The Promise
«Smettila di lamentarti, Yuu!»
«Ma Mamma, non voglio andare a scuola!»
«Sei già stato a casa due giorni, oggi vai. E non
dire che non ti senti bene perché non ci casco un’altra
volta.».
Con un sonoro sbuffo, Yuu abbandonò ogni tentativo di
convincere la madre a farlo stare a casa da scuola, lasciando che lo
portasse verso quel brutto posto. Yuu voleva bene alla sua mamma, era
dolce e sempre disponibile – oltre a preparargli sempre tanti
piatti buoni dopo la scuola -, ma quando faceva così non
riusciva a sopportarla. Non le costava nulla lasciarlo stare a casa
ancora un giorno, eppure ne faceva un vero dramma. Yuu non riusciva
proprio a capirla.
Rimanendo imbronciato e con le braccia incrociate davanti al
petto, Yuu rimase vicino alla madre per tutta la durata del viaggio in
macchina, lanciandole di tanto in tanto qualche sguardo di puro odio
con la speranza che cambiasse idea improvvisamente. Per sua sfortuna,
la donna dai lunghi capelli corvini rimase ferma sulla sua idea e
parcheggiò l’auto poco lontano dalla scuola, dove alcuni
bambini erano già in cammino con i loro zaini sulle spalle.
«Siamo arrivati. Mi raccomando, non dimenticarti niente in
macchina.» gli disse la mamma mentre slacciava la cintura al
piccolo Yuu. «Guarda che capelli disordinati che hai. Quante
volte ti devo dire di pettinarti prima di uscire?» lo
rimproverò con tono fintamente serio e duro, sistemando con le
mani i capelli scuri del figlio, morbidi e dello stesso colore dei
propri.
Yuu sbuffò ancora una volta, ma il sorriso della mamma lo
rincuorò e capì che non aveva alcun senso prendersela con
lei – dopotutto, non era colpa sua se i bambini erano costretti
ad andare a scuola e stare ore e ore a sentire una persona che sputava
tante parolone e concetti difficili e incomprensibili. Le sue carezze
lo calmarono e l’agitazione si allontanò, lasciando il
posto ad una nuova strana sensazione: dimostrare al mondo che era un
bambino forte, che non si tirava mai indietro davanti alle
difficoltà. Voleva che la mamma fosse fiera di lui e il
comportamento che aveva avuto poco prima non era stato proprio il
migliore, anzi era il comportamento tipico di tanti altri
bambini… e lui non voleva essere come gli altri.
«Hai preso tutto, Yuu?» domandò la donna dopo
aver sistemato i ciuffi confusi del piccolo, regalandogli un altro
sorriso caldo e dolce.
Yuu annuì e prese in mano la valigetta d’alluminio
con dentro la merenda che la mamma gli aveva preparato: degli onigiri con salmone e semi di sesamo e dei dorayaki in miniatura da “dividere con gli amici”,
come gli aveva detto la mamma. Peccato che spesso non riusciva a
mangiare nulla di quello che la madre gli preparava, ma quella era
un’altra storia.
«Bravo! Vuoi che venga con te, mh?».
Il bambino rimase a pensare in silenzio per qualche secondo fino
a prendere una decisione, anche se era quella più scomoda.
«No, vado da solo. A scuola ci sono già i miei amici,
starò con loro.» affermò con convinzione, sperando
che la mamma non capisse che quella era una bugia bella e buona. Yuu,
anche se diceva il contrario, non aveva molti amici – anzi, non
ne aveva proprio. C’era solamente un gruppo di ragazzi
dell’ultimo anno che sembrava notarlo, nonché i ragazzi
che gli rubavano la merenda ogni volta, lasciandolo a stomaco vuoto.
Ecco perché spesso tornava a casa stanco e affamato, ma Yuu non
era capace a reagire: lui era solo un bambino di sette anni, cosa
poteva fare con dei ragazzi di undici e dodici anni? Anche se avesse
trovato la forza di reagire, non poteva di certo competere con loro e
questo lo rendeva molto triste. Voleva essere anche lui forte come
loro, essere il più grande e dare noie a quelli più
piccoli, proprio come faceva Daisuke, il “capo” del gruppo,
e invece era solo un semplice e inutile bambino.
