Dietro
ad un sorriso
Capitolo
1 – Me, Myself & I
*
Flashback*
1989
Non mi avevano mai spaventate le strade di notte. Certo, erano
buie, ma io non avevo mai avuto paura del buio. Mia madre diceva sempre
che ero una ragazza forte, che non si abbatteva mai e cercava sempre
una soluzione ai suoi problemi. Non era la prima volta che uscivo la
sera da sola, mi era già capitato più volte ed
era sempre andato tutto liscio.
Questa volta, però, c'era qualcosa che mi faceva venire i
brividi. Non sapevo cosa, forse l'aria gelida, oppure la strada vicina
alla periferia, sapevo solo che non vedevo l'ora di tornare a casa.
Mi stavo spostando una ciocca di capelli finita sul viso, quando sentii
un rumore improvviso alla mia destra.
Mi girai all'istante per controllare e vidi un gattino che saltava
giù da un secchio dell'immondizia. Sospirai di sollievo e
ripresi a camminare.
Guardavo dritta davanti a me, ascoltando solo il rumore dei miei passi.
Camminai e camminai, fino a quando sentii altri due piedi seguire i
miei.
Quando me ne accorsi, decisi di far finta di niente, anche se dentro
avevo un turbinio di emozioni che mi scuotevano.
Camminavo a passo svelto finché una mano ruvida prese il mio
polso e mi spinse contro il muro alla mia sinistra.
L'uomo davanti a me, aveva un viso rude, inquietante, ma quello che
più mi colpì fu la cattiveria che emanavano i
suoi occhi.
<< Ehi, bellezza, dove ce ne andiamo
in giro tutte sole solette, eh? >>.
Non sapevo se fosse per la paura o per il suo alito che puzzava di
alcool, ma per un attimo, credetti di svenire.
<< Lasciami, non mi toccare!
>>.
<< Come siamo nervosette! Adesso
vieni con me e vedi di fare la brava bambina >>.
Cercai di opporre resistenza con tutte le mie forze, ma fu tutto
inutile, di lì a poco, avrei subito quello che mi avrebbe
cambiato la vita per sempre.
*Fine
Flashback*
Ricordare faceva sempre male, soprattutto quando l'unica cosa che
volevo era quella di dimenticare tutto, anche il più
insignificante dettaglio. Ma, come se i miei ricordi quotidiani non
bastassero, la notte ci si mettevano anche gli incubi a tormentarmi,
dandomi il loro pessimo buongiorno la mattina.
Da quel fatidico giorno erano passati ben 4 anni, ora ero una
venticinquenne, ero cresciuta, avevo un lavoro, la mia vita, ma una
parte di me era sempre con la mente rivolta a quell'episodio che mi
aveva stravolto l’esistenza.
Inutile dire che in quei 4 anni non avevo mai conosciuto l'amore, non
sapevo cosa fosse, cosa si provasse ad amare, ad avere una persona al
tuo fianco. Forse ero destinata a non scoprirlo mai, perché
l'amore ha bisogno di fiducia e io l'avevo persa da molto tempo ormai.
Sbadigliai, mentre con una rapida occhiata controllavo l'orario
sull'orologio appeso alla mia destra: le 8:00 precise.
Quel giorno era domenica, quindi niente lavoro, ma avevo comunque un
mucchio di cose da fare, come incartare i regali di Natale per i
bambini dell'orfanotrofio nel quale ogni tanto facevo visita.
Come in ogni Natale, anche quest'anno avevo comprato dei giocattoli da
regalare a quei bambini, a cui ormai ero affezionata. Mi piaceva andare
a trovarli perché li trovavo speciali, non avevano nessuno
eppure riuscivano sempre a regalare un sorriso a chiunque. Avevano una
forza spettacolare che mi sorprendeva e mi travolgeva, non capivo mai
dove la prendessero, ma desideravo di poterne avere anche un quarto, di
sicuro mi sarebbe bastata.
