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Autore: Overlook    27/07/2015    8 recensioni
Dragon Ball Z [scritta nel 2009, riveduta nel 2015. La serie Super era iniziata da appena un episodio]
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"Eppure l'intento era stato un altro.
Quell'ameno e sempre sorprendente luogo avrebbe dovuto esistere ormai solo sulle mappe spaziali generiche, quelle che durante la prima infanzia anch'egli aveva dovuto studiare al meglio, tra i calcoli d'elettronica per impostare correttamente le rotte delle proprie navicelle di conquista e lo spossante allenamento muscolare per mantenersi d'élite, come il proprio sangue imponeva.
Il vociare e passeggiare continuo di quei bipedi così fisicamente simili a lui avrebbe dovuto appartenere solo a meteoritiche leggende e alla memoria d'altri tempi, già da parecchio. Come aveva lui stesso ascoltato storie e miti di orripilanti mostri dalle fattezze d'insetti o creature estremamente affabili e votate alla pace, che il suo popolo aveva sterminato in nome del possesso e della avidità di vittoria.
Non era stato esattamente così, col senno di poi.
".
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Un pranzo consumato in bella compagnia tra le mura della Capsule Corporation, da' modo qui a Vegeta di godersi indisturbato un istante... A doppio taglio.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia ha partecipato e si è classificata seconda al contest "Multifandom: Naruto & Dragon Ball]- La Musa Ispiratrice " di Nede ( http://freeforumzone.leonardo.it/d/11060083/-Multifandom-Naruto-Dragon-Ball-Contest-La-Musa-Ispiratrice-/discussione.aspx/1 )

 

 

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Piove?

Di Overlook, 2015©

 

 

 

 

 

 

 

Eppure l'intento era stato un altro.

 

Quell'ameno e sempre sorprendente luogo avrebbe dovuto esistere ormai solo sulle mappe spaziali generiche, quelle che durante la prima infanzia anch'egli aveva dovuto studiare al meglio, tra i calcoli d'elettronica per impostare correttamente le rotte delle proprie navicelle di conquista e lo spossante allenamento muscolare per mantenersi d'élite, come il proprio sangue imponeva.

Il vociare e passeggiare continuo di quei bipedi così fisicamente simili a lui avrebbe dovuto appartenere solo a meteoritiche leggende e alla memoria d'altri tempi, già da parecchio. Come aveva lui stesso ascoltato storie e miti di orripilanti mostri dalle fattezze d'insetti o creature estremamente affabili e votate alla pace, che il suo popolo aveva sterminato in nome del possesso e della avidità di vittoria.

Non era stato esattamente così, col senno di poi. Certo, il suo popolo non era stato affatto amichevole, per nulla pacifico, quanto se mai temibile, temerario e temuto.

Specialmente da lui, Freezer, colui che sarebbe diventato il suo mentore, il suo signore ed infine il suo nemico, il primissimo individuo a cavargli l'orgoglio dalle budella e raderlo al suolo al pari d'un fuscello rinsecchito. Era proprio tale vomitevole alieno ad aver riprogrammato il pensiero dei superstiti di quel popolo di valorosi e sanguinari guerrieri, riducendo il puro, seppur perverso, piacere della conquista ad una mera compravendita interplanetaria da lui guidata e attuata da una schiera ben fornita di mercenari.

Era stato spietato mercenario per quasi tre decadi, pazzesco.

Mai aveva pensato quel trattamento potesse essere null'altro che un usufrutto personale, anzi, aveva ingenuamente abboccato alla storia rifilatagli dal genitore di quel viscido padrone, tale Re Cold:

"Principe Vegeta, Voi siete la perla racchiusa nella conchiglia della vostra razza. Voi rappresentate la supremazia, la superiorità, il divino essere destinato a governare l'intero universo. Fidatevi di me e di mio figlio Freezer, insieme formeremo il baluardo da cui qualunque essere vorrà solo sperare di rimanere alla larga sino alla propria morte".