«Allora vado, Mamma. Ci vediamo più tardi!»
salutò Yuu mentre apriva la portiera, saltando giù
dall’auto.
«Fai il bravo, Yuu. Vengo a prenderti al solito
orario.» lo informò prima che il piccolo chiudesse la
portiera, salutando con la mano la mamma.
Prendendo un profondo respiro, Yuu si incamminò verso il
cortile della scuola, svoltando per qualche via e attraversando lo
stradone principale nascondendosi tra gli altri bambini che non
sembravano neppure accorgersi della sua presenza. Quando arrivò
a destinazione, il cortile era già gremito di bambini divisi in
tanti gruppi, ognuno per classe; era difficile vedere i più
grandi mischiarsi con i più piccoli, se non in rari casi. Anche
le classi erano divisi e Yuu cercò la propria, dirigendosi dai
compagni che lo salutarono per educazione. Ricambiò il saluto e
si mise in disparte dagli altri per non interrompere le loro
conversazioni, aspettando che aprissero le porte dell’edificio.
Dopo qualche minuto, le porte della scuola si aprirono e subito
le classi degli ultimi anni corsero verso l’ingresso per entrare
primi, spingendo e allontanando i più piccoli che intralciavano
la loro strada. Yuu trovava quello spettacolo piuttosto squallido, non
capiva il motivo per tanto caos, ma ammirava la forza dei più
grandi che si facevano spazio tra centinaia di bambini; sperava tanto
di crescere forte come loro, così sarebbe stato lui a spintonare
quelli dei primi anni pur di avere il privilegio di entrare per primo.
Per il momento però era meglio stare in disparte se non voleva
le braccia piene di lividi.
Improvvisamente, il gruppetto di ragazzi dell’ultimo anno
che conosceva fin troppo bene gli passò davanti e uno di loro lo
spinse involontariamente, rischiando di farlo inciampare contro un
altro bambino alle sue spalle. Ovviamente nessuno del gruppo si
fermò in loro aiuto, se non l’ultimo della fila, colui che
Yuu più temeva e, allo stesso tempo, ammirava. Daisuke lo
guardò dall’alto verso il basso con un sorrisetto furbo a
piegargli le labbra mentre i suoi occhi color nocciola penetravano
quelli del più piccolo. Non lo vedeva da due giorni e qualcosa
gli suggeriva che lui col suo gruppetto si sarebbe vendicato per quel
breve periodo di assenza.
Yuu sentì un brivido scorrergli lungo la schiena e
avvertì l’impulso di scappare via, ma riuscì in
qualche modo a sopportare il suo sguardo e a rimanere fermo
dov’era mentre riacquistava l’equilibrio. Chissà
cosa voleva trasmettergli con quell’espressione e quel ghigno
sulle labbra… Yuu aveva un po’ paura, ma era pronto ad
affrontarlo – o meglio, era pronto a sopportare le sue minacce e
i suoi giochetti da bulletto.
Il moro prese un sospiro di sollievo quando Daisuke sparì
dalla sua vista e subito si preoccupò di chiedere scusa al
compagno alla quale aveva pestato il piede. Dopo un altro momento di
caos generale, anche Yuu riuscì ad entrare a scuola insieme ai
compagni, andando subito in classe dove lo aspettava un’intera
ora di matematica per la quale nutriva un profondo odio. Fortuna che
dopo avrebbe avuto un’ora di musica, la sua materia preferita,
così si sarebbe divertito un po’.
Quando
la campanella della ricreazione suonò, i bambini non poterono
che essere felici e, con le loro merende, corsero fuori dalle classi
per incontrarsi con gli altri amici e giocare. Tutti erano entusiasti
di poter passare qualche minuto in completa libertà, ma per Yuu
non era così. Per lui non era un momento di svago, ma un momento
di totale agitazione e preoccupazione, con la costante paura di essere
visto da quei bulletti e di rimanere senza merenda – poi quel
giorno aveva anche fame, non voleva farsi rubare il cibo della mamma.
Però, a differenza delle altre volte, quel giorno aveva un
piano: senza farsi vedere, si sarebbe nascosto in un angolo del
giardino che aveva trovato qualche settimana prima e che era diventato
subito il suo rifugio. Arrivato lì, si sarebbe messo seduto ai
piedi dell’albero e avrebbe mangiato la sua buonissima merenda in
tutta pace e calma, senza che qualcuno lo minacciasse. Al solo
pensiero, Yuu si sentì il bambino più forte del mondo,
capace di fare qualsiasi cosa proprio come quei supereroi dei cartoni
animati che guardava prima di andare a dormire.
