si scagli sopra
di lui e lo
blocchi a terra, sotto il peso del suo corpo.
Il
ragazzo dagli occhi azzurri non riesce a metabolizzare ciò
che sta accadendo
fin quando non scorge la lama di Othrod alzarsi nel cielo e cadere
pesantemente
contro di lui.
La
punta scava nella carne della sua spalla, proprio vicino al collo,
trapassandolo di netto.
Urla,
forte, fortissimo. Un grido agghiacciante.
Sbatte
le palpebre, piegando la testa per osservare tutto—tutto
quel sangue fuoriuscire
dalla ferita, sporcando la lama dell’altro.
Non
credeva fosse possibile perdere tutto quel sangue. Non sapeva che
dentro il suo
corpo ci fosse così
tanto sangue.
Bagna
la terra, la sua armatura, gli cola fino al collo, gli sporca le
braccia.
Il
dolore è talmente forte da non permettergli di pensare
lucidamente; un unico
urlo gli rimbomba dentro la testa, ed è quello che lo
avverte che la fine è
vicina.
Che
è finita.
Anche
se vinceranno, Harry non vivrà abbastanza a lungo per
godersi la vittoria.
Sta
per morire. Ne
è
consapevole.
Il
volto di Othrod, sudato e sconvolto dalla rabbia, è a poca
distanza dal suo: lo
guarda, gli occhi neri spalancati.
“Tu
morirai, oggi” gli ringhia: “E sarò io
ad ucciderti—qualsiasi cosa accada.”
Con
un movimento secco, estrae la spada dalla ferita, afferrandola con
entrambe le
mani e puntandola proprio al centro della fronte di Harry.
Quello
urla, il dolore diventa insopportabile.
È
finita.
Ma—nella
sua mano destra è ancora stretta la spada.
Una
nuova, sconosciuta voce si fa largo dentro di lui.
No,
non ancora.
Con
la mano libera afferra una manciata di terriccio da suolo e lo getta
contro gli
occhi di Othrod, facendolo vacillare per un attimo.
Un
attimo più che sufficiente.
Harry
afferra la propria spada, facendo ricorso a tutte le sue ultime forze,
e la
spinge contro il suo collo scoperto: la lama affonda nella carne, del
sangue
nero cola dappertutto, sporcandogli anche il volto.
La
preme più forte, più forte ancora fin quando non
percepisce l’altra estremità
della lama passare oltre il collo, trapassandolo.
Gli
occhi di Othrod sono spalancati, lo guardano.
Apre
la bocca, esce del sangue ad ogni pulsazione.
C’è
un silenzio assordante.
Dopo
un paio di gorgoglii incomprensibili, Harry riesce ad udire un
flebile: “Giochi
sporco.”
Poi
il suo corpo cade, lentamente, su un fianco: il suo sangue sporca tutta
la
terra intorno a loro.
E
non ci sono urla, non ci sono tonfi né botti: tutto si ferma.
Tutto
è finito così, in un lamento gorgogliato.
Respira
pesantemente, ributtandosi a terra con la schiena e cercando di
strisciare
lontano dalla carcassa del Barbaro: il dolore lo colpisce come un colpo
in
testa.
Boccheggia,
mentre brividi di freddo s’impossessano del suo corpo.
Non
riesce a smettere di sorridere; stanno vincendo.
Finalmente,
stanno vincendo. Gli viene quasi da ridere al pensiero.
Prende
un’ultima boccata d’aria, già percependo
il suo corpo abbandonare le forze e
cadere nell’oblio.
“Preferisco
il termine—” la sua voce è un sussurro
dolorante, inudibile: “cercare di
vincere.”
Sorride
ancora, chiude gli occhi.
E
lascia che l’oscurità l’avvolga.
§
Le
palpebre gli si spalancano di scatto, insieme alle labbra, che cercano
disperatamente ossigeno con cui riempirsi i polmoni.
È
buio, buio pesto. E—non ha idea di dove si trovi.
Una
finestra illumina vagamente la stanza—e il letto su cui
è sdraiato.
Cerca
di voltare la testa ma un dolore lancinante gli blocca il movimento. La
ferita
alla base del suo collo pulsa di dolore, sotto le—bendature?
Sbatte
più volte le palpebre, la testa sembra esplodergli di dolore.
“Shh,
fa piano.” Una voce proviene alla sua destra: si volta appena.
È
Michael.
Michael
che gli sorride.
“Sono
felice di vedere che ti sei svegliato, hai dormito per quasi due
giorni—Ora
sta’ buono, devo cambiarti le bende.”
Le
sue dita esperte cominciano a tagliare vie le bende vecchie dalla sua
pelle;
Harry vorrebbe poter parlare, dire qualcosa, ma la sua gola
è talmente secca e
lui si sente così debole da non riuscirci.
