088. Given name
Nome proprio
"Due persone che iniziano ad amarsi ripetono
l'una il nome dell'altra e spesso tornano con il pensiero a dire e ridire quel
nome. Perché il nome è più che una parola: invoca ed évoca la presenza." Ermes
Ronchi
Riza continuava a girarsi nel letto. Riguardò la sveglia
sul comodino: le 2:13. Quella notte non avrebbe dormito. Quel letto, il suo
letto sembrava non appartenerle davvero. Nulla in quell'appartamento sembrava
appartenerle.
Quella mattina era stata dimessa dall'ospedale di
Central, prima del Colonnello. Mentre firmava le carte di dimissione
l'infermiera le aveva domandato con gentilezza: «Pronta per tornare a casa?
Pronta per tornare alla normalità?». Riza aveva semplicemente sorriso in
risposta.
Normalità. Da quando era uscita dall'ospedale Riza
vivisezionava quella parola nella sua mente. Ancora non poteva tornare in
servizio attivo, c'era la convalescenza e il recupero. Ma l'esercito,
l'uniforme era la sua normalità. Che poi, veramente sperava di poter
riconquistare un briciolo di normalità dopo gli avvenimenti del Giorno della
Promessa?
Perché
ovviamente è più che normale continuare a chiamare l'uomo con cui hai condiviso
i momenti più importanti e più drammatici della tua vita
"Colonnello"? Hai solo giurato di seguirlo fino all'inferno. Andata e
ritorno, visti gli ultimi fatti...
Ma niente
è più forte del regolamento militare. La legge antifraternizzazione non va
infranta.
Riza si rigirò sotto le lenzuola, trasse un
profondo respiro e chiuse gli occhi. Li riaprì solo quando la sveglia suonò
alle 6:35 spaccate. Non aveva dormito. Aveva cercato di silenziare i suoi
pensieri, di pensare a "cose normali".
Non indugiò a letto. Si vestì e fece colazione.
Portò Hayate a fare la solita passeggiata mattutina, quando Central doveva
ancora svegliarsi completamente e prendere il ritmo. Cose tranquille, cose
normali.
Il Colonnello le aveva chiesto di passare a casa
sua per prendergli degli abiti puliti. Era così strano muoversi con tanta
sicurezza in un appartamento che non era il suo. Mentre infilava un paio di camicie
pulite nel borsone che aveva recuperato nel microscopico stanzino di
quell'appartamento spartano la colpì la consapevolezza che si trovava più a suo
agio tra quelle quattro mura che nella propria casa. Eppure lei e il Colonnello
non avevano passato più di dieci minuti insieme in quel luogo. Eppure lei era
andata a colpo sicuro sia per le camicie che per il borsone. Come questi
pensieri fossero collegati...
Hayate abbaiò. Tempo di andarsene. Riza chiuse la
zip del borsone con un movimento deciso del polso, uscì di gran carriera dalla
casa e chiuse la porta a doppia mandata. Aveva sempre posseduto una copia delle
chiavi del Colonnello.
Decise di fare il giro largo e di passare per il
centro. Il mercato era già affollato di gente. Il mercato... Incredibile come
la città si fosse ripresa in fretta dai tumulti che l'avevano scossa nel
profondo. Sicuramente più in fretta di lei.
In un banchetto lungo la strada delle belle mele
rosse attirarono la sua attenzione. Ne acquistò una mezza dozzina e proprio
mentre pagava si accorse di avere i capelli sciolti. Non li aveva più legati
dal Giorno della Promessa quando il suo fermaglio si era rotto nello scontro
contro Envy e lei non ne aveva ricomprato uno nuovo con cui sostituirlo. Era
strano. Insomma, finché era ancora in ospedale poteva andare bene, ma ora? Il
Colonnello era abituato a vederla con i capelli raccolti, disciplinati, e la
divisa in perfetto ordine. Cosa avrebbe pensato nel vederla nelle vesti di
civile?
L'aveva guardata in modo strano il giorno prima quando
il Dottor Marcoh aveva usato la pietra filosofale per restituirgli la vista,
come se non l'avesse mai vista prima, come se l'avesse vista per la prima
volta.
Di norma non si potevano portare animali in
ospedale, ma nessuno disse niente quando attraversò l'atrio con la borsa di
carta carica di mele, il borsone al collo e il cane al guinzaglio. Un
inserviente si offrì di aiutare una così graziosa signorina con tanti pesi, ma
Riza sorrise con cortesia e rispose che ce la faceva, era abituata, ma grazie per
la gentile offerta.
Non bussò per annunciarsi al Colonnello, per le
braccia occupate, convinta che gli altri fossero già arrivati. Si sbagliava.
Il Colonnello stava alla finestra, ma si girò
immediatamente non appena la sentì entrare e le venne incontro per sgravarla
dal peso del borsone e delle mele.
