Erano sporchi e rozzi XIII
V’era
la battaglia e la discesa della Valchirie*, il suono rotto dei corni
ricurvi di Loki, che erano stridenti come i peggiori ululati delle
fiere e i sibili dei guerrieri germanici. V’erano i tamburi di
pelle che annunciavano la battaglia ed i corpi dipinti di blu e nero,
che erano terribili e violenti come le urla degli Dei.
Ariovisto sanguinava- dal corpo e dall’anima, immergeva le dita nei flutti rossi e spalancava le labbra in un sospiro doloroso, coi polmoni accartocciati dalla polvere e dalle ossa scricchiolanti, la pesantezza dell'umiliazione che martellava i propri chiodi sul taglio slabbrato della gamba destra, orribilmente aperto. Lo colse in volto un brivido delirante, il fisico lontano e vivo e giovanissimo che tendeva i nervi e tendini escoriati anche dalla compagna Sconfitta, che docile sorrideva agli occhi febbricitanti del suo ospite.
Strinse la branda e si strinse il cuore, non per vergogna di aver chinato il capo verso un nemico tanto invincibile –e potente, dalla tale immensità da poter abbracciare il mondo col palmo della mano-, ma per la sua incapacità a stringere i denti se il dolore gli mordeva le membra.
“La carne è utile, ma lo spirito è più forte”; sussurrò ad Ottavianus in una lingua stridula e stanca, il viso bollente e ansante, la mente vaga e persa nella malattia.
-Hai perso…- Roma alzò la mano destra, andando a scostare i capelli biondi e sudati, sfiorando il volto livido e le labbra schiuse a rilasciare mugolii rotti, -hai perso, giovane e coraggioso guerriero.-
La carezza proseguì con insistenza sulle spalle, a toccare il segno sgraziato e storto che avevano lasciato i gladi romani, soffermandosi sui fianchi e le gambe troppo lunghe per appartenere ad un selvaggio adolescente.
Ottavianus osservò le sue forme e la sua nudità, cercando di scavare sotto al sangue e ai lividi del colore del ferro-non poté astenersi dal sentire i fremiti dolorosi sotto ai polpastrelli, memore dello sguardo feroce che il barbaro gli aveva rivolto in battaglia: era parso simile ad una creatura iraconda e silvana, un giovane dio inesperto sul quale alzare le lame rotte e scheggiate.
Lo baciò con rabbia e in modo rozzo, e Ariovisto soffocò il suo male fra le labbra. Sentì le ferite –sì tanto brutte a vedersi- reclamare attenzione e digrignare i denti; sentì il fiato caldo di Roma, e sapeva di oro e polvere, dello sguardo bellicoso e furibondo, della Musa della Vittoria che gli stringeva le mani callose.
Aveva la malattia sugli occhi e sulla lingua, il giovane Reiks, un senso placido di vergogna ad impedirgli i movimenti e sul volto lacrime calde quanto le fucine di Vulcano.
Note:
*Un semplice riferimento alla mitologia norrena: le Valchirie portavano i guerrieri caduti in battaglia e particolarmente valorosi nel Valhalla, dove diventavavano 'einherjar' (eroi). Un guerriero trasferito nel Valhalla avrebbe poi servito Odino e combattuto al suo fianco nel giorno del Ragnarock.
Ho sempre voluto scrivere un capitoletto simile! Finalmente ci sono riuscita.
Ringraziamenti:
Ringrazio come al solito le persone che con costanza seguono la raccolta, chi la inserisce fra le seguite, ricordate, preferite. Un abbraccio forte alle mie fedeli recensitrici, Tsukiakari e McBlebber! Vi ringrazio infinitamente per il vostro supporto, mi fa davvero piacere ricevere richieste da voi!
Ovviamente, nel caso qualcuno fosse interessato a qualcosa di particolare, può fare richiesta. Si tratta di una raccolta abbastanza libera, senza limitazioni particolari.
Alla prossima, Blacket.