087. Memories
Ricordi
"We keep this love in a photograph
We made these memories for ourselves
Where our eyes are never closing
Hearts are never broken
Times forever frozen still", Photograph, Ed Sheeran
Il maggiore Mustang salutò il capitano Hughes e si
diresse alla sua tenda al centro dell'accampamento. Anche Maes era finito in
quel maledetto buco d'inferno. Chissà se ne sarebbero usciti. Certi giorni
sperava di sì, altri invece, quando il senso di colpa gli rimescolava i succhi gastrici,
sperava di finire nel bel mezzo di uno scontro a fuoco e di non sopravvivere
per raccontarlo.
Nonostante tutto, però, Roy aveva visto bene il
suo amico. Hughes era persino riuscito a strappargli una risata, quando era
arrivata la lettera della splendida donna, del "futuro meraviglioso" che
lo aspettava a Central una volta conclusa la guerra. Glacier gli aveva anche
mandato una foto: era una ragazza graziosa, capelli castani, occhi chiari e un
delizioso sorriso che ben si sposava con l'abitino estivo azzurro polveroso che
indossava. Tutto orgoglioso, Maes l'aveva baciata e strofinata sulla guancia,
per poi riporla nel taschino della divisa, vicino al cuore, come un talismano.
Quando Roy si era trovato finalmente solo nella
sua tenda, aveva recuperato il suo talismano. Lo custodiva nel suo orologio
d'argento che gli pendeva al collo. Le due cose cui più teneva, che per lui
contavano più di ogni altra cosa al mondo premevano, dandogli sicurezza,
sulla cassa toracica: l'alchimia e Riza.
Lei aveva dodici o tredici anni - non ne era
proprio sicuro - ma di certo non poteva averne di più. Aveva lo sguardo acceso,
sorpreso e leggermente imbarazzato di chi si scopre carina, un fiore in boccio
pronto a schiudersi. I capelli corti erano leggermente in disordine.
Roy aveva rubato quella fotografia il giorno del
funerale del suo maestro. L'aveva trovata tra le carte sparse sulla scrivania e
se l'era presa, prima ancora di scoprire i segreti dell'alchimia di fuoco. Il
maestro gli aveva chiesto di prendersi cura di sua figlia e lui aveva
miseramente fallito. Era sempre stata Riza a prendersi cura di lui, anche in
quel deserto, che con il suo sorriso innocente e gli occhi dolci continuava a
proteggerlo. Lui per lei non aveva mai fatto nulla.
La Riza che aveva rivisto tra le migliaia di altri
soldati ad Ishbar sembrava un'estranea rispetto a quella che il Maggiore
serbava gelosamente nel suo orologio.
Lui l'avrebbe desiderata tale e quale a quella dei
suoi ricordi: timida, remissiva, dolce, vestita con semplicità per non dare
nell'occhio. Innocente, inconsapevole di morte e devastazione, libera dal peso
della colpa.
A volte pensava addirittura di essersela costruita
quella Riza, di essersi costruito ricordi felici con lei durante
l'addestramento, o con Maes durante l'accademia militare.
Passò il pollice sulla fotografia per togliere la
polvere e la sabbia che gli restituivano un'immagine opaca e rinfilò l'orologio
d'argento sotto la camicia, a contatto con la pelle; chiuse gli occhi e richiamò
tutti i dettagli di un momento felice del passato, gli odori, i suoni, i
colori. La perfezione per pochi attimi.
***
Scorse Riza accucciata su un piccolo avvallamento
di terra.
Un ricordo colpì Roy come uno schiaffo: il giorno
in cui la foto preziosa, che l'aveva protetto fino alla fine del conflitto, era
stata scattata. Riza se ne stava accucciata a terra e con le mani a coppa
compattava il terriccio umido della piantina di pomodori che aveva appena
piantato nel giardino sul retro di casa. Avevano riso di cuore quando lei, per
scostarsi la frangia dagli occhi, si era lasciata uno striscio di terra proprio
sotto l'occhio.
«Non vai? Se non ti sbrighi , ti lasceranno qui».
A Roy non venne in mente niente altro da dire e si sentì uno stupido per
questo.
Lei non rispose, intenta com'era a compattare
quella terra arida e polverosa. Chiaramente una tomba improvvisata. Se solo avesse
potuto, Roy sarebbe tornato a quei giorni di pomodori e strisciate di terra sul
viso.
«Era un tuo commilitone?» domandò per costringerla
a girarsi.
«No. Un bambino di Ishbar. Gli avevano sparato e
poi l'avevano lasciato in mezzo alla strada».
La posa era la stessa della fotografia. Riza aveva
uno sbaffo sulla guancia, sotto l'occhio. Sangue. Chissà di chi.
«Andiamocene. La guerra è finita».
NOTE:
Ok. Sono in imbarazzante ritardo. Nessuna scusa. Però...
Però: ho finito gli esami all'università, tipo per sempre. Adesso manca "solo" la tesi. E per questo sono felice. Sono anche felice perché posso fare il rewatch di FMA, senza pesi sulla coscienza "vai a studiare sanscrito, sciagurata!" [Sì, ho studiato sanscrito. Le ragioni sono ancora ignote alla sottoscritta]. E ho comprato il character book di FMA, che in realtà non dice niente di nuovo, ma è tanto bellino e mi fa sperare in una traduzione del Chronicle.
Tornando al theme: doveva essere una cosa completamente diversa. Ma va?!? E l'ho scritto venerdì 17, in piscina mentre Caronte flagellava tutti noi, quindi è una schifezza. Ma fa troppo caldo e il mio cervello ha raggiunto l'ispirazione in ferie. Si stanno gustando un Margarita in spiaggia, quindi... quindi teniamo questa cosa sperando in themes migliori.
Torno a sciogliermi e sudare. Sayonara!