Così, prendendo la valigetta, percorse l’atrio della
scuola fino a trovarsi all’ingresso dell’edificio,
controllò che i suoi “nemici” non fossero in zona e,
una volta trovata via libera, corse a perdifiato fino al suo piccolo
rifugio, mettendosi comodo ai piedi dell’albero con la schiena
contro il tronco rigido. Attese che il respiro affannato si regolasse
per poi sporgersi per controllare che nessuno l’avesse visto.
Aveva vinto! Per una volta, aveva vinto. Un bambino di sette anni che
era riuscito a vincere su un gruppetto di dodicenni. Appena arrivato a
casa l’avrebbe detto alla mamma, l’avrebbe sicuramente resa
fiera.
Con un grande sorriso, aprì la valigetta
d’alluminio, separò le bacchette usa e getta al suo
interno e osservò meravigliato le prelibatezze della mamma, da
una parte gli onigiri e dall’altra parte cinque piccoli dorayaki ripieni con la marmellata di fagioli rossi, i suoi preferiti. Decise di cominciare dagli onigiri e
li mangiò lentamente, gustandosi tutto il loro sapore delicato
che gli piaceva tanto. Quando ebbe finito con quelle, passò al
dolce: prese un dorayaki e
lo mangiò a piccoli morsi per godersi appieno il loro gusto
dolce e perfetto – la mamma voleva proprio viziarlo a preparargli
quelle cose così buone.
«Hey, guardate un po’ chi c’è.»
Quella voce arrivò così improvvisamente che Yuu
sobbalzò dallo spavento, perdendo la presa sul dolcetto e
facendolo cadere per terra. Alzò lo sguardo e prima che potesse
fare o dire qualcosa, si trovò sollevato dal suolo con entrambe
le braccia bloccate; cercò di liberarsi dalla morsa, ma i
ragazzi avevano una presa forte e salda che gli impediva ogni movimento.
«Lasciatemi andare!» urlò Yuu, mantenendo un
certo sangue freddo. Voleva spaventare e fare capire a quei bulletti
che dovevano smetterla di scherzare con lui, ma i quattro non
sembrarono per niente intimoriti da lui. Anzi, cominciarono a
ridacchiare e i due che gli bloccavano le braccia lo strinsero con
più forza, facendogli liberare un soffocato gemito di dolore.
«Ma abbiamo appena iniziato, non possiamo andarcene
subito.» ghignò il “capo”, mettendosi di
fronte al moretto. Daisuke guardò il più piccolo
dall’alto con sguardo serio, assottigliando appena gli occhi per
studiarlo meglio. «Perché non sei venuto a scuola per due
giorni?» domandò freddamente, abbassandosi fino a trovarsi
a pochi centimetri dal suo viso.
Yuu rimase immobile per tutto quel tempo, ma quando Daisuke si
avvicinò in quel modo, il suo esile corpo cominciò a
tremare. Non gli faceva paura, però c’era qualcosa nel suo
sguardo che lo destabilizzava.
«Non stavo bene.» rispose Yuu con voce lievemente
tremante, prendendo coraggio e guardandolo dritto negli occhi,
imbronciandosi per farlo spaventare.
«Non stavi bene? Oh, povero piccolo Shiroyama! Sei stato a
casa a farti coccolare dalla mamma, mh?» lo stuzzicò
Daisuke, facendo ridacchiare i tre amici. Il ragazzo si abbassò
a prendere la valigetta di Yuu e controllò quello che
c’era dentro, contando solamente quattro dorayaki.
«Ci hai tenuto solo questi quattro cosini, Shiroyama? Sei stato
davvero maleducato, mamma non ti ha insegnato che la merenda va divisa
con gli amici?» commentò con un sospiro, prendendo un dorayaki e
cominciando a mangiarlo mentre passava gli altri ai suoi amici. I due
che tenevano Yuu mollarono la presa per mangiare il dolce,
dimenticandosi per il momento di lui.