Andai in cucina, ascoltando le richieste del mio povero stomaco, e
addentai un biscotto al cioccolato, mentre mi sistemavo su una delle
sedie che davano sul terrazzino di casa. Per mia fortuna al di fuori
avevo un panorama splendido, e siccome la colazione era il momento
della giornata che più preferivo, oltre al tramonto, ogni
mattina godevo di quei pochi attimi facendo scorrere gli occhi sulle
distese di alberi che si trovavano intorno casa.
Era un momento talmente rilassante che delle volte dimenticavo
addirittura chi io fossi, e che cosa avessi passato.
Come
oggi, ero così immersa nella pace che non mi accorsi subito
di un suono acuto e totalmente fuori luogo dallo stato di
serenità che stavo vivendo. Quando realizzai che il telefono
stesse squillando, cominciai a correre come una pazza per tutto il
corridoio, cercando di schivare, con scarsi risultati, i vasi e i
mobili che incontravo durante il mio tragitto.
Arrivata in camera, controllai il numero sul display: era mia madre.
<< Pronto, mamma? >>.
<< Isabella, come stai?
>>.
Mia madre, Elizabeth, era una delle persone più dolci e
sognatrici che io avessi mai conosciuto. Era bello parlare con lei,
perché sapeva ascoltarti senza mai farti domande o
giudicarti. Ogni qual volta avevo un problema o semplicemente sentivo
il bisogno di sfogarmi, andavo da lei e lei c'era sempre.
<< Io sto bene, mamma. Tu?
>>.
<< Benissimo. Senti,
perché non passi da me, così ti aiuto ad
incartare i regali per i bambini >>.
<< Va bene, arrivo tra una mezz'ora.
Ciao >>.
Mi salutò e riattaccò il telefono.
Girandomi, mi trovai davanti allo specchio e solo in quel momento mi
ricordai di essere ancora con il mio adorato pigiama invernale con i
pupazzetti rosa stampati addosso. Pertanto decisi di andare a farmi una
bella doccia rinfrescante, per poi vestirmi comoda e andare da mia
madre.
Come avevo detto, circa una mezz'oretta dopo ero arrivata a
destinazione e come sempre lei era davanti al portone ad aspettarmi.
Che mamma apprensiva!
<< Ciao mamma! >>.
<< Ciao, aspetta che ti aiuto a
portare dentro i regali >>.
Entrate, disponemmo i regali per terra.
<< Cavolo! Avremo un bel
po’ da fare. Allora, succo al mirtillo come sempre?
>>.
<< Come sempre >>.
La vidi scomparire verso la cucina, mentre io mi sedevo sul divano del
salotto.
Quel giorno ero contentissima. Non vedevo l'ora di rincontrare quei
bambini sfortunati, ai quali ormai mi ero troppo affezionata.
Dopo qualche minuto, ritornò con un bicchiere pieno di succo.
<< Tieni. Allora, io inizio subito,
così siamo avvantaggiate. Metto un po’ di musica
per non annoiarci a morte >>.
Andò verso lo stereo e la vidi trafficare con la sua
raccolta immensa di CD. Qualche secondo dopo una musica inconfondibile
invase la stanza.
Guardai mia madre di traverso. Sapeva che non lo sopportavo, che lo
odiavo, eppure ogni volta lei si ostinava a mettere un suo CD in mia
presenza.
<< Mamma, per favore, puoi levare
questa roba? >>.
<< Questa roba? Ehi, questa
è la musica del King of Pop, un po’ di rispetto!
>>.
Mi rispose con il suo solito sorriso scherzoso sulle labbra. La guardai
fisso, gli occhi diventati due fessure.
<< No, questa è la musica
di un pedofilo >>.
Vidi il suo sorriso spegnersi a poco a poco e i suoi occhi farsi tristi.
<< Isabella, sai che non
è vero, lo dici solo perché ti ricorda ...
>>.
