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Autore: Nina Ninetta    22/07/2015    4 recensioni
Yumiko ed Eri, due donne, una trentenne e una quindicenne, una madre e una figlia, catapultate dall’altra parte del Mondo, costrette a ricominciare tutto d’accapo, a confrontarsi con una cultura completamente diversa, lontane anni luce dal loro Paese d’origine: il Giappone. Ma Yumiko quel nuovo Paese lo conosce già in un certo senso, ha imparato a conoscerlo attraverso i racconti del padre di Eri.
N.B. Il titolo è tratto dalla canzone di Malika Ayane “E se poi” così come i titoli di ogni capitolo saranno presi da frasi del medesimo testo.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11
E se mai cercassi te …


 
«Cosa volete che sia successo, signora preside? Semplicemente è che la amo.» La ragazzina si sentì venir meno. Che razza di risposta era quella? Davanti ad una donna adulta fra l’altro! Allontanò la mano da quella del ragazzo, ostinandosi a tenere lo sguardo basso, ma lui non si scoraggiò: «Lei è mai stata innamorata signora?» La preside sorrise, quel ragazzo le piaceva e le stava simpatico, era spontaneo e genuino, una vera forza della natura e per la sua compagna di scuola non sarebbe stato facile scrollarselo di dosso, ammesso che volesse farlo. Lui proseguì:
«Credo proprio di sì, a chi non è capitato almeno una volta nella vita di amare?! Quindi può comprendere il mio stato d’animo»
«Non ti biasimo perché sei innamorato» la preside lanciò uno sguardo furtivo alla ragazzina che non aveva ancora guardato in faccia, sembrava si vergognasse come una ladra e la capiva. «Ciò non toglie che in classe bisogna tenere un comportamento educato e corretto»
«Il professore ha esagerato» il ragazzo continuò a sostenere la sua tesi. «Manco stessi baciando un altro uomo!» Ci fu qualcosa nel tono della voce di Kingsley che spinse Eri ad alzare il capo per guardarlo.
«Non è una questione di maschi o femmine, c’è un regolamento da…»
«Invece è proprio quello il problema!» Controbatté lui, si stava agitando, apparentemente senza motivo. «I maschi stanno con le femmine e le femmine con i maschi. Punto! Stop! Basta!»
«Kingsley Rodriguez non alzare la voce con me!» Il ragazzo chinò la testa, Eri vide che si contorceva le mani in grembo, fu tentata di prenderle nelle sue, per tranquillizzarlo, ma rimase ferma. «Se hai un problema con chi ha gusti sessuali diversi dai tuoi tienilo per te! Ma ti vieto categoricamente altre manifestazioni amorose con chicchessia durante le ore scolastiche o atteggiamenti omofobi!» La preside riprese fiato. «Se non conosci la parola omofobia …»
«So cosa significa, non sono mica scemo!» La ragazzina al suo fianco non riusciva a credere a quello a cui stava assistendo. Quello lì non era il Kingsley che aveva conosciuto lei, una persona socievole, sicuramente avventata, ma non sprezzante delle autorità e adirato con i gay. Ma in fondo lo conosceva da così poco... «Bene, meglio così, risparmiamo tempo» affermò la preside, volgendo poi la sua attenzione sulla giapponese. «Signorina Eri Joaquin Morales, la prego di avere un comportamento idoneo alle regole della scuola o sarò costretta a prendere seri provvedimenti.»
La ragazza avrebbe voluto difendersi raccontando la sua versione dei fatti - e cioè che era stata solo la vittima - decise però di rimanere in silenzio, un po’ perché la preside era infuriata e qualsiasi cosa avesse detto le si sarebbe rivoltata contro; un po’ perché non voleva scaricare sul suo compagno di banco l’intera colpa. Quindi si limitò ad annuire con la testa ai rimproveri della donna sedutale di fronte. Non era cattiva, solo che Rodriguez l’aveva fatta arrabbiare.
