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Autore: DarkEvilStiles    27/07/2015    1 recensioni
Riccardo è un normalissimo sedicenne con molti amici di cui potersi fidare, una vita movimentata, ma soprattutto una bellissima ragazza: Anastasia. Lei è tutto per lui, ma non si può esattamente dire lo stesso di lei. C'è un segreto del quale il ragazzo non è a conoscenza, un segreto che cambierà totalmente il suo modo di vedere le cose, lo farà entrare in un periodo del tutto nuovo della sua vita e lo porterà a compiere nuove esperienze che prima non avrebbe mai sognato di fare.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Francesco doveva essere alto più o meno un metro e ottantacinque. Aveva i capelli neri come la pece, occhi tanto scuri da non riuscire a distinguere le pupille, naso alla francese, orecchie piccole, guance leggermente rosse e labbra rosso acceso e sottili. Indossava una camicia bianca, trasparente, a maniche lunghe e su misura, che metteva in risalto pettorali ed addominali, dei pantaloni blu notte aderenti e delle Converse All Star basse e bianche.
— Scusami, sul serio, è quella notte ero assonnato ed erano successe delle cose. Il mio ultimo pensiero era guardarti attentamente — risposi.
— Ma la conosci la parola “ironia”? — domandò. — Ti farò fare dei corsi di potenziamento, per quella.
Michele e Mattia non stavano capendo molto della situazione, si scambiavano degli sguardi e me ne ero accorto. Tuttavia, continuai a parlare, visto che non era ancora arrivato nessuno.
— Come hai fatto a riconoscermi subito? Insomma, è passato più di un mese da quella notte, io l’avevo totalmente cancellata dalla mente.
— Un bel faccino come il tuo non si dimentica — rispose. Accennò un sorriso.
— Oh, ehm... — Mi grattai la testa. Lo facevo ogni volta che ero imbarazzato, o che comunque mi trovavo in una situazione scomoda. Infatti, non sapevo cosa rispondere.
Per fortuna, il chiasso improvviso che si venne a creare a causa dell’arrivo di diverse auto e persone mi salvò dal rispondere a quel complimento, quindi feci per salutarlo, ma Mattia mi interruppe.
— Senti, è stato un piacere, ma noi entriamo dentro. — Mi prese per un braccio e mi trascinò verso la sala, che in quel momento si stava illuminando di più colori. Il ballo stava ormai per cominciare.
Mentre camminavamo, Mattia disse: — In altre circostanze non avrei interrotto la conversazione, ma andiamo, ci stava palesemente provando! Ricorda che siamo qui per far colpo sulle ragazze, non sui ragazzi.
— Non ci stava provando! — esclamai.
— Mattia, gli ha fatto solo un complimento, non ci vedo nulla di anormale — rispose Michele.
— Quando proverà a ficcarti una mano nei pantaloni, sarò in un angolo a sventolare un cartellone con su scritto a caratteri cubitali “TE L’AVEVO DETTO”.
Alzai gli occhi al cielo. — In ogni caso, abbiamo smesso di parlare grazie al tuo eroico intervento, e soprattutto, non mi interessano i ragazzi.
Giungemmo all’entrata.
Dopo aver mostrato i biglietti, il buttafuori fece dei timbri sui nostri polsi, in modo da riconoscerci ogni volta che saremmo usciti fuori.
Entrammo nel salone: era davvero grande, più di quanto immaginassi. Era di forma rettangolare, ed era suddiviso in due spazi: uno con tavolini e sedie, più piccolo; un altro sgombro per ballare, ovviamente più ampio. In fondo, poi, c’erano le casse, il deejay e lo staff, che aveva organizzato tutto. Fuori, invece, si trovava il bar.
Il deejay prese il microfono e si presentò, insieme a tutti gli organizzatori. Ci augurarono buon divertimento, abbassarono le luci e pochi secondi dopo partì I Love It delle Icona Pop remixata. La pista da ballo si riempì in fretta.
— Dai, venite a ballare! — gridò Mattia.
Ci buttammo nella mischia, urlando e saltando, come tutti gli altri. Diversamente da quanto mi aspettassi, mi stavo divertendo. Avevo svuotato la mente, pensavo solo alla musica e a scatenarmi. Il resto poteva aspettare. Meritavo un po’ di spensieratezza.
