Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Alina Alboran    26/07/2015    0 recensioni
Lei.
Una vacanza per sfuggire dal passato che continua a perseguitarla nonostante gli anni passati.
Una madre esuberante e forse irresponsabile che la manda a vivere con una persona che non vede da dieci anni.
Un’amicizia che sembra amore e un amore che non è nemmeno amicizia.
Lui.
Una ferita che ancora brucia e un odio all’apparenza inspiegabile.
Una madre decisamente troppo fiduciosa che si fa convincere a farlo rimanere a casa da solo per ben due mesi.
Un’amicizia distrutta per sempre e una che forse si può recuperare.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Le situazioni di lui e lei

Capitolo 2

Lui

Il giorno seguente mi svegliai con le risate di mia madre in sottofondo e questo non fece che aumentare il mio malumore. Conscio che non avrei più ripreso sonno mi alzai dal letto e, indossati velocemente dei pantaloni, scesi al piano di sotto.        
Come immaginavo mia madre stava sorseggiando il suo caffè e parlava in modo concitato con Veronica, la madre di Miranda. Quando mi videro arrivare le due si zittirono subito. La cosa mi insospettì, ma assonnato com’ero non ci diedi troppo peso. 
«Tesoro, vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare?», alzai gli occhi al cielo. Non si faceva problemi a lasciarmi vivere da solo per due mesi e pensava che non fossi capace di prepararmi da solo la colazione?

«No. Non ho fame». 
«Quindi», riprese a parlare Veronica, «cosa andrai a studiare l’anno prossimo, Marco?».  
«Ancora non lo so», risposi sincero mentre mi versavo da bere una tazza di caffè.  
«Miranda andrà a studiare arte».  
«Buon per lei», risposi sbadigliando.        
«Marco!».
«Papà e Luigi?». Ignorai volutamente mia madre che stava continuando a rimproverami per la mia sfacciataggine e maleducazione.  
«Sono fuori», mi rispose Veronica con un sorriso.         
Le sorrisi a mia volta, sentendomi un po’ in colpa per averle risposto malamente. E stavo per esprimerle il mio dispiacere a parole quando sentii la voce di Miranda che, dall’entrata, ci avvisava di essere ritornata.

Avrei voluto andarmene, ma in pochi attimi ci raggiunse in cucina, facendo fallire miseramente il mio piano di fuga.          
«Miranda».
«Marco».
«Dennis».
«Dennis!».
Dennis? 
«Ehm…». Fu solo allora che lo vidi.         
«Angelica, sono felice di rivederla», disse passandosi una mano tra i capelli scompigliati. Veronica si alzò dalla sedia e gli diede un bacio sulla guancia, dicendogli qualcosa che non afferrai dato che tutta la mia concentrazione era sulla sua mano destra, poggiata con nonchalance sul fianco di Miranda.         
Mi risvegliai dal mio stato di trance giusto in tempo per non farmi beccare dai due. Il mio sguardo però non passò inosservato all’occhio attento di mia madre che mi guardò dispiaciuta.          
Perché mai lo era? Io stavo bene. 
«Mi raccomando», stava dicendo Angelica, «non perdere di vista Miranda e chiamami se dovesse sentirsi male». In quel momento non capii, ma la preoccupazione e la serietà con cui pronunciò quelle parole mi inquietarono un poco.          
Dennis annuì e, stringendo tra le braccia Miranda, le chiese se prima di andarsene gli potesse prestare il suo cellulare per mandare un messaggio a una certa Sofia. 
Lei gli passò il telefono mentre io mi chiedevo quanto tempo le era servito per sostituirmi. Un tempo eravamo noi ad essere così tanto in sintonia, a parlare con gli sguardi.  
Eravamo solo dei bambini, la nostra non era vera amicizia.     
E anche se quelle parole sembravano solo una scusa patetica con cui celare la mia gelosia, in quel momento credetti veramente che la nostra era stata una storia senza importanza.        
“Magari”, pensai “anche se fossimo rimasti in contatto non avrebbe funzionato comunque tra di noi”.   
«Quando partite?», chiese Dennis restituendo il cellulare alla rossa.             
«Dopo pranzo».        
Forse avevo sottovalutato la loro relazione. Forse lui le aveva detto la verità e lei era riuscita a perdonarlo. O forse lui aveva continuato a mentirla per tutto quel tempo.      
«Perché non rimani a mangiare con noi? Mi farebbe piacere sentire come ti vanno le cose». Mi girai di scatto verso mia madre, cercando di trasmetterle tutto il disappunto che sentivo, ma lei mi rispose con una semplice alzata di spalle.       
«Grazie per l’invito, ma sono costretto a rifiutare. Purtroppo ho altri impegni per l’ora di pranzo, ma Miranda può raccontarle tutto». Dicendo queste ultime parole puntò gli occhi nei miei per accertassi che ricevessi il messaggio.    
«Aspetta un attimo», disse liberandosi dalla presa del biondo «voi due vi conoscete?».      
«Non sapevi tutto di lui? Oppure ti dice solo ciò che gli conviene?». Lo vidi incassare il colpo e, quando abbassò la testa colpevole, un sorriso di vittoria, incontrollato quanto spontaneo, nacque sul mio volto.