Alzando
appena la testa, riesce a scorgere una sagoma, seduta scompostamente su
uno
sgabello, accanto al letto: spalanca gli occhi, un calore pare
invadergli
improvvisamente le membra.
Louis.
Vorrebbe
urlarlo, ma non ci riesce.
Michael
sembra capire i suoi pensieri: “È stato lui a
trovarti—pensava fossi morto. È
stato qui accanto a te per tutto il tempo” ridacchia appena,
cominciando ad
applicare le bende pulite sulla sua pelle: “L’ho
costretto a dormire un po’—non
lo svegliare.”
Harry
annuisce e lascia ricadere la propria testa sul cuscino. Rimane in
silenzio.
“Dove
siamo?”
“All’accampamento
a Nord.”
“Abbiamo
vinto?” La sua voce risulterebbe completamente inudibile, se
non fosse per il
silenzio e per il fatto che Michael è ad appena qualche
spanna dal suo volto.
Lo
guarda, sorride, ha gli occhi lucidi.
“Abbiamo
vinto.”
§
Ripartono
per tornare al castello tre giorni più tardi, quando tutti
sembrano essersi
ripresi dalle ferite che si sono procurati in battaglia.
Harry
fa ancora fatica a reggersi in piedi perché, stando ai
medici dell’accampamento
Nord, ha perso quantità di sangue disumane.
Hanno
avuto molte perdite, Harry costata nei giorni successivi: ma nessuna
delle
Sentinelle dell’Ovest è stata fatalmente colpito.
Louis
riporta solo una ferita, su un fianco, piuttosto profonda, ma curabile.
Quando
Harry lo rivede per la prima volta, gli si fionda praticamente addosso,
abbracciandolo: Louis gli racconta di come, una volta terminata la
battaglia,
lo fosse andato a cercare e di come aveva trovato i suoi
corpo—accanto a quello
di Othrod—completamente esangue.
“Credevo
fossi morto—Dèi, non puoi capire quanta paura
avessi in quel momento” gli
rivela con la voce tremante, dentro l’abbraccio.
“—Ma
io sapevo—sapevo che non potevi essere morto. Mi avevi
promesso che non saresti
morto.”
Harry
lo guarda. Lo guarda e gli sembra di vederlo sotto una luce molto
più
splendente di quanto non sia: i suoi occhi sono più blu e
limpidi.
Si
baciano, si baciando anche se entrambi sono ancora deboli e anche
quando gli
manca l’aria, si baciano perché ancora tutto
sembra troppo bello per essere
vero.
Festeggiano
con grandi banchetti, tutti elogiano Harry e gli chiedono di raccontare
per
filo e per segno cosa sia accaduto sulla Rupe.
Harry
lo fa, e tutti pendono dalle sue labbra.
Ritornano
al castello coi draghi (solo alcuni sono rimasti gravemente feriti,
durante
l’attacco e gli altri sono perfettamente in grado di volare),
pochi giorni
dopo, e Harry si aggrappa tutto il tempo alla vita di Louis, su Masha,
col
mento appoggiato alla sua spalla.
Lancia
occhiate a Niall, Greg, Calum e Asthon, a Liam e Zayn che volano
vicini, un po’
ammaccati, ma salvi.
Quando
atterra nel cortile della reggia è Gemma la prima ad
andargli incontro—subito
prima di Sheen, che si appollaia sul suo braccio—; lo
abbraccia, quasi
scoppiando in lacrime e lo ringrazia centinaia e centinaia di volte
perché è
tutto davvero finito.
Una
volta per tutte.
Quando
si stacca, gli bacia le guance e gli sorride come se lo vedesse per la
prima
volta.
“Il
nostro popolo sarà fiero di avere un re come te.”
Harry
la guarda: “Gemma, io—io ho preso una decisione che
spero tu accetterai.”
Prende
un profondo respiro, guardandola dritta negli occhi.
“Voglio
sia che sia tu a governare questo
regno.”
Sale
un sussulto generale da tutti i presenti, dalle Sentinelle ai cavalieri
alla
sorella stessa, che spalanca gli occhi:
“C-cosa—?”
“Ascoltami,”
Harry le sorride: “io ho avuto tanta, troppa fortuna
ultimamente. Non sono
forte né potente come sembro. Non ho né il
carattere né la volontà di governare
su un regno come questo, ma—tu sì.”
Le
afferra le spalle, scuotendola piano: “Tu
sei—realista, pragmatica. Riesci
sempre a controllare tutto e assicurarti che tutti stiano bene. Sei
intelligente, istruita, brava con la spada. Io non sono
così; andrei in panico
al primo problema e non riuscirei a risolverlo.” Prende un
profondo respiro:
“Voglio che tu diventi la nuova sovrana di questo regno e non
accetterò
un no come risposta.”
