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Autore: Liz    22/01/2009    11 recensioni
Per voi lui non ha tangibilità, è un’esistenza che si fa chiamare Maverick sui forum e nelle chat, e il cui detto è “Sono troppo vecchio per queste stronzate!”.
Vi siete conosciuti per caso, non ne conoscete né l’aspetto né il nome, ma ci parlate da mesi e solo con lui riuscite a sentirvi bene. Suvvia, quella sensazione di totale abbandono, di completa appartenenza e dipendenza… com’era la vita prima di Maverick? Neanche lo ricordate.

Reila odia Evan largamente ricambiata fin dal giorno in cui sono nati; le loro vite persistono così, in questo equilibrio stabile e bilanciato, ormai da anni.
Ma che fare quando si scopre che il proprio amante virtuale, alias “uomo dei sogni”, è proprio Evan?
Ci sono diverse scelte: buttarsi dal balcone, buttare lui già dal balcone, fare finta di nulla o cambiare radicalmente.
Evan sa cosa fare, ma per Reila ognuna di queste opzioni è sbagliata. Che sia il destino a scegliere ancora una volta, quel destino che li ha voluti anche vicini di casa…!
E forse, se ci si impegna, anche nel proprio nemico si può trovare un’occasione per crescere.
>>DAL CAPITOLO 19 [ULTIMO CAPITOLO] "Il cuore di Reila andò a fuoco nel sentire come l’aveva chiamata: “amore”. La bionda alzò il viso raggiante e gli diede un leggero bacio sulla bocca, alzandosi in punta di piedi quanto più poteva per raggiungerlo."
GRAZIE A TUTTI!!
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2-  I Still Ain't Over You

 

Intrecciò le dita nei suoi capelli, avvicinandosi di più.

Approfondì il bacio, noncurante del fatto che fossero praticamente degli sconosciuti.

Che c’era di male in fondo?

Aveva immaginato ad occhi aperti quella scena per mesi, ritenendola irrealizzabile, circondandola di fiori, luci e silenzio come una ragazzina alle prese con la prima cotta.

Aveva quindi tutti i diritti per fregarsene delle convenzioni e baciare il suo amore fino ad avere le labbra doloranti e la bocca secca.

Per qualche minuto avrebbe mantenuto la dimensione onirica che aveva sempre accompagnato quella relazione: se poi sarebbe svanita come fumo di sigaretta o rimasta come profumo d’incenso… ci avrebbe pensato poi.

Ma l’aria cominciava a mancare. Era proprio una sfortuna aver bisogno di respirare!

Le labbra si staccarono: entrambi respirarono profondamente per riprendere fiato e una nuvoletta bianca s’inserì tra di loro.

Senza aprire gli occhi sorrisero, consapevoli che il proprio cuore ormai era esausto per la lunga corsa.

«Mi sento una stupida» disse Apple, nascondendo il viso nell’incavo del collo di Evan.

Per un attimo, il ragazzo ebbe la sensazione di aver già sentito quella voce, ma abbandonò subito quell’idea «Anche io» rispose alla fine.

Apple alzò una mano verso il viso di Evan: esitò un attimo a sfiorarlo, ma poi cominciò a percorrere sicura i lineamenti modellati sulla pelle liscia.

Fronte alta, dovrebbe essere intelligente. Occhi grandi, ciglia lunghe…

Naso appena appena piatto, labbra morbide e carnose, zigomi leggermente squadrati.

Nella mente le si delineò un’immagine. «Al mio tre apriamo gli occhi»

Evan sorrise sulle dita della ragazza, leggermente sorpreso dalla sua determinazione «Così tanto?»

«1… 2…» Apple deglutì agitata «…3…»

Le palpebre si sollevarono velocemente, il respiro si interruppe ansioso.

E il sangue si gelò nelle vene. Gli occhi si sbarrano impietriti, la bocca si aprì stupita e le sopracciglia si arcuarono, tutto nel giro di un minuto, il tempo necessario per assimilare bene la situazione.

Arretrarono di un passo rapidamente: Evan si portò una mano sul viso, sentendo la propria energia stagnare nel corpo e la pelle impallidire; Reila si appoggiò alla ringhiera dietro di lei e, trovando chissà dove la voce, urlò battendo i piedi e chiudendo gli occhi.

Ma non un urlo di stupore, leggero e senza forze: un urlo vitale, potente, che fece addirittura fermare la musica al piano di sotto e che durò almeno trenta secondi; per istinto credeva che così facendo si sarebbe svegliata e quell’incubo osceno sarebbe scomparso.