Dopo più o meno mezz’ora passata a delirare tra Madonna, Beyoncé, Jessie J e molti altri, decidemmo di prenderci una pausa. Eravamo sudati e dovevamo riprenderci.
— Io direi di andare al bar, avrei voglia di un drink — disse Michele. — E tu, Rick, berrai con noi!
— Ehm, io non amo particolarmente bere, lo sapete...
— Tranquillo, non ti faremo ubriacare, ma ci sentiamo soli se beviamo solo noi.
Fecero entrambi gli occhioni.
— Quanto siete rompipalle! — esclamai.
Scoppiammo a ridere.
Era appena partita Supamedicine dei Girls Love Shoes, quando Michele mi strattonò. — Rick, guarda.
— Cosa?
— Lì. — Indicò l’entrata.
Giorgia e le sue amiche erano appena entrate nella sala.
Un ragazzo fece cadere il bicchiere a terra. Qualcuno gridò: “PORCA PUTTANA!”. Vidi Matteo, in un angolo, che guardava interessato la scena. E lui era quello che amava Anastasia, quello che lei aveva scelto. Un ragazzo fantastico. Un fantastico coglione, direi. Tutti gli altri, invece, noi compresi, avevano gli occhi sgranati.
Giorgia, come le amiche, era piena di trucco, indossava un abito così corto e striminzito che avrebbe fatto prima ad entrare nuda ed aveva delle scarpe con tacchi di almeno dodici centimetri.
Mattia si voltò a guardarmi ed esclamò: — Amico, quella è diventata così troia che se Miley Cyrus la vedesse le batterebbe il cinque!
— Batterebbero i martelli — ribatté Michele.
— O le lingue — aggiunsi.
— O i culi — concluse Mattia.
Giorgia ci vide e si avvicinò. Stava vistosamente masticando una chewingum. Mi guardò dalla testa ai piedi schifata e disse: — Senti, non sono contraria al vestirsi da froci, ma almeno fallo bene, cristo! Se continui così il massimo che potrai fare nella vita sarà un pompino a Rosario Muniz. Aggiornati.  — Si voltò a guardare Mattia. — Tu, invece, ti sei vestito elegante per far colpo su qualcuna? Se è così, credo che stasera avrai delle brutte sorprese. Ricorda che l’abito non fa il monaco, se sei cesso non basta uno smoking di duecento euro. Oh, ma guarda, c’è anche Michele, quello inutile del trio. Lo sei così tanto che non perdo neanche tempo a giudicarti. Ma soprattutto, voi qualche altro amico disagiato non ce l’avete? Siete sempre voi tre sfigati? Oh, giusto, mi sono appena ricordata che alla gente non piace avvicinarsi a dei chiusoni come voi.
— Tu, invece, hai fatto caso a come sei conciata? Capelli rossi, trucco pesante ed una cosa che non so se chiamare vestito perché ti si vedono tette e culo in alta definizione. Insomma, il kit delle vere troie — replicai.
Mi fulminò con lo sguardo. — Coglione.
Detto questo, andò a ballare con le amiche.
— Giuro, volevo rispondere anch’io, ma ci sono rimasto troppo di merda! — disse Mattia.
— Vale lo stesso per me — aggiunse Michele.
Mi voltai a guardarlo. — Senti, non è vero che sei quello inutile del trio. Io e Mattia siamo migliori amici, questo è vero, ma, a nostra volta, siamo tuoi amici. Non lasciare che quella lì ti faccia fare strane idee, okay?
— Okay. Andiamo a bere, allora.
Ci dirigemmo verso il bar. Non era molto affollato, ancora, dato che eravamo solo ad “inizio serata”, più o meno. Ci avvicinammo al bancone. Mattia ordinò un Mojito, Michele Vodka Lemon. Dato che io ero totalmente ignorante in materia, ordinarono per me un Angelo Azzurro.
— Non vorrete mica farmi sballare, vero?
— Se non ci prendi gusto a bere, non ti ubriachi, tranquillo — mi assicurò Michele.
— Non ci prenderò gusto.
Una volta ricevuti, bevvero i loro cocktail. Io, invece, esitai per qualche secondo.