Una volta libero, Yuu si massaggiò le spalle e vide
Daisuke buttare per terra la valigetta d’alluminio senza il
minimo sentimento. Di fronte a quella scena, il moro si incendiò
di rabbia e si morse il labbro, chiudendo le mani a pugno dalla
tensione. «Qui l’unico maleducato sei tu…».
Yuu non sapeva dove aveva trovato il coraggio di dire quelle parole si
sorprese di se stesso. Non sapeva se essere felice oppure preoccupato
per come gliel’avrebbero fatta pagare quei bulletti.
Infatti, uno dei quattro subito fece qualche passo avanti
minacciosamente, ma Daisuke lo fermò prima che potesse anche
solo sfiorare Yuu. «Stai fermo, questa è una questione che
non ti riguarda. Il piccolo e coraggioso Shiroyama stava parlando di
me.» ammonì l’amico Daisuke, spingendolo in disparte
insieme agli altri. Si voltò verso Yuu mentre buttava a terra il
pezzo di dolce che gli restava da mangiare, fulminando con lo sguardo.
«Ora vediamo se avrai voglia di parlare ancora, moccioso.»
ringhiò Daisuke prima di avventarsi sul più piccolo.
Yuu fu afferrato per le spalle e spinto fino a sbattere la
schiena contro l’albero, picchiando la testa contro il legno. La
mano di Daisuke gli si serrò intorno al mento, immobilizzandolo
in modo da non farlo scappare. La sua testa premeva contro la pianta e
Yuu avvertiva un forte dolore in quella zona, tanto che gli vennero gli
occhi lucidi. Nonostante la paura e il male che provava, il bambino
riuscì ancora una volta a sopportare lo sguardo del più
grande, rimanendo stupito e un po’ confuso nell’incrociare
i suoi occhi: Daisuke non aveva più un’espressione
risoluta e coraggiosa come poco prima, ma abbattuta e quasi pentita,
come se si fosse reso conto di non essersi comportato bene con lui.
Anche nel modo in cui lo teneva c’era qualcosa di poco
convincente, non lo stringeva come avevano fatto gli altri due, con
forza e sicurezza, ma con una certa esitazione, come se temesse di
fargli del male.
Per un momento, i due si guardarono senza dire una parola e senza
fare il minimo rumore. Tutto si fermò intorno a loro e i loro
occhi erano riflessi l’uno nell’altro, come dei profondi
specchi in grado di vedere nel profondo dell’anima di entrambi.
«Andou! Lascia andare quel bambino immediatamente!»
una voce acuta e severa li interruppe e Daisuke, sentito il proprio
nome, si voltò nella direzione del suono con aria confusa. Non
sapeva cosa stava succedendo e non sapeva neanche che fine avessero
fatto i suoi amici visto che fino a qualche secondo prima erano vicino
a lui, ma una cosa era certa: guai in vista.
Liberando Yuu, Daisuke si voltò verso l’insegnate e
tenne il volto basso dalla vergogna, inchinandosi in segno di rispetto.
«Maestro, mi dispiace per quello che ho fatto. Non lo farò
più.» disse pentito, tenendo il viso nascosto
dall’imbarazzo. Si sentiva davvero un verme per il comportamento
di poco prima, una nullità.
«Andou, non voglio sentire altre parole. Sei in
punizione.» lo interruppe l’insegnante con freddezza,
voltandosi poi verso il più piccolo. «Tu stai bene,
invece?» domandò con una tenerezza forzata, per nulla
sincera.
Massaggiando la zona della testa che gli doleva, Yuu annuì
e aprì la bocca per dire qualcosa, liberando solamente un
incomprensibile gemito. Anche se gli aveva fatto del male, Yuu voleva
cercare di difendere Daisuke davanti al maestro per evitargli un
pomeriggio di punizione, ma non riuscì neanche a dire mezza
parola in suo favore. Vedere il maestro tanto arrabbiato gli aveva
tolto ogni forza e così rimase immobile mentre Daisuke veniva
portato all’interno della scuola, con la testa china e
un’espressione delusa dipinta in volto.
Solamente quando i due sparirono all’interno
dell’edificio Yuu prese la valigetta gettata in terra, la
spolverò con cura e si buttò di nuovo ai piedi
dell’albero, portandosi le gambe al petto e facendosi piccolo,
come se volesse sparare dal mondo, in attesa della prossima campanella.