Quando non ebbe più fiato, riaprì gli occhi speranzosa ma Evan era ancora inorridito davanti a lei. «Oh no. No no no no no no no no no no… no!» sussurrò distrutta, scuotendo la testa.

Evan tolse la mano da davanti alla bocca per parlare «Tu… Reila… Apple… stessa persona… io… Maverick… Apple e Reila… stessa persona…» questo fu tutto quello in grado di dire e di ripetere, come un 25 giri incantato, per parecchio tempo.

Reila portò entrambe la mani sul viso «Nooooo!» esclamò piagnucolando «Non doveva andare così! Non dovevi essere tu!»

«Pensi che l’abbia fatto apposta?!» enfatizzò Evan, rinsavendo «Mi hai ingannato!»

«Come puoi accusarmi?! Sono io la vittima in tutto questo!»

«Cosa? Sei stata tu a parlarmi per prima nel forum…!»

«E sei tu che mi hai aggiunto nella chat!! Sei tu che hai voluto che ci incontrassimo! Era solo un piano per farmi soffrire!» lo accusò lei, cominciando a piangere.

«Eh no! Non piangere, non mi commuovono le tue lacrime! È colpa tua e basta!»

«NOO! È colpa tua!! Maverick era la mia ciliegina sulla tortaaa-aaah!» urlò piangendo.

«Eh? Ma sei scema? Non sono una ciliegia!» sclerò Evan arrabbiato.

Lui rimase in silenzio grattandosi la testa, mentre Reila continuò a piangere: provava il forte desiderio di prenderlo per i capelli e buttarlo giù dal tetto, così sarebbe spuntato il vero Maverick che le avrebbe rivelato lo scherzo e lei sarebbe stata per sempre felice e contenta con lui.

No, in quel caso avrebbe dovuto rispondere dell’accusa di omicidio! Meglio buttare sé stessa giù dal quinto piano, in questo modo non avrebbe dovuto accettare che… che… no.

Neanche quello andava bene. Uccidersi... è una cosa sbagliata.

Reila smise di piangere e frenò i singhiozzi a forza, mentre una sensazione di vuoto e incompletezza le cominciava a schiacciare il petto.

«Senti… e ora come facciamo?» balbettò Evan infastidito, all’improvviso.

«Eh?» Reila alzò il viso ancora bagnato dalle lacrime e lo guardò sorpresa.

«Voglio dire… ci… ci siamo baciati» farfugliò il moro arrossendo, facendo venire i bollori anche alla ragazza.

«…» lo osservò pensierosa «Evan… sei timido»

«Cos…?!?!» reagì lui con violenza, vergognandosi sempre di più «Possibile che tu sia capace di dire solo cretinate? Sei davvero stupida!»

Lei non rispose: chinò la testa e tentò di nascondere le gote rosse, cercando di non guardare troppo la figura di Evan per non sentirsi a disagio «…Ecco… io non so cosa fare. Io… non lo so»

Reila aveva un vero e proprio caos primordiale nella testa: Evan era Maverick.

Lei non sopportava Evan, ma amava Maverick con tutta sé stessa.

Era come trovare un paio di scarpe bellissime di Jimmy Choo in un saldo irripetibile, e scoprire che sono scomode, fanno male e di un numero più piccolo del tuo. E Reila aveva una passione viscerale per le scarpe.

Comprarle o non comprarle? Reila passava ore nell’indecisione.

Alla fine le prendeva per capriccio, ma tra un ragazzo e un paio di scarpe c’è differenza.

Cosa doveva fare? Voleva rimanere con Maverick per sempre, ma non riusciva a stare con Evan nella stessa stanza senza litigare.

La soluzione era far finta di nulla? Non ci sarebbe riuscita, mai. Perché le sarebbero sempre venute in mente le parole dolci di Maverick, le notti passate a parlare di niente, il batticuore che le procurava.

Però non poteva, non riusciva, a fondere Evan e Maverick in un’unica persona: erano troppo diversi per poter essere un solo essere.

Non si può amare ed detestare una persona allo stesso tempo.

Evan esitò un attimo «Neanche io so cosa fare. Lasciamo decidere al destino»

«Vuoi dire… che dovremo fingere che non sia mai successo nulla?»

«Ti ho detto che non lo so! Noi… non facciamo nulla. Succederà ciò deve succedere.»

