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Autore: Pachiderma Anarchico    23/07/2015    3 recensioni
"Le persone che hanno sofferto sono le più pericolose, perché pur temendo il dolore conoscono la loro forza e sanno come sconfiggerlo. La loro paura è pari al loro coraggio. Non si fermeranno di fronte a niente e nessuno e sapranno ingoiare tutte le lacrime, sapranno alzarsi dopo aver toccato il fondo. Chi ha sofferto ha un cuore grande perché conosce il bene e conosce il male e ha rinchiuso in se tutto l'amore e il dolore. Sapranno sempre allungare una mano per fare una carezza e trovare una parola per confortarti, ma non sottovalutarle mai, perché sapranno ucciderti nel momento in cui tu cercherai di farlo con loro."
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Too frail to live, too alive to die.'
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Oh, I go off like a gun
Like a loaded weapon
Bang, bang, bang
Grip me in your hands
So here we go again
It echoes in my head
Bang, bang, bang
Grip me in your hands
 
 
So I can feel you here with me (tear the flesh)
So I can feel you here with me (break the skin)
So I can feel you near me (tear the flesh)
 
 
So I'll make sure you hear me
 
 
 
 
 

 
CAP. 17
 
 
 
 
-Ultimo giorno di scuola, 11 giorni agli esami-
 
 
 
Questa mattina era iniziata come tutte le altre.
Il cielo era di un azzurro acceso quando percorsi il viale che costeggiava quell'immenso edificio sormontato da giganti vetrate dove ogni tua più recondita paura, fifa e\o qualsivoglia terrore si concretizza nell'assoluta spietatezza di poche ore altisonanti nei ciottoli per la strada che porta all'inferno. O altresì noto come scuola. 
L'aria vibrava di particelle che sapevano di elettrica impazienza per l'estate, la cui imminente vicinanza vendeva "VACAZE" ed "ESAMI" come fossero stati Ray-Ban.
Fra solo una settimana e quattro giorni, o anche fra solo undici giorni, se volete, gli studenti dell'ultimo anno sarebbero tornati per l'ultima volta fra quelle mura, a sostenere l'elogio della loro vita. 
Questa mattina era iniziata come tutte le altre, il cielo continuava ad essere ostinatamente azzurro anche quando mormorii allarmati mi seguirono per l'intera mattinata, come se quella massa informe di persone temesse che tirassi fuori l'astuccio da un momento all'altro e tentassi di ammazzarmi con l'evidenziatore verde. Non sapevano che le probabilità che ammazzassi me invece che loro erano pari a zero. 
Questa mattina era iniziata come tutte le altre, frutto di un copione imparato a memoria, e lui non si voltò mai. 
La sua schiena rimase girata, il suo capo chino, il suo sguardo non cercò mai il mio, e nessuna altra parte del mio corpo: non osava guardarmi, e la cosa mi stette più che bene. 
Se solo ci avesse provato, lo avrei sputato in faccia. 
Adesso c'è un movente per tutto il nero che mi portavo addosso, adesso è chiaro perché sto spesso per conto mio, evitando la compagnia delle persone che un tempo vaneggiavo fossero miei amici, con quella sorta di ambigua superiorità negli occhi celesti: sono un suicida. 
E i suicidi sono sempre dei prototipi equivoci di anticonformisti che giocano a fare i piccoli saggi, prima di piantarsi una lametta nei polsi. 
Io non ero anticonformista, non ero saggio: ero scazzato. 
Questa mattina, quando passai davanti la palestra di Judo senza fermarmi, mi tornarono in mente le parole del mio psichiatra:
"loro non ne hanno idea."
Beh, nessuno accusa nessuno di poter sapere con esattezza quali strani pensieri passino nella difettata mente di uno che non vuole più vivere ma ciò non toglie che potrebbero evitare di fare a tutti i costi gli stronzi, e magari rivolgere uno sguardo, una parola di conforto a chi è affetto da "certe stranezze". 
Non a me, sia chiaro.
Se voi vi avvicinate al sottoscritto in un momento in cui il sottoscritto è sommerso da una cascata metaforica di emozioni bipolarmente discostanti, il sottoscritto potrebbe ferire brutalmente. 
Dunque, dicevo, questa mattina era iniziata come tutte le altre, e il cielo blu di mezzogiorno, come ho già detto, era il primo segno dell'estate, e gli esami finali bussavano ininterrottamente alle porte, incombendo come una minaccia fin troppo attesa. 
Difficile dire se tale minaccia avesse più effetto sui ragazzi, che sventolavano tesine di 88 pagine a destra e a manca (Samuel giurò di aver visto un tipo che leggeva la sua mentre faceva un volo a mezz'aria e veniva atterrato in un combattimento di Judo) o i genitori, i quali non facevano altro che discutere di quanto i loro figli fossero brillanti giovani scienziati  che avevano la lode già praticamente in pugno; o gli insegnanti, che sarebbero stati costretti a subire le ire delle precedenti due categorie se non avessero assegnato i voti desiderati.
Tutta la scuola, inoltre, era convinta del 110 e lode che fra una settimana e quattro giorni -o anche undici, se preferite- avrebbe coronato il diploma di Lubomirski Aleksander. 
Tutti tranne io, che progettavo di lanciargli addosso pomodori durante la prova orale, sottolineando vezzosamente che l'unico orale a cui Lubomirski Aleksander avrebbe preso 110 e lode non poteva certamente essere verificato in quella stanza. 
Quanto a me, stamattina avevo pressoché una vaga, vaghissima idea di quello che avrei detto quel giorno, e una vaga, vaghissima idea sarebbe rimasta perché se questa mattina era iniziata come tutte le altre, beh, per disgrazia o per fortuna, non finì nello stesso modo.  
 
 
***
 
Sono le dieci di sera del dieci giugno quando la luna viene oscurata dalle nuvole. Nuvole d'argento dense quanto una coltre di nebbia invernale se la mangiano a morsi, danzando per il conquistato dominio del cielo. 
Intravedo la quieta battaglia dalla finestra della mia stanza prima di tornare ad osservare con soffocato interesse gli effetti collaterali delle pillole che prendo perché l'ambulanza del pronto soccorso non debba più venire a prendermi in uno squallido bagno deserto tranne che per una coppia di… deficienti. 
E' ironico che io abbia già 25 dei 30 effetti collaterali scritto sul retro della boccetta.
 