Gemma
lo guarda; gli angoli dei suoi occhi sono ricolmi di lacrime di gioia.
“E
tu dove andrai?” domanda dopo minuti interi:
“Pensavo che saresti rimasto qui—e
saremmo diventanti entrambi Sacerdoti—Non vuoi più
esserlo?”
Harry
sorride, e si sfila dal collo l’anello di ferro dal collo,
posandolo tra le
mani della sorella.
“Io
non ne ho più bisogno.” Lancia uno sguardo a
Louis: “Credo—Credo che tornerò
all’accampamento all’Ovest. Credo che tutto vada
bene così. È quella la mia
casa, adesso.”
Louis
gli sorride di rimando, dolcemente.
Harry
si volta verso la sorella, che sta facendo passare lo sguardo su
entrambi, come
se avesse già capito tutto; lei ha sempre
capito
tutto. Harry
l’adora per questo.
“Prometti
che mi verrai a trovare. Spesso—molto spesso” gli
sussurra.
Harry
l’abbraccia, la stringe forte e si gode il suo profumo dolce
per qualche
attimo.
“Lo
prometto.”
Ritornare
all’accampamento riempie il cuore di Harry di gioia.
È
ormai l’ora del tramonto, quando i draghi raggiungono
l’altopiano e planano;
Harry riappoggia i piedi su quel suolo tanto familiare e si gode
l’aria fresca
della sera.
Sheen
saltella giù dalla sua spalla ed emette uno sbadiglio
gutturale, prima di
zampettare verso Huton per giocare un po’.
La
luce del sole illumina gli alberi, creando giochi di luce e ombra
incredibili.
Tutti,
silenziosamente, si dirigono alle baracche: sono stanchi e vogliono
solo
riposarsi dopo tutto quel viaggio e tutto quello che è
successo.
Liam
ha un braccio stretto intorno alla vita di Zayn e si dirigono dentro la
stessa
branda, in silenzio.
“Sai
che un giorno li ho visti baciarsi?” sussurra Harry a Louis,
appena fuori dalla
loro, di branda.
Il
cavaliere dagli occhi azzurri trattiene uno sbadiglio contro il palmo
della
mano: “Io una volta li ho visti fare di
peggio—credimi.”
Harry
ridacchia. “Non dirmi che sei già stanco,
uh.”
“Ehi,
io—” gli punta un dito contro,
aggrottando le sopracciglia in un’aria
fintamente offesa; l’espressione, però, casca
qualche secondo dopo, appena si
perde negli occhi verdi dell’altro.
Alza
gli angoli della bocca. “Sei così—maturato,
Harry.
Quasi non mi
ricordo di come eri, la prima volta che ti ho incontrato”
dice, dolcemente.
Harry
gli posa una mano sul volto, accarezzandolo. “Irritante?
Infantile?”
“Non
essere così duro con te stesso. È solo
che—mi sembra che tu sia sbocciato. E
ora—ora sei davvero stupendo.”
"Per
quanto possa dirne, non—credo sia stato tu a cambiarmi,
Louis." Gli
sorride: "Penso di essere cresciuto da solo."
"Sono
fiero di averti aiutato in questo." Louis gli preme un bacio leggero
sulla
mascella, facendolo ridacchiare.
"Suppongo
che dovrai continuare ad aiutarmi ancora per un po'."
Harry
si stacca improvvisamente dal suo corpo, osservandolo con una smorfia
indecifrabile sul volto; Louis aggrotta le sopracciglia:
"Cosa
intendi dire?"
"Be'—”
il dito di Harry scorre sulla sua spalla, leggero, prima che il ragazzo
sopprima una risata e si diriga verso la loro branda.
"Forse
domani potrei svegliarmi e non essere più un
Vergine—chi lo sa?"
Ci
vogliono un paio di secondi prima che il cervello di Louis riesca ad
assorbire
l'informazione.
Si
volta di scatto, gli occhi spalancati e un misto di eccitazione ed
adrenalina a
riempirgli le vene, il sonno completamente abbandonato: osserva Harry
lanciargli un'ultima occhiata maliziosa, prima di scomparire
definitivamente
dentro la tenda e fargli segno di seguirlo sul loro letto.
Louis
inspira rumorosamente, mentre si libera già dei primi pezzi
dell’armatura e si
avvia dietro l’altro.
Harry—Harry
domani potrebbe non essere più vergine? Intende
che—?
"Oh.”
deglutisce: “Ooh.”
“So
comes snow after fire, and even dragons have
their endings.”
― J.R.R.
Tolkien
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*enter, fase sclero*
((se
non ne avete ancora abbastanza di questa storia, cliccate qui e morite
con
me))
*exit,
fase sclero*
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