Salve a tutti, eccomi con il nuovo capitolo. Allora, forse
leggendolo penserete che Nikka sia pazza(o che io sia
un’amante del surreale). Ma alla fin fine lei e questa storia si basano
sui vestiti, era ovvio che la prova del 9 si facesse col frac.
Ad ogni modo spero che possiate apprezzare le mie solite cavolate.
Grazie mille a tutte le persone che leggono, a chi ha messo la storia tra i
preferiti(quota 14!!!!) e a chi ha commentato, in
particolare a LisettaH(per Mei
la situazione si fa brutta, poverino, sarà dura sopravvivere in mezza a
tutta quella gente! Tranquilla le oche blu torneranno alla ribalta anche a se
sono personaggi decisamente secondari) , The Corpse Bride(grazie mille per i complimenti, e beh, per
quanto riguarda Joyce e Rachele credo che siano amici, hanno un’amicizia
un po’ atipica ma sono amici^_^) e Lidiuz93(per Mei
è sempre peggio…e non siamo ancora arrivati all’apoteosi
delle catture che Nikka intende
fargli!!muahahah!!!).
Grazie a tutti e buona lettura.
Aki_Penn
I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Ottavo
Quel
giorno mi avventurai a scuola pressoché come un fantasma, contando sul
fatto che le mie oche blu affezionatesi a Mei lo
placcassero impedendogli di seguirmi, e in effetti
così fu, perché mio fratello non riuscì a scavarsele di
torno finché non entrò in classe e loro furono costrette ad
andare nella loro. Fui anche felice di constatare che non era riuscito nemmeno
a casa ad estrapolarmi nulla sulla mia discussione con Nikka.
Non
che Mei fosse un convincitore
di professione, diciamo che il nostro colloquio era andato più o meno
così :
“Cosa
vi siete dette tu e Nikka?”
“Niente”
“Va
bene”, e poi l’argomento era decaduto. Anche se io qualche volta
l’avevo chiamato “opossum addomesticato” ,
lui non aveva capito nulla.
Più
complicato sarebbe stato togliersi di torno Joyce. Ma per fortuna non avevo
bisogno di nascondergli certe cose, e quella mattina non era nemmeno venuto a
fare razzia nel nostro frigo. Da ciò dovevo dedurre che in casa sua si
fossero degnati di fare la spesa. La cosa mi rendeva gioiosa, non avrei dovuto
vederlo razzolare in cucina in mutande e pellicciotto o ancora peggio con
indosso quell’orrenda vestaglia plastificata con scritto
“IRISH” in lustrini, a lettere cubitali.
Anche
mia madre, per quanto fosse affezionata a Joyce era ben felice di non dover
vedere tali scempi. Entrai in classe di malavoglia sbadigliando, nonostante la
mia apparenza eterea ero decisamente turbata, come se stesse per succedere
qualcosa.
Questo
qualcosa che mi turbava, si personificò ben presto in Nikka.
Mei uscì dalla
classe guardandosi in torno col terrore di vedere apparire da un momento
all’altro quello sciame di ragazze blu, che sembravano fin troppo intenzionate
a ricoprirlo di soffocanti attenzioni.
Riconobbe la voce che lo chiamò, non
erano le asfissianti donzelle blu. E proprio per questo fece finta di non
sentire. Non sarebbe riuscito a risponderle male, lo sapeva e se fosse riuscito
a fermarlo gli avrebbe fatto fare tutto quello che voleva, perciò
l’unica via di fuga rimaneva far finta di non aver sentito niente.
Purtroppo come strategia non funzionò
particolarmente bene, infatti dopo più o meno
un secondo da quando aveva sentito pronunciare il suo nome , Nikka gli si era
presentata davanti con l’espressione assorta e gli occhi che fissavano
dritti i suoi. Mei sentì la pressione scendere
di un paio di tacche e le guance arrossire.
“Ciao Mei”
ripeté lei seria. “Oh, oh..ciao, non ti
avevo sentiva arrivare o, ti avevo sentito…però io non avevo
capito…non ti avevo sentito…” preferì zittirsi prima
di dire una cavolata. Arrossì più di quanto non fosse già
e abbassò la testa cercando di nascondere l’espressione
imbarazzata.