- Parziale perdita di sonno e\o difficoltà ad addormentarsi
- Perdita di peso
- Perdita dell'appetito
- Nausea
- Attacchi d'ansia
 
…Sorrido fra me e me, getto un'occhiata alla tesina abbandonata sul letto. Dovrei prenderla fra le mani e studiarla, sottolineare i concetti più importanti e approfondire gli argomenti essenziali, ripassare il programma affrontato dai miei compagni durante quel mese di assenza in cui tutti credevano che mi fossi preso una vacanza e fossi su una spiaggia delle Maldive a spalmarmi la crema solare sul naso o giù di lì. 
Ma la responsabilità non è il mio forte, ed è per questo che quando squilla il cellulare ci metto due secondi ad afferrarlo, come se stessi aspettando solo un motivo per distarmi.
E' lei.
Come abbia fatto a raggiungere un cellulare privo di connessione internet con internet non perdo tempo a chiedermelo, perché il nome che ammicca sulla chat che si è appena aperta non ammette dubbi. 
Nessuno avrebbe potuto fingere, neanche uno studente del liceo potrebbe aver voglia di scherzare, perché se è vero che il mio suicidio è ormai di dominio pubblico, la Suicide Room rimane ancora soltanto mia. 
"Devo vederti."
Non vi è il suo nome sul messaggio ma le lettere rosa caramella sono più chiare di una firma. 
Decido di lasciare stare, decido di accantonare il telefono, decido tante cose nei rintocchi dei battiti del cuore che separano il primo messaggio da un secondo:
"O mi uccido."
E da un terzo:
"Nella tua scuola, dove è giusto che sia."
Non mi rendo conto di avere il cuore dalle parti del pomo d'Adamo fino a quando non lo sento in gola, latente contro le tempie, palpitante nello stomaco e mischiato al sapore amaro che mi attanaglia la lingua.
Mi alzo.
Non ho scelta.
E anche se c'è l'avessi non la vorrei.
Dite alla realtà che ho fallito. Dite alle pastiglie che non si può cancellare il passato. Ditelo, al rancore, che non è abbastanza forte da trattenermi qui. In salvo. Da finzione e sogno.
Non c'è stato niente, niente, ad avermi fatto desiderare di non tornare più da te?
Sì, qualcosa… una cosa, c'è stata, inutile fingere, non si mente a sé stessi. 
Ma se sto venendo al tuo cospetto, forse pure questo non è mai stato abbastanza. 
Lascio cadere casualmente una mano nel cappotto di mio padre, apro silenziosamente la porta, sgattaiolo via come un ladro.
Sono le dieci e venti quando il quadro della Mercedes di papà si illumina nel buio e il motore si risveglia, portandomi nella sera dei quartieri di Varsavia. 
Raggiungo presto la scuola, si impenna come un cavallo nel buio.
Scendo dall'auto ed entro da una finestra sul fianco sinistro dell'edificio.
La finestra in questione è difettosa, e lo so perché l'ho rotta io, insieme ad Aleksander, al secondo anno. La colpimmo con un pallone, così forte che Samuel ci minacciò di spifferare tutto al preside per una settimana, almeno fino a quando Aleksander non minacciò di tirare una pallonata anche a lui. 
Entro con facilità, perché la finestra è difettosa, e se non lo fosse stata l'avrei rotta io. 
Ma no, ecco, basta una leggera pressione nel punto giusto.. un lieve spostamento a destra della cornice e.. bingo, atterro nel laboratorio di chimica, silenzioso e scuro, e mi affaccio sul corridoio. Tutto tace e nei dintorni non vi è alcun accenno di vita.
Dove potrebbe trovarsi una ragazza di circa ventiquattro anni con la tendenza al comando e una marcata brama di reclusione?
Lo penso. Lo so.
Sono nel corridoio sbagliato.
La sala computer è dall'altro lato, nell'ala ovest dell'istituto. 
Cammino, cammino più veloce temendo di non arrivare in tempo, ma so che vorrà vedermi per lasciarsi salvare o… trascinarmi giù con lei.
Ma non corro.
Cammino veloce ma non corro, perché il rimbombo ritmico dei passi potrebbe svegliare il buio, e i fantasmi che vi si nascondono. 
La sala computer è ben visibile, l'unico sprazzo di luminosità in quell'ammasso informe di banchi, sedie e aule, perché la luce nella stanza è stata accesa. 
Ed è vuota.
Il silenzio stagna come una palude verdastra, il tempo è congelato, la mente galoppa per superare almeno in velocità l'idea che non può vincere per logica: si è già uccisa. 
Ma nella notte non ci sono giochi leali. Avrei dovuto saperlo. 
Sarei dovuto scappare.
-Ciao principino...-
Un tunnel buio rimarrà sempre senza uscita.
-Asher.-
Avrei voluto che il suono di questo nome fosse stato più convincente.
Ma si spezza in mezzo, forse dalle parti della "h", perché il ritrovarmelo davanti, alle undici di notte, in una scuola enorme, chiusa e deserta, mi schiaffeggia lo stomaco. Ma faccio del mio meglio, credetemi, faccio del mio. meglio. 
-Che cosa vuoi?- dico.
-Complimenti, ci sei riuscito ancora una volta.- risponde.
Se una morsa impedisce alla mia voce di suonare sicura, quantomeno convincente, non so quale demone si sia impossessato della sua, perché questa non è una voce no… è odio, nella più pura delle forme. 
-Come si fa a voltare le spalle ad una vita perfetta come la tua?- biascica.
Che cosa sta dicendo? 
-Come siamo arrivati a parlare della mia vita.. Asher?- prorompo.
-Cosa ne sai tu della mia vita?-
Si concede un sorriso da voltastomaco e risponde, in un bisbiglio simile a un rantolo: -So quanto basta.-
Si muove, fa un mezzo giro, quasi soppesando le parole, con lo sguardo d'argento fisso sul pavimento a scacchi bianco e nero e la lingua che sa già, esattamente, cosa dire.
-Deve essere bello aprire gli occhi… e prendersi tutto ciò che si vuole…- mi guarda, -vero, Dominik?-
Scuoto la testa, incapace di ragionare. 
-Di cosa stai parla..-
-Era il mio mondo, e tu non avresti dovuto farne parte.-
Sento che dovrei parlare, rispondergli, far cessare quel rammaricato flusso di parole che si vestono del più succulento rancore. E lo avrei anche fatto, se quel sibilo roco non mi avesse annullato del tutto la capacità di proferir parola. Non comprendo il filo che sta seguendo, non riesco a vedere dove ci porterà, ma una cosa sembra certa: questo filo è rosso sangue. 
-..ma il povero Dominik aveva problemi... aveva problemi, il povero Dominik si è suicidato… ridicolo.-
-Tu sapevi del mio suicidio…- non riesco a non dirlo, non riesco a dirlo ad alta voce, ma questo basta a far sì che i tasselli di un puzzle nero si colorino delle tinte più terrificanti che abbia mai visto. Un puzzle nero e opalescente, rosa schocking e grigio perla, oscuro come un mistero e risolto sin dall'inizio. 
