Crossover
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Autore: Odinforce    27/07/2015    5 recensioni
In un luogo devastato e dominato dal silenzio, Nul, un essere dagli enormi poteri si diverte a giocare con i mondi esterni per suo diletto. Da mondi lontani sono giunti gli eroi più valorosi, pronti a sfidare le loro nemesi che hanno già sconfitto in passato. I vincitori torneranno al loro mondo, siano i buoni o i malvagi. Saranno disposti ad obbedire alla volontà di Nul?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11

 

Nel sottosuolo, anche in quel mondo ricolmo di follia e disordine scorrevano i binari della metropolitana. I Senzavolto la prendevano di continuo per spostarsi da una zona all’altra, simulando perfettamente una parvenza di vita che in verità non possedevano. Ombre ignare della verità, esistenti solo per fare da sfondo al disegno di un essere che non potevano capire.

Nul camminava tranquillo in una galleria abbandonata della metro. Aveva appena trovato ciò che stava cercando, l’ultimo pezzo da mettere al giusto posto sul suo tavolo da gioco. Esso aveva sembianze di un uomo alto, dai lunghi capelli di un oro pallido, le orecchie a punta e la pelle bianca; una curiosa cicatrice solcava il suo viso, simile a una linea retta che si estendeva lungo le guance, attraversando il ponte del naso. Odio e rabbia marchiavano il suo sguardo, frutto di secoli di sofferenza, rendendo gli occhi simili a gelidi diamanti splendenti nel buio. Costui guardava Nul senza reagire, pur essendo armato di lancia; forse lo stava aspettando, pronto ad ascoltare ciò che aveva da dire.

« Il tuo nome » disse Nul.

« Nuada » rispose l’altro « Lancia d’Argento, figlio di Re Balor, principe del clan Bethmoora. Erede al trono dei Figli della Terra. »

« Cosa desideri? »

« Il mio mondo, il mio popolo... mia sorella. »

« E perché sei qui? » domandò ancora Nul.

« Ho fallito » rispose Nuada. « Sono morto. »

Il silenzio fu spezzato da un improvviso frastuono. Un treno stava passando in una galleria vicina. Nul aspettò.

« Ti offro una seconda occasione » annunciò non appena tornò il silenzio. « Combatti per me. Vinci questa battaglia. Uccidi il tuo nemico... e riavrai tutto ciò che hai perduto. »

« Il mio nemico? »

« L’ultimo che hai visto prima di trasformarti in creta e cadere a pezzi ai suoi piedi. »

Nuada sgranò gli occhi per la rabbia. Ricordava benissimo ogni cosa... compreso lui, il responsabile della sua morte: il demonio che aveva rovinato i suoi piani e portato lui e sua sorella alla morte. Aveva giurato di non arrendersi mai, di non fermarsi mai... finché il suo popolo non avesse riavuto il mondo da cui erano stati scacciati.

« Lo farò. »

« Molto bene » disse Nul soddisfatto. « Raggiungi gli altri... sono sulle tracce dei loro avversari. Il tuo nemico è con loro. »

Nuada non aggiunse altro. Strinse la presa sulla sua lancia e s’incamminò, sparendo in una galleria vicina. Nul restò a guardare, ma non era rimasto solo. In lontananza, nella direzione opposta, c’era qualcun altro, intento ad osservare ogni cosa.

« Cosa fai ancora qui? » domandò Nul impassibile.

Il lungo, gelido respiro di Darth Vader fu l’unica risposta che gli arrivò.

 

Torniamo ai nostri eroi, intenti in quel momento a vagare ancora una volta senza una meta precisa. Dopo essersi lasciati Burton Castle alle spalle, i sette compagni non avevano altra scelta che proseguire, in cerca di qualsiasi cosa che potesse tornare utile all’obiettivo comune: tornare a casa e alle loro vite. I non-morti che li avevano aggrediti il giorno prima erano spariti dalla circolazione, e anche i Senzavolto sembravano fuori dal loro campo visivo. Ma Jake Sully e i suoi alleati mantenevano una vigilanza costante, camminando in formazione per gettare un occhio dappertutto. Il nemico poteva spuntare fuori in qualsiasi momento.

