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Autore: JessL_    24/07/2015    4 recensioni
È facile perdere di vista i propri obiettivi, ed è ancora più difficile rialzarsi una volta che si cade.
Bella ha ventisei anni, una volta finito il college è rimasta a vivere a Chicago, ha trovato lavoro ed è piuttosto soddisfatta della sua vita... almeno finché non viene licenziata e si ritrova senza pensarci a Forks, di fronte alla casa che l'ha vista crescere.
Tratto dal prologo:
"Avete presente quella sensazione stupenda del sentirsi finalmente a casa? Ecco, è esattamente quello che sto provando di fronte alla villetta di mio padre.
Questa casa, queste semplici mura, racchiudono un’infinità di ricordi. Questa casa mi ha visto crescere. Su quel portico, una volta, ci ho rimesso quasi la pelle all'età di tre anni a causa di un’asse che ha ceduto; su quel dondolo ho letto una miriade di libri e soprattutto in giardino mi sono gustata un sacco di grigliate con amici.
Non accade spesso, purtroppo, che io torni a casa a trovare mio padre, il lavoro negli ultimi tre anni mi ha letteralmente succhiato la vita, e trovarmi qui, ora, ha un sapore dolce amaro."
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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CAPITOLO 3

~ Farfalle e domande.
 
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Mi guardo allo specchio piuttosto soddisfatta, solo che... non riesco a smettere di guardarmi, come se sentissi che c’è qualcosa fuori posto.
«Smettila, sei bellissima... e il tuo accompagnatore è sotto che ti aspetta.» Quasi sobbalzo quando sento la voce di mio padre, sospiro e continuo a guardarlo tramite lo specchio.
«Ha suonato e non l’ho sentito?» Chiedo intimorita; non posso essere diventata sorda.
«Non proprio...» Osservo mio padre passarsi una mano tra i capelli brizzolati. «Diciamo che mi è sembrato sospetto che un ragazzo camminasse e gesticolasse nel nostro giardino, perciò sono uscito e ho scoperto che uscirete insieme. Perché non mi hai detto che saresti uscita con Cullen?» Incrocia le braccia al petto e io mi avvicino al letto afferrando la borsa.
«Non voglio mentirti dicendoti che è stato deciso all’ultimo ma ieri sera non ci siamo visti, poiché hai cenato da Sue e quando sei arrivato io sono uscita, quindi non ne ho avuta occasione. Ora, se permetti, vado al mio appuntamento.» Cerco di superarlo. Sento i suoi passi dietro di me e una parte del mio pazzo cervello spera di non ruzzolare dalle scale.
«Wow! Se sapevo, mi sarei messo anch’io in tiro.» La voce di Edward mi blocca sul penultimo gradino. Alzo lo sguardo e noto i suoi jeans e la camicia coperta da una giacca. È perfetto.
«Non hai mai menzionato dove volessi portarmi, mi sono dovuta arrangiare.»
«Hai comunque fatto un ottimo lavoro.» Mi fa l’occhiolino e mi porge una mano, l’afferro immediatamente e mi lascio trascinare fuori da casa dopo aver salutato Charlie.
 