Era chiaro, era semplice, era troppo sconcertante per poter essere anche solo pensato a mente lucida.
Ma eccola qui signori e signore, nella più mostruosa delle manifestazioni, ingarbugliata nella mera illusione che il passato si può cambiare: la verità.
E se il passato non si cambia, se il passato ti cambia, qual è la verità?
E se ti segue, fino agli angoli più remoti del mondo, solo per presentarsi con quel ghigno beffardo a ricordarti che non puoi sfuggire alla tua storia, a quale prezzo la voglio conoscere?
-Mi detesti. Ma non da sempre… da quando ho iniziato a stare male...- 
La mia voce è poco più che un sussurro, ma devo farlo. Devo lasciare che la mente lavori frenetica per giungere all'unica verità plausibile. 
-Sei stato ammesso al corso di informatica avanzata..- mi guarda, lo guardo, mi guarda e sorride, lo guardo e lo vedo per la prima volta da mesi. Da anni.
Penso che vomiterò se soltanto aprirò bocca, ma non posso tacere adesso.
-Tu non mi detesti per Karolina…- mormoro, -tu mi detesti per Sylwia.-
-Sorpresaaa…-
Lo bisbiglio, quasi sperando che le pareti non lo sentano, quasi sperando che nemmeno io lo senta. Ma anche solo l'articolare le labbra in quel nome mi fa pensare che, sicuramente, vomiterò.
-Jasper.-
Ora non sorride più, ma canticchia, in tono lugubre, cantilenante e nauseante: -Visino carino, cervelletto carino, visino carino cervelletto carino, visino cari… Le hai proprio tutte, vero Dominik?-
Fa un passo avanti. Non mi muovo. Anche se la concretezza di avere davanti tutto ciò che volevo lasciare indietro mi appesantisce le spalle tanto da gettarmi a terra, non mi muovo. e perché?
-Ash--
-Il mio nome è Jasper.-
-Asher ascoltami… ascoltami. Io so come ti senti.-
-No! Non lo sai.-
-Asher questo non è il modo giusto per reagire..-
-Qual è il modo giusto eh?!- sbuffa. -Fare come te? Avere… tutto ciò che si possa desiderare e non farselo bastare?- assottiglia lo sguardo, scopre i denti, potrebbe mordermi.
-Eh..?! Qual è! No perché… Karolina, ha perso la testa per te; quella ballerina non ti staccava gli occhi di dosso e… tra le due ovviamente c'è Sylwia, che ha mandato tutto a puttane pur di averti.- Mi morderà. Non c'è luce nei suoi occhi, solo una vena di folle disprezzo.
–E adesso Aleksander… non ti fermi neanche davanti al sesso, vero Dominik?!-
Forse, se fossimo stati in uno di quei film americani tutto effetti speciali, questo sarebbe stato il momento in cui un rallenting d'effetto avrebbe inquadrato la lucida goccia di sudore che avrebbe percorso la mia tempia sinistra prima di spostare la telecamera sul mio sguardo impietrito. 
Ma non siamo in un film, nessuna goccia di sudore sta percorrendo la mia tempia sinistra e nessun effetto speciale sta stravolgendo il viso del mio interlocutore dagli occhi d'argento, serrati mentre ride di cuore, ride sguaiatamente, ride come se non ci fosse un domani. E qualcosa mi dice che non ha tutti i torti. 
Non sono sicuro di volerlo vedere, il domani.
-E non è neanche colpa tua… perché hai cercato anche di… ucciderti ma…- il riso si spegne come se non fosse mai iniziato, -non vuoi proprio morire.- 
Lo dice come se fosse colpa mia.
Un pizzicore fastidioso si propaga dalla nuca.
-Beh…- sorride, -adesso ci penso io… a farlo… come si deve, tranquillo! Sarà una storia avvincente..-
-Asher non farlo, non è giusto… per te. Non fare il mio stesso errore. Non rovinarti la vita perché qualcuno ti ha detto che non potevi essere abbastanza. Loro non ne hanno idea.-
-Tu sì?-
-Io sì.-
-No… NO!- urla. -Non ne hai idea perché… e come potresti… hahaha… sei sempre stato la prima scelta…- e gli sprazzi di risata agghiacciante diventano furiosi sibili. 
-Ma quello non era il tuo mondo, è il mio, Dominik.- 
Si scosta il ciuffo chiaro dagli occhi, il suo polso ha fatto uno scatto innaturale che non mi è sfuggito. 
-Quindi, ti sentivi così invincibile da avermi cacciato dalla mia stessa casa? Dalla casa che io ho costruito? Perfetto… perfetto- mi sarà addosso, come un serpente dal veleno mortale. Si ferma, ma è un'illusione. 
-Benvenuto nella Suicide Room Dominik.- 
Non c'è luce nei suoi occhi quando mi salta addosso, letteralmente, e con violenza mi manda a sbattere contro le pareti silenziose. Non è colpa tua, mi dico, ma neanche mia, mi rispondo, e sono protagonista di una prontezza di riflessi che non credevo di possedere. I miei pensieri hanno sempre corso più delle gambe.
Ma non a questo giro.
Evito quello che ha tutta l'aria di essere un pugno ben assestato all'altezza della mascella e mi appiattisco alla parete. Posso solo guardarlo un secondo, mentre un urlo orribile si instaura in questi granelli di polvere che ci guardano impassibili, complici di una lotta impari.
L’ argento folle dei suoi occhi si fa così vicino che sono costretto a spostarmi dal muro che fa tremare con un calcio, destinato a me, destinato a spezzarmi le ossa con lo scricchiolio sinistro che brama sentire.
Non sono bravo nel corpo a corpo, ma non voglio morire, non voglio Asher… Jasper… chiunque tu sia
Devio le sue mani come non posso deviare il suo odio, mi colpisce attraverso i suoi occhi accecati, i suoi denti bianchi, le labbra tirate fin quasi allo spasimo, l'espressione gloriosa di chi non ha niente da perdere. 
-Vieni qua piccolo suicida… voglio solo GIOCARE!- la sua voce di dolcezza sintetica si pianta nel mio sterno con la furia di un treno in corsa. Posso sentirlo il dolore, vivido e reale nello stomaco, a dirmi che non ci sono computer questa volta ad ostacolare il male. Mi piego in due.
La realtà mi piomba addosso. 
E' tutto diverso qui fuori: la luce è più forte, le voci più acute, i respiri più ansanti, il dolore… il dolore è intollerabile, come il freddo del muro che mi trafigge la schiena. E' un deja-vu, Asher che mi alita sulla faccia contratta dal dolore, Asher che è più forte, più alto, più arrabbiato, Jasper, che sottovaluta ancora una volta quanto io sia arrabbiato e ferito e deluso e vendicativo.
Ha un coltello in mano, si sfracella insieme alle sue nocche sul punto dove un istante prima c'ero io. Latra dolorosamente, gli sfreccio accanto. L'arma finita chissà dove. Corro verso la porta, piegato con il respiro intrappolato in gola, sono quasi sulla soglia ma non credo di avercela fatta. Lui non si fermerà fino a che non avrà pezzi di me sparsi sul pavimento.