— E dai, bevi! — mi esortò Mattia.
— Voi mi rovinerete — dissi, poi mandai giù tutto d’un fiato.
Era una sensazione stranamente bella: mi sentii avvampare, e non mi girò la testa. Stavo bene, ed era buono.
Mi fissavano, in attesa di un giudizio.
— Niente male.
Michele mi diede una pacca sulla spalla. — Ecco, così ti voglio!
Una ragazza molto carina si posizionò a fianco a Mattia ed ordinò un Mojito.
— Anche a te piace? — le chiese.
— Già, è la mia bevanda alcolica preferita! — rispose quella.
— Wow, anche la mia, che coincidenza!
— Ma la sua preferita non era la Piña Col- — iniziò Michele.
Gli diedi una gomitata e lo fulminai con lo sguardo.
— Ragazzi, io e... aspetta, come ti chiami? — domandò Mattia.
— Anna — rispose la ragazza.
— Uh, bel nome! Io sono Mattia! — ammiccò con lo sguardo. Poi, si rivolse a noi: — Io e Anna rimarremo qui nei paraggi a fare una chiacchierata. Al massimo vi chiamo più tardi, okay? A dopo!
I due si incamminarono dalla parte opposta al bar. Mattia prese il cellulare e digitò qualcosa. Pochi secondi dopo, mi arrivò un messaggio: “Amico, questa qui me la limono per bene!”
Scoppiai a ridere e lo rimisi in tasca. Era incorreggibile.
— Bene, tu cosa fai ora? — mi chiese Michele.
— Uhm... credo andrò in bagno — risposi.
— Perfetto. Io vedo se c’è qualche ragazza abbordabile, altrimenti rimarrò l’unico dei tre a non concludere niente stasera. Ti contatterò dopo.
— Okay, a dopo.
Sorrise, mi diede una pacca sulla spalla ed entrò dentro. In quel momento, stavano passando This Is Halloween di Marilyn Manson remixata.
Mi avviai verso i bagni, e nel mentre inviai un altro messaggio ai miei. Era l’una e mezza.
Quando uscii, trovai qualcuno seduto su una panchina poco lontana da me. Era Francesco. Ma che si faceva lì? Perché non era dentro a divertirsi?
Mi sedetti accanto a lui. Stava fissando un punto fisso nel vuoto.
— Hey — dissi.
— Hey — rispose.
— Come mai sei seduto qui da solo, invece di divertirti come tutti?
— Semplicemente perché non ho nessuno con cui divertirmi.
— Mi stai dicendo che sei venuto qui senza i tuoi amici?
— No, è diverso: io non ho amici. — Strinse i pugni.
— E io cosa sarei, scusa?
Alzò la testa e mi guardò. — Un imbecille.
Non so perché, ma scoppiai a ridere, e lui con me. Mi trovavo stranamente a mio agio a parlare con lui, sebbene mi avesse fatto quel complimento un po’ ambiguo prima.
— Se posso chiedere... perché non hai amici?
— Sai, prima ne avevo molti. Ma, evidentemente, mi apprezzavano solo per ciò che fingevo di essere. Non stavo bene con me stesso, e quando ho deciso di fare coming out ci sono rimasti tutti di merda e mi hanno voltato le spalle, partendo dalla mia famiglia e finendo con i miei amici. Quindi, non ho niente da perdere se mi presento ad un ballo da solo. Pensavo che sarebbe successo qualcosa, un miracolo. — Rise, sarcastico. — Così eccomi qui, a deprimermi, mentre bevo una Piña Colada. Alla salute. — Fece un altro sorso.
Spalancai gli occhi. — Oh... quindi sei gay.
Alzò gli occhi al cielo. — Non va bene nemmeno a te? Sei omofobo anche tu? Molto bene, ci vediamo.
Fece per alzarsi, ma lo bloccai. — Senti, non è che sono omofobo, ma...
— Tutte le frasi che iniziano così contengono una affermazione omofoba dopo il “ma”, quindi risparmiatelo, per favore.
Notai che si stava trattenendo a stento dallo scoppiare a piangere.
— Volevo solo dire che non ho mai avuto a che fare con un omosessuale, e non so come comportarmi.