Proseguirono così per diverse ore, attraverso vari quartieri della città fantasma. La tensione nell’aria era alta, poiché non riuscivano ancora a raccapezzarsi sulla situazione.

« Non ne posso più » si lamentò Po, in coda al gruppo, visibilmente stanco. « Stiamo girando a vuoto da un pezzo, ormai. Ho anche una gran fame... il mio stomaco protesta. »

« Ancora? » commentò Sora. « Non stavi mangiando cioccolata di Wonka meno di mezz’ora fa? »

« Non possiamo fermarci » dichiarò Jake, deciso a proseguire. « Questo posto non è abbastanza riparato... aspettiamo di trovarne uno più sicuro. »

« Difficile trovare un riparo in un posto del genere » obiettò Hellboy. « Siamo ancora nel bel mezzo di un ambiente urbano che brulica di rognosi Senzavolto. Non saremo al sicuro finché non avremo lasciato la città. »

« Silenzio! Fermi! »

All’ordine di Jake, si fermarono tutti quanti. Il guerriero Na’vi guardava in avanti, verso un vicolo laterale. Alcuni Senzavolto vi si erano infilati dentro senza badare a loro, correndo come forsennati.

« Parli del diavolo... » sussurrò Hellboy, accarezzando la sua pistola.

« Non ci hanno notati » disse Lara. « Forse siamo di nuovo invisibili per loro. »

« Non lo so, qualcosa non quadra » aggiunse Harry, serio. « Si muovevano come quando ci hanno attaccati la prima volta. Erano pronti ad attaccare. »

« Zitti! Avete sentito? »

Non ci avevano fatto caso, ma ora udivano ciò che le orecchie di Jake avevano sentito fin dall’inizio. Urla, colpi, esplosioni... nella stessa direzione in cui stavano correndo i Senzavolto di poco fa. Non impiegarono molto a condividere la stessa idea... il fatto che qualcuno fosse in pericolo.

Qualcuno come loro, senza ombra di dubbio. E dal momento che l’idea condivisa fu accettata da tutti i presenti nel giro dei successivi tre secondi, fu quasi inevitabile la decisione successiva... sulla quale nessuno aveva alcunché da obiettare. Chiunque fosse in pericolo, dovevano intervenire. Jake ordinò quindi ai suoi compagni di seguirlo, arrampicandosi lungo il muro del palazzo più vicino; per lui era facile, grazie all’agilità e alla statura vertiginosa di cui vantava... mentre gli altri furono costretti a procedere lungo una provvidenziale scala antincendio.

Dovevano avvicinarsi il più possibile senza dare nell’occhio, ancora meglio se potevano farlo da una posizione elevata. Quando ebbero tutti raggiunto il tetto, un terribile spettacolo si manifestò davanti ai loro occhi angosciati: un’enorme folla di Senzavolto si era radunata intorno a un edificio di tre piani, con l’intenzione di raggiungere la sua sommità. Per far ciò, tutta quella gente si stava ammassando una sull’altra, come uno sciame di locuste affamate, scalando poco a poco il palazzo. Alcuni Senzavolto erano già arrivati sul tetto, e stavano attaccando qualcuno che i sette compagni non riuscivano a distinguere. Erano troppo lontani, e i Senzavolto erano numerosi, ma era evidente che quella persona non avesse alcuna intenzione di cedere: affrontava i suoi aggressori da solo, sfoderando poteri speciali che provocavano esplosioni e raggi di luce rossa.

« Luke, dammi informazioni » ordinò Jake.