Perché vogliamo sangue, vogliamo un palcoscenico, vogliamo rivalsa, vogliamo ribellioni sbagliate, una web cam nel vuoto silenzio di una stanza e storie da raccontare. 
La mia storia inizia da qui, da quando un braccio viene torto -non saprei dire quale- in una strana angolazione dietro la schiena dalla sua presa. Si romperà. Urlo.
Urlo senza ritegno, urlo per ossa e muscoli che perdono la loro sensibilità, per la mia sensibilità, che mi ucciderà ancora una volta. 
Vengo scaraventato all'angolo di una scrivania, la punta mi si conficca nella pancia, un computer si fracassa al suolo. 
Vorrebbe piegarmi, ma non ne ho l'intenzione.
Non è la forza che mi fa arginare le fitte lancinanti, e mi fa strappare il braccio dai suoi artigli; non è con il coraggio che tasto a tentoni il piano ormai sgombro della scrivania e stringo la presa sul filo di una tastiera. 
Gliela scaravento contro con un grido sordo.
Lo colpisco violentemente sulla fronte, il colpo di circuiti e plastica.
E' il desiderio di poter guardare di nuovo la vita negli occhi, anche quando la sua mano che si leva feroce sulla mia faccia mi giura che la vita non la rivedrò mai più.
Lo sento prima di avvertirlo, lo spostamento dell'aria che si lacera, prima che lo schiaffo mi arrivi dritto in viso da qualche parte fra zigomo e labbra. Sento il bruciore nauseante e il mio corpo che cade a terra. Mi giro appena in tempo, ma è comunque troppo tardi. 
I capelli troppo chiari gli ricadono sugli occhi, se li sposta ancora una volta, perché vuole guardarmi negli occhi mentre mi uccide. Perché mi ucciderà, c'è la scritto in faccia. 
Gli allontano una mano, blocco un pugno, ma la sua furia non ha ragione, non ha legge. E' in balia delle emozioni, e la cosa peggiore è che so esattamente come ci si sente. 
Sintomo per sintomo, grammo per grammo. 
E' sopra di me, e mi tiene inchiodato a terra, e avverto la rabbia farsi largo fra questa scacchiera di nero e bianco e inondare campi di sole sfolgorante. Cercava un modo per arrivare a me. 
Beh, l'ha trovato.
Alla fine le sue mani sono riuscite a superare la mia resistenza e si stringono, più dolcemente di quanto avessi creduto… si stringono attorno al collo. Non mi rendo conto che è il mio fino a quando non sento me stesso rantolare, in cerca d'aria che non arriva, in cerca di luce che si affievolisce. 
-Implorami Dominik… implorami di avere pietà… implorami per salvarti la vita…- 
lo sento, lo vedo, lo capisco, ma non lo comprendo. O è lui, che non comprende me. Io? Implorare per la mia vita? Potrei implorare che tu smetta di… di spingere e spingere e… spingere i tuoi polpastrelli nella carne della mia giugulare… ma non lo farò. Sai che non lo farò. Pregerei per te, se mi fosse rimasta aria nei polmoni e ossigeno al cervello… pregherei per te che non riuscirai a salvarti da te stesso. 
Sbatto un braccio a terra, l'unico tentativo che riesco a fare, prima che un roco sussurro si porti via l'ultimo brandello di polvere dentro me.
-Io… implorare.. te.. per la mia… vita… Ash..er scu-sa-mi ma…- non posso fare a meno di ridere, un suono soffocato e privo di esistenza, più vicino alla morte di quanto sia mai stato, -non lo farò… mai.-
Stringe di più,  più forte, più selvaggiamente.
Non è dolce, ma non fa più tanto male… ho conosciuto dolore peggiore di questo...
E posso solo sperare che le sue emozioni facciano in fretta… molto più in fretta di quanto abbiano fatto le mie, sadiche, spietate, egoisticamente vive fino alla fine.
Fanno male le unghie nella pelle… rimarranno le mezzelune, ma rimangono mezzelune sui cadaveri? 
Come sarò da morto? Non ci avevo mai pensato… forse non ci credevo che sarei morto, alla fine. Ma non si sfugge alle cicatrici, che se potessero riprenderebbero a sanguinare più copiosamente di prima, come pleniluni in pozzi neri.
Non vedo più alcunché, ma lui continua a premere, continua a strangolarmi, come se non gli bastasse la mia morte, come se il cuore che rallenta e la mano che si apre inerme sugli scacchi di quel pavimento non siano abbastanza. Forse non gli basta, vorrebbe che mi dimenassi, che combattessi per la mia vita, ma non si combatte per qualcosa che non si può sentire. La mia vista si sta perdendo nel suo rancore, il mio dolore diverrà il suo dolore, il sentirsi a disagio in un mondo che non merita questo disagio, queste cicatrici, questa morte. 
Ma morirò lo stesso. 
La vita mi scivola via dalle mani come fumo bianco, ogni rumore è un ricordo lontano… devo confessarvi, alcuni rumori sono belli… alcuni ricordi sono felici. 
Forse valeva la pena combattere, dopotutto.
Forse vale la pena morire, tuttavia.
E' probabile che abbia combattuto, prima che tutto fosse così lontano… è possibile che qualcosa si salvava ancora nelle persone, negli sguardi… nelle birre di una notte lontana… 
Asher non sa che tra un minuto potrebbe sbattere le palpebre e scoprire che non voleva farlo, ma io sarò già via, e lui non potrà farci nulla.
Perché le emozioni sono questo, l'istante, quell'istante, nel quale crollano i muri che dividono i sentimenti, e nel quale crollano le barriere del controllo. 
E' quando il fuoco brucia più forte perché non c'è l'acqua del contegno a spegnerlo. E' quando le ceneri si disperdono e tu sei solo con ciò che non vorresti fare e ciò che farai. Sono questi gli istanti per cui valeva la pena vivere, gli istanti in cui liberarsi dalle catene portava a fare cose totalmente insensate, come il baciare un tuo compagno di classe perché una stupida scommessa che lui ha fatto con la tua bocca non ti renda un vigliacco, e cose totalmente felici, come il rifarlo ancora, il baciarlo di nuovo e spingersi sempre più oltre.
Rimbomba il suono del mio respiro nel silenzio, sembra che stia trattenendo il fiato, in realtà è l'ultima carcassa di anima che si spezza, sopraffatta dalla fame della mia fine. 
Non è poi così romantico morire, neanche se ti viene compressa la gola fino a tranciarti il respiro sul pavimento bianco come la mia pelle e nero come le venature che la adorneranno quando una bara di marmo bianco la ospiterà, per sempre. 
Per sempre.
Che cos'è questa parola? che cos'è questo sempre e questo "per" che sia antepone a sempre? cos'è l'immortalità, cos'è l'infinito, quell'otto rovesciato che sembra un vaso caduto? è strano che sia il simbolo di qualcosa che non può finire. È una menzogna dunque, in realtà finisce tutto, al di là di ogni sogno, aldilà del più grande sogno del più grande dei sognatori, finisce tutto?