«Evan… sei passivo»

«E smettila di dire frasi idiote!!» gridò prima di andarsene, lasciando Reila da sola ed Apple per sempre.

Lui sarebbe riuscito a comportarsi normalmente? Non ne era sicuro. Sicuramente l’avrebbe tradito il ricordo dell’idealizzazione di Apple.

Fare finta di niente era impossibile, impensabile ed insensato, oltre che dannoso, come sarebbe stato stare con Reila.

Uscì dal locale e si diresse verso la macchina, deciso ad affogare quella serata in due o tre birre al solito locale.

Si immaginava una ragazza all’opposto di Reila: sveglia, bellissima, intelligente, sorridente come un sole. Forse… ecco, basterebbe solo un sorriso…

~

«Aspetta, fammi capire bene. Evan Williams, quell’Evan, è Maverick?!» esclamò Selene esterrefatta, porgendo a Reila il decimo paio di scarpe.

«…Sì…» rispose mesta la bionda, infilando le scarpe nere di raso col tacco 12 e la punta scoperta.

«…certo che certe cose possono accadere solo a te» disse sconsolata l’altra.

Selene Martinez era la migliore amica di Reila dai tempi del liceo, e al momento anche l’unica.

Era una ragazza aggressiva e forte, facilmente irascibile e parecchio cinica che però non sapeva arrabbiarsi con persone come Reila.

Per questo aveva acconsentito ad accompagnarla nel giro dei negozi di scarpe più costosi della città, ben sapendo che questo tour avveniva ogni qualvolta l’amica era davvero abbattuta: al momento erano giunte al quinto negozio e alla somma record di 250 euro già spesi e altrettanti ancora da spendere.

«Mmm… come ti sembrano queste?» domandò Reila, fingendo di avere dei dubbi: le teneva su da più di cinque minuti ed entrambe sapevano che tanto le avrebbe prese comunque.

«Molto belle e molto alte. Ma come fai a starci sopra? Sembrano trampoli!» cinguettò l’altra.

Selene era fondamentalmente un maschiaccio che indossava maglioni e pantaloni da tuta scelti a caso la mattina, si era truccata due volte nella sua vita e di scarpe col tacco non ne aveva mai neanche provata una: quindi proprio non capiva questo amore senza freni di Reila per le calzature costose da equilibrista.

Riteneva che una ragazza, se davvero bella, non avesse bisogno di trucchi o vezzi del genere; certo, parlava lei che era una ragazza bellissima: il padre era brasiliano ed aveva ereditato da lui la pelle ambrata, i lunghi capelli scuri e il fisico asciutto, mentre dalla madre crucca gli occhi azzurri e il temperamento scorbutico.

«Allora le prendo» concluse Reila, togliendo le scarpe delicatamente come fossero reliquie sacre.

 

«Sei sicura di stare bene?» chiese la mora, appena fuori dal negozio (ora da spendere rimanevano solo 100 euro).

«Sì» rispose evasiva Reila, ma Selene sapeva già che in realtà soffriva davvero.

Selene decise di non proseguire il discorso: quando avrebbe voluto Reila ne avrebbe parlato… anche se ciò non succedeva quasi mai.

I superstiti 100 euro vennero spesi in un paio di sandali Moschino rosa pallido, ma neanche questi riuscirono a placare l’animo di Reila: di solito sfogarsi nello shopping bastava per farla stare meglio, ma stavolta non era servito a nulla.

Quel vuoto dentro proprio non se ne voleva andare.

Ogni tanto si ritrovava a guardare il cellulare, aspettando un messaggio… ma cosa aspettava in realtà? Maverick ormai non esisteva più e non sarebbe mai tornato.

Alle 8 di sera accompagnò Selene a casa e poi si diresse sulla via del ritorno.

Camminò lentamente, dosando ogni passo e ogni respiro. Il suo sogno e la sua speranza di felicità erano svaniti,  per colpa di una imprevedibile e banale coincidenza…

Arrivata davanti al portone del proprio condominio, cercò le chiavi nella borsa senza energia.

Le cercò ancora.

Un’altra volta.

Immerse il viso nella borsetta, tra il borsellino ora vuoto, il cellulare e l’agenda. Delle chiavi di casa nemmeno l’ombra.

«Oh no!» pigolò con i lucciconi agli occhi. Ho perso le chiavi! Non ci posso credere! E ora come faccio? Non ho nemmeno soldi per andare in qualche hotel… potrei chiamare Selene, ma non vorrei disturbarla! E poi potrebbe pensare che la sfrutto solo per togliermi dai guai! Chiamo mamma? No, non ci penso nemmeno… E allora chi mi rimane?