«Dennis?»
«A quanto pare la vostra relazione non è tanto solida come pensavi». Sia mia madre che la sua non si intromisero, probabilmente avevano intuito che tra di noi c’erano cose non dette e preferivano rimanere fuori.           
«Tutto il contrario, non avrà voluto annoiarmi con dettagli insignificanti». Questa volta fui io ad incassare il colpo e, infastidito, uscii in balcone a prendere un po’ d’aria.  
Sarebbero stati i due mesi più lunghi della mia vita.

 

Lei
«Non è come pensi», cominciò non appena mi richiusi la porta alle mie spalle. Mi girai di scatto, nervosa e delusa.           
«È esattamente come penso», scandii bene le parole, affinché capisse che, contrariamente a tutte le altre volte in cui avevamo litigato, questa volta ero furiosa.  
«Fammi spiegare». Indietreggiò di qualche passo quando mi avvicinai a lui, colpendogli ripetutamente il petto con l’indice. 
«Cosa c’è da spiegare, Dennis? Il mio migliore amico mi ha preso in giro per anni. Sai cosa si prova? Sai come ci si sente quando uno sconosciuto ti fa mettere in dubbio la relazione più duratura che tu abbia mai avuto? Sai cosa ho provato quando mi sono resa conto che lui mi ha detto la verità? Mi hai mentito, Dennis».           
«Miranda», sussurrò, ma lo sentii comunque.     
Mi allontani da lui e mi sedetti sul letto. Per la prima volta mi guardai intorno: una scrivania ben ordinata, vestiti che traboccavano dall’armadio e dalla cassettiera, e moltissime foto appese a un filo invisibile che andava da una parte all’altra della parete.          
Dennis mi si avvicinò, si lasciò cadere a terra e, prendendo le mie mani tra le sue, mi chiese scusa.
«Ti ho parlato molte volte di lui», presi fiato «perché non mi hai mai detto che lo conoscevi?».
Senza alzare lo sguardo da terra, mi disse che non sapeva bene cosa era successo tra loro due.
«Ti ricordi quando sono tornato perché mia nonna stava male?», annuii. Non avrei mai dimenticato quell’estate. 
«Ho conosciuto una ragazza. Era carina –aveva più o meno la tua età – e ci sono uscito per qualche settimana. I miei rapporti con Marco si erano già raffreddati l’estate prima, e quell’anno peggiorarono a tal punto che arrivammo alle mani. Mi aveva accusato di approfittarmi di te, mi ha detto che non sapevo apprezzarti e che alla fine ti avrei fatta soffrire». Una lacrima sfuggì al suo controllo, ma entrambi fingemmo di non averla notata.           
«Qualche settimana prima tu… ». Le lacrime diventarono due, poi tre, poi quattro. 
«Non è stata colpa tua», dissi seria. Dennis era il mio migliore amico, lo amavo con tutta me stessa e non gli avrei permesso che si colpevolizzasse senza motivo.   
«Grazie, ma sappiamo entrambi che è vero». Scivolai dal letto e mi misi alla sua altezza. Lo abbracciai stretto, sperando di trasmettergli tutto l’affetto che provavo nei suoi confronti.       
Fu così che, qualche minuto dopo, Marco ci trovò.         
«Avete già fatto pace», constatò amaramente. Avrebbe forse preferito che io e Dennis non ci rivolgessimo più la parola?      
«Non rompere», risposi cercando di coprire il viso del mio amico con il mio corpo: non avrei permesso a Marco di deriderlo per una cosa che lo faceva soffrire così tanto.      
«Che vuoi?». 
«Siete in camera mia. Andatevene».        
Guardai Dennis per assicurarmi che stesse bene e uscimmo dalla stanza tenendoci per mano. Prima di chiudermi la porta alle spalle detti un’ultima occhiata a Marco. Ora che pensava di non essere visto, tutta la spavalderia di pochi attimi prima era sparita. Sembrava… spossato. Scacciai quell’immagine dalla testa: avevo fin troppi problemi e non volevo addossarmi anche quelli di Marco.   