Ogni strada, ogni oceano, ogni mondo, ogni sentimento, ogni emozione, ogni logica, ogni amicizia, ogni vento ogni… tempesta, rabbia, rancore… finisce persino la vendetta, ad un certo punto?
E se davvero tutto finisce, lo dico adesso, prima che sia troppo tardi, che mi dispiace; che morire a diciott'anni non è neanche così lontanamente tetro e romantico come credono gli innocenti, e che piantarsi coltelli nel cuore e tagliarsi le vene e combattersi nella vita reale così come su un tappetino da Judo è molto più romantico di questo…  in qualche modo.
La morte non è romantica, è magnanima: un improvviso dolore e poi… è oblio.
Diteglielo, perché in ogni caso io non lo farei.
E' ironico, non trovate? che qualcuno possa mettere il mio corpo in una bara bianca.
Non voglio una bella bara bianca, non voglio sembrare puro. Non lo sono mai stato: nella mia mente ho ucciso, strappato, dilaniato, colpito, scaraventato, distrutto, spezzato, mutilato, squartato, frantumano, annientato chiunque mi passasse accanto, chiunque mi rivolgesse la parola in quei giorni in cui volevo semplicemente che l'umanità non esistesse; nella mia mente ho urlato i peggiori insulti, ho ringhiato le migliori minacce, ho lanciato bombe e impugnato pugnali, ho morso, ho punto, ho avvelenato, ho fatto sesso con lui tante e tante e tante di quelle volte che voi non ne avete idea.. e non mi serviva neanche guardarlo, mi bastava odiarlo in silenzio. Perché l'ho odiato, l'ho odiato tanto quanto l'ho… 
no
Non lo dirò in punto di morte, non lo dirò con le mani di Asher addosso, non lo dirà il fantasma di me stesso.
E' quando so che la Suicide Room ha avuto ciò per cui è nata, l'aria entra a fiotti in gola, su per il naso, si riversa nella luce abbagliante impigliata nelle palpebre come ondate di una marea impazzita e un suono terribile, un risucchio roco, graffiato mi fa vibrare i timpani, e capisco di non aver mai respirato fino ad ora e che quel risucchio, questo suono oltraggioso a metà fra l'agonia e il risveglio, sono io. Sono io.
E il bianco non è più bianco ma un pugno di colori, il luccichio dello schermo scheggiato di un computer, una parete candida su cui qualcuno ha scritto qualcosa, e i rumori non sono più un'isola lontana nel deserto del nulla ma vividi, chiassosi, assordanti.
Tutto quello che non ho sentito negli ultimi secondi, minuti, anni? mi scoppia nelle vene, come un fuoco d'artificio difettoso che ha atteso fino all'ultimo per dare il meglio delle sue scintille. Dolore, dolore e conati di vomito e tosse e rastrelli appuntiti nel palato arido e stomaco contratto e urti e ansimi e una voce. Una voce che, anche se sono piegato in due, carponi, con la fronte ancorata al suolo e la schiena prostrata da respiri rauchi e violenti, mi costringe ad alzare la testa e tutti i capogiri che ne derivano perché devo vederlo, cazzo io devo vederlo.
-Ti.ho.detto.di.non.toccarlo!-
E' reale, è qui, e lo sta prendendo a pugni sul naso.
Sembra quasi una scena comica: due adolescenti rissosi nel mezzo di una banale faida sulla soglia dell'età adulta; disgustosamente visti e rivisti i loro calci, pugni, colpi, affondi, ansimi di muscoli che guizzano in tensione. In realtà c'è qualcosa di molto più disgustoso dietro.
Mi sollevo a fatica perché un'altra lama è comparsa dal nulla, tirata fuori della cintura di non so quale pantalone, ma so a chi appartiene, e non è lo stile di Aleksander difendersi con terze parti: lui ti disintegra con le sue mani. 
Ma Asher è diverso, non si accontenta di un pugno, non basta un labbro sanguinante, neanche se ti lascia mezzo morto a terra: Asher vuole il teatro. 
Ma non batterà mai Aleksander. 
Non ho bisogno di sentire un altro computer ultra piatto che si fracassa a terra per saperlo.
Si passano il coltello come una palla avvelenata, Asher vuole tagliargli la gola, Aleksander lo devia come se non avesse fatto altro per tutta la vita: difendersi dagli attacchi di qualcun altro.
Non resisteranno ancora per molto e le tonsille ardono troppo per poter urlare e di mettermi in mezzo non esiste, mi sbilancerebbero via come carta sull'autostrada spazzata via dal vento di una Ferrari in corsa. C'è solo una cosa che posso fare, ancora in bilico fra la necessità di sdraiarmi e respirare tutta l'aria nella stanza o bucare le ruote, della Ferrari. 
-Leks NO!-
Non è un sussurro, non è un urlo, ma mi sentono benissimo.
-Sta' indietro Dominik- ringhia, -questa è una questione di principio.-
-Non ti lascerò diventare un… assassino.- rantolo.
-Ascolta il tuo ragazzo.- Asher continua nel suo sorriso, ma non è più tanto convincente con le mani alzate e un coltello che mira al pomo d'Adamo.
-Taci Asher perché ti giuro che ti taglio le palle prima della gola..-
-Leks non posso permettertelo.. non per lui.-
-Non sei tu a decidere Nik, non questa volta.-
-E quando mai?!-
-Sentitevi… litigate come una coppia di quattordicenni..-
Aleksander guizza in avanti, troppo fluido, troppo veloce, troppo convinto
Non è con le parole che riuscirò a fermarlo. Con le parole non ci siamo mai capiti. 
E un attimo prima che Aleksander gli pianti la lama nella carotide io sono addosso alla mia.
E' folle, ma è logica. Una logica folle che sperò ci salverà… se non ci avrà uccisi prima.
-Fermo!- è troppo tardi per tornare indietro. L’aria si cristallizza.
-O mi uccido.- 
E lui si ferma per davvero, la lama che poggia sulla pelle, Asher che non ha più il coraggio di sbattere le palpebre. 
Lui si ferma e mi guarda, con il coltello stretto in mano e la luce negli occhi, e i nostri occhi collidono, si incastrano gli uni negli altri. Si stanno dicendo cose. Si stanno sfidando a vicenda.
-Nik non.. fare cazzate.- 
Ah non ve l'ho detto perché si è fermato? Perché non ha ucciso Asher con le sue stesse mani?
Non per quanto suonasse convincente la mia voce, questo è chiaro, ma perché io ho afferrato il primo coltello con cui Asher voleva farmi a fettine e lo tengo premuto sulla mia gola, da qualche parte su qualche vena, la mano che trema, ma la determinazione dell’irragionevole.
-Non diventerai un assassino..-
-Nik.-
-Non te lo permetterò..-
-DOMINIK!-
-..e se devo uccidermi per questo.. beh, l'ho già fatto una volta, per te, lo farò ancora una volta, per te.-
-Stai bluffando.-
Ci osserviamo per poco, ma tanto ci basta. 
Lui sa di aver mentito, io so che non l'ho fatto.
