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Autore: EuphemiaMorrigan    25/07/2015    9 recensioni
[In ritardo, ma per il compleanno di Sasuke]
Dal testo:
A Sasuke era stato insegnato a dubitare del canto delle Sirene e, fin da tenera età, rimase affascinato dalle antiche leggende che le riguardavano. Dove temerari naviganti, capitani di immensi vascelli, comandanti di navi mercantili, semplici pescatori col mare nelle vene e nel cuore e, perfino feroci pirati, cadevano vittima della melodia meraviglia di quelle creature fatali.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto, Contesto generale/vago
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L'ultima favola dell'Oceano.

 

Per il compleanno di Paperino, anche se in tremendo ritardo.
Magari non è nulla di che, ma mi sembrava una cosa carina. Le prime frasi in corsivo vengono da una canzone dei Nightwish

 

Alla fine del fiume il tramonto irraggia tutte le reliquie di una lunga vita vissuta.
Qui, stanco viaggiatore, deponi il tuo bastone, sogna il viaggio dai tuoi occhi.

 

A Sasuke era stato insegnato a dubitare del canto delle Sirene e, fin da tenera età, rimase affascinato dalle antiche leggende che le riguardavano. Dove temerari naviganti, capitani di immensi vascelli, comandanti di navi mercantili, semplici pescatori col mare nelle vene e nel cuore e, perfino feroci pirati, cadevano vittima della melodia meraviglia di quelle creature fatali.

Occhi luminosi di bambino osservavano le acque tremolanti, ne respirava l'odore salmastro che impregnava l'aria di quel Paese sorto in riva all'Oceano e la sua stessa pelle diafana. Sognava paesaggi, storie mai scritte, magie lontane alla fine dell'orizzonte.

Immaginava di poter vivere fantastiche avventure a bordo d'una nave pirata, capitano coraggioso che indossava un grande capello e guidava la ciurma a cavalcare le mastodontiche onde. Si sarebbe deliziato del famigliare profumo di salsedine, avrebbe visto pesci e delfini seguire la corrente di mille bufere, pescando con una lunghissima canna seduto in cima all'albero maestro. Avrebbe combattuto i nemici uscendone sempre vincitore e, un giorno, forse le Sirene sarebbero apparse dinanzi ai suoi occhi.

Un'intera vita di avventure e sogni realizzati.

Gli era stato sconsigliato di offendere il profondo blu e gli Dei che lo abitavano. Ogni anno partecipava alla grande festa che si teneva al centro della piccola città portuale per porgere i saluti agli indomiti marinai che sarebbero partiti per nuovi viaggi, fronteggiando le tempeste e i tumulti di quelle acque che potevano esser risorsa o tremenda disgrazia, trascinando sul fondo padri, fratelli, giovani ancora non divenuti uomini.

Gli avevano detto che Poseidone puniva i malvagi, i peccatori, i ladri, gli assassini e i sodomiti, facendoli ghermire da spesse alghe e portandoli per il resto dell'eternità in oscure grotte marine a scontare le loro colpe. Da ragazzino non conosceva il significato di alcune parole, ma non se ne preoccupava troppo, conscio che quelle storie venivano raccontante ai più piccoli per spaventarli e non farli crescere come criminali.

Suo padre gli insegnò a leggere, scrivere e pensare con la propria testa, con modi burberi lo aveva fatto divenire forte e indipendente. Rifiutando col tempo quei mitologici racconti con cui era cresciuto, le leggende dei vecchi e sdentati cantastorie durante le fiere ed il Carnevale che animavano quel luogo poche volte l'anno.

Si chiedeva cosa lo avesse affascinato in passato di quei racconti senza fondamento, non trovando una degna risposta nemmeno negli occhi luccicanti dei bambini e nelle loro espressioni trasognate mentre pendevano dalle labbra di un menestrello senza arte né parte.