«Sicuro di non voler rimanere a pranzo?», chiese nuovamente mia madre a Dennis. Lui rispose di no e Angelica tirò un sospiro di sollievo. Un poco mi infastidì il suo comportamento, ma la capivo perfettamente. Suo figlio lo odiava, e di certo non avrebbe mai visto Dennis di buon occhio.
«Ci vediamo stasera», mi salutò baciandomi di sfuggita la guancia.   
Lo sguardo indagatore di Angelica mi fece sentire a disagio e allontanai velocemente Dennis da me.     
Quando rimanemmo sole, mia madre mi chiese se potessimo parlare. Il suo sguardo era serio e quello di Angelica altrettanto.           
«Va bene». No che non andava bene. Il disagio di prima aumentò ancora, facendomi sudare notevolmente mentre il respiro diventava sempre più affannoso. Come se ciò non bastasse, trovammo in cucina Marco intento a mangiare una pesca. Mia madre prese posto accanto ad Angelica e l’unica sedia libera era quella accanto a Marco. Non avendo altra scelta mi sedetti, pentendomi immediatamente. Non faceva altro che sbuffare, senza però avere intenzione di allontanarsi di un solo millimetro, incrementando a questo modo la mia agitazione.        
«Voglio veramente tanto che questa convivenza sia produttiva per entrambi». Sentendosi tirato in causa, Marco posò sul tavolo la pesca morsicchiata.     
Produttiva?
«Se per caso dovessi sentirti…», si interruppe incapace di trovare le parole più adatte.     
«Se dovessi sentirti male, non esitare a chiamare». Alle parole di mamma Marco alzò un sopracciglio, sorridendo beffardamente. 
«Di questo ne abbiamo già parlato a sufficienza a casa, non ho intenzione di approfondire il discorso adesso, soprattutto in presenza di estranei». Forse Angelica ci era rimasta male, ma non avevo intenzione di farmi deridere dal figlio.   
«Miranda!», tuonò mia madre.      
«È così, mamma. Mi dispiace ma non puoi pretendere che mi senta a mio agio con persone che non vedo da dieci anni! Sono tuoi amici, mamma. Non miei».           
Socchiuse le labbra, pronta a ribattere.    
«Marco potrà anche essere stato il mio migliore amico quando eravamo bambini, ma ora non sa nulla di me, mamma. Come del resto nemmeno io non so nulla di lui. Non sono stupida, ho capito quali sono le tue intenzioni, ma non credo che funzionerà».          
«Miranda».   
«Però va bene. Farò come volete voi. Ora però vado da Martina e Ilaria, ci vediamo a pranzo».
Mi alzai facendo appositamente strusciare la sedia sulle mattonelle. Solo quando uscii dall’abitacolo il mio respiro tornò a essere regolare.     
Se mia madre pensava che mi sarebbero bastate poche ore affinché mi abituassi all’idea di condividere la casa con un estraneo, evidentemente mi conosceva meno di quanto pensasse.          
Avevo detto che mi sarei incontrata con le ragazze, ma in realtà volevo solo stare da sola. Andai in spiaggia con la speranza che la sabbia tra i piedi e il profumo del mare avessero su di me lo stesso effetto di tanti anni fa. Nonostante fossero già le dieci del mattino, la spiaggia era pressoché vuota, permettendomi quindi di avere quei minuti di tranquillità e pace di cui necessitavo. Guardare l’orizzonte, non accorgersi dove finiva il mare e dove cominciava il cielo, mi aveva affascinata sin da bambina. Chiusi gli occhi, beandomi delle onde che, dispettose, mi bagnavano le dita dei piedi. Rimasi seduta per più di quaranta minuti, incurante della confusione che nel frattempo si era formata intorno a me. Solo quando uscii dalla mia bolla di serenità, mi accorsi delle grida dei bambini che, felici, si schizzavano con l’acqua. Ricordai con nostalgia che Marco ed io eravamo soliti fare altrettanto; ricordai l’esasperazione di mia madre e la rabbia di Angelica, il divertimento di mio padre e quello di Giorgio. Avrei voluto avere nuovamente otto anni, essere spensierata e passeggiare mano nella mano con il mio migliore amico. Tuttavia, riflettei, se non mi fossi trasferita non avrei mai conosciuto tutte le persone meravigliose che amavo e che mi amavano. Se penso all’infanzia penso ai grandi occhi di Marco e ai suoi capelli biondi. Al suo volto, però, si contrappone quello più spigoloso e maturo di Dennis.    
Mi incamminai verso casa solo quando arrivò l’ora di pranzo. E se da una parte non vedevo l’ora che i miei genitori partissero, dall’altra temevo che lo facessero.

