1.
Ne è davvero valsa la pena?
È
da un paio di mesi che la seguo, sempre nei limiti della decenza
ovviamente. Lei probabilmente mi considererebbe uno stalker e la
legge sarebbe d'accordo con lei, ma non posso farne a meno.
Rimango
incantato a rimirare i suoi bellissimi capelli ramati e mi tuffo
senza rancore in quegli occhi così celesti da fare invidia a
qualsiasi attrice.
Forse sono io a esagerare, ma conosco solo la
prospettiva di un ragazzo innamorato. Ma adesso che ci penso non
è
solo quello.
Da quando sono morto
– mi è ancora strano dire questa parola
– ho percepito i colori,
le luci, sempre in maniera differente. Più intensa credo.
Vedo
molte più cose che prima ignoravo. La cosa più
evidente però è
un'altra.
Il cielo.
Il cielo è viola, non più azzurro come lo
vedevo prima, ma quasi intrappolato in un eterno tramonto.
In più
sento delle voci, dei ronzii. Sì, proprio come i pazzi.
D'altronde
non ci posso fare niente.
All'inizio mi destabilizzavano, ero
frastornato e confuso tra tutte quelle sensazioni che improvvisamente
mi hanno pervaso. Ora però ho deciso di ignorarle e in
effetti sono
molto più tranquillo.
La accompagno fino a casa. Ho controllato i
suoi messaggi e non dovrebbe uscire prima delle sette, quindi ho un
paio d'ore libere.
Mi sono almeno posto la regola di non entrare
mai in casa sua. Nel mio piccolo, anch'io sono un uomo d'onore.
Esce
a cena con la sua amica, Hellen, la stessa della piscina. È
carina.
Alta, bionda, occhi scuri... Ma niente in confronto a Marianne. Ha
qualche tatuaggio che la rende aggressiva, ma almeno ha la testa
sulle spalle. Se Marianne si fida di lei, allora io non ho motivo di
dubitarne.
Decido che voglio andare a fare un giro nel Queens,
invogliato da un cartello pubblicitario illuminato su un
edificio.
Vieni al Museum of the Moving Image a provare
la nostra sexy room..!
recitava.
Non ero molto attirato da questa famigerata “sexy
room”, ma non avevo mai saputo dell'esistenza di un museo del
genere.
Il bello di essere fantasma è che posso intrufolarmi in
rete senza nessun problema. È uno spasso navigare in
Internet,
proprio letteralmente.
Cerco di auto consolarmi dicendo che i vivi
non lo possono fare e mi ritorna un po' di fiducia in me stesso. Ma
poi crolla quando penso a Marianne.
Ne e davvero valsa
la pena?
Questa frase
mi
tormenta la coscienza da quando sono morto. In ogni caso ora non
posso più parlare con lei, né vederla ridere alle
mie battute.
Mi
scrollo di dosso quei brutti pensieri con decisione e, una volta
trovato l'indirizzo, mi avvio velocemente verso il museo.
Il mio
corpo, se ormai posso definirlo tale, sfida le leggi della fisica.
Scorre veloce nell'aria, attraversando incurante tutto ciò
che
incontra. Posso addirittura fluttuare sull'acqua. La prima volta che
l'ho scoperto mi sono divertito a camminare sull'East River con fare
maestoso e compiaciuto. Fatico a trovare il posto perché
l'ingresso
è così insignificante che non ci faccio neanche
caso. Dopo che ci
sono passato davanti almeno dieci volte mi rendo conto che il museo
è
quello con le scritte colorate sopra. Anzi, la scritta è
proprio il
nome del museo. Pensavo fosse opera di quei teppistelli che marchiano
tutte le pareti che incontrano con i graffiti.
Entro e mi accorgo
che c'è veramente pochissima gente. Al piano terra vedo solo
la
biglietteria e un bar, perciò salgo al piano di sopra.
Oltrepasso
qualche stanza piena di cubi e diavolerie strane e poi mi ritrovo...
nel paradiso.
C'è una serie di visori 3D, con accanto delle
cuffie, per vedere un filmatino di diverso genere. Quanto mi sarebbe
piaciuto avere avuto uno di quei cosi per giocare alla Playstation!
Costano ovviamente una follia, perciò non me li potevo
assolutamente
permettere.
A parte che ho perso la gran parte della mia memoria
quando sono trapassato, ma chissà perché questo
dettaglio lo
ricordo bene.
Mi avvicino al primo di questi e cerco un modo per
entrare comunque nella realtà virtuale. Alla fine entro dove
è
stato salvato il video e lo guardo attraverso il visore.
È una
figata pazzesca. Sono dentro una foresta e mi guardo intorno. Sono
fermo su un lago e si sente solo il cinguettio degli uccelli.
Improvvisamente, dalla mia destra vedo arrivare un treno nero
velocissimo. Mi prendo un colpo, ma non posso muovermi, così
vengo
investito per la seconda volta nella mia vita. O nella mia morte,
dipende.