Yuu
dovette attendere altre ore prima di essere finalmente libero dalle
quattro mura della classe. Non appena la campanella dell’ultima
lezione suonò, il bambino sistemò lo zaino e corse subito
fuori dalla scuola in direzione del parcheggio, dove la mamma lo stava
aspettando. Ovviamente, non le disse niente di quello che era successo
e la rassicurò dicendole che tutto era andato bene e che aveva
diviso i dorayaki con i suoi amici, proprio come gli aveva detto lei.
La giornata di Yuu però non era ancora finita. Infatti,
dopo una breve merenda a casa, il ragazzo dovette uscire di nuovo per
andare a ripetizione da una signora del quartiere che insegnava
matematica. Yuu raggiunse la casa della signora a piedi dopo aver
percorso qualche centinaio di metri e rimase con lei per un paio di
ore, costretto a fare tutti gli esercizi che non riusciva proprio a
capire.
Quando ebbe finito, il sole stava già tramontando nel
cielo e Yuu decise di fermarsi al parco del quartiere prima di tornare
a casa per cena – intanto era ancora presto, la mamma non si
sarebbe di certo arrabbiata. Il parco era deserto e Yuu decise di
sedersi su una vecchia panchina da dove riusciva a vedere perfettamente
il cielo del tramonto. Amava quel momento della giornata: pochi rumori,
poche persone per strada, pochi disturbi esterni. Era un momento di
pura serenità per Yuu e quel giorno ne aveva davvero bisogno
vista la tormentata mattinata a scuola. Chissà come stava
Daisuke… lo aveva pensato spesso durante la giornata,
immaginandolo impegnato a pulire tutte le lavagne e i cancellini della
scuola circondato da una nuvola bianca di gesso. Si sentiva davvero in
colpa per non averlo difeso ed era molto deluso da se stesso. Diceva
tanto di voler diventare un bambino coraggioso e invece non era neanche
stato in grado di tirare fuori la voce nel momento adatto.
Con un profondo sospiro, Yuu chiuse gli occhi e cercò di
liberare la mente da tutti quei pensieri, concentrando
l’attenzione sui suoni della natura intorno a lui. Piano piano
cominciò a farsi strada una sensazione di tranquillità e
pace interiore nel suo corpicino, facendolo sentire ancora una volta un
bambino forte e coraggioso: non sarebbe mai più accaduta una
situazione del genere, la prossima volta avrebbe reagito da vero
supereroe, non avrebbe accettato il contrario. «Sì, solo
io posso salvare i più deboli dai cattivi.» disse con
convinzione ad alta voce prima di lanciare un urlo non appena schiuse
gli occhi. Yuu sobbalzò dalla panchina e sul suo volto si
dipinse un’espressione di panico e spavento, come se avesse
appena visto un fantasma.
Non aveva visto un fantasma, ma non si aspettava nemmeno di
trovarsi davanti Daisuke che lo guardava con curiosità,
chiedendosi sicuramente con chi diavolo stava parlando Yuu
poiché era solo nel parco. Lo fissò in silenzio per un
attimo che sembrò interminabile, non riuscendo a capire se
Daisuke si trovasse realmente lì oppure fosse solo frutto della
sua immaginazione.
«Ehm… ciao. Posso sedermi?» esordì il
più grande un po’ impacciato, indicando il posto vuoto
sulla panchina.
Yuu, ancora spaventato, annuì nervosamente e si spinse sul
bordo della panchina mentre Daisuke si sedeva, prendendo le distanze
per paura che gli facesse qualcosa di brutto. Non aveva nulla da farsi
rubare questa volta, quindi Daisuke poteva benissimo sfogare le sue
frustrazioni sul corpo di Yuu: poteva picchiarlo, prenderlo a calci,
graffiarlo, tiragli i capelli e dirgli tutte le parole peggiori
immaginabili. In pochissimi secondi, Yuu si immaginò tutti i
modi più crudeli che Daisuke poteva adottare per fargli del
male, eppure il ragazzo sembrava piuttosto calmo. Si poteva notare la
stanchezza nei suoi occhi, sicuramente dovuta alle ore extra che aveva
passato a scuola, e anche quella che Yuu pensava fosse tristezza. Era
abituato a vederlo sicuro di sé e coraggioso come pochi, vederlo
così era un’esperienza del tutto nuova per il moro: i suoi
capelli castani scuri erano sfatti e il suo viso paffutello era
più smorto che mai, facendolo sembrare debole e indifeso. In
quello stato Daisuke non avrebbe mai picchiato Yuu e, se anche ci
avesse provato, non sarebbe riuscito a fargli del male. Così,
sicuro che Daisuke sarebbe stato tranquillo, tornò a mettersi
comodo sulla panchina e tenne lo sguardo fisso su di lui in profondo
silenzio, non sapendo cosa dire.