« Percepisco dolore, sofferenza... e molta rabbia » mormorò il Jedi dopo un minuto. « Colui che cerchiamo è in grave pericolo. Non resisterà ancora a lungo a un tale assedio. »

« Cosa aspettiamo, allora? » intervenne Sora, deciso. « Andiamo a salvarlo, prima che sia troppo tardi! »

« No. Non è prudente gettarsi alla cieca contro un tale nemico » dichiarò Jake, lo sguardo fisso su quell’atrocità in atto. « Voi restate qui, me ne occupo io. »

Il guerriero Na’vi non si soffermò a guardare lo sguardo attonito dei suoi compagni dipinto sui loro volti dopo aver udito il suo ordine. Ignoravano che Jake sapesse perfettamente cosa fare per salvare lo sconosciuto in pericolo. Dopo aver dato un’occhiata nei dintorni aveva stabilito come muoversi; perciò, senza indugiare un istante di più, spiccò un salto in avanti, atterrando sul piano di un edificio in costruzione; si arrampicò su un pilastro d’acciaio e raggiunse infine il cavo di una gru. Dopodiché si lanciò senza paura sull’edificio di fronte, quello assediato dai Senzavolto; afferrò l’arco e scagliò una freccia sulla massa di persone, centrandone una in pieno. I Senzavolto si voltarono a guardarlo mentre atterrava in piedi sul tetto, senza nemmeno un graffio.

Sora, Harry, Po, Lara, Luke ed Hellboy restarono a guardare immobili dalla loro posizione, mentre il loro capo si faceva facilmente largo tra gli aggressori. Alto e robusto com’era, i Senzavolto non potevano sopraffarlo con la loro superiorità numerica, e venivano travolti al suo passaggio. Jake raggiunse così l’obiettivo, ormai allo stremo delle forze, e lo strappò dalle grinfie dei Senzavolto. Un attimo dopo si era già lanciato dal tetto e stava tornando indietro, spiccando grandi balzi da un palazzo all’altro.

Quando si riunì ai suoi compagni, la situazione era già cambiata completamente. La massa di Senzavolto sotto i loro piedi aveva sospeso l’attacco, e lentamente stavano tornando a camminare per strada come se nulla fosse. Il loro folle piano era fallito, qualunque fosse stato.

Jake e i suoi compagni, tuttavia, avevano cose ben più urgenti di cui occuparsi, come dimostrato dal giovane ferito che il Na’vi portava in braccio. Lo posò delicatamente a terra, affinché gli altri potessero aiutarlo ad occuparsi di lui: era un ragazzo di circa 16 anni, dal fisico minuto ma muscoloso; portava i capelli lunghi e biondi raccolti in una treccia, e indossava una specie di uniforme di pelle nera e un lungo giubbotto rosso con cappuccio. Quando Jake lo posò a terra era ancora cosciente, ma soffriva molto: era malconcio per i numerosi colpi subiti, al punto che non riusciva a guardare nessuno dei suoi soccorritori. Lara si era fatta avanti per esaminare le sue condizioni.

« Ha un braccio rotto, sembra » dichiarò, osservando la strana angolatura presa dal suo braccio destro. « Aiutatemi a spogliarlo. »

Jake obbedì e lo tenne fermo, mentre Sora ed Harry gli sfilavano giacca e giubbotto. Fu a quel punto che si resero conto della verità, talmente inaspettata da far esclamare alcuni dei presenti per la sorpresa.

« Santo cielo! »

Il braccio destro del ragazzo non era rotto. Anzi, non ce l’aveva affatto. Al suo posto vi era infatti quello che sembrava un braccio artificiale, metallico e dotato di componenti meccanici; era seriamente danneggiato, per questo aveva dato l’impressione che fosse rotto.

Questo non cambiava la situazione, ma spinse Lara ad esaminare più accuratamente il corpo del ragazzo; scoprì in questo modo che il braccio destro non era l’unica protesi artificiale di cui era dotato; anche la gamba sinistra era meccanica, provocando a tutti quanti una nuova dose di stupore.

« Avevate mai visto qualcosa del genere? » domandò uno sconvolto Jake al gruppo.

« Io sì » rispose Luke, facendosi avanti. « Costui non ha ferite gravi, a parte i danni al braccio destro. Dobbiamo ripararglielo... forse posso fare qualcosa. »

« Credi che venga dal tuo stesso mondo, Luke? » chiese Sora.