«Per adesso ve la cavate con un rimprovero, ma non voglio sentire più mezza lamentela su voi due. In particolare mi riferisco a te» la preside guardò Kingsley che restituì lo sguardo senza timori. Si studiarono per un po’, ad Eri ricordarono un cane ed un gatto pronto a graffiare ad ogni minimo segno di reazione dell'eterno nemico. «Potete andare» concluse, invitandoli ad uscire con un cenno della mano. Come di consuetudine Eri si alzò dalla sedia e si chinò in avanti, una riverenza che nel suo Paese aveva vari significati: un saluto, un ringraziamento, tutte e due le cose insieme. Kingsley semplicemente uscì dalla stanza senza proferir parola e la ragazza non accelerò il passo per raggiungerlo lungo il corridoio che li avrebbe riportati nella loro classe. Rimase qualche metro indietro a fissargli la schiena e i capelli scuri riccioluti sul capo. Nell’aula trovarono un’altra sorpresa: il professore che li aveva beccati a sbaciucchiarsi aveva ben pensato di separarli, così indicò a Kingsley di prendere posto al primo banco, proprio di fronte alla cattedra, al fianco del primo della classe, mentre Eri poteva tornare al suo solito posto, vicino alla ragazzina down e alla sua insegnante di sostegno: sua compagna di banco prima che arrivasse Kingsley Rodriguez.
 
Da quando era successo quel che era successo, lui non l’aveva più guardata, forse perché aveva tirato via la mano dalla sua, forse perché quando aveva detto di amarla lei non aveva avuto nessuna reazione, né negativa, né positiva. Eri trascorse il resto delle ore di lezione a fissargli la schiena, non riusciva a smettere e a nulla erano valsi i tentativi di concentrarsi sulle spiegazioni dei professori. Per quanto si sforzasse la mente tornava sempre a lui e a poco a poco una paura viscerale le annebbiò l’attenzione. E se qualcosa si fosse spezzato fra loro? E se avesse commesso l’errore di allontanarlo involontariamente? Improvvisamente aveva voglia di sentire la sua presenza al proprio fianco, di posare gli occhi in quelli di lui, gli occhi di un ragazzo giovane ma che avevano uno sguardo da adulto. Si ricordò del disegno che le aveva mostrato prima di baciarla e lo cercò sotto al banco e sul pavimento, ma non lo trovò, allora chiese alla vicina compagna dove fosse finito, se l’avesse visto. La ragazzina, con la sua espressione perennemente imbambolata, le indicò il cestino della spazzatura e quando Eri vide i pezzetti del foglio sentì una rabbia cieca montarle dentro. Chiuse gli occhi e contò fino a trenta, come le aveva insegnato okassan, la sua mamma, per combattere quegli improvvisi e folgoranti attacchi d’ira. Anche suo padre Joaquin ne soffriva, le aveva raccontato un giorno, ma grazie a quel piccolo escamotage era riuscito a controllare la collera. A lei lo aveva insegnato il suo papà durante le lezioni di Karate, disciplina ove la calma è una qualità fondamentale per battere l’avversario. Sentì la rabbia scemare lentamente e riaprendo gli occhi si ritrovò addosso quelli di Kingsley, che da lontano la stavano studiando. Le parve di intercettare un lieve sorriso e rispose di rimando, poi la professoressa di inglese richiamò l’attenzione del ragazzo battendo il palmo della mano sotto il suo naso.