 

Quando era giunto nella landa semideserta che avrebbe dovuto fungere da campo di battaglia testimone della propria imparagonabile vittoria, si sentiva ancora tronfio e pieno di quelle melense parole studiate a puntino per far leva su una giovane, seppur sadicissima, mente appena adolescente, forgiata già da alcuni anni per riconoscere come affetto ed autorità solo quel paio di figure rettiliane e disdicevoli.

Non ci sarebbe voluto ancora molto, a lui, il principe di una razza praticamente estinta, per capire d'esser stato amabilmente raggirato, astutamente utilizzato al pari d'un giocattolo e questo aveva inflitto nel proprio regale orgoglio uno dei primi, immensamente profondi tagli che timidamente si sarebbero cicatrizzati alla tiepida luce cristallina di due occhi troppo blu, troppo grandi, troppo amici, troppo sinceri, troppo scaltri, troppo suoi. Solo suoi.

 

Già, quella Bulma. A malapena ora riusciva a ricordarla giovanissima, nemmeno un paio di anni in meno di lui, goffa nella tuta gialla e nera appositamente confezionata per l'odissea Namecciana, con quel ridicolo cerchietto rosso ad incorniciare il viso ancora acerbo, neanche lo scopo del viaggio spaziale fosse stato quello d'un allegro picnic.

Una ragazzina, una sciocca pazzoide con evidenti intenti suicidi e con simpatie piuttosto patetiche quali quella con il testa pelata che aveva osato provare ad annientarlo una prima -ed unica- volta e nondimeno quel moccioso, figlio del proprio suddito che aveva avuto l'ardire di dimostrarsi più Saiyan ch'egli stesso, maledizione.

 

Quasi sempre assente dalla propria casa, lontano dai propri affetti e dalle persone che sinceramente tenevano ad un briciolo in più della sua presenza. Un amore malcelato e primario per la sfida, il combattimento ed il desiderio incontrollabile di migliorare la propria prestanza e la propria forza, a discapito di un paio di figli ed una moglie che nel giro di poco tempo dalle proprie tanto agognate nozze s'era vista destinata ad una vedovanza intermittente ed una decina d'anni in più sul volto ad ogni volgere del nuovo sole. Kaharot, era un Saiyan d'élite; probabilmente il più malefico, vista la sua capacità, con un sorrisetto idiota e patetico, d'ingraziarsi quante più persone da salvare, ma nel contempo da abbandonare, in nome dell'istinto primordiale che pulsava in quel suo sangue alieno.

 

Anche lui era nato e cresciuto così, anzi, molto meglio: non s'era mai nemmeno fatto amici, quella parola non apparteneva al suo vocabolario, la ripudiava come tante altre, lui era felicemente solo, fieramente malvagio, orgogliosamente principe.

 

E forse non sarebbe mai riuscito a raggiungere la potenza che ora poteva vantare, se mai fosse atterrato su quell'insulso pianeta di nome Terra, in cerca dell'infedele, del traditore, giungendo invece a ciò che sarebbe diventato, maturando pian piano, il vero vessillo nobiliare che avrebbe dato un valore autentico alla propria esistenza. L'amore.

Quanto tempo era servito al suo ego, al suo orgoglio, alla sua sfolgorante corazza per poter comprendere, accettare e volere quel sentimento tanto distante quanto vicino al proprio più intimo desiderio. Anni e battaglie erano dovute scorrere sotto i suoi occhi e sulle sue stesse mani, per arrivare a capire che l'oro di cui s'era ammantato era stato raggiunto non già solo grazie agli strazianti ed incessanti allenamenti fisici e mentali, ma anche e soprattutto per merito di quell'incondizionato, sconveniente ed istintivo magnetismo che sin dai primissimi istanti trascorsi sotto lo stesso tetto li aveva ammanettati ad un unica, invisibile e libera catena, vellutata e irresistibile, camuffata per troppo tempo sotto le spoglie ingannevoli del mero sesso, della sola attrazione fisica. E questo era balzato sotto i loro occhi attoniti e ancora restii ad una profonda complicità nel momento stesso in cui s'era reso palese l'attuarsi irreversibile di un concepimento.

Uno stupido mezzosangue, inutile e senz'altro poco importante.