Il viaggio in macchina è stato... strano. Ci sono stati dei momenti di silenzio ma erano rilassanti, abbiamo più scherzato che veramente parlato, evidentemente abbiamo entrambi voglia di scoprirci mentre ceneremo.
Una parte di me continua a dirmi che tutto ciò è una pazzia e che non porterà nulla di buono, però è anche vero che ho avuto – e ho ancora – le farfalle nello stomaco. Le ho percepite non appena l’ho visto, sono aumentate quando gli ho afferrato la mano e sono aumentate a dismisura quando mi ha aperto la portiera della macchina o quando ha appoggiato lievemente una mano sulla mia schiena per accompagnarmi all’entrata del ristorante. Ora siamo seduti a un tavolo, abbastanza appartato, in questo ristorantino tra Seattle e Forks. È rustico ma ben organizzato e soprattutto tranquillo.
«Parlami di te.» Gli dico guardando di sfuggita il menù che una cameriera ci ha lasciato qualche attimo prima. Non riesco a guardarlo, come ho già detto, questa situazione ha dell’incredibile.
«Ti capita di farlo spesso?» Cerco di non alzare un sopracciglio ma sollevo lo sguardo incontrando il suo. A che cosa si riferisce?
Non vorrei proprio passare per la pervertita della situazione.
«Intendi andare a cena fuori?» Chiedo divertita.
«Ehm, non proprio. Appuntamenti. Ci vai spesso? Sembri quasi collaudata... mi hai praticamente bloccato sul nascere.» Sorride e io sto sperando che si apra una voragine e che m’inghiottisca.
«Non mi ero resa conto che stessi per parlare, scusami; comunque no... voglio dire, a cena fuori andavo spesso, a Chicago. Vivevo lì prima di trasferirmi a Forks. Qualche appuntamento l’ho avuto. Tra il college e dopo, i ragazzi non sono mancati ma il lavoro mi sorbiva parecchio. E poi te l’ho chiesto perché sono certa che tua abbia più cose da dire, anche più interessanti.» Mi sto arrampicando sugli specchi ma non ho mentito.
La mia vita è stata piuttosto monotona, non che mi dispiaccia, amo avere una routine, gli stessi amici e conoscere i posti in cui vado. E sì, ho avuto parecchi appuntamenti ma raramente si arrivava al terzo e la fatidica domanda “parlami di te” mi ha sempre intimorita, non so mai cosa dire.
«Ok, ti accontento. Finito il liceo sono andato a Yale, mi sono laureato e dal Connecticut mi sono spostato a New York dove mi hanno inizialmente preso in uno studio legale per fare pratica, sono poi stato preso a tempo pieno ma dopo un annetto Alice mi ha detto che tornava a casa e ho deciso di seguirla... una volta trovato lavoro a Seattle, mi sono trasferito e ora lavoro ancora come avvocato penalista. Come vedi, niente di che.»
«Quindi Jasper è un avvocato divorzista e tu... beh, tu sei quello che va in tribunale per far finire dentro qualcuno.» Edward ride della mia sintesi e annuisce.
«Diciamo così. Te, invece? Non puoi esimerti dal rispondere.» Faccio una smorfia ma lo accontento prontamente.
«Finito il College sono rimasta a Chicago, mi sono laureata in lettere ma visto che non ho mai aspirato a diventare un’insegnante ma bensì lavorare in una redazione dove si pubblicano libri e non quotidiani, mi sono accontentata di lavoretti saltuari che non c’entravano nulla con quello che avevo studiato. Tre anni fa sono stata assunta come assistente dell’assistente in una casa discografica. Il mio capo è stato licenziato tre mesi fa e con lui anche tutti i suoi sottoposti. Dopo aver praticamente azzerato i miei risparmi, ho deciso di tornare a casa visto che non avevo trovato altro.» Scrollo le spalle e svio lo sguardo dal suo, vedere quell’espressione seria e un po’ incupita mi fa torcere le budella.
«Che cosa posso portarvi?» Quasi sobbalzo sentendo la voce della cameriera. Sorridendo ordiniamo e per qualche momento, dopo che la cameriera porta la comanda in cucina, cala il silenzio.
«Deduco che quindi Rosalie sappia cos’è successo l’altra sera...»
«Già.» Mormoro con un sorriso.
«Non pensare che mi dispiaccia ma quando ho visto te e le altre due pazze allo stesso tavolo, la sera prima, mi è venuto quasi un colpo. Mi è sembrato di essere tornato ad avere sedici anni, dove voi stavate sempre insieme e vi raccontavate tutto in camera di Alice.»
«Ho avuto la stessa sensazione, non lo nego. E mi sa che tornerà ad essere veramente così. O almeno una parte di me lo spera.»
«Lo spera anche Alice, se ti consola. Non ha fatto altro che parlare di te durante il pranzo di ieri. I miei non vedono l’ora di rivederti, quindi è probabile che presto o tardi ti arriverà un invito a cena.» Ah, Carlisle ed Esme... sono due persone eccezionali.
«Non sarebbe strano? Voglio dire... io e te, quel tavolo, i tuoi genitori...» Si guarda attorno per qualche secondo, poi evidentemente prende coraggio e si sporge verso di me.
«Bella, tu mi hai definito un bravo ragazzo, e voglio che continui a pensarlo. Se dovessi accettare l’invito, per me non sarebbe un problema. Abbiamo mangiato allo stesso tavolo più volte, io e te, di quanto lo abbia fatto con le mie ex. Davvero, non sarebbe un problema.»
«Ex, eh? Al plurale.» Lo stuzzico e lui si mette a ridere per poi cambiare lievemente discorso. Accantono ma non dimentico, sappilo caro Edward.
La cena passa velocemente e ridendo ci ritroviamo fuori dal ristorante dopo aver pagato il conto. Non è tardi ma non so che cosa voglia fare Edward, non ha voluto accennare nulla della serata e per quanto la cosa m’intrighi, da una parte mi mette agitazione. Non sono un’ossessiva compulsiva ma ammetto di non amare molto le sorprese.
«Deduco tu debba tornare a casa presto, domani devi lavorare.» Mormoro appoggiata alla portiera della macchina. Edward infila le mani nelle tasche dei jeans e annuisce.
«Anche tu. Non penso che Jasper apprezzerebbe che arrivassi in ritardo.» Sorrido e una mia mano si allunga di sua volontà fino ad arrivare alla sua giacca.
«No, dubito gli farebbe piacere. Quindi deduco che ora mi porterai a casa...» Edward fa un passo avanti, avvicinandosi ulteriormente; i suoi occhi non si allontanano dai miei e sorride.
«Vuoi andare a casa?» Percepisco il battito del mio cuore nelle orecchie.
Vorrei andare a casa? No.
Vorrei restare ancora con lui? Sì.
Vorrei ancora scoprire cos’ha fatto nella vita? Ovvio.
«Dovrei dirti di sì. Dovrei fare la ragazza con la testa sulle spalle... ma penso di aver lasciato quella ragazza a Chicago.» Mi da a malapena il tempo di concludere la frase che le sue labbra si posano sulle mie.
Adoro come bacia.
Non si accanisce, non cerca di catturare le mie tonsille, si prende il suo tempo, si gusta il mio labbra inferiore, ci gioca, lo morde e mi sembra quasi di sciogliermi.
Abbiamo ventisei anni. Siamo giovani, anche se con delle responsabilità e una vita che forse non è totalmente compatibile.
L’elettricità ci circonda, così come fanno le sue braccia col mio corpo, così come le mie mani afferrano i suoi capelli.
«Ti andrebbe di bere una birra a casa mia?» Me lo chiede senza allontanarsi, mormorandomelo sulle labbra. Mi sento quasi in trance.
Anche qui, dovrei dire no, ma come un automa mi ritrovo ad annuire.
 