«Reila? Che ci fai qui fuori?»

La ragazza si rivolse distrutta verso quella voce così maledettamente conosciuta.

«Ho perso le chiavi di casa e non so dove andare» ammise subito, apatica.

Evan si rannicchiò accanto a lei. «Stu pi da» sillabò strafottente.

Reila arricciò le labbra e mise il broncio innervosita: non solo le mandava in pezzi il cuore, ora la derideva pure.

Mentre Evan si alzava per allontanarsi, dal cielo plumbeo cominciarono a cadere delle piccole gocce che in poco tempo divennero pioggia.

Evan si girò e guardò Reila seduta sul marciapiede, bagnata come un pulcino e immusonita come una bambina viziata, che fissava senza emozioni lo spazio vuoto davanti a sé.

Sospirò seccato e ritornò da lei, che non lo degnò nemmeno di uno sguardo. «Se non sai dove andare, per stanotte puoi rimanere da me»

La bionda alzò il viso stupefatto verso quello di Evan, serio ma sereno. Dopo un lungo minuto fece sì con la testa e sussurrò un «Grazie» strascicato e risentito; dopodiché si alzò e trotterellando seguì il ragazzo dell’altra parte della strada.

 

«Aaaah! Che bella casa!» esclamò Reila entusiasta, studiando la cucina e il salotto di Evan.

Il suo appartamento era un bilocale molto spazioso, di quelli col parquet scuro, i mobili bianchi e le vetrate immense: non c’era da stupirsi, Evan si era sempre trattato molto bene.

«La smetti di scodinzolare come un cane?» la riprese lui, togliendosi la giacca.

Reila si girò verso di lui e lo chiamò con voce incerta «Evan…»

«Che c’è?!»

«Ecco…Grazie!» Reila sorrise piena di gratitudine e felicità, socchiudendo gli occhi. Evan fremette, stringendo con forza la giacca tra le mani «Allora, per ringraziamento preparerò io la cena!» cantò lei allontanandosi verso la cucina, alzando un pugno verso il cielo in segno di sfida.

Un… sorriso.

«Tenterai di avvelenarmi?» mugugnò Evan, con la voce leggermente incrinata.

«Eeeeeeeh? Il mio cibo non è veleno…»

«Non ho detto questo!!»

Reila aprì il frigorifero canticchiano, ma rimase sbigottita nel constatare che gli unici presenti all’appello erano una fetta di formaggio e dei superalcolici «…senti, quando sei andato a fare la spesa l’ultima volta?»

«Mi pare tre settimane fa» ammise lui pensieroso, alla ricerca del ricordo lontano nel tempo.

«Oh» fece Reila incupendosi. «Non è che hai almeno un po’ di pasta?»

«Eh? No… non credo. Ho del pane ma è posso»

«…ehehehehehehehe» rise lei maliziosa dopo un breve silenzio, facendo preoccupare Evan «si senta la mancanza di una donna nella tua vita!»

 «T- TU!! Tu non sei normale! Fuori da casa mia!!» sbraitò il ragazzo arrossendo.

«Va bene, va bene! Vedrò che potrò fare con del pane, una fetta di formaggio e dei superalcolici. Certo che potresti anche fare la spesa ogni tanto. Non dico molto, ma un po’ di decenza…»

«Ma tu mi ascolti mentre parlo?» chiese lui sconfitto, appoggiandosi alla parete.

Reila sorrise ma poi si bloccò all’istante. Che stava facendo?

Da quando era capace di ridere così insieme ad Evan? Fino a ieri ogni volta che si vedevano finivano per litigare!

Osservò il ragazzo sdraiarsi comodo sul divano ed accendere la tv.

          Da quand’è che… riusciamo a parlare così?

Scosse la testa allontanando quella sensazione strana e tornò alla cucina.

Evan si girò curioso verso di lei, e la sua attenzione fu attirata da qualcosa di rosso posato inconsciamente sul tavolo, vicino alla borsa di Reila: la sua agenda.

La prese in mano e ne lesse qualche pagina, scritta fitta fitta in quella scrittura rotondeggiante e infantile.

Senza accorgersene gli scappò una risata «Ehi, ma che razza di agenda! Come fai a programmare anche l’ora di pranzo?! Sei un mostro!!»

Appena se ne accorse, Reila scattò verso il ragazzo per strappargliela di mano. «LASCIALA!!» piagnucolò triste ma decisa «Sono cavoli miei!»