Così s'era convinto ad abbandonarli, continuando incessantemente a ripetere quella cantilena nella propria mente ormai annacquata da tutto quell'azzurro, da tutto quel vissuto così intenso, così mai provato, così... Bello.

No, lui era Vegeta, il principe del popolo Saiyan, non aveva nè tempo nè desiderio alcuno di tali sciocchezze. Li aveva lasciati. Aveva poi fatto conoscenza, basito, dell'alter-ego futuristico di quello stesso figlio così poco cercato e voluto. Aveva sofferto come mai prima d'allora alla sua improvvisa dipartita per mano dell'androide che egli stesso aveva in un certo qual modo creato.

Aveva deciso di smettere di combattere, per sempre. Non aveva più alcun senso la vita, il suo stesso istinto. Aveva visto morire quel Trunks che credeva tanto superfluo, aveva subìto l'ennesimo smacco di Kaharoth, a che sarebbe servito allenarsi ancora? E dove, poi? Solitario, su un pianeta che non gli apparteneva, lontano, ma vicino ai due esseri quasi umani che erano stati il giro di boa del suo avvenire?

 

In quale altro posto, se non l'unico che lo aveva accolto senza riserve e pure con quel pizzico di malizia e lungimiranza che lo avevano fatto cambiare, lo avevano distrutto e poi ricomposto, con un'amorevolezza, una complicità ed un'audacia cui mai aveva assistito e che, solo adesso, era conscio non avrebbe potuto trovare altrove, con nessun altro, se non con

 

la sua Bulma.

 

 

Non lo aveva comunque mai definito palesemente o apertamente Amore e così nemmeno lei, rispettando da sempre quel suo carattere tanto difficile ed austero; eppure era chiaro a chiunque, lampante, quel legame totale, a suo tempo quasi ridicolo e scomodo ai più, spossante soprattutto per loro, che aveva consumato due esistenze quasi opposte, ma terribilmente simili.

Trunks, quel Trunks che aveva avuto la fortuna di vedersi crescere con la propria madre ed il proprio padre, era uno dei tangibili tasselli che infrangevano qualunque vago dubbio avesse potuto crearsi nei ragionamenti superflui di chicchessia.

E dopo aver imboccato la sola via soleggiata, il solo sentiero percorribile e l'unico tragitto in grado di farlo sentire davvero principe, dopo addirittura aver provato una certa soddisfazione ad aver decretato la superiorità del proprio acerrimo alleato ed aver finalmente accolto orgogliosamente la reale natura dei propri sentimenti verso Bulma e Trunks, era accaduto così, quasi inconsapevolmente, in un attimo in più d'amore, in una frazione in più dell'intimo ed intensissimo rapporto carnale che ormai rappresentava solo la punta dell'iceberg.

 

Lui l'aveva avvertita praticamente da subito, quell'insignificante, tiepidissima aura, farsi strada nei meandri più sacri della sua compagna. A lei era servito uno dei più tipici mezzi terrestri per poterne essere certa al di là d'ogni sospetto ed in fin dei conti Vegeta era pur sempre Vegeta, di certo non si sarebbe ridotto a far da nunzio di liete novelle.

Anche Trunks, ormai giovanotto, aitante e piuttosto pigro, amico per la pelle del secondogenito di Kaharot, s'era accorto della nuova, femminea presenza ed aveva finito per trascorrere quel primo paio di settimane d'inconsapevolezza da parte della madre con una perenne porpora sulle gote, un misto di gioia, orgoglio ed imbarazzo, emblema di un perfetto miscuglio di sangue guerriero e terrestre.

Questa volta sapeva d'averlo voluto, sapeva che niente e nessuno l'avrebbe portato via da lì, che quell'evento, a cui avrebbe assistito attento solo da lontano, come il proprio essere tuttavia imponeva integralmente, sarebbe stato cercato e giubilato da tutti e tre, ognuno a modo proprio, ma con lo stesso fervore e la stessa natura d'affetto profondo, consapevole e sincero.