La campanella dell’ultima ora trillò puntuale e in una massa disordinata i ragazzi si riversarono fuori dalle classi. Kingsley fu tra i primi ad uscire. Eri si intristì, certa che lui l'aspettasse, anche solo per raggiungere l’uscita insieme, come facevano sempre, poi lui sarebbe salito nella limousine guidata da Alfonso e lei avrebbe raggiunto sua madre appostata nella Toyota Yaris dietro l’angolo, al sicuro da occhi indiscreti. Raccolse le sue cose nello zaino sgangherato – che si rifiutava di cambiare perché era un ricordo legato al Giappone, uno dei tanti – e uscì dalla classe. Gli altri studenti la oltrepassarono correndo e spingendo, lei invece camminava a testa alta e senza fretta. Poteva già scorgere il portone d’ingresso dalla luce gialla del sole che vi entrava attraverso, voltò l’angolo e con le spalle contro una porta – sulla quale c’era affisso il cartello “Vietato entrare” e “Solo addetti” – c’era proprio lui: Kingsley Rodriguez. Forse, alla fine, l’aveva aspettata e il cuore fece un doppio salto mortale per la felicità di trovarselo lì e insieme per l’effetto sorpresa. Lui aveva l’aria truce, sembrava sempre arrabbiato, eppure quando se la trovò di fronte il viso gli si addolcì. Eri fece per dirgli qualcosa del tipo “che ci fai qui?” ma Kingsley l'efferrò per il polso e con la mano libera abbassò la maniglia della porta alle sue spalle, sgattaiolando all’interno e trascinandola con sé. Nella confusione generale nessuno badò a loro.
 
 
Yumiko sistemò sul ripiano della cucina un piatto con del riso scaldato e una terrina con del curry, così quando sua figlia fosse rientrata avrebbe trovato la cena bella e pronta. Consultò l’orologio alla parete e decise che era ora di andare a lavoro.
Non era una sera come le altre quella e lei lo sapeva fin troppo bene. In verità non era stata neanche una giornata normale, il ricordo di Ricardo e di quel mezzo bacio che le aveva stampato sulle labbra l’aveva tormentata senza sosta. E adesso quasi sicuramente l’avrebbe incontrato al night club. Diciamo che ancor più del ricordo del bacio, era stata propria l’ansia di rivederlo a non darle tregua: come si sarebbe dovuta comportare? Fingere che non fosse accaduto nulla, ecco quello che doveva fare! Si, ok, ma lui come avrebbe reagito vedendola? Era pur sempre il suo capo e dai film in tv – soprattutto dalle serie che piacevano tanto a sua figlia Eri – aveva imparato che intrattenere una storia con il proprio superiore non era una cosa buona, anzi, talvolta era proprio una pessima idea! Ma lei non aveva smesso di pensarlo da quando gli aveva sbattuto lo sportello della macchina sul naso, non era solo una questione di lavoro. Inoltre c’era il fattore età: Yumiko era più grande di Ricardo, per non parlare del fatto che gli aveva mentito sul legame che univa lei ed Eri. In poche parole, si era ingarbugliata nella sua stessa rete e adesso non sapeva come liberarsi.
 
Il parcheggio a quell’ora del pomeriggio era vuoto, eccetto per alcune macchine che appartenevano ai dipendenti stessi. La donna entrò nel fresco del locale, le sedie erano ancora capovolte sui tavoli e dopo un saluto generale si mise all’opera, con il cuore che le balzava in gola ogni qual volta si apriva la porta d’ingresso o quella sul retro, temendo di vederlo comparire.
Tuttavia Ricardo Salas si presentò solamente sul tardi, come faceva di solito insomma, niente di nuovo, e un pochino a Yumiko dispiacque: in un angoletto remoto del suo cuore si era aspettata di vederlo arrivare prima, per lei ovviamente, per passare un po’ di tempo insieme. Invece quando Ricardo si sedette su uno degli sgabelli del bancone, Yumiko se ne era quasi dimenticata e provò un profondo disagio udendo la sua voce chiederle un Jack Daniel’s. Glielo versò, notando la sua perfetta calma, come se il giorno precedente non avessero trascorso il pomeriggio in giro per Madrid e la sera non fosse scappato un bacino che - seppur leggero e innocuo - per lei era stato comunque un tocco proibito. Salas la ringraziò e si allontanò, portando con sé il liquore. Yumiko ci ristò male e si sforzò di convincersi che fosse meglio così, mentre lo osservava ridere e scherzare con altri ragazzi, circondato da giovani e avvenenti donne in bikini succinti.