«E poi?» Nascondo il mio viso dietro una tazza di caffè e scrollo le spalle.
Alice si è letteralmente catapultata in ufficio, alle dieci del mattino e questo solo perché non riusciva più ad aspettare un mio messaggio.
«E poi niente. Abbiamo bevuto una birra, parlato e infine mi ha accompagnato a casa.» La sua faccia delusa mi fa ridere ma cerco di trattenermi.
«Amore, ciao! Come mai qui?» Jasper appare nella piccola cucina dell’ufficio e depone un lieve bacio alla sua ragazza per poi sorridermi.
«Te l’ho detto, ieri sera, che nel caso Bella non si fosse decisa a farmi sapere qualcosa mi sarei presentata qui per avere qualche scoop.» Jasper sgrana gli occhi.
«Pensavo stessi scherzando.» Alice lo guarda stranito e io alzo un sopracciglio.
«Bisogna sempre prenderla in parola.» Dopo un secondo annuisce alle mie parole e si riempie una tazza di caffè.
«Va beh, quindi com’è andata? Sei arrivata puntuale... quindi Edward non ti ha legata al suo letto.» Lo dice divertito ma i miei occhi volano sulla mia amica.
«Gli piace quel tipo di sesso?» Jasper scoppia a ridere e Alice si copre le orecchie!
«Bella! Stai parlando di mio fratello!» Che ho detto di male?
«Quindi? Sai vita, morte e miracoli e adesso ti scandalizzi per una domanda innocente?»
«Tranquilla, Bella, Edward è innocuo. A meno che non abbia cambiato il suo stile di vita negli ultimi... tre mesi? Quattro?» Mi risponde Jasper addentando un biscotto.
«Sono quattro mesi che non porta una donna a casa?» Chiedo stupita.
«Ma avete parlato, o cosa, ieri sera?» Mi chiede la mia amica, meritandosi un’occhiataccia.
«Avrei dovuto chiedergli da quanto tempo non faceva sesso? Ti sembra una domanda da porre? Ti sei ammattita?»
«Io, a Jasper, lo avevo chiesto. Non avevo per niente voglia di contrarre qualche malattia, né di essere una delle tante.»
«Non saresti mai potuta essere una delle tante.» Alzo gli occhi al cielo ed esco dalla cucina per farli amoreggiare in santa pace.
 