Il ragazzo gliela concesse sospirando e lei la rimise subito in borsa, preoccupata.

 

Gli occhi di Evan luccicarono.

«S-sei davvero sicura di aver usato solo ciò che avevo in casa?» balbettò additando il piatto che gli si presentava davanti: formaggio perfettamente fuso e filante, condito con del prosciutto miracolosamente recuperato sotto le macerie del frigorifero, e racchiuso in due fette di pane caldo.

«Sì» sorrise lei «Mi rendo conto che non è granchè, ma…»

Evan annusò il profumo invitante e caldo della pietanza e ne prese un morso. Per un attimo rimase immobile, nel gustare il boccone. Non solo sembrava buonissimo: lo era per davvero.

«Com’è?» chiese preoccupata Reila, impensierita dalla reazione del ragazzo.

«Mh… accettabile» mentì lui, alzando le spalle.

La bionda sospirò sollevata e cominciò a pulire i piatti; nella casa c’era solo il rumore dell’acqua scrosciante.

«In questo modo mi sono sdebitata, no?» cominciò lei, rivolgendo la schiena ad Evan che stava ancora mangiato il panino.

Lui divenne serio, e il suo silenzio valse più di mille parole.

«Voglio dire… per stanotte. Tu mi ospiti e io ti preparo la cena, se così può essere definita…» proseguì posata, senza lasciar trasparire emozioni «…e tutto ritorna come prima. Vero, Evan?» chiese senza guardarlo, ma soltanto fermandosi e voltando leggermente il viso.

Lui non rispose: chinò il volto e si grattò la testa pensieroso.

 

Mezzanotte.

Sulla tv scorrevano i titoli di coda del film appena finito e la musica allegra di sottofondo si diffondeva calma in tutta la casa, ormai buia.

«Forza, è ora di andare a dormire» disse Evan spegnendo la televisione con un click.

Non ricevendo risposta si rivolse verso la ragazza sdraiata sul divano e ormai caduta in un sonno profondo, col viso completamente coperto dai lunghi capelli biondi.

Fu indeciso se svegliarla o meno, ma poi decise che era meglio non disturbarla: le tolse delicatamente i capelli del viso, prolungando il tocco fino alla guancia e poi le labbra, leggermente dischiuse.

Velocemente ritrasse subito la mano e appoggiò il mento sul ginocchio, accovacciandosi, mentre si mangiucchiava le unghie immerso nei propri pensieri; rimase ad osservarla respirare tranquilla a lungo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note totalmente inutili

AHA!! Lo sapevo XD

Sapevo che le 9 recensioni al primo capitolo sarebbero state un episodio isolato *.*
Del resto vedo 19 preferiti e 4 commenti (Grazie a chi ha recensito, mi avete reso felicissima :D)… fatevi sentire ç_ç come faccio a scrivere al meglio senza i vostri consigli, i vostri pareri e le vostre critiche?

È una cosa che mi rende tanto triste çOç e poi mi fa venire meno voglia di scrivere! >_<

 

Comunque, la mia attuale fissa sono gli Augustana (ascoltate Boston è_é è un ordine), un gruppo bravissimo e sottovalutato. Mi sa che sono una delle poche che li conosce (solo grazie a umbi v_v). Quindi il titolo è una delle loro canzoni più belle: I Still Ain't Over You! Tradotto “ancora non sono sopra te” alla cazzo da me in questo istante senza vocabolario XD un po’ per dare l’idea dello stacco tra Maverick ed Apple.

Inoltre è un periodo in cui ho sbalzi di umore orrendi: per esempio, fino a 4 ore fa ero in piena fase depressa. Ora invece sono felice *w* come si dice, basta una piccola cosa… (segreto segreto). Comunque era per giustificare i possibili diversi toni di questo capitolo °_° Come ho già detto, non mi piace affatto come scrivo e quindi neanche questo capitolo, che reputo orrido v_v

 

Ah, Black lolita ha ipotizzato che in realtà Evan sapesse che Apple fosse Reila e che l’amasse, e per paura di non perderla non le avesse rivelato chi fosse. (@_@)

Naaaaaaaah XD

Sono più semplici. Niente seghe mentali da Loving v_v Evan odia Reila, ma non è per una questione di pelle :D Certo ora non può più ignorare che lei fosse Apple…

 

“Senti ma cosa vuol dire il tuo nome?” “un cazzo!” XD

Alla prossima!!

   
 
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