<< No, non è vero! Non
centra niente quell'episodio! Mamma, come puoi venerare una persona del
genere? Ha molestato dei bambini, lo dicono tutti i giornali
>>.
<< E tu ci credi? Credi a degli
stupidi pezzi di carta? >>.
<< No, credo solamente a quello che
vedo >>.
<< Allora cerca di vedere i suoi
occhi ma non fermarti al superficiale, va più in
là, cerca di leggerli, di esplorarli e poi dimmi cosa ci
vedi >>.
Rimasi a fissarla, muta, con la bocca leggermente aperta, cercando di
trovare qualcosa da dire. Non erano tanto le sue parole ad avermi
colpito, ma il suo sguardo, quegli occhi lucidi e commossi.
Perché lei credeva nella sua innocenza? Cosa vedevano lei e
tutti i suoi fan nei suoi occhi? Perché tanta
lealtà e fiducia?
Cercai di ricompormi e di riacquistare un tono di voce sufficientemente
sicuro.
<< Queste sono senza dubbio belle
parole mamma, parole di chi sogna, ma con i sogni non si va da nessuna
parte, non si raggiunge la verità >>.
Scosse leggermente la testa, lo sguardo dispiaciuto ma allo stesso
tempo determinato.
<< No, Isa, non si tratta di
sognare, si tratta di entrare nel mondo di una persona per poterla poi
giudicare, conoscere i suoi pensieri, il suo cuore, insomma si tratta
semplicemente di conoscere, quello che tu non hai mai fatto in questi 4
anni, arrivando a chiuderti in te stessa >>.
In un primo momento avvertii un moto di rabbia incontrollabile,
perché nessuno poteva sapere che inferno avessi passato in
quegli anni, e nessuno poteva permettersi di giudicare le mie scelte e
i miei timori, nemmeno mia madre.
Ma … alla fine rimasi paralizzata, per la seconda volta non
sapevo cosa rispondere perché in fondo, sapevo perfettamente
che aveva ragione.
Già, era così, con le mie paure, il mio
giudicare, i miei ricordi, ero arrivata all'età di 25 anni
senza aver mai conosciuto il mondo. Mi ero costruita una barriera,
nella quale nessuno era mai riuscito ad entrare. I miei sentimenti, le
mie emozioni erano sempre rimaste sopite in un angolo del mio cuore,
impedendomi di vivere e soprattutto di amare. Cosa ero diventata? Una
persona cinica, priva di sentimenti, una persona che giudica senza
prima conoscere. Era questo che volevo dalla mia vita?
Il resto della mattinata, la passammo ad incartare i regali in assoluto
silenzio. Avevo troppe domande che mi passavano per la testa e che mi
distolsero dalla realtà.
L'appuntamento all'orfanotrofio era per le 16:00 del pomeriggio.
Dopo aver pranzato e fatto un piccolo sonnellino, il tempo di partire
arrivò, per la mia felicità. Non vedevo l'ora di
distrarmi da quei pensieri e di riabbracciare i bambini.
Prendemmo la mia macchina e in 10 minuti arrivammo al parcheggio
privato dell'orfanotrofio. Notai che c'erano molte macchine di lusso,
tra cui una limousine nera.
Guardai interrogativa mia madre che per tutta risposta alzò
le spalle facendo un sorriso che non mi convinse per nulla.
Dopo aver parcheggiato, prendemmo ognuna un sacco con dentro i regali e
ci incamminammo verso l'entrata.
La direttrice dell'orfanotrofio era una delle migliori amiche fin
dall'infanzia di mia madre, per cui mi conosceva da quando ero nata.
Era una persona molto espansiva e solare, per questo, appena mi vide,
corse ad abbracciarmi.
<< Isabella! Sono contenta che anche
quest'anno tu sia venuta! >>.
<< Ehm, Claire, anch'io sono
contenta. Però, se continui a stringermi così,
non credo che sopravvivrò abbastanza per poter consegnare
questi regali! >>.
Staccò subito la presa e mi guardò dispiaciuta.