«Tutto qui? Davvero?» Sbuffo e decido di tacere. Rosalie può anche morire di curiosità, a questo punto. «Suvvia, Bella, stiamo pur sempre parlando di Edward. Avrò potuto non sapere che si era mollato con quella, ma di certo dopo ci sarà stata qualcuna e tu non glielo hai chiesto? Perché?» Scrollo le spalle.
«Non ci ho nemmeno pensato. Io sono sei mesi che non vado a letto con un uomo e che mi affido al mio amico con le batterie, ma mi mica me l’ha chiesto e nemmeno gliel’ho detto.»
«Non starai iniziando a farti paranoie, vero?» Mi butto sul suo letto matrimoniale e taccio.
Sì, probabilmente qualche paranoia me la sto facendo, ma non c’è bisogno che lei lo sappia.
Rosalie mi affianca e osserva assorta, come me, il soffitto.
«Edward è un bravo ragazzo. Sappiamo entrambe che non è un puttaniere.»
«In realtà non lo sappiamo. Siamo rimaste all’Edward diciassettenne, e quello tutto sommato non lo era... ma il ventiseienne? Lo hai visto anche tu, persino più di me. Togli anche il fatto che mi abbia baciata la prima sera che mi ha vista dopo quasi un decennio... ieri sera, sì, era premuroso, educato, galante ma non capisco cosa voglia. Perché io? Perché non si espone e soprattutto perché oltre le mie labbra non ha toccato altro? A malapena i miei fianchi, giuro!»
«Mi sembri una gatta in calore, non soddisfatta. Non prenderla male, non guardarmi così! Dico sul serio! Magari ci sta andando piano, magari gli piaci ma ci sta andando con calma. Vi conoscete da una vita e da altrettanto tempo sei una cara amica della sorella. Chi diamine è che non ci andrebbe piano con una situazione così?» Sospiro sconfitta e torno con la testa sul materasso.
«Allora aveva solo da rimanersene al suo posto.» Rosalie alza gli occhi al cielo, ma non commenta.
 