Lui

Durante il pranzo sia Miranda che io cercammo di andare d’accordo il più possibile per fare in modo che i nostri genitori cambiassero idea sul farci rimanere da soli. Più di una volta avevo ricevuto dei calci negli stinchi talmente forti da farmi mordere le labbra per evitare di gridare, e più di una volta le avevo mandato sguardi omicidi in risposta alle sue frecciatine. Quando i nostri genitori partirono erano già le tre del pomeriggio e, con tutto quello che avevo mangiato, non volevo fare altro che stendermi sul divano e dormire un poco. Peccato che l’universo ce l’avesse con me, e giusto qualche minuto dopo essermi addormentato qualcuno cominciò a suonare ripetutamente al campanello. Svogliatamente mi alzai per andare ad aprire, ma prima che potessi arrivare al citofono, Miranda aveva già aperto la porta. Si fece da parte per far entrare l’ospite inatteso, e la testa bionda di Laura fece la sua comparsa nell’ingresso. I suoi occhi si posarono per qualche secondo sulla mia figura, per poi concentrare tutte le sue attenzioni sulla rossa.   
«Io sono Laura, piacere». Miranda guardò dubbiosa la mano tesa di Laura. Dopo qualche attimo di sgomento – la capivo, Laura era talmente vivace che ci voleva un poco ad abituarsi ai suoi modi – Miranda le sorrise radiosa e le strinse la mano.          
«Il piacere è tutto mio», sorrise. «Io sono Miranda».     
«Lo so». Ed ecco arrivato il momento in cui avrei voluto sotterrarmi. Altro che tre metri sopra il cielo, in quel momento desiderai ardentemente di scavarmi una fossa tre metri sotto terra.          
«Laura!». Sbuffò scocciata dopo il mio ringhio. Sorrisi tra me e me nel vedere la sua faccia delusa e imbronciata: voleva conoscere Miranda. 
«Va bene», alzai gli occhi al cielo quando cominciò a saltellare e si aggrappò al mio collo contenta.      
Durante tutto questo tempo, Miranda non aveva aperto bocca, spostando lo sguardo tra me e Laura.        
La bionda era più piccola di me, non eravamo mai usciti da soli, però avevamo una grande intesa e nell’ultimo periodo avevamo approfondito molto la nostra amicizia. Era un tipo assai curioso e quando mi feci scappare che durante l’estate avrei condiviso la casa con una mia vecchia amica d’infanzia, cominciò a tartassarmi di domande.      
«Lo so che non mi conosci e che molto probabilmente adesso starai pensando a come scappare perché ti faccio paura».          
Non avevo mai conosciuto qualcuno con una vitalità e un’allegria più contagiosa di quella di Laura. Il modo in cui imponeva la sua presenza, finendo inevitabilmente per farsi amare era qualcosa di unico. Sperai che Miranda lo comprendesse e che non si soffermasse troppo sulla sua indiscrezione. Non mi andava molto a genio che le due diventassero amiche – attraverso il fratello Laura era venuta a conoscenza di diverse cose riguardanti il mio conto – però non mi dispiaceva l’idea che si tenessero impegnate l’un l’altra, evitando di infastidire me.         
Non seguii il resto del discorso perché il cellulare vibrò incessantemente nella mia tasca.           
Evidentemente l’universo non volveva farmi riposare. Avevo finito gli esami da nemmeno una settimana, avevo diritto a qualche giorno di riposo, no? I miei amici non sembravano pensarla allo stesso modo.     
Quando dissi a Stefano, un ragazzo della mia comitiva di amici, che per quel giorno non avevo intenzione di uscire, rispose che sarebbe venuto lui stesso da me.      
Finita la telefonata imprecai sottovoce, notando solo in quel momento che le ragazze se ne erano andate.           
Mi diressi in soggiorno, ma le voci che arrivavano dalla cucina attirarono troppo la mia attenzione. Mi vergogno ad ammetterlo, però mi nascosi dietro il muro e ascoltai un poco della loro conversazione.      
«Da quanto tempo conosci Marco?» E così Miranda era interessata a me… 
«Da sempre, ma siamo diventati amici solo da poco. È un amico di mio fratello, e prima mi consideravano troppo piccola per farmi stare con loro. Il che è alquanto scortese, considerando che ho solo due anni in meno, non credi?».  
«Certo», la rossa le sorrise comprensiva. Era girata di spalle, e perciò non potei vedere il suo volto, ma dal tono di voce, ipotizzai che stesse sorridendo.     
Laura diede un occhio sopra la spalla dell’altra e mi vide. Le feci segno di stare in silenzio e lei, con un sorriso malizioso che mi fece paura, annuì impercettibilmente con il capo.  
«Che ne pensi di Marco?». Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva.         
«Non so… Quando sono arrivata mi è sembrato di essere ritornata indietro nel tempo, ma appena ha aperto bocca mi sono ricreduta sul suo conto». Pensai a quello che le dissi quando le nostre mamme ci obbligarono ad abbracciarci, e dovetti ammettere di aver esagerato un tantino.     
«È una brava persona», Laura alzò velocemente lo sguardo verso di me prima di riportare tutta l’attenzione su Miranda. «Dagli un po’ di tempo e ti accorgerai tu stessa di quanto è meraviglioso».         

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Alina Alboran