 

Ed ora, ad occhi chiusi e rilassati nonostante il cipiglio accigliato, se ne stava lì, in quella posa così sensuale e così senza tempo, che da sempre l'aveva caratterizzato; le braccia forti e possenti incrociate sul petto d'acciaio, la schiena diritta e scolpita aderente al muro portante della stanza immensa e colma di gente amica e le labbra sottili, morbide e calde inarcate in un accenno di luminosità, un tempo malefico ghigno, che ora si dischiudevano più spesso e sempre più volentieri in qualche parola e qualche sorriso, sempre e solo intimamente serbato tra quelle mura fedeli e solide che li avevano visti crescere, tutti.

Se ne stava lì, rilassato e solitario, intimamente felice di quanto aveva dovuto passare e far subire, se quel tutto era servito ad arrivare lì, a tal punto, alla vetta più alta il principe avrebbe mai potuto ambire.

 

Chi lo avrebbe mai detto.

 

 

Attraverso l'ampia vetrata poteva scorgere un cielo plumbeo e buio, nonostante fosse l'ora del pranzo.

La voce di quel Goku, le risatine dei ragazzi, i gorgheggi del vecchiaccio perverso e gli schiocchi della mano destra su quell'ispido e rugoso visaccio da parte della sua Bulma, erano un insieme di suoni che mai come allora gli arrivavano volentieri alle orecchie; un tempo, stizzito, imbarazzato e inorridito, avrebbe cercato riparo in un'altra ala di casa o in un'altra parte di quello stesso pianeta, ora gli bastava mantenersi un poco più distanziato, gli bastava che nessuno lo coinvolgesse in atteggiamenti tipicamente amichevoli e terrestri e lui provava quasi piacere a rimanere lì, al pari, forse ancor più distaccato, di quel Namecciano, mentore di Gohan, col quale aveva stretto una sorta di silenziosa e ben nascosta complicità sin dai tempi del sacrificio contro Majin Buu nel nome della propria famiglia.

E loro lo sapevano. Nessuno lo importunava, neppure quella Bulma così intimamente adorata, la prima ed unica vera complice di quel suo essere fatto così, rispettosa di quell'orgoglio e di quella schivezza naturali ed ammalianti; lui la ringraziava, dentro di sé, sempre. Di tutto.

Già, nessuno lo importunava; se da quel nessuno si escludeva una bimbetta dai capelli color del cielo e con occhi profondi e turchini, così somigliante alla madre da far perdere quasi ogni scorza al suo tenebroso controllo. Temeva l'incursione ingenua di quella bambina quando erano presenti altre persone, già faticava alla sola presenza della moglie e del figlio più grande, figurarsi davanti a tutta quella schiera di pseudo guerrieri, della terza classe e famiglia.

Il solo pensiero lo faceva rabbrividire.

 

Eppure eccola lì, agile nel suo vestitino rosso svolazzante, colmo di stilizzazioni di renne ed alberelli di Natale. Senz'altro una trovata della madre di Bulma, che per queste insulse festività andava pazza; quantomeno Bulma si limitava ad organizzare un pranzo in gran compagnia, Bunny si prodigava invece nell'addobbo intensivo e stomachevole dell'intera dimora, talmente grande da essere estremamente comoda in ogni altro periodo dell'anno, ma terribilmente soffocante proprio durante quell'arco di tempo dedicato a regali e a figure di fantasia.

 

Bra si stava avvicinando saltellando gioiosamente verso il padre, sempre austero, ma sorprendentemente paziente e mansueto proprio con lei, così assillante, chiacchierona ed affettuosa, aveva preso tutto il peggio di Bulma e della nonna.

 

"Papà, ho un regalo per te!"

 

Aveva esordito candidamente, scatenando sorpresa, imbarazzo e una sorta di stizza nello sguardo e sulle gote scolpite di Vegeta, che era riuscito solo a balbettare la sua interdizione.
Non aveva comunque fatto in tempo a dileguarsi cautamente, che già la figlioletta lo strattonava teneramente per il tessuto del morbido pantalone in flanella scura, nel tentativo di portarlo in un angolo appartato dove potesse, se fortunata, ricevere pure un accenno di coccola al porgergli del presente.