«Ti ha scritto? Allora? Ti ha scritto?»  Fulmino Alice con un’occhiata e lei sorride angelicamente.
«No, Alice, smettila di chiedermelo tutti i giorni. Dopo che ci siamo visti lunedì, non l’ho sentito, non mi ha scritto e non mi ha cercato. E prima che tu lo dica, sì, lo so, siamo a giovedì.» Mette il broncio ma non si scolla dall’isola della mia cucina.
Sono stufa di tutti che mi pongono domande, sono stufa di dover pensare ad Edward.
Questo suo comportamento mi ha aperto gli occhi: ci ha provato, non gli sono piaciuta e di conseguenza non si è più fatto sentire. Lo capisco, non comprendo ma lo capisco.
Sopravvivrò benissimo anche senza di lui, ai suoi dannati occhi verdi, ai suoi capelli soffici, a quelle spalle da mordere e quelle labbra che dovrebbero essere dichiarate illegali.
«Perché non gli hai scritto tu?» La guardo come se fosse pazza.
«Non esiste! È lui che mi ha proposto di andare a casa sua, e io ho pure accettato come una cretina e mi sono sciolta come gelatina sul suo divano mentre ci baciavamo, ma una volta che mi ha riportata a casa... è come se fosse cambiato. E va bene, voglio dire... non gli interesso. Lo avrà capito strada facendo da Seattle a Forks. Va bene così.»
«Non va bene così. Mio fratello non si comporta così, deve essere successo qualcosa.»
«Tu lo hai sentito?» Annuisce. «Allora sta bene, è vivo e soprattutto non ha perso il mio numero visto che non te lo ha chiesto.» Alice sbuffa e cambia discorso.
«Mia madre ti ha chiamata?»
«Uh, sì! Me ne stavo dimenticando... domenica? A pranzo? Non voleva fare una cena? Perché questo cambiamento?»
«Arrivano i parenti di Denali, nel pomeriggio. Contando quanto te e Irina vi odiate, mia madre ha preferito evitare.»
«Sono passati anni... e poi, sarà anche vero che non sopporto Irina ma adoro Kate!»
«Rimangono una settimana, giuro che te la faccio vedere.» Sorrido e cambiamo discorso. Io per non pensare, lei perché non riesce a tacere per più di un minuto. Ma l’adoro lo stesso.
 
«Sei sicuro di non voler venire? Esme ha invitato anche te.» Mi sistemo la fascia attorno ai fianchi e aspetto una risposta da mio padre. È sulla poltrona, di fronte alla tv e sta facendo zapping.
«No, tranquilla, domani mi devo alzare alle cinque, voglio solo poltrire tutto il giorno.» Non ribatto, lo saluto ed esco di casa senza fargli presente che sono le undici del mattino e che si sarebbe tranquillamente potuto rilassare dopo il pranzo.
Casa Cullen non dista molto dall’abitazione di Charlie, perciò non è un problema andare a piedi anche se fa caldo. Mi prendo del tempo per pensare ma come ho fatto in tutti questi giorni, non arrivo mai a un punto. Non posso mentire, la domanda che mi sono posta più spesso è stata: “Che cos’ho sbagliato? Che cos’ho fatto di male?” non che riesca a darmi una risposta, ovviamente, ma prima o poi i nodi arriveranno al pettine. Almeno lo spero.
Di fronte alla porta, mi stampo un sorriso sulle labbra e suono il campanello. Abbasso lo sguardo e sospiro finché la porta non viene aperta, alzo il viso e apro bocca per salutare ma quando mi ritrovo la faccia da schiaffi di Edward, di fronte, mi blocco e m’irrigidisco.
Allora è vivo!

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Sorpresa sorpresina! Non era previsto ma contando gli impegni di questo weekend, ho deciso di anticipare il tutto, spero non vi dispiaccia.
Non voglio perdermi in chiacchiere, soprattutto perché so che avrete domande - almeno me lo auguro - ma per farmi perdonare, posso dirvi che già nel prossimo capitolo avrete le vostre risposte. Non vi anticipo nulla, anzi sì, voglio proprio farmi odiare, vi lascio un piccolo spoiler e poi sparisco ;)

Spoiler:
«Oh, tempo ne ho avuto, ho un lavoro d’ufficio, stacco alle cinque ma il telefono caso strano non è mai squillato. Magari sei tu che lavori troppo e non hai un attimo per fare una dannata chiamata!»
«Io? In effetti è vero, sono stato impegnato, sono un avvocato, tempo libero ne ho poco ma per quanto la cosa potrebbe stupirti, ti ho fatto tre chiamate al giorno per... cinque giorni! E indovina? Non ho mai ricevuto risposta. Nemmeno ai messaggi, adesso che ci penso. Potevi essere chiara fin dall’inizio, Bella, o comunque mandarmi un messaggio chiedendo di smetterla.»
   
 
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