S'aggiustò la giacca pesante, alcuna discussione lontana che ascoltava lo motivava a partecipare a quell'ennesima sera di festa. Avvertì il vento freddo portato dalla marea frustragli il viso, le urla dei mercanti dalle bancarelle di dolciumi, incubo d'ogni madre a causa delle carie; sentì l'odore del pesce cotto in mille modi diversi, i canti popolari degli ubriachi, le risa gioiose dei bambini.

Non pareva cambiato nulla da quando lui stesso era una creatura innocente, tutto rinchiuso in un circolo di eventi immutabili. Un lieve sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra quando riconobbe altri suoni, altra vita, e il canto stonato d'una melodia che lo accompagnava dalla nascita; socchiuse gli occhi al ricordo della madre che la cantava confortante nelle lunghe sere d'Inverno, quando la tempesta ruggiva fuori dalle finestre serrate e il rimbombo della pioggia violenta che s'infrangeva sul tetto gli impediva di riposare. I tuoni gli ferivano le orecchie ed i lampi improvvisi disegnavano ombre mostruose sui muri.

Ne mugolò tra sé un versetto mentre si dirigeva al molo, dove una decina di grandi e piccole navi v'erano ormeggiate; camminava inudibile sul legno cedevole, sedendosi con le punte dei piedi immerse nell'acqua intiepidita dalla notte. Guardò l'oscurità propagata dinanzi a lui, apprezzandone la compagnia come quella di una vecchia amica.

Solo la Luna, portatrice di maree e preoccupazioni per i pescatori, illuminava la distesa infinita che stava scrutando lo studioso.

Terre lontane. Diversi modi di vivere. Tradizioni. Cibi. Lingue.

Quante cose si nascondevano aldilà di quel mare? Quante ancora da imparare? Da conoscere?

D'istinto serrò la bocca a quei pensieri, assumendo poi una smorfia alla sensazione dolorosa che gli diede quel gesto a causa del labbro inferiore spaccato; forse avrebbe dovuto medicarsi meglio prima d'uscire di nuovo. Posò i polpastrelli in quel punto, tranquillizzandosi dal fatto che sarebbe guarito in fretta.

In quegli anni, dove la forza fisica era considerata ben più importante del cervello e dello studio, chi non conosceva Sasuke lo vedeva come un alieno, un topo di biblioteca, un debole. Le mani erano lisce, nessun callo o ruvidità dovuta allo sforzo.

Era maestro alle scuole elementari e medie e medico assieme al padre; aveva curato così tanti pazienti da perderne il conto, insegnato a leggere e scrivere a così tanti bambini, e adulti, che non si capacitava di quanta pazienza lo avesse animato in quei frangenti.

Le donne della città osservavano con desiderio quel fisico asciutto, slanciato e, per quanto non avvezzo allo sforzo fisico, muscoloso. Il viso nobile e delicato, incorniciato da lunghi capelli neri che gli arrivavano fino al collo, di cui alcuni ciuffi ribelli al pettine svettavano verso l'alto. Era un buon partito, ricco e bello, probabilmente il migliore di quella città.

E gli uomini lo disprezzavano per questo.

Era invidiato, seppur utile per la comunità visto i suoi studi e le sue capacità. Spesso accadeva che qualche ubriaco si mettesse a causare risse al di fuori delle locande ed i primi che la popolazione correvano a chiamare in soccorso per sedare gli animi erano Sasuke e Fugaku. E, quella volta, un marito geloso s'era approfittato della confusione per colpire il giovane con un pugno in viso.

All'Uchiha avevano insegnato il rispetto e l'educazione, ma non per questo a comportarsi da stupido e sottomettersi a dei trogloditi che difettavano di materia grigia e credevano ancora all'esistenza di Atlantide e Re Tritone. Per questo s'era difeso senza remore, scatenando sorpresa negli occhi della folla quando il corpo massiccio del marinaio crollò a terra dolorante.

Il fratello maggiore assente a causa dei suoi lunghi viaggi gli aveva impartito dure lezioni di arti marziali, affermando che quando si è facoltosi e disprezzati per questo sapersi difendere era l'unica soluzione valida per non incorrere in incresciose situazioni di pericolo.