“Mi chiedevo cosa facessi oggi
pomeriggio” disse seria Nikka controllandosi lo stato del mascara in uno
specchietto color ocra che sparì subito in borsa.
“Ehm…niente” disse
impacciato e allo stesso tempo atterrito. Non voleva che Nikka lo usasse
nuovamente per fare i compiti mentre lei se la spassava con il
bell’imbusto di turno.
Ma lei non sembrava in vena di volerlo
infinocchiare. Sembrava seria, come se dovesse compiere una missione di estrema
importanza.
In quell’istante passò urlando
dietro di loro Joyce, mostrando il suo nuovo piercing al capezzolo, con la
maglia tirata su.
“GUARDATE CHE MERAVIGLIA!”
strillò in estasi.
“Joyce sei uno scempio… copriti
per favore!” lo liquidò Nikka infastidita senza nemmeno guardarlo,
e lui se ne andò a importunare delle ragazzine di prima che più
che essere scocciate erano sconvolte dal vedersi arrivare un tizio mezzo nudo
con un pellicciotto arancione addosso. Sono cose che ti rimangono dentro.
“Comunque ti volevo dire”
continuò come se nessuno l’avesse interrotta “Voglio
portarti in un posto”. A sentire tanta riservatezza il ragazzo non
poté far altro che insospettirsi. Che cosa lo avrebbe costretto a fare
adesso? Non ne aveva idea, ma era incredibilmente preoccupato. E
l’espressione seria di Nikka non lasciava trasparire nulla .
In un secondo furono al loro seguito anche Millie e la sua amica equina. “Loro sono Millie e Vanessa…ma credo che tu le abbia già
conosciute” fece Nikka senza badare veramente a ciò che le
accadeva intorno. Mei azzardò un sorrisetto
che venne accolto con due decisamente troppo ampi. Il ragazzo si rigirò
a guardare Nikka. Sinceramente non sapeva chi delle tre poteva fare più
paura. Millie e Vanessa ,
con l’aria di chi non vede un uomo da secoli, o Nikka, che ne aveva visti
anche troppi e sapeva come trattarli. Deglutì a disagio.
“Dove andiamo?” chiesero le due
che stavano loro dietro, mentre varcavano il cancello della scuola.
“A fare la prova frac!” disse Nikka perentoria suscitando un concitato bisbiglio
tra le due che cominciarono a confabulare fitto lanciando occhiate sbilenche a Mei. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, tutta
quell’emozione abbinata alla parola
frac , non lo entusiasmava neanche un po’.
Si guardò in giro circospetto, finche camminando quasi senza guardare
avanti, non gli piombò addosso un Joyce
piuttosto infuriato.
Spinto da un bidello altrettanto furioso.
“Vai via di qui,maniaco!
Ti sembra normale spaventare così le ragazzine?”
urlava l’uomo con grembiule rincorrendolo con una scopa.
“Ma io studio in
questa scuola!
E poi stavo mostrando il mio nuovo piercing!”
ribatté lui riprendendo l’equilibrio a scapito del povero Mei, che per poco non caracollò a terra.
“Non dire
fesserie!
Tu sei uno di quei drogati che vivono sotto i ponti! Si vede
da come sei vestito!” sbraitò l’uomo brandendo deciso la
scopa, Joyce evitò il colpo per miracolo, come se stesse ballando il
limbo.
A quel punto Nikka sbuffò,
tutto quel casino era decisamente poco educato, poco formale e decisamente
antiestetico. Antiestetico quasi quanto i calzini bianchi che si intravedevano
sotto i pantaloni del bidello, e quanto il pellicciotto di Joyce.
“Signor Randelli!” esclamò
con un sorriso che a un buon osservatore sarebbe sembrato più falso di
una Vitton comprata al mercato, ma che convinse
pienamente l’uomo facendolo sciogliere.