Asher scompare da questo palcoscenico, le luci sono distrutte, ma noi ne siamo ancora i protagonisti.
E' un campo di battaglia da cui non siamo mai usciti, abbiamo polvere da sparo sulle dita.
La mia mano fa pressione, la sua lascia la presa. Una goccia di sangue stilla dal mio collo e si riflette su un coltello che giace al suolo.
E l'osso di un gomito finisce sul volto di Aleksander. Scatto in avanti ma lui si è già
liberato, lo distanzia, mi grida: -Corri Nik!- ma solo quando lo vedo andare nella direzione opposta mi lascio andare all'adrenalina della fuga, le do in pasto i miei resti e le mie gambe fanno il resto. Quando si scappa dalla morte c'è un motivo in più per andare avanti. 
Non mi guardo indietro. 
Non posso guardarla in faccia una seconda volta. 
Non quando non sono stato io a chiamarla. 
La notte non è fredda ma rabbrividisco ugualmente mentre gli alberi inghiottiscono la mia ombra. Se non fosse per la pelle chiara nessuno mi vedrebbe.
Nessuno mi avrebbe visto.
Che sciocchezza.
Lei avrebbe sentito il sangue scorrere nelle vene e incendiarsi nel respiro ansante di chi non vuole morire. 
Non così
Non se non lo decido io. 
Definitemi egocentrico, o delirante. Definitelo delirio o incoscienza, ma decido io come e quando morire. 
Il Vistola, il fiume che taglia Varsavia a metà, è visibile dietro la sua sagoma spettrale.
I suoi capelli sono più rossi dall'ultima volta, sanno di fiamma.
E' al centro di uno spazio libero da alberi. C'è qualcosa di surreale in tutto questo. 
-Sylwia..- ansiamo, sussurro, respiro, mormoro, boccheggio. 
Non ho più aria nei polmoni, uno strangolamento quasi totale e una piccola incisione su una vena del collo non sono cose da fare nella stessa notte.
I rumori sordi di colpi e collera annunciano l’arrivo di Leks e Asher; quest’ultimo l’ha raggiunto e brandisce la terza arma della serata: di metallo, con un grilletto… una pistola.
Che cade a terra prima che chiunque possa fermarli.
Si separano. Non ne so il motivo. Osservo ancora la pistola quando si allontanano l'uno dall'altro.
-Dominik.-
-Nik.-
Mi volto. Aleksander. 
-Ti muovi veloce per essere uno che ero tanto così dall'ammazzare.- commenta Asher con un ghigno storto mentre si apposta dietro Sylwia. Il fiume è immenso e immobile. Una distesa di acqua nera.
Aleksander alza lo sguardo. Io non ho bisogno di guardare.
-Cosa hai fatto tu...?-
Sylwia scocca un’occhiata al suo compare. E’ velenosa.
-Ma come... mi vuoi far credere che tu non ne sapevi niente rossa?- Leks sputa le parole fra i denti.
-Ci conosciamo, io e te?-
-Aleksander Lubomirski. Vorrei dire che è un piacere ma…- scuote la testa. Qualcuno direbbe che è strafottenza quella che ha fra le palpebre. Io dico che è consapevolezza.
Cosa sai, Aleks?
-Aaah sì… il famoso Aleksander. E' lui, non è vero Dominik? Colui il quale ti ha fatto chiudere in una stanza per giorni e giorni al buio e alla solitudine e alle lacrime, soffrendo come un cane e meditando sul suicidio a causa dei suoi aberranti giochetti che nascondevano soltanto una repressa e mal celata voglia di sbatterti ad un muro e baciarti e per il quale lui non ha avuto il fottuto coraggio?-
Non nego, non confermo. Si può, in una notte, scandagliare il passato e capire cosa è andato storto? Qual è la tessera che nel puzzle non si è incastrata perfettamente?
-Scusa mia regina, ma qui non siamo tutti tuoi sovrani.- 
e forse, dopotutto, Aleksander ha sempre saputo più di quello che ha voluto far credere. Ditemi che la parola "regina" è stata una scelta casuale di termini. Dimmi che…
-E tu non sai un cazzo di me.-
-Ma so parecchio di lui..- Sylwia ha il sorriso di una sul ciglio della strada, capace di farti sbandare per darle un passaggio e nello stesso tempo gli occhi di una sul ciglio di un burrone, che ha già deciso di buttarsi. 
Mi indica con un dito, lentamente, teatralmente. Non avevo previsto la sua comparsa, ma d'altronde, dovevo aspettarmelo che il suo personaggio sarebbe stato pieno di sorprese.
-Mentre tu non hai fatto altro che scavare ferite profonde e ogni taglio ogni.più piccolo.taglio aveva il tuo nome scritto sopra.
A l e k s a n d e r . -
Smettetela.
-Pensi di conoscerlo meglio solo perché eri con lui nei suoi momenti peggiori?- 
Sylwia avrà anche l'aspetto della regina dell'inferno che ti sta proponendo di andartene da solo sulle tue gambe perché è un gioco che non potrai mai vincere, ma Leks ha quel luccichio negli occhi… quello che gli compare prima di un incontro di Judo in cui il risultato è incerto… quello che fa capolino quando c'è da vincere molto e da perdere molto di più… quello che ha sempre sguazzato nei suoi occhi quando avvicinava le labbra alle mie e si chiedeva se l'avessi baciato, ma lui lo faceva lo stesso. 
-Io sono stato con lui nei suoi momenti migliori. Tu c'eri quando non capiva una mazza del libro di fisica e ho dovuto spiegargli la stessa formula cinque volte? C'eri quando lo stronzetto mi ha buttato in piscina totalmente vestito con una camicia che è costata trecento euro perché sì, veniva dall'Italia? C'eri quando eravamo nudi e io mi sono addormentato su di lui e tremava.. tremava ma il suo cuore batteva e batteva e batteva più di quanto avrà mai battuto con te? Tu non c'eri, c'ero io.-
La risata di Sylwia è un suono che non vorreste mai sentire ma della quale tutti ne avreste dipendenza. Non posso fare a meno di guardarla quando il suo volto di carta si accartoccia in un riso di puro giubilo. -Credi realmente che io non ci sia mai stata mentre ti baciava…? Che io non sia mai stata nei suoi pensieri… sulle sue labbra… mentre stava con te?- La notte è così silenziosa che le voci rimbombano come in una cattedrale di fuoco e fiamme. -Tu non potrai mai capirlo… tu non potrai mai averlo, perché non capisci il dolore, il voler stare soli… lontani da tutto, e le cicatrici che non cicatrizzeranno mai e le lacrime invece dei pugni e il silenzio invece degli urli e Dominik invece di qualcun altro.
Io sì. Io ho capito che era speciale dal primo momento in cui l'ho visto e l'ho visto attraverso una web cam, mentre tu… tu c'è l’avevi davanti ogni giorno, ogni… maledetto giorno… era tuo, e l'unica cosa che hai saputo fare è stata UCCIDE…-
Faccio un passo avanti. -Sylwia no. Sylwia. no.- 
-Andiamocene, vieni via con me.-
La guardo. -Cosa?-
-Non abbiamo bisogno di loro, non abbiamo bisogno del mondo.-
