Ventitreesimo prompt:
Arguing
“C'è ancora polvere – commentò Sherlock passando una mano sull'attizzatoio vicino al caminetto – è peggio di quando lo avevo lasciato.” disse, alimentando il fuoco con lo strumento, mentre il crepitare delle fiamme e l'odore di legna bruciata si disperdeva per la stanza.
John si schiarì la gola.
Sembrava tutto come un tempo, era tutto così dannatamente normale.
“Sei stato via – specificò – non entro in questo appartamento da... lo sai.”
Sherlock annuì, sprofondando nella sua poltrona nera e prendendo un sorso di vino dal bicchiere, “Ovviamente.”
John sospirò, si sentivano le cicale del cortiletto del 221a.
Il tubare dei piccioni.
Tutto troppo giusto, troppo perfetto.
Non doveva essere perfetto.
O forse...
Era lì, il suo detective, come tanti anni prima.
“Suoni?” chiese, il tono della voce leggermente abbassato.
Il detective alzò le sopracciglia per un attimo, cercando di leggergli il volto, poi impugnò l'archetto del violino accanto a lui, ancora fuori dalla custodia.
C'era un velo di polvere.
John amava la musica, e il suo coinquilino lo sapeva bene. Ogni volta che suonava, le note erano per l'uomo che stava ad ascoltare sulla poltrona. Le sinfonie si potevano susseguire per ore e ore, e quell'uomo era sempre nella stessa posizione, ad ascoltare incantato.
Poteva chiudere gli occhi, immaginandosi i luoghi che lui e l'amico avevano visitato. Onde che si infrangevano sulla costa, lavando via le orme. Paesaggi verdi, doline desolate. Un sorriso gli abbelliva il volto, mentre la musica gli risuonava nelle orecchie. Un cielo al tramonto.
Una volta.
Ma questa... questa era una musica triste, quella che aveva composto per Irene Adler, per la Donna.
Colei che gli aveva stregato il cuore.
Adorava quella melodia, l'aveva sempre fatto. Ma quella sera... quella sera chiudeva gli occhi, le orecchie tese, e riusciva a vedere solo Sherlock. Sherlock e la sua testa che formava uno strano angolo sul cemento del marciapiedi del Bart's.
Una lacrima gli scivolò sul viso.
Sherlock.
La musica, come era iniziata, si interruppe, “Stai bene?”, chiese una voce.
E il mondo gli crollò addosso.
Ogni sguardo di pietà, ogni lacrima versata, ogni secondo speso davanti a una tomba di marmo nero vuota. “Tre anni, Sherlock. - mormorò, scuotendo lentamente la testa – tre dannatissimi anni in cui ho creduto che tu fossi morto e mi chiedi se sto bene?”
Una delle cose che infastidivano, che terrorizzavano Sherlock, erano le espressioni di John. Il momento in cui si arrabbiava, e non per uno screzio, per una cosa seria.
Perché John Watson sorrideva.
Una sottile linea incurvata verso l'altro, un piccolo sorriso, il dolore nei suoi occhi, la rabbia.
“Io...”
“Tre anni, Sherlock. - ripeté con voce tremante – tre anni. Tre anni sono tanti, sai? Uno potrebbe morire, un altro potrebbe nascere. Accadono tante cose in tre anni. Molly si è trovata un fidanzato, Greg ha lasciato sua moglie... e io sono rimasto ad aspettarti.”
“Io non potevo...”
“Non saresti mai tornato, certo che lo sapevo, me lo hanno ripetuto tutti, Ella, Lestrade, la Signora Hudson, persino Mycroft.”
“Sai che...”
“Hai la minima idea di cosa sia stato?! - esclamò alzandosi – Ogni giorno, Sherlock, pregavo che tu, tu – sussurrò avvicinandoglisi, puntandogli l'indice sul petto – potessi ritornare. - sorrise – Poi ho smesso però, ho iniziato a piangerti. A venirti a trovare alla tua tomba. A chiedere alla Signora Hudson di portarmi la tua vestaglia. Ed è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto.”
Le ricordava ancora, quelle serate. Passate in una vestaglia blu che odorava di Sherlock. Sempre di meno, ogni volta che dicideva di stringersela al petto.
Quelle notti.
Passate a pregare perché non ci fosse un domani.
“John, devi capire che se tu lo fossi venuto a sapere avresti potuto dir...”
Il medico scosse la testa, “No. Non rivoltarlo contro di me, Sherlock, non ci provare. Non dirmi neanche per un secondo che tutto questo è colpa m...”
“No. Certo che no. Ma io dovevo... John, - il detective cercò lo sguardo dell'amico - mi dispiace.”
Ma, per una volta, una scusa non era abbastanza.
John inspirò, chiudendo gli occhi, “Non parlare. Solo per un secondo, Sherlock. Non. Parlare. D'accordo?”