Non era vero. Più volte, con Mattia, avevo sfottuto i ragazzi gay perché la consideravamo una cosa anormale e “contro natura”. In quel momento, però, mi sentivo veramente un coglione. Sentivo di aver stereotipato l’immagine del ragazzo omosessuale, credendo fosse una cosa negativa quella dell’amare persone del proprio sesso e comportandosi da femminucce. Ma Francesco non era così: era davvero bravo, e aveva mandato a quel paese tutte le mie supposizioni errate. Mi stavo sul serio sentendo in colpa.
— Mmm... — Aggrottò la fronte. — Voglio crederti.
Passò qualche secondo, poi aggiunse: — Aspetta, ma dove sono i tuoi amici?
Sospirai. — A rimorchiare. Porca miseria, dovrei provarci anch’io, ma...
— Ma...?
— Tutti credono che non mi freghi niente della mia ex ragazza, che mi ha tradito col ragazzo che odio e l’ha messa incinta, e che poi si è suicidata, ma non-
— CHE?! — esclamò.
Feci spallucce. — Lunga storia.
Si ricompose subito. Mi fissò per qualche altro secondo, come se stesse provando a capire se quello che stessi dicendo fosse vero oppure no.
— Uhm, continua — disse, infine.
— Dicevo, pensano tutti che non mi interessi, ma non è così. All’inizio ero incazzato, l’ho insultata anche davanti alla sua tomba e ci sputato sopra, ma più passano i giorni e più sento che c’è un vuoto dentro di me. Mi manca, capisci? — Iniziai a tremare.
Francesco posò la sua mano sulla mia. — Hey, è tutto okay?
— Sì, è solo che... non ci devo pensare, davvero. Non devo. Mi passerà, tranquillo. Anzi, sono venuto qui per consolarti ed invece mi ritrovo a parlare dei miei problemi. Sono davvero egoista.
Stava continuando ad accarezzarmi la mano. — No, non lo sei. Ti sei solo sfogato, come ho fatto io.
— Sì, ma non concludo niente dicendolo agli altri! Non tornerà in vita, capisci?!
Cominciai a piangere.
Mi fissò tristemente. — Non piangere, ti prego...
— Scusa, ma non ci riesco... davvero. Ci ho provato a non piangere, ma fa tutto schifo, e...
Non riuscii a finire la frase, perché mi baciò. Fu salato ed umido, a causa delle lacrime che continuavano a scendere.
Dopo qualche secondo, mi staccai dal bacio.
— Mi dispiace... — cominciò.
Mi alzai di scatto, e senza dire niente mi allontanai.
— Ti prego, dì qualcosa almeno! — gridò.
Non risposi.
Asciugai le lacrime e raggiunsi il bar. Lì, mandai dei messaggi a Michele e a Mattia.
Dopo dieci minuti, nessuno si era fatto sentire, così ordinai un altro Angelo Azzurro. Bevvi anche quello tutto d’un sorso. Era davvero buono, ma stavolta cominciava a girarmi la testa. Noncurante del fatto che sarei potuto sentirmi poco bene e non sapendo quanto potessi reggere l’alcol, ne ordinai un altro. Mi allontanai e ricominciai a piangere. Nemmeno la confusione in testa dovuta all’alcol rendeva meno vivido il ricordo di Anastasia. Così, decisi di entrare dentro e scatenarmi: sentivo che niente poteva fermarmi, ero tutto un fuoco.
Ballai fino a quando mi fecero male i piedi e cominciai ad avere dei conati di vomito. Mi allontanai velocemente dalla mischia per dirigermi nuovamente in bagno. Mandai ancora un altro sms ai miei. Erano le tre meno dieci.
Tutto quello che ricordo dopo aver letto la scritta “messaggio inviato” è che vomitai tutto ciò che avevo nello stomaco.
 
Aprii gli occhi. Ero sdraiato. Vidi l’ora sull’orologio: erano le otto e un quarto. Indossavo solo i boxer. Non ero a casa, perché la mia camera non era affatto come quella in cui mi trovavo, stessa cosa per i muri, che erano azzurri.
Mi misi a sedere e strofinai per bene gli occhi. Poi, girai la testa e rimasi agghiacciato: Francesco stava dormendo beato accanto a me.

  
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