“Nikka cara…”
chiocciò compunto, dimenticandosi del ragazzo dall’aria da depravato,
che tra l’altro dopo tanta fatica era precipitato a terra inciampando nei
suoi stessi piedi. Mei con le braccia incrociate e lo
sguardo di chi non dovrebbe essere lì, lo guardava perplesso.
“Signor Randelli, come sta bene con quei
baffi!” esclamò, mentre la sua faccia diceva esattamente il
contrario. “Non si preoccupi, mi occupo io di Joyce” disse
tirandolo su da terra con poca grazia. Scoccò un altro sorriso
assordante al bidello prima di dirigersi finalmente verso il cancello
d’uscita.
Il signor Randelli la guardò adorante
per un altro secondo prima di incupirsi fissando Joyce che se ne andava con la
sua andatura sbilenca mostrando deciso il dito medio.
“Su, su andiamo!”
sbottò Nikka impaziente spingendo Joyce, perdendo tutta l’eleganza
di cui aveva fatto sfoggio davanti al bidello.
“Dove?” chiese Joyce
baldanzoso lasciandosi spingere dall’esile ragazza dietro a lui.
“Da Mexico” disse perentoria.
“Mexico!” esclamò divertito e poi cacciò
un’occhiata furba e allo stesso tempo di compatimento a Mei. “Allora ti vogliono far fare
la prova del frac! Wow…” fece divertito,
prendendolo un po’ in giro, mentre le due amiche di Nikka guardavano Mei con sguardo sognante.
Nikka si avviò con passo spedito per la
via bene. Uno di quei viali pieni di negozi sfavillanti, con commessi snob e un
sacco di luccicanze. Si arrestò solo davanti
ad un negozio con un’entrata decisamente meno trionfale. Sul vetro stava
scritto in bella calligrafia “Mexico”. Perché un negozio di
abiti nuziali si chiamasse così poi era tutto da vedere. Sta di fatto,
che tutti gli sposi bene di città e dintorni se ne andavano lì a
comprare tutto, e Nikka era un’affezionata cliente. Se così si
poteva dire.
Un vecchio barbuto ,
elegante e storto, aprì la porta con un sorriso. “Buon giorno
Nikka”, lei l’accecò con il suo riso bianco.
“Non compri niente neanche oggi
vero?” chiese pacato il babbo natale anoressico che se ne stava sulla
soglia.
Nikka gli
lanciò uno sguardo malizioso prima di rispondere “Tu che dici? Sono
una cliente indisciplinata?” scherzò facendoci le fusa.
“Non preoccuparti cara, da
quest’estate ogni giovedì arriva una tizia con un manichino, che
pretende di provargli tutti i vestiti… mi sembra di stare in un negozio
di bambole”
sospirò il vecchio rassegnato, prima di accorgersi di
Joyce che stava togliendo tutti gli spilli da un manichino particolarmente
tronfio.
Il vecchio commesso fece un sospiro
irritatissimo per non saltargli al collo e strangolarlo.
“Posso servirmi da sola?”, lui
annuì, “tanto sai dove andare”
concluse aspettando solo che Joyce si spostasse per avventarsi sull’abito
con gorgiera e risistemarlo febbrilmente preso quasi da un moto di follia.
“Il solito” sbuffò Nikka
avviandosi verso i camerini, dove il pavimento era ricoperto da un tappeto
rosso. E le due amiche corsero tra gli scaffali a recuperare ciò che
Nikka aveva ordinato.
Si fece cadere pesantemente
, ma alla stesso tempo con una certa eleganza sullo sgabello
dall’aria austera.
Joyce fece lo stesso, molto meno
raffinatamente, tutto intento a giocherellare con gli spilli trafugati al
manichino all’entrata.
“Ehm…ehm…”
boccheggiò Mei sentendosi decisamente agitato,
e cominciando a misurare a grandi passi la saletta.
Nikka si guardò le unghie laccate di
bordeaux prima
di dargli udienza. “Mei” lo
chiamò, e lui si pietrificò, prima di piantarsi davanti a lei.