 
Eri si ritrovò in uno sgabuzzino in penombra, la sola luce filtrava da una finestra dai vetri opachi che si trovava alla fine della prima rampa di scale. Quando gli occhi si furono abituati all’oscurità poté distinguere le sagome di scope, secchi e quella di un armadietto con le ante socchiuse. Di nuovo tentò di parlare, ma lui le prese il viso fra le mani e la baciò. Non come aveva fatto in classe, questo bacio era meno impulsivo, più calibrato, e questa volta Eri si sciolse come neve al sole, le gambe divennero molli e la testa si svuotò. Lui la prese per la mano e insieme salirono le scale. Un piano, due piani, poi si trovarono dinnanzi un portoncino che senza esitazioni lui aprì e richiuse dopo averlo oltrepassato. Un ampio spiazzo si spalancò davanti a loro, illuminato dal sole tiepido. Il panorama era da togliere il fiato:
«Dove siamo?» chiese lei, la leggera brezza che soffiava le mosse i lunghi capelli e Kingsley non riuscì a trattenersi dal carezzarglieli
«Sul tetto della scuola. Vieni» di nuovo le prese la mano e s’incamminarono verso il parapetto di cemento. Solo allora Eri si accorse che non erano soli, c’erano altre tre coppie di innamorati: due di queste sedute con la schiena contro il muretto si stringevano stretti; l’altra coppia era in piedi, completamente presa dai passionali baci che si stavano scambiando. Eri abbassò lo sguardo a quella vista, imbarazzata.
Quello non era posto per loro, perché l’aveva trascinata lì? E, soprattutto, lui come lo conosceva quel luogo? Glielo chiese mentre il ragazzo si sedeva sul pavimento e si puntellava al parapetto:
«Il primo giorno di scuola mi sono nascosto qui» rispose, allungandole la mano per aiutarla ad accomodarsi al suo canto. Eri si tolse lo zaino dalle spalle e lo abbandonò poco distante, prendendo posto proprio vicino a lui. Decine di emozioni stavano facendo a cazzotti dentro di sé, era felice e spaventata insieme; avrebbe voluto non trovarsi lì ed essere proprio dov’era; desiderava che Kingsley non smettesse di toccarla e baciarla, ma anche che continuassero semplicemente a parlare.
Il cellulare che aveva in tasca prese a suonare e quando Eri vide lampeggiare il nome di sua mamma si ricordò che la stava aspettando in macchina all’uscita da scuola, sapeva che non vedendola arrivare si era sicuramente spaventata a morte. Guardò il ragazzo alla sua sinistra prima di rispondere:
«É mia mamma. Cosa le dico?»
«Dille che devi restare a scuola e che avevi scordato di dirglielo»
Ad Eri parve un’argomentazione plausibile. Spiegò a Yumiko che aveva un corso pomeridiano di spagnolo per gli studenti stranieri e che aveva dimenticato di avvertirla. Nonostante fosse agitata sua madre si bevve la bugia e le chiese a che ora sarebbe dovuta passare a prenderla, di nuovo Eri cercò consigliò in Kingsley che le suggerì di mentirle ancora, dicendole che l’avrebbe accompagnata un suo amico a casa. Ad Eri questa parve un’idea buona a metà, allora tranquillizzò sua mamma affermando che fosse tornata a casa con la sua nuova amica. Sì, la stessa che l’aveva invitata a fare i compiti a casa propria, e no, non era spagnola. Aveva dimenticato di dirglielo?! Pazienza! Era francese. Quando chiuse la conversazione Kingsley la stava osservando con un punto di domanda sul viso:
«Non posso mica dirle che ‘sto con un ragazzo!»