Sono al centro, in mezzo, come se le acque del fiume in piena dividesse due rive in tempesta. Come se dividesse il mio cuore.
-Sai anche tu che non è vero… Sylwia non si può vivere così.-
Davanti ho Sylwia, dietro Aleksander. 
-Non dovremo per forza vivere… e se lo faremo, lo faremo a modo nostro. Siamo liberi- sorride. Io non sono sicuro di poter sentire il resto, -possiamo essere i padroni delle nostre scelte. Niente catene, niente doveri, nessun obbligo. Sarà una nostra scelta.-
-E' la mia, Sylwia.-
-Dominik.-
-Non posso tornare a rinchiudermi in una stanza e non posso nascondermi… Non voglio nascondermi… Sylwia.-
Asher freme dietro lei. Il respiro di Aleksander è inconsistente: un silenzioso fantasma alle mie spalle. Ma lo sento. 
Non so cosa stia capendo di questa conversazione al limite del possibile, oscillante come un cappio appeso a un lampadario di cristallo nero in una stanza dalle pareti di vivida vernice rossa, ma non credo si stia muovendo. 
Nessuno lo sta facendo.
-Lui può anche averti fatto credere che potrebbe essere diverso… ma non lo sarà.- pioverà. -Io conosco la tua sensibilità, ho conosciuto il tuo dolore… Ho contato i tuoi tagli. Li ho visti sanguinare.-
Eppure la notte è così splendente… -E l'ho odiato Dominik… ho odiato Aleksander Lubomirski senza conoscerlo perché aveva avuto il potere di farti fare questo… Anche la sera che ti ho salvato la vita.-
-Sei stata tu..- sbarro gli occhi.. ma certo. Solo lei sapeva dove fossi. -Nella discoteca. Hai chiamato l'ambulanza..-
-..e sono corsa via. Sì.- annuisce, alza una mano. Il palmo è d'argento. -Ma non prima di essermi assicurata che saresti sopravvissuto.-
-Tu volevi..- le corde vocali cedono nel bel mezzo della frase, ma devo urlarla, devo urlarla adesso. Ci sono cose che in un sussurro non renderanno mai abbastanza. Come si può sussurrare… -QUESTO!- 
-Io volevo che tu morissi per me! Che ci fossi io nel tuo suicidio! E invece…- le ricce ciocche rosse come fiammiferi, danzano sul suo volto di carta vetrata. Non guarda più me. Ha l'odio negli occhi.
-E invece c'era lui.
Asher non mi leva gli occhi di dosso. Sono d'argento anch'essi.
Ma Aleksander no. Lui non è d'argento, e non è neanche d'oro, o di bronzo o di platino con la camicia strappata da qualche parte all'altezza della clavicola e la consapevolezza di essere un intruso in una conversazione che non capirà mai, su un campo di battaglia su cui non ha mai combattuto. Aspetto che parli ma rimane in silenzio, e so perché.
Perché non sente di averne il diritto.
Vuole che questa sia una mia scelta.
Ed è di una scelta che si tratta?
Come potrò mai scegliere fra la ferita e la lama? 
-So che mi vuoi Dominik.- La sua mano aspetta ancora me, ferma a mezz'aria come nessuna statua saprebbe mai fare. Le unghie irregolari sono colorate di viola. C'è dolcezza nel suo sguardo, persino gentilezza. E desiderio. -Mio re..-
-Nik.-
Chiudo gli occhi.
Anche se non sa… anche se non può neanche immaginare cosa vuole dire attraversare tutto questo… anche se non sa cosa significa essere me, lui ci prova lo stesso. Perché vuole lo stesso che vada da lui.
-Io ti voglio Sylwia.-
Per un secondo penso davvero di chiudere qui la questione. Di ricacciarmi in gola la verità. Ma… -E ho bisogno di te… e mi piaci, e mi elettrizzi e mi fai sentire… accettato. Come se tutti i miei sbagli e i miei errori e ogni mio più piccolo difetto siano la perfezione. E guardi queste cicatrici come si guarda un'opera d'arte, e…- allargo le braccia, non sta piovendo. Sono solo le mie lacrime. 
-E… forse mi fai sentire anche amato…- una di essere raggiunge le mie labbra. Ma..-
E’ bellissima, con occhiaie profonde e un vestito leggero del colore delle nuvole che le lascia scoperte le gambe bianche e martoriate.
-Lui mi fa sentire vivo.-
Sono certo di averlo detto non nel sentire la mia voce pronunciare proprio queste parole, ma dal riflesso spontaneo che ha assunto la bocca di Sylwia quando il surreale diventa reale e l'astratto si tramuta in concreto.
-Ovviamente… e la sensazione di essere vivi non si scambia con nient’altro.- fa una pausa, come se stesse decidendo se dirlo o no.
-Qualsiasi cosa accada qualunque… male ti lanci addosso come pietre ad una cazzo di lapidazione tu muori e vivi… per lui.-
Scopre i denti in quello che a primo attrito sembrerebbe un sorriso ma… non lo è. E non è un ghigno, o una smorfia; e non sta piangendo o ridendo o urlando o guardandomi con disprezzo. Se ne sta lì, nel suo fascino spiegazzato, ad osservarci. Poi alza una pistola. La quarta arma della serata. 
L'ultima. 
La punta contro Aleksander.
La tiene bene.
La punta bene.
La punta forte.
Aleksander apre le mani, ma non cerca di portare tutto su un piano logico. Non vi è logica stanotte. Questo cielo vedrà solo emozioni.
La guarda senza battere ciglio.
Lubomirski se solo tutti quelli sapessero davvero quanto cazzo sei coraggioso..
-Tu scegli lui…- aspetta. -ma io ho scelto te.-
Il grilletto si abbassa, poi scompare sotto il viola delle sue unghie. Mi serve un secondo per lanciare un'occhiata alla pistola abbandonata a terra e decidere che non sarò saggio stanotte.
Solo tremendamente innamorato.
Mi lancio dalla parte opposta, davanti a quella pistola, davanti ad Aleksander. Non può fermarmi, Sylwia non può fermarsi, il colpo non può fermarsi. Il mio cuore non può fermarsi. Ma lo fa. Sa cosa sto facendo e me lo lascia fare, perché non è mai stato così bello morire con una pallottola nel petto e il suo volto davanti che si contrae dalla sorpresa e dal terrore e la sua voce che ti chiama. Mi hai chiamato così tante volte… ma questa volta non posso risponderti.
Ci provo ma è tutto così inutile. Non sento più le gambe, o le braccia, o le mani ma la tue mani le sento… stringi più forte… cazzo stringi di più, fino a quando non ci sarà più niente in questo corpo in grado di sentirti.
Definitemi egocentrico, o delirante. Definitelo delirio o incoscienza, ma decido io come e quando e soprattutto per chi morire.
E ho scelto di farlo così, meglio dell’ultima volta, con terriccio sotto le unghie e la sua voce a promettermi che andrà tutto bene.
Ma ti prego, non fare promesse che non puoi mantenere.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo ispirato dalle canzoni: Bang – Armchair Cynics
                                                  Lost in Paradise – Evanescence
In particolare ascoltando Lost in Paradise mesi fa la scena ha preso forma nella mia mente.