“Io ho una teoria” cominciò
Nikka accavallando le gambe. Joyce nel frattempo contava i suoi spilli e non
dava udienza a nessuno. “Un
uomo ha fascino se sta bene vestito in modo elegante…insomma, se con un
frac non sembra un prosciutto imbalsamato…” continuò senza
guardarlo, come se non fosse abbastanza importante da poter avere la sua
attenzione.
“Perciò volevo provarlo su di
te” disse infine voltandosi verso di lui e lo sguardo le si accese. Mei si sentì
stringere lo stomaco e deglutì faticosamente sentendosi quegli occhi
fissi addosso, che sembravano trapassarlo. Nel mentre arrivarono Millie
e Vanessa trasportando un ingombrante sacco di plastica bianca che aveva tutta
l’aria di essere un cadavere.
“Dovrebbe essere quello giusto”
bofonchiò Millie che aveva tutta l’aria
di chi aveva girato
tutto il negozio quattro volte per trovare ciò che cercava.
“Oddio, non tenetelo così che si
stropiccia!” sbraitò perdendo l’eleganza di cui prima faceva
sfoggio. Prese il sacco per la gruccia e lo passò a Mei.
“Mettitelo” ordinò perentoria senza dar adito a rifiuti,
mentre Joyce ridacchiava.
Mei entrò mesto
nel camerino rosso e dorato e si fece cadere pesantemente sullo sgabello
posizionato vicino allo specchio. Guardò il suo riflesso e si
sentì un idiota. Come aveva fatto a essere così stupido da cadere
nelle grinfie di Nikka? Per la seconda volta per di più.
A seconda di come gli stava quel vestito si
sarebbero decise molte cose a quanto pareva. E aveva l’idea che sarebbe
sembrato un bamboccio, un bamboccio imbambolato della peggior specie. E allora
Nikka non gli avrebbe più rivolto la parola.
E allora? Cosa stava dicendo? Se quella pazza
scatenata di Nikka non gli avesse più rivolto la parola sarebbe andato
tutto meglio! Niente feste imbarazzanti, niente più compiti per
altri…
Però se non gli fosse andato bene Nikka
non gli avrebbe più rivolto la parola…e… sarebbe stato
meglio…però…
Fece un respiro e rimase in boxer davanti allo
specchio. Si morse il labbro guardandosi.
Non gli era mai
capitato di preoccuparsene, ma visto così, sotto la luce abbagliante del
neon si sentì estremamente insignificante. Aveva visto Pallotti, il tipo che era a casa di Nikka il giorno dei
logaritmi, aveva visto gli amici e i vari ragazzi che lei frequentava. E
perfino Joyce, da quello che aveva potuto vedere tra pellicciotto, pantofole e
mutande non era un cosino da buttar via. In confronto a tutta quella gente lui
era un insignificante fuscello. Pallotti lo avrebbe
potuto ribaltare senza problemi. Le braccia erano decisamente insignificanti, e
la pancia sembrava tirata fino a spezzarsi, poteva intravedere i tendini, tra
gli addominali che si vedevano davvero poco, ed erano lì per
costituzione mica per altro. Per un secondo pensò che forse avrebbe
dovuto giocare a pallanuoto, come Pallotti, o andare
in palestra. Ma non ci mise molto a tornare alla realtà. Chi voleva
prendere in giro? Con quelle gambette striminzite e a parentesi sarebbe stato
davvero ridicolo.
Decise di infilarsi in fretta l’abito,
non voleva vedersi nudo per un attimo di più.
Ci mise un po’ a indossarlo,
incastrandosi nella camicia e rischiando di strappare la giacca, ma poi
riuscì a metterlo. Diede le spalle allo specchio per non vedersi e
sbirciò da dietro la tenda rossa per vedere cosa si faceva
dall’altra parte.
Joyce si stava improvvisando illusionista,venerato da Millie e Vanessa che
lo guardavano con gli occhi luccicanti.