« Ne dubito, ma so cosa si prova nel possedere simili pezzi di ricambio... perché anche io ho perso qualcosa. »

Mentre il Jedi esaminava meglio il braccio del ragazzo ferito, i suoi compagni si resero conto di cosa stava parlando. Finora avevano pensato che la mano destra di Luke fosse coperta da un guanto... invece era meccanica, proprio come lo sconosciuto che giaceva ai loro piedi. Non era il caso di fare domande su di essa, a causa del momento troppo inopportuno.

Luke tentò di riparare l’arto danneggiato del ragazzo, armeggiando con alcuni attrezzi che aveva portato con sé. Tuttavia i suoi compagni lo videro rinunciare dopo qualche minuto, visibilmente rassegnato.

« Mi dispiace » dichiarò. « Questa tecnologia è troppo diversa da quella a cui sono abituato. Sembra molto antiquata rispetto allo stile dei pianeti in cui ho vissuto, ma anche molto evoluta. Non posso fare nulla per ripararla. »

« D’accordo, allora » intervenne Harry, sfoderando la sua bacchetta. « Vorrà dire che proveremo la mia alternativa... Reparo! »

Nel giro di un attimo, i pezzi e i componenti del braccio si rinsaldarono; ogni vite, ogni scheggia, ogni cavo tornò al suo giusto posto, ricostruendolo perfettamente. Il ragazzo biondo si ritrovò così una protesi nuovamente funzionante, ma un istante dopo lanciò un urlo terribile, come se fosse in preda a un forte dolore. Si contorse a terra per qualche secondo, poi perse i sensi e il suo corpo divenne molle.

Quel tetto freddo e spoglio non era il luogo ideale per occuparsi di un ragazzo ferito, perciò i sette compagni furono d’accordo nel cercare un riparo migliore. Jake guidò tutti quanti verso il palazzo in costruzione su cui era salito prima, e salirono fino all’ultimo piano disponibile per tenere d’occhio il territorio in ogni direzione. Harry si occupò di eseguire tutti gli incantesimi difensivi che conosceva, per assicurare la massima protezione al loro rifugio: ormai era abituato a fare così, dal momento che aveva trascorso l’ultimo anno a nascondersi da un intero popolo in guerra. Luke ed Hellboy stavano di guardia. Po accese un fuoco per riscaldare l’ambiente, mentre Sora e Lara si occuparono del ragazzo esanime; in poco tempo, combinando magie curative e un kit di pronto soccorso, riuscirono a stabilizzare le sue condizioni.

« Anche il suo braccio sembra a posto, adesso » commentò Sora. « Il tuo incantesimo per ripararlo ha funzionato alla grande, Harry... perché non lo hai eseguito subito? »

« Perché cerco di non usare troppo questa bacchetta, se posso evitarlo » commentò il ragazzo, cupo. « Non mi piace il suo potere... è troppo grande, troppo spaventoso. La Bacchetta di Sambuco non può essere usata con leggerezza. »

Il discorso fu fatto cadere immediatamente, perché il ragazzo biondo stava riprendendo i sensi. I sette compagni si avvicinarono con cautela, mantenendo una distanza di sicurezza. Il ragazzo restò sdraiato, guardando tutti i presenti con aria sofferente.

« Ugh... dove mi trovo? » sussurrò. « Chi siete... voi? »

« Non muoverti, sei ancora debole » lo ammonì Sora, facendosi più vicino. « Forse posso aiutarti... Energia! »

Puntò il Keyblade sul ragazzo, che fu avvolto di conseguenza da una luce verdognola. Quando svanì, questi si alzò a sedere di scatto, nuovamente in forze. La magia di Sora lo aveva curato.