«Sai, di solito vengo qua con le mie sorelline dopo cena,
ma papà ha detto che stasera pioverà quindi sono venuto
da solo.» cominciò Daisuke con fare un po’ pensoso,
abbozzando un sorriso al pensiero delle sorelle. Anche se aveva
solamente dodici anni, Daisuke nutriva un profondo affetto per loro ed
era pronto a proteggerle da ogni pericolo. Forse era per quel motivo
che aveva cominciato a fare il bulletto, per far vedere alle sue
sorelline quanto fosse forte il loro fratello. «Non pensavo di
trovarti qui. A quanto pare, viviamo nella stessa prefettura.»
Era vero, Yuu non ci era arrivato; se Daisuke era in quel parco,
voleva dire che abitava anche lui nei paraggi e quindi nella sua stessa
prefettura. Che strano però, non l’aveva mai visto in
giro, un viso così particolare e piacevole se lo sarebbe
ricordato.
«Comunque, per quello che è successo oggi…
beh, mi dispiace.» riprese Daisuke, voltandosi finalmente a
guardare il ragazzo che aveva di fianco. Il viso di Yuu era davvero
particolare ora che lo osservava meglio, diversa da tutti gli altri
bambini. Soprattutto le sue labbra avevano una forma inusuale, molto
elegante dalle linee ben definite che gli dava uno strano aspetto
femminile. I suoi occhi invece erano due pozzi profondi e neri, dentro
i quali il ragazzo si perse immediatamente: non li aveva mai visti
sotto quella luce e doveva ammettere che erano davvero belli.
«C-cosa?» pigolò confuso, rimanendo
sconcertato dalla sincerità di quelle scuse. Tutto si aspettava
dal ragazzo, ma mai si sarebbe immaginato che Daisuke, così
impavido e fiero, si sarebbe scusato con un semplice bambino come lui.
Daisuke non riuscì a trattenere un sorriso di fronte alla
tenerezza del moro, mostrando i denti lievemente sporgenti e un poco
storti. «Per quello che è successo oggi, a scuola. Volevo
scusarmi per averti dato fastidio per tutto questo tempo, sono stato un
vero idiota.» esordì di nuovo con rammarico, ripercorrendo
tutto ciò che aveva fatto al povero Yuu. Non si meritava quelle
cose, dopotutto non aveva fatto niente per subire i fastidi di quattro
ragazzi annoiati e troppo esuberanti. «Ho capito che fare il
bulletto non fa per me, quindi puoi stare tranquillo da domani in
poi.» concluse con convinzione, regalando un sorriso sincero a
Yuu.
Il moro inarcò le sopracciglia, non riuscendo a capire
bene perché Daisuke era cambiato così tanto in
così poco tempo. Forse la punizione gli era servata a
qualcosa… però c’era una questione che ancora non
lo faceva sentire del tutto al sicuro e, al sol pensiero, gli vennero i
brividi. «E i tuoi amici? Sono sicuro che loro continueranno a
darmi fastidio.»
«Ti sbagli, non ti daranno fastidio. E se solo ci
proveranno, ti difenderò io da loro. Te lo prometto.»
rispose subito Daisuke, serio e convinto. Per rendere ufficiale la loro
promessa, Daisuke allungò la mano verso di lui e la chiuse a
pugno, tenendo soltanto il mignolo teso.
Yuu osservò prima il dito e poi il volto del ragazzo, non
ancora del tutto convinto se fidarsi o meno. La mamma gli aveva sempre
detto che una promessa durava per tutta la vita e doveva essere
mantenuta per sempre, a prescindere da quello che sarebbe accaduto. Con
quella promessa, Daisuke si proponeva di difenderlo da ogni male per il
resto della vita e, nonostante i vari dubbi a riguardo, Yuu ci voleva
credere. Voleva credere a lui, alla sua promessa e alla sua protezione.