<< Scusa, mi faccio sempre prendere
dall'emozione >>.
<< Non preoccuparti, ormai ti
conosco. Comunque anch’io sono felice di essere qua. E tra
poco è Natale, non posso mancare a questo appuntamento con i
bambini >>.
Claire mi sorrise, evidentemente soddisfatta e commossa.
Presi anche il sacco di mia madre, che nel frattempo veniva anche lei
strangolata dalla felicità della sua migliore amica, e mi
trascinai con i due sacchi nella sala dove si trovavano tutti i bambini.
Più
mi avvicinavo e più qualcosa non mi quadrava. Innanzitutto
ad un lato della porta c’era un omone gigantesco tutto
vestito di nero. Aveva un’aria molto professionale ma non
riuscii a capire quale fosse il suo ruolo in quel posto. Inoltre, ogni
volta che entravo nell’orfanotrofio c’era una
caciara assurda. Chi correva a destra e a sinistra, chi faceva scherzi
agli altri, chi cantava e ballava … ma oggi il silenzio
assoluto. Solo una voce riuscivo ad udire e man mano che raggiungevo il
grande portone dell’aula magna, si faceva sempre
più alta. Era una voce da uomo, ma con qualche nota dolce e
una cadenza quasi musicale.
Quando infine arrivai davanti alla porta, l’omone fece un
passo in laterale, ostruendomi il passaggio.
<<
Mi scusi, cosa sta facendo? >>, chiesi, il più
carinamente possibile, visto che già mi stavo scaldando.
<<
Lei chi è? Cosa c’è in quei sacchi?
>>, mi rispose, deviando la mia domanda.
Cos’aveva quest’uomo che non andava? Se pensava di
intimorirmi solo perché era il doppio di me, si sbagliava di
grosso.
<<
Mi chiamo Isabella, sono un’abituale visitatrice
dell’orfanotrofio e considerando che tra un po’
è Natale non so cos’altro possa esserci in questi
sacchi se non dei regali! – risposi, un po’
stizzita – Di certo non sono una serial killer!
>>.
L’omone abbozzò un sorriso divertito e con uno
scatto liberò il passaggio, facendomi segno di entrare.
<<
Di questi tempi non si può mai sapere, signorina >>,
disse, sempre sorridendo.
Alzai le sopracciglia, confusa e interrogativa. Ma poi scossi la testa
e lo salutai con un cenno del capo.
Stavo
ancora chiedendomi il motivo di tutta quella segretezza quando
un’occhiata veloce all’interno del salone mi fece
bloccare di colpo.
Seduto per terra vicino all'albero di natale, con attorno tutti i
bambini che lo guardavano incantati, c'era Michael Jackson, che, con un
libro in mano, raccontava una storia.
*Spazio autrice:
Oh My God! Dopo
anni mi ritrovo a scrivere una fan fiction. Deve essere appena avvenuto
un miracolo, non c’è altra spiegazione.
Sul serio, non succedeva da tempo immemore, ma devo dire che questa
storia ce l’avevo in mente da tanto tempo, avevo anche
già pronto il primo capitolo solo che, dopo, credo di averla
buttata nel dimenticatoio. Ahimé.
L’ho ripescata qualche settimana fa e mi è tornata
la voglia di scriverla e vedere un po’ dove porta
… perché la verità è che
non lo so nemmeno io XD
È la mia prima vera fan fiction su Michael, per cui immagino
che l’emozione che sento sia legittima.
Spero davvero che possa piacervi tanto quanto piace a me,
perché nello scriverla mi sono affezionata alla protagonista,
a quell’animo rinchiuso da troppe paure e, oltre a lei, ci
sarà anche Michael … ma questo credo lo abbiate
già intuito.
Insomma, ringrazio chi è arrivato a questo punto
perché vuol dire che ha letto il primo capitolo e aspetto
qualsiasi vostra opinione. Ci tengo ;)
Un bacio a tutti e sempre love
Michael <3
Porsche.