“Ehm…” si schiarì la
voce Mei, nonostante il sussurro non fosse ben
udibile ebbe subito l’attenzione di tutti, e la cosa lo fece avvampare da
dietro le tende, soprattutto quando gli occhi di Nikka si posarono sul suo che
sbirciava all’esterno.
“Quante possibilità ho di essere
presentabile con questo coso addosso”. Nikka fece una risata fredda, che a
Mei fece venire i brividi. “Beh, te la
venderò così…fino ad ora ce ne è stato solo uno che
sia riuscita ad apprezzare” spiegò guardandolo sottecchi, per
quello che poteva vedere dietro la pensante tenda di velluto.
Mei deglutì
intimidito. “E chi sarebbe questa persona?”.
L’espressione di Nikka si fece
decisamente scocciata, e si voltò per lanciare un’occhiataccia a
Joyce, che si stava spanciando dalle risate. “Lui” ammise infine
con un grande sforzo.
“Su dai esci di
lì… non ti mangia mica anche se non ti sta bene” disse poi
Joyce con tutta l’aria di volerlo tranquillizzare. Mei
si fece coraggio e sgusciò fuori dal suo bozzolo con le spalle curve.
“Stai dritto” ordinò
perentoria Nikka senza ombra di umanità, e Mei
si raddrizzò tanto in fretta da pensare che qualcuno lo avesse punto con
uno spillo.
Il ragazzo in frac strinse i denti, e i pugni,
mentre gli occhi guardavano fissi davanti a lui. Avrebbe voluto guardare Nikka,
ma gli faceva molta paura.
Lei sembrava del tutto assorta nello studio
delle pieghe dell’abito. Una statua di ghiaccio. Tutti gli altri intenti
a decifrare la sua espressione.
Poi si alzò e fece un sorriso.
“Direi che possiamo andare!” esclamò soddisfatta roteando su
sé stessa.
Mei con lo sguardo perso
cercò il viso di Joyce per cercare di capire almeno da lui cosa fosse
successo. Lui fece un sorriso bonario e alzò i pollici al cielo,poi con le mani in tasca si avviò all’uscita
seguendo Nikka.
Quando
mio fratello arrivò a casa aveva tutta l’aria di aver visto un
fantasma. Cercò di defilarsi in camera sua senza dare udienza a nessuno,
ma fu così sfortunato da trovarmi sulla sua traiettoria di fuga.
“Cosa
è successo?” chiesi.
“Niente”
disse balbettando e sudando, ben sapendo di mentire. Non avrebbe convinto
nessuno, e mi ci sarebbero voluti solo un paio di minuti per farmi spiattellare
tutto. Ma non ci volle nemmeno quel tempo perché sentii una voce alle
mie spalle rispondere al posto di mio fratello.
“Nikka
gli ha fatto fare
la prova del frac” spiegò Joyce che se ne stava
seduto sul divano della cucina , sbocconcellando un toast.
“E
come è andata?”chiesi nel modo meno gentile possibile. Infondo era
sempre Joyce non potevo mica permettermi di trattarlo come un essere umano.
Lui alzò le spalle e con lo
sguardo malizioso fece “Pare che sia il più bel ragazzo in frac
che si sia mai visto!
Credo che il tuo caro Mei si sia
cacciato in un bel guaio!”. Quello che Joyce disse, Mei non poté sentirlo perché si era
già nascosto in camera sua.
“A
proposito tu dove sei entrato?” domandai scorbutica accantonando per un
attimo Nikka e la sua prova del frac.
“Sono
entrato dalla finestra del bagno, il citofono era rotto e nessuno mi
sentiva” spiegò tranquillo mentre copiosi pezzi di tonno cadevano
dal suo panino al mio divano.
“Joyce , caro… dovresti smetterla di arrampicarti su per la
grondaia, prima o poi ti farai male” cinguettò mia madre gli
preparava le frittelle.
Mi
lasciai sprofondare nel divano, per poi giungere alla conclusione che per
anestetizzare le preoccupazioni, avrei solo dovuto ingozzarmi di frittelle e
millefoglie. E così feci. Tanto a darmi manforte c’era Joyce. Che
il cibo non lo disdegnava mai.