«In che senso “stai” con un ragazzo?» lui le passò la mano intorno alla vita e l’attirò ancor di più al suo fianco, fece per baciarla ma questa volta Eri lo fermò
«Mi devi più di una spiegazione, non credere di cavartela così facilmente» lui sbuffò, poi si avvicinò uno dei tre ragazzi presenti sul terrazzo, rivolgendosi direttamente a Kingsley per chiedergli se per caso avesse una sigaretta. Questo estrasse dalla tasca del giubbotto un pacchetto di Philip Morris e glielo porse. Il ragazzo ringraziò e si salutarono battendo i pugni chiusi. Eri lo osservò a bocca aperta, Rodriguez sghignazzò, accostando le labbra a quelle di lei:
«Vedi che lo penso sul serio quello che ho detto in presidenza» fece per baciarla, ma di nuovo Eri lo tenne lontano
«Tu fumi!» voleva essere una domanda, ma uscì più come un’affermazione
«Si, da ieri» e spontaneamente Eri gli chiese cosa fosse accaduto il giorno precedente, quando avrebbero dovuto studiare insieme e invece lui aveva cancellato l’appuntamento. «Se te lo dicessi poi dovrei ucciderti, non posso rischiare di farti mandare questo Paese alla rovina» la ragazza non riuscì a capire se stesse scherzando oppure no
«Per quanto me ne frega potrebbe anche sprofondare nell’oceano!» Lei tuttavia non scherzava affatto.
«Non posso credere che non abbia incontrato uno spagnolo degno delle tue grazie» ironizzò Kingsley, prendendo a giocare con una ciocca dei capelli di Eri, la quale rispose con aria superficiale che forse uno l’aveva conosciuto, ma che in due anni era una pessima media. Il francese rise e ancora tentò di toccarle le labbra con le sue, però Eri non riusciva a fermare la sua curiosità e continuò:
«C’entra tuo padre, vero? Intendo dire con quello che è successo ieri.» Il ragazzo sospirò e rispose di sì. «Dove ti ha trascinato questa volta? Magari in qualche centro di recupero per omosessuali, visto il tuo odio per questi…»
«Io non odio i gay» ci tenne a specificare lui.
«Ma neanche ti sono indifferenti da quello che ho capito.»
Kingsley Rodriguez alzò lo sguardo per posarlo sull'orizzonte e lei poté osservarlo per bene: la pelle scura, la barbetta che iniziava a spuntargli, gli occhi color pece, la treccina colorata che gli incorniciava il lato mancino del collo. Poi lui tornò a guardarla e le sistemò i capelli smossi dal vento dietro l’orecchio:
«Non voglio pensare a quello che è accaduto ieri. Voglio solo godermi un po’ di tempo con te e scordare il resto. Chiedo troppo, piccola Eri Joaquin Morales?»
«No» la ragazza scosse appena il capo e timorosa gli sfiorò uno zigomo «Non chiedi troppo» Kingsley sorrise e piano, senza fretta, calò la bocca su quella di lei, che lo accolse inebriata di emozioni forti.
 
La clientela era oramai iniziata a scemare, rimanevano pochi uomini per lo più anziani e ubriachi. Si stava occupando di loro la sua collega al bar, incaricata da Oscar di prenotare un taxi per ognuno di loro e di metterceli sopra, dando all’autista l’indirizzo delle loro abitazioni. Anche se controvoglia, la ragazza aveva ubbidito e la drag queen aveva scosso il capo: era chiaro come il sole che non scorreva buon sangue fra loro. Senza che glielo domandasse Yumiko versò al suo amico un goccio di whiskey, Oscar prese a giocherellare con il bicchierino, sembrava stanco e sconsolato. Mentre asciugava i bicchieri la donna prese a conversare con lui, quella era una sorta di abitudine che si consumava dal suo primo giorno di impiego:
«Onii-chan»  gli si rivolse con l’appellativo di “fratellone” come faceva sempre. «C’è qualcosa che ti turba?»