«Ho pensato di portare uno spuntino» disse Riza
mentre slegava Hayate che faceva le feste al Colonnello. «I ragazzi?».
«Breda è con Havoc. Falman doveva passare al
tribunale militare. Fury dovrebbe arrivare» le rispose, mentre grattava le
orecchie al cane.
Riza si andò a sedere sulla sedia accanto al letto
del suo superiore. Tutto d'un tratto non si sentiva così a suo agio in
compagnia di quell'uomo. Avrebbe preferito che uno dei ragazzi della squadra
fosse lì con loro, perché così, da soli, non sapeva cosa dire. Finché lui era
cieco era tutto diverso. Si era sentita indispensabile, speciale, ma ora si
sentiva di troppo. Doveva parlare di Ishbar? O di tutta la trafila burocratica
che sarebbe seguita terminata la convalescenza? Forse poteva raccontare di come
aveva visto attiva e vitale la città quella mattina al mercato?
Ma la vera domanda che l'assillava era: perché il
Colonnello mi ha guardato in quel modo? Teme forse che non riesca a
riprendermi? Non si fida più...
«Cos'è quello sguardo così accigliato?». Il
Colonnello aveva lasciato Hayate per
venire a sedersi sul bordo del letto, di fronte a lei.
«Nulla. Davvero» mentì Riza. Non poteva certo
pronunciare a voce alta le domande che la stavano assillando e che le avevano
tolto il sonno.
«Davvero?».
«È solo che... pensavo alla normalità. E a cosa
potevo fare di diverso. Se solo avessi agito in maniera diversa, magari le cose
sarebbero andate in maniera differente. Non vorrei averla delusa. Se...».
Il Colonnello la interruppe in modo un po' brusco,
ma per pronunciare parole dolci. «Smettila. Non hai fatto niente di sbagliato.
Non mi hai deluso. Mai. Nessuno di noi sapeva veramente cosa sarebbe successo.
Non siamo stati perfetti, ma abbiamo fatto del nostro meglio. Non c'è niente di
perfetto» allungò una mano per prenderle una ciocca di capelli «Questo mondo è
imperfetto. Ma è per questo che è anche così bello».
La ciocca di capelli scivolò tra le sue dita come
seta. Riza si sentì bella - poche volte in vita sua un uomo l'aveva fatta
sentire bella - e in imbarazzo, perciò abbassò lo sguardo.
«Se lo dice lei, Colonnello». Si risistemò la
ciocca che il Colonnello aveva trattenuto tra le sue dita poggiandola dietro
l'orecchio.
Lui sorrise nervoso. «Roy».
«Roy?» gli fece eco, poco convinta e un po'
scandalizzata.
«Roy. È il mio nome. Dovresti saperlo dopo tutti
questi anni» la canzonò. «Non puoi continuare a chiamarmi
"Colonnello" per il resto della vita!».
La lasciò senza parole. Riza aveva gli occhi
sgranati, le guancie sempre più rosse e la bocca leggermente socchiusa. Era
bella. Non era di certo la prima volta che lo notava, ma questa consapevolezza
ora aveva un sapore diverso, quasi intrigante. Roy cercò di riempire il
silenzio che era sceso. «Non di certo dopo quello che è successo».
«Intende il colpo di stato e tutto il resto?».
«Intendi» la corresse con un briciolo di
impazienza. «Sì, anche. Ma soprattutto quello che è successo poco prima del
colpo di stato».
Ah,
giusto! Quella cosa... il... bacio.
Le gote di Riza s'imporporarono di nuovo al
ricordo.
«Potrebbe ricapitare. Sempre se ti fa piacere, Riza». Roy calcò sul nome guardandola
con intensità.
«Può darsi, Roy»
la donna decise di stare al gioco.
«In questo caso...». Roy le afferrò la mano per
portarsela alle labbra in un gesto antico e galante.
Le trattenne la mano. «Ho desiderato tanto
baciarti; per così tanto tempo». Si avvicinò al suo viso. Riza aveva già gli
occhi chiusi, in attesa di...
La porta si aprì. Roy e Riza si allontanarono, la
stretta delle mani si sciolse. Perché diavolo non avevano bussato? O forse si
erano talmente persi in loro stessi da non sentire nemmeno bussare.
Roy guardò la persona che era appena entrata, ma
tornò subito con lo sguardo alla donna. «Porta solo ancora un po' di pazienza Riza.
Sistemerò tutto».
Fury li guardò da dietro la pila di libri che
teneva in bilico davanti al naso, completamente inconsapevole di aver
interrotto un momento importante. «Pazienza per cosa, Signore? Posso essere
d'aiuto in qualche modo?» domandò con ingenuità.
Aspetta
un attimo... Ma il Colonnello ha appena chiamato il Tenente Riza? Non la chiama
mai per nome. Perché l'ha chiamata per nome?
Forse, poi così tanto ingenuo non era.
NOTA-:
Uno dei prossimi themes è Kiss... traete le conclusioni...