Itachi portava vesti dall'India, cacao dalla piantagioni Africane, caffè finemente macinato dagli angoli più remoti di quella terra ancora inesplorata, tè dalla Cina, olio e vino dall'immensa Europa e liquori potenti dai Paesi più freddi e desolati; non rimaneva mai lunghi periodi con loro, troppo impegnato a visitare nuovi posti e vivere altre avventure.

Sasuke sognava il mare, Itachi lo aveva conquistato da tempo.

Ma ad ormai ventisette anni, con una florida carriera come medico e la stanchezza di una vita vissuta tra rozzi pescatori, non si sentiva in grado di affrontare un viaggio, nonostante mille volte il maggiore lo aveva spronato a seguirlo.

Forse, in verità, l'unica cosa che lo bloccava era l'infantile timore d'esser punito per ciò che era da un Dio inesistente.

Accennò un leggero sospiro, estraendo il libro dalla sacca che s'era portato dietro quella sera e aprendolo ancora alla prima pagina. Le mille e una notte, quando il fratello glielo aveva regalo non avrebbe dato un centesimo a quella storia, quei racconti, ma alla fine lo affascinò così tanto dal doverlo leggere una seconda volta, e una terza, e anche una quarta.

Le dune del deserto, paesaggi lontani e mai visti, amori, guerre, spiriti, rivoluzioni, odio e affetto. Ogni sentimento che l'essere umano poteva provare era racchiuso in quella narrazione nella narrazione, in quel racconto tragico che racchiudeva esile speranza.

Sbuffò una risata, il padre aveva ragione quando lo accusava d'avere la testa troppo tra le nuvole per essere un uomo adulto.

“Ancora quel libro?” Una voce maschile lo ridestò da quelle macchinazioni mentali, sollevò il viso in sua direzione e accennò un gesto di saluto alla vista della figura solare di Naruto. Un venticinquenne credulone, che lui avrebbe definito bifolco se non avesse avuto il piacere di conoscerlo molti anni prima; ricordava quel viso ora pieno e baciato dal Sole, in passato esser smagrito e pallido quando bussò alla sua porta. Sporco, denutrito, malato d'una tremenda polmonite che gli stava strappando via ogni soffio di vita dal corpo. Né lui, né la famiglia, avevano avuto il cuore di scacciarlo quando compresero che non possedeva i soldi necessari per pagarsi le cure mediche.

Lo avevano curato, per mesi accolto, nutrito, gli avevano insegnato a leggere e scrivere, dato un motivo per cui vivere: la conoscenza, la voglia di imparare ed essere migliore.

Neanche un anno dopo era diventato mozzo di una nave mercantile e, come Itachi, seguiva il vento. Andando e tornando dai suoi lunghi viaggi tre, massimo quattro, volte l'anno.

Quella lontananza era la peggiore che Sasuke potesse mai pensare di provare, il sentimento che lo legava al biondo s'era fatto più profondo di quello che credeva. Un amore che a quell'epoca era impossibile mostrare alla luce del giorno, venir accettato.

Quei pensieri deleteri lo struggevano ogni secondo della sua esistenza e, così perso in questo, nemmeno rispose alla domanda dell'altro, non la ricordava più.

Naruto comprese e rise per nulla divertito di quella certezza, si sedette sgraziato accanto a lui, le voci provenienti dal centro della città erano così vicine che qualsiasi forma di contatto sarebbe stata un rischio troppo grande da correre.

Voltò il viso verso l'uomo dai capelli corvini, osservandolo leggere in silenzio per qualche minuto e godendosi la sua piacevole vicinanza, ma incapace di rimanere zitto lo lodò “Sei così intelligente che scommetto scriveresti di meglio!”.

“Stai cercando di portarmi a letto? -Domandò con sarcasmo, apprezzando la risata cristallina che udì provenire da lui, poi aggiunse serio, constatando l'ovvio- Sono un professore, un medico, non uno scrittore”.