«Oh tesoro mio, a volte mi chiedo se ne valga la pena.» Rispose vago Oscar, senza guardarla in viso e sorseggiando un po’ di liquore
«Se è importante ne vale sempre la pena.» Gli posò una mano sul braccio per infondergli coraggio e lui le sorrise dolcemente, spogliandosi della parrucca fucsia e ravviandosi i capelli all’indietro con le dita.
Proprio in quel momento arrivò un ragazzo che Yumiko non aveva mai visto, era basso e tozzo, i capelli chiari e corti, la pelle del viso butterata da una infelice acne adolescenziale, su quel viso deturpato però spiccavano due occhi azzurri come zaffiri. Parlava uno spagnolo approssimativo e aveva una cadenza che non aveva mai sentito da quelle parti. Batté una pacca sulla spalla di Oscar e ridendo gli disse che stava meglio con la parrucca, quindi la prese e gliela poggiò sulla testa. Yumiko temé che Oscar potesse reagire male, non l’aveva mai visto così rosso in viso, invece si tolse la parrucca e si sforzò di sorridere allo sconosciuto. Questi si allontanò, dopo aver chiesto alla donna giapponese del rum, tuttavia quando lei prese un bicchiere e gli versò dentro il liquore, lui le strappò di mano la bottiglia e ridendo a crepapelle bevve direttamente dal collo, quindi si sporse oltre il bancone per darle un paio di colpetti sulla testa e dirle che era molto, molto carina. Yumiko rimase così, con il bicchierino a mezz’aria e un’aria da rincretinita, cercando spiegazioni in Oscar:
«Si chiama Antonio: uno dei tre soci del night»
«Che cos’ha che non va in quello lì?» Continuò lei ironica.
«Faccio prima a dirti ciò che va in quella persona, tesoro mio.» Oscar finì di bere dal suo bicchiere e la salutò allontanandosi, le spalle ricurve e la parrucca che gli pendeva da una mano sfiorava il pavimento. Yumiko pensò che doveva esser successo proprio qualcosa di grave, non l’aveva mai visto così afflitto. Non ebbe tempo di fare ipotesi su quello che potesse aver sconfitto il morale di Oscar poiché il suo posto fu occupato da Ricardo Salas, bello sorridente:
«Stavo pensando che domani è il tuo giorno libero e potremmo andare – io, tu ed Eri, si capisce – a vedere i pinguini.» Yumiko sbatté le palpebre un paio di volte, non doveva avere un’espressione propriamente intelligente in quel momento
«Allo zoo, ovviamente. Pensi che a tua sorella possa piacere?»
Alla donna vennero quasi le lacrime agli occhi. Certe volte quel ragazzo era di una dolcezza disarmante e non sapeva proprio che strada prendere per smettere di pensarlo. Stava per rispondere che si, Eri amava gli animali e che sicuramente sarebbe stata felice di fare una passeggiata allo zoo, non ci andava da quando era piccina e suo padre… va beh, era meglio fermarsi qualche battuta prima. Aprì la bocca per dirglielo e proprio in quell'istante si avvicinò una delle spogliarelliste, decisamente più coperta rispetto a quando era in servizio, sebbene non riuscisse comunque a nascondere il voluminoso decolleté. Quasi si gettò fra le braccia di Ricardo che d’istinto le cinse la vita, lei gli sussurrò che andava a casa e gli diede appuntamento a domani, quindi lo salutò con un bacio leggero e fugace sulle labbra. Praticamente uguale a quello che il ragazzo aveva lasciato a Yumiko la sera prima, sull’uscio di casa. La bella ragazza si allontanò, i suoi tacchi echeggiarono nell’intero locale. Ricardo tornò a guardare la giapponese, che intanto aveva finito si sistemare la sua parte di bar e si stava asciugando le mani con della carta assorbente:
«Allora, cosa ne dici?» Incalzò lui, senza accorgersi che il suo volto si era indurito
«Non credo sia una buona idea. Buona notte.» Lo salutò e a grandi falcate – per quanto le gambe snelle e orte permettevano – raggiunse gli spogliatoi.