 

Con gli occhi al cielo e la bocca contrita in un'espressione fintamente infastidita, Vegeta l'aveva assecondata, ignaro del fatto che la sua Bulma aveva scorto la breve scenetta e s'era intenerita silenziosamente continuando a far finta di nulla in compagnia degli astanti.

 

La pioggia continuava a scendere copiosa. Giunti quasi di fronte all'ampia vetrata che li separava dal roseto del giardino principale, l'allegra tavolata risultava ora solo una sfocata massa indistinguibile nei particolari e di questo Vegeta si consolava, forse avrebbe potuto concedersi quell'attimo senza scheggiare il suo apparire granitico.

 

"E' stato piuttosto difficile, Trunks mi ha aiutata molto. So che non è tanto grande, ma è tutto quello che riesco a fare per ora, papi, buon Natale, ti voglio tanto bene!"

 

E il passaggio ad uno sguardo aperto ed ilare si era trasformato davanti ai suoi attoniti occhi d'ebano in un cipiglio così caratteristico e concentrato da spaventarlo; tra le piccole, paffute manine pallide s'era creata, intermittente ed assai fioca, una piccola sfera d'energia luminosa, in grado forse di radere al suolo nemmeno un terzo di quella sola abitazione.
Il sudore imperlava la piccola fronte tanto tenera, il fiato iniziava ad esser corto e la sorpresa negli occhi di Vegeta iniziava a tramutare incontrollabilmente in qualcosa che assai di rado l'aveva colpito alla sprovvista; come se tutto l'insieme dei momenti più truci e dei ricordi più bui sprofondasse adesso in un istante, all'interno di un abisso introvabile e sperduto, vinto dalla magia di quegli istanti invece dove il suo cuore aveva iniziato a purificarsi, passando per ogni fase, all'incontro sulla Terra con Bulma, al Trunks del futuro ormai di nuovo in vita e prossimo alla partenza verso il proprio tempo, al ritorno a casa dopo la sconfitta di Buu...

A tutto quel che l'aveva fatto diventare l'unico principe di cui davvero poteva andar fiero.

Ed una stilla d'acqua ch'era iniziata a crescere nei suoi più profondi pensieri, stava trovando una via di fuga attraverso le sue palpebre severe e sconcertate.

 

Un Saiyan, o un uomo.

Un valoroso guerriero, o un grande padre.

 

Quello era il bivio, quello era il dualismo con cui s'era dovuto fronteggiare dal suo stabilirsi, dapprima provvisoriamente, su quel pianeta.

 

Finalmente sentiva tangibile la libertà d'agire, la libertà di scegliere d'amare, continuando ad essere il fiero sovrano di un popolo leggendario.

 

Quanto avrebbe desiderato stringere a sé quell'esserino che tanto rappresentava la solidità di ciò che di più caro possedeva. L'unica cosa davvero sua. L'unica cosa che aveva voluto fosse sempre, davvero sua.

 

L'avrebbe desiderato almeno quanto fuggire da quell'evidenza, così poco confacente al principe dei Saiyan.

 

Le labbra s'incresparono in un orgoglioso, vero sorriso, il cipiglio sempre accigliato diventò serio ed ammirato, ma gli occhi si spostarono fulmineamente verso il soffitto illuminato dai neon.

 

"M-Ma, papino, tu s-stai... Piangendo?"

L'interruppe subito con una voce che si fece forte nella propria emozionata rottura:


"Vieni qui, Bulma! Maledizione, fa' qualcosa per ripararlo, questo dannato soffitto non regge la pioggia!".

 

 

 

 

-Fine-


Lo scheletro di questo racconto era già stato da me pubblicato nell'anno 2009, sotto forma di flashfic assai meno approfondita. Ho voluto riproporre il tutto in questa chiave introspettiva più che altro per riprendere la mano alla scrittura, giacché a me, il cambiamento radicale fatto vivere a Vegeta dal momento in cui entra a contatto con la secondogenita, non fa propriamente impazzire.

 

 

 

 

  
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