Dopo un attimo di esitazione, il moro allungò a sua volta la
mano e intrecciò il mignolo a quello di Daisuke, facendolo
oscillare lentamente. La sua mano era morbida e tiepida, più
grande della propria da dargli un senso di serenità e protezione.
I due ragazzi rimasero con le dita unite fino a quando Daisuke
non sciolse quella leggera stretta, guardandosi il palmo della mano
dove avvertiva ancora il calore della piccola mano di Yuu. Con quella
promessa, sapeva di essersi legato a Yuu per sempre e, da quel momento
in poi, avrebbe fatto di tutto pur di proteggerlo. Voleva mantenere la
promessa sia per se stesso, per non trovarsi deluso per
l’ennesima volta, e sia per quel bambino dagli occhi neri e le
labbra da femminuccia.
«Ormai è buio. Se non torno a casa, mia mamma si
preoccuperà.» mormorò Daisuke, osservando il cielo
scuro dopo il tramonto. Si alzò dalla panchina e sorrise a Yuu,
inclinando appena il capo. «Tu non vai a casa?»
Yuu guardò l’orologio al polso e si accorse di
essere in ritardo di qualche minuto: a quell’ora doveva essere
già a casa, la mamma doveva essere in pensiero.
«Sì, vado anche io.» rispose, saltando già
dalla panchina e mettendosi lo zaino in spalla.
«Vuoi che ti accompagni?».
Il bambino dai capelli corvini rimase perplesso, non capendo il
significato della domanda. «P-posso farcela anche da solo…
grazie.» pigolò non molto convinto, annuendo col capo. Non
gli sarebbe dispiaciuto passare più tempo con lui, ma non poteva
assolutamente accettare quella proposta. Non sapeva il perché,
ma sentiva che gli sarebbe mancato troppo se fosse rimasto ancora con
lui perché Daisuke… era il suo amico.
Esatto, era suo amico ed era l’unico che sembrava accorgersi
della sua esistenza al di fuori della famiglia. «Adesso devo
proprio andare, mi dispiace.» esordì dopo quei brevi
pensieri, controllando velocemente di non aver dimenticato nulla.
«Ah, certo. Allora ci vediamo a scuola!»
esclamò Daisuke, posando la mano sulla testa di Yuu e
arruffandogli un po’ i capelli fini e incredibilmente morbidi.
Il piccolo ridacchiò divertito e arrossì,
liberandosi da lui e sistemandosi i capelli con un finto broncio sul
viso. «Va bene. Ci vediamo domani!» confermò Yuu,
sorridendogli e salutandolo con la mano mentre si allontanava da lui.
Vide Daisuke ricambiare il saluto per poi prendere la strada di casa,
sparendo dietro gli alberi del parchetto.
Con un sospiro rilassato, Yuu corse verso casa mentre pensava a Daisuke, al suo amico. Anzi, amico speciale. Era
felicissimo, così felice da poter toccare il cielo con un dito.
Quindi è così che ci si sente quando si ha un amico sul
quale contare? Non vedeva l’ora del domani, così lo
avrebbe rivisto, avrebbe passato altro tempo con lui e, chissà,
magari avrebbero anche mangiato insieme i dorayaki preparati dalla mamma senza farseli rubare.
Buonsalve a tutti!
Dopo quasi un anno a stalkerare (?) un po’ in giro, mi sono
decisa a pubblicare la mia prima storia (grazie anche a spinte esterne,
eheh).
Che dire… so che molti penseranno che la coppia è un
po’ improbabile e strana, ma dovete sapere che, purtroppo per me,
è la mia coppia preferita e mi ispirano tantissime idee nuove
– quindi se mi prendo bene, potrei pubblicare tante altre storie
di loro a prescindere da questa <3
Per il momento vi lascio al racconto del piccolo Yuu e al suo
amico-nemico Daisuke, ma aspettatevi un continuo della loro
“amicizia speciale” (sperando che l’ispirazione non
scappi via).
Scusate eventuali errori e sono ben accetti commenti di qualsiasi tipo.
Detto questo, ci vediamo presto!
- Panda