Poi vengo sollevato da terra e comincio a entrare in un
tubo colorato, finché non mi ritrovo dentro un utero. Cosa
caspita
ci faccio dentro un utero? Le persone che hanno realizzato questo
video sono veramente fuori di testa. Un bambino enorme mi fissa con i
suoi occhietti neri. Ora comincio seriamente a spaventarmi. Il feto
comincia lentamente a porgere una mano verso di me. Cerco
disperatamente di spostarmi da lì, ma non ci riesco. Infine
mi
stringe nel palmo della sua mano, come se fossi stato un piccolo
batterio nel corpo della madre. Il cortometraggio finisce
lì. Esco
leggermente turbato, anche se in fondo sono felice di aver provato
per la prima volta un visore. Continuo il giro e mi imbatto in questa
famosa sexy room. Solo
a leggere le istruzioni mi viene la nausea, quindi proseguo la
visita. Scopro la storia del cinema, cioè come hanno creato
i primi
film, e vedo anche le maschere e i manichini originali usati in Star
Wars o L'esorcista. Inoltre, quasi un intero piano è
dedicato allo
storico telefilm Mad Men. Una gioia per il grande nerd che è
in
me.
Esco soddisfatto della mia piccola gita turistica e torno a
gran velocità dal motivo per cui sono ancora sulla Terra. In
realtà
l'ho solo ipotizzato io, perché ho visto un po' troppi film
in
proposito. A dire il vero non ho mai sentito di fantasmi che possono
vedere luci strane e sincronizzarsi con le radio per ascoltare la
musica – sì, posso fare anche quello – ,
ma ormai non ha
importanza. Sono ancora qui e devo farmene una ragione.
Aspetto
una decina di minuti e la vedo uscire, perfetta e profumata. Il
carrè
liscio le ricade con grazia sul viso, contribuendo a darle quel
fascino quasi francese che io adoro tanto. La camicia elegante sbuffa
leggera, costretta da un'alta e stretta gonna scura. I tacchi rendono
la figura ancora più slanciata.
Sono probabilmente uno dei pochi
uomini che nota l'abbigliamento della ragazza che ama, ma fa lo
stesso.
Esce con passo sicuro e chiama rapidamente un taxi, che
inchioda a pochi centimetri da lei.
Adesso che ci penso è quasi
tre mesi che sono morto e lei non lo sa.
Non sono stato al mio
funerale, sempre se ce n'è mai stato uno. Una delle lacune
fondamentali della mia morte è la famiglia. Ho un padre? Una
madre?
Non lo so.
E poi cosa ne è stato del mio cadavere? In realtà
appena avevo visto il mio stesso corpo ridotto a brandelli sulle
rotaie sono scappato disgustato a gambe levate. Non ero molto
contento di non essere morto.
Attraversiamo velocemente il
Brooklyn Bridge e l'autista si ferma davanti a un locale molto
lussuoso. Si chiama The River Café.
Saluta la sua amica che la
stava aspettando all'ingresso e si avviano dentro il ristorante.
Per
loro era stato riservato un piccolo tavolo tondo per due davanti alla
vetrata, in modo che entrambe potessero osservare dalla vetrata la
stupenda skyline di New York. Fra poco calerà il tramonto e
l'atmosfera si farà ancora più suggestiva.
Forse avrei dovuto
portarla qui per farla innamorare di me. In questo momento vorrei
essere al posto di Hellen. Sono combattuto tra l'invidia e la
volontà
di strozzarla.
Eppure Marianne sembra molto felice. Molto di più
rispetto a quando sono uscito con lei. La bionda le strappa ogni
tanto quel suo sorriso magico che mi riempe il cuore. Ma come fa?
Sono geloso.
Allora mi metto proprio di fronte a Marianne, in modo
che sembri parlare con me. Intercetto perfettamente il suo sguardo e
sono sbalordito dalla sua bellezza, ma soprattutto dalla sua
spontaneità. È a suo agio e certo non lo
nasconde. Mi scosto e mi
metto ad ascoltarle, cercando di capire dove ho sbagliato con
lei.
“Questo posto è molto bello, mi sembra strano di
non
essere mai venuta qui finora” dice allegramente Marianne.
“Me
ne ha parlato bene Nick! Ti ricordi di lui, no? Amico di
università...”
“Sì,certo che mi ricordo. È quello
magro e
allampanato che ha sempre la testa fra le nuvole, giusto?”
“Esatto,
proprio lui” esclama entusiasta Hellen. “Ma almeno
ha buon
gusto!”
Entrambe scoppiano a ridere. La risata cristallina di
Marianne suona dolce alle mie orecchie, ma non riesce a placare la
mia rabbia.
Non è giusto che sia andata così. Avrei dovuto
esserci io in quella sedia, a ordinare lo champagne più
buono per la
mia ragazza.
Non ce la faccio più a sopportare quella situazione,
perciò me ne vado.
Esco dalla porta principale, faccio il giro
del ristorante e poi parto a tutta birra verso Manhattan. Sto per
schiantarmi sull'Empire State Building, ma poi devio la traiettoria e
volo verso Liberty Island. Mi fermo davanti alla faccia della Statua
della Libertà. In uno scatto furioso prendo a pugni il suo
naso, ma
non si stacca come quello della Sfinge in Asterix e Obelix. Volo via
irritato e mi infilo nel primo edificio alto che vedo quando
raggiungo nuovamente Manhattan.
Mi fermo all'improvviso e ci metto
qualche secondo a capire cosa ho davanti. È un tizio seduto
su una
gamba mozza.
Lui si alza sorpreso.
“Hey, ma che
diamine..?”
Mi scappa un gridolino impaurito. Mi
vede?
“Benvenuto al Whitney Museum, figliolo” dice una
voce
alle mie spalle.