“Oh, per favore! -S'entusiasmò, oscillando i piedi fuori dal pontile- Potresti scrivere una storia di pirati, un bel racconto su un cavallo alato, su gnomi e folletti, sugli Dei dell'Oceano. Oppure... Sulle Sirene! Il vecchio Jiraya ne parla così tanto che avresti materiale per un'intera collezione di libri. Dieci, venti, volumi. Te lo dico io!” Concluse tutto sorridente e smanioso, lasciando una pacca sulla spalla dell'altro che mutò in una veloce carezza affettuosa.

“Con quello che s'inventa Jiraya l'unica cosa che potrei scrivere è un libro per adulti. -Declinò quell'offerta, chiudendo il volume che stava leggendo e trattenendo un sospiro stanco- E poi mi pare di averti già spiegato che le Sirene e gli Dei non esistono, Naruto. Sono leggende, miti passati di anni in anni sulla bocca di gente che sentiva il bisogno d'inventarsi creature fantastiche per giustificare la crudeltà che li circondava” Disse con fare saccente guardandolo negli occhi. Sarebbe partito l'indomani mattina e stavano parlando di quelle sciocchezze senza fondamento, non avendo avuto modo quella volta di stare assieme veramente neanche per un misero minuto. Non un bacio, non una carezza, o fare l'amore. E chissà quanti altri mesi sarebbero passati dal suo ritorno, se mai fosse tornato ed il mare non se lo sarebbe portato via per sempre come aveva fatto con tanti altri. Tutto ciò era frustante, ingiusto.

Il più giovane abbassò gli occhi luccicanti, mormorando “Esistono”.

“Naruto, è infantile...” Si bloccò dall'ennesimo richiamo quando notò l'espressione desolata del viso, le mani abbronzate strette a pugno sopra la stoffa dei pantaloni e il respiro lontano, un soffio che trascinava via quelle parole con sofferenza.

“Io sono una Sirena e tu... Il professorino a due gambe con la puzza sotto il naso con cui non potrò mai stare”.

Sasuke indurì la mascella a quelle parole, gettò al vento ogni brandello di buon senso e si sporse verso il compagno, posando una mano sulla sua guancia e sollevandogli il viso per poterlo guardare negli occhi. S'avvicinò alle sue labbra, posando un bacio delicato su queste con le proprie, provocando la sua sorpresa.

Per un attimo il mozzo si disse di allontanarlo per non farlo finire nei guai, per non finirci lui stesso, ma le voci in festa erano ormai lontane, la notte inoltrata, probabilmente nessuno li avrebbe visti. Non quella volta.

Si lasciò andare, ricambiando quel bacio con sincero trasporto per secondi che, in quel momento, avrebbe voluto si trasformassero in secoli; alla fine poggiò la fronte su quella dell'altro, ricambiando e adorando quel piccolo sorriso che raramente aveva veduto disegnarsi sul volto dell'amante segreto.

Il maggiore s'allontanò poco dopo, alzandosi in piedi e recuperando il suo libro, guardandone la copertina con attenzione e dichiarando “Forse lo farò”.

“Davvero?” Chiese sorpreso, era raro che riuscisse a convincere Sasuke a fare qualcosa, soprattutto se partiva testardamente con la convinzione di non dargliela vinta per nessun motivo al mondo. Avrebbe voluto festeggiare, ma era meglio non dargli modo di cambiare idea. Per questo si trattenne, concedendosi solo una lieve risata.

Il corvino gli lanciò un ultimo sguardo, scuotendo il capo a quel comportamento bambinesco e tornando sui propri passi, lasciandolo lì ad osservare l'immensa distesa blu “Lo farò, solo perché magari questo ti inciterà a tornare”.

Non udì la sua risposta, ormai lontano, dirigendosi verso casa con animo alleggerito e la consapevolezza che, qualsiasi malignità avesse sussurrano l'Oceano e chi lo navigava, in un modo o nell'altro avrebbe creato lui stesso un degno finale a quella storia malinconica.

A Sasuke persone più colte avevano insegnato tante cose, ma le più importanti le aveva imparate grazie a Naruto. 

   
 
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