Ricardo Salas rimase seduto ancora un attimo, come un ebete, poi un’illuminazione improvvisa gli fece leggere con chiarezza la situazione. L’aspettò fuori dallo spogliatoio femminile, non perché non potesse entrare, in fondo la maggior parte delle ragazze lì andavano in giro mezze nude, non era quello il problema insomma, ma perché non voleva discutere con Yumiko davanti alle altre. Quando questa uscì e se lo trovò di fronte le salì dentro una rabbia incontrollabile verso sé stessa. Come le era venuto di pensare a lui – a loro – in quel modo? Come aveva anche solo sperato che potesse esserci qualcosa di più? Povero Joaquin, si sarebbe rivoltato nella tomba se lo avesse sostituito con un soggetto come Ricardo. Quest’ultimo la fermò prendendola per il polso, ma Yumiko si liberò in un solo gesto e lui alzò le mani, come a dire “vengo in pace” e se la donna rimase ad ascoltarlo fu perché, nonostante tutto, rimaneva pur sempre il suo capo che a fine mese le versava lo stipendio in banca.
«Paula è una vecchia amica e stasera era un tantino brilla, non è che ci salutiamo sempre così e»
«Buonanotte señor Salas.» Yumiko fece per andare via
«Ehi, ehi, aspetta un attimo» lui la trattenne di nuovo per un braccio e di nuovo lei si liberò con uno scatto istintivo e di nuovo Ricardo mostrò i palmi «Ok, ok non ti tocco più, volevo solo spiegarti quello che hai visto e farti capire che è completamente diverso da ciò che invece è accaduto ieri notte.» Mentre Salas sembrava impegnato ad inventarsi un modo - il più diretto possibile - per far comprendere a Yumiko ciò che pensava, questa abbassò il capo stringendo i pugni. Teneva già pronte le chiavi della macchina che si conficcarono nel palmo, solo allora allentò la presa. Non desiderava altro che andare a casa, si sentiva umiliata, delusa e inspiegabilmente tradita. Lo spagnolo le sollevò il viso posandole un indice sotto il mento e questa volta fu costretta a guardarlo negli occhi. Un brivido la scosse tutta. Abbassò le palpebre proprio come fece lui intento che si chinava in avanti per baciarla. Evidentemente era giunto alla conclusione che i fatti sarebbero valsi più delle parole per farle capire ciò che provava, peccato che proprio un attimo prima che le loro bocche si toccassero – sentivano già i reciprochi respiri – lei voltò il viso di lato e a Ricardo rimase un retrogusto amaro:
«Yumiko … perché?» Sospirò
«Perché sei il mio capo, perché ho più anni di te e per tanti altri motivi»
«Come quello dell’anima gemella, ad esempio?» Il tono di lui era cambiato, sembrava insofferente
«Buonanotte, señor» così dicendo Yumiko si congedò dal suo datore che stavolta non la trattenne.
 
Antonio aveva assistito all’intera scena, nascosto in un angolo in penombra, senza essere visto dai due ragazzi e pregustando già una bella mazzata per il suo socio. Solo quando la ragazza andò via uscì allo scoperto, dando un paio di pacche sulle spalle a Ricardo, il quale solo per educazione non lo lasciò nella più totale indifferenza.
«Due di picche amico?» sghignazzò. Ricardo girò sui tacchi e si allontanò senza spicciar parola. «È una interessante la tua nuova amichetta. Mi hanno sempre affascinato le asiatiche.»
Salas si girò a guardarlo e si accorse che Antonio stava a sua volta osservando il corridoio appena percorso da Yumiko. L’interessamento improvviso manifestato dal suo socio per la barista gli piaceva assai poco.
 
 
  
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