 

 
 
\\I can't believe it's done.
No! Non iniziate ad affilare coltelli o a lucidare pomodiri per lanciarmeli addosso a causa del modo... tremendo in cui ho scritto la fine di questo capitolo. E non so neanche perchè l'abbia fatto visto che solo Dio sa quanto ho negato e sofferto la fine di Suicide Room... ma, nella scrittura non faccio sconti a nessuno, per cui... chiedo venia!
Ragion per cui, miei prodi marinai (no non ho visto di recente Pirati dei Caraibi lo giuro!) spero che non ne abbiate già abbastanza di me e delle… strane cose che partorisce la mia penna. 
Non so come ringraziare chiunque abbia recensito o apprezzato in silenzio la mia storia sino ad ora, il vostro apprezzamento è stato molto apprezzato (?) e non posso dimostrarvi la mia gratitudine se non con un altro lungo e infinito capitolo carico di feelings che se vanno di qua e di là come cavalli imbizzarriti in una gara di Dressage nel Kentucky.
Per non parlare della storia che non ho ancora pubblicato in cui se mi gestisco i due protagonisti automaticamente diventano quattro e io non posso gestire le emozioni di quattro personaggi alla volta.
Oddio, posso farlo, ma poi viene fuori una roba come questo capitolo. Non date a me il controllo delle emozioni: andranno a briglie sciolte e criniere al vento (tipo Spirit cavallo selvaggio).
Okay la smetto di blaterare e vado ad affogare le mie discordanze mentali in un budino al cioccolato, ma prima vorrei dire che le strofe iniziali sono tratte dal testo della canzone BANG, degli ARMCHAIR CYNICS. 
Se avete tempo e voglia ascoltatela, è molto bella ed è quella che ha sempre più rappresentato Suicide Room ed il suo mondo nella mia testa, insieme a “LOST IN PARADISE” degli Evanescence e a "LIGHT 'EM UP" dei Fall Out Boy. 
Grazie ancora alle utenti che hanno recensito il precedente capitolo e che mi hanno sommersa di complimenti immeritati: vi ho fatto aspettare 3 ere glaciali e 3 disgeli per leggere un nuovo capitolo ma ora c'è, è qui e… scappo prima che si disgeli anche il mio budino al cioccolato.
Al prossimo capitolo (spero non dobbiate aspettare un'altra era glaciale o l'impatto di una meteora sulla crosta terrestre)
Pachiderma Anarchico.
  
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