« Wow » commentò stupito. « Grazie! »

« Non c’è di che. Io mi chiamo Sora, e tu? »

« Edward » rispose. « Edward Elric. Ed, per gli amici. Vi prego, ditemi che ci troviamo a Amestris, e che ho avuto solo un incubo. Dov’è mio fratello? »

I sette compagni si scambiarono una veloce occhiata perplessa.

« Mi dispiace, ma non sappiamo di cosa parli » dichiarò Jake. « Una cosa è sicura, non stai sognando. »

Ed non stava ascoltando. Era troppo impegnato a guardare il suo braccio destro, la protesi meccanica che gli avevano riparato poco prima. Sembrava sconvolto in modo indescrivibile.

« No... » disse piano. « C’è ancora... maledizione... perché? Perché? »

« Calmati! » intervenne Lara. « Sappiamo bene ciò che provi. Siamo sulla stessa barca, tutti quanti. Questo non è il tuo mondo, perché sei stato separato da esso... esattamente come è capitato a noi. »

I sette compagni si presentarono uno dopo l’altro, poi si occuparono di spiegare a Edward Elric cosa stava succedendo. Chiunque fosse quel ragazzo, era ormai ovvio che fosse uno di loro, e doveva essere messo al corrente di ciò che sapevano; al loro confronto sembrava quasi uno studente arrivato in ritardo alla lezione. Ed ascoltò ogni cosa con attenzione, pur mantenendo per tutto il tempo un’aria estremamente angosciata, per non dire disperata.

« ... così ci siamo alleati, e viaggiamo insieme alla ricerca di un modo per tornare ai nostri mondi » concluse Sora.

« Perciò riteniamo che dovresti unirti a noi » aggiunse Jake, guardandolo dall’alto. « Tornare a casa è lo scopo che ci accomuna. Se vuoi far parte del nostro gruppo, dovrai raccontarci chi sei; da dove vieni, che cosa hai fatto e che cosa sai fare. Noi siamo stati sinceri fino alla fine... ora dovrai ricambiare, per consolidare il legame che avrai con noi. »

Ed fece un lungo sospiro, realizzando nel giro di un secondo che quella era l’unica scelta possibile. Quindi prese fiato e iniziò a raccontare tutto ciò che quello strano gruppo voleva sapere.

« Mi chiamo Edward Elric. Sono nato nel 1899 a Resembool, un piccolo paese nella nazione di Amestris. Io e mio fratello minore Alphonse abbiamo coltivato fin da piccoli la passione per l’alchimia, un’arte molto diffusa nel mio mondo in grado di trasmutare la materia; la studiavamo per rendere felice nostra madre, per colmare il vuoto che mio padre le aveva causato dopo essere partito improvvisamente.

« Mia madre morì quando avevo otto anni, per una malattia. Inutile dire che per due bambini la perdita della mamma è una cosa insopportabile... e noi volevamo rivederla ad ogni costo. Così io e Al decidemmo di usare l’alchimia per riportarla in vita, dopo anni passati a studiarla. Tuttavia, la trasmutazione umana nel mio mondo è ritenuto il più proibito dei tabù. Credevamo di poter riuscire dove altri avevano fallito... ma ci sbagliavamo. Senza sacrificio l’uomo non può ottenere nulla; per ottenere qualcosa, l’uomo deve dare in cambio qualcosa dello stesso valore. Questo è il principio dello scambio equivalente, su cui si basano le leggi dell’alchimia. Non bastano infatti la giusta quantità di elementi chimici per trasmutare un corpo e restituirgli l’anima: bisogna sacrificare molto di più. Così io e Alphonse abbiamo “pagato” il prezzo della trasmutazione di nostra madre... con parti del nostro corpo! Io persi una gamba, mentre ad Al fu sottratto l’intero corpo. E mia madre... non tornò in vita; al suo posto, davanti ai miei occhi, c’era solo un essere deforme che non aveva nulla di umano.

« In un attimo avevo perso anche mio fratello... ma ero deciso a salvarlo, così tentai una nuova trasmutazione offrendo il mio braccio destro. L’anima di Al mi fu restituita, e la legai a un’armatura con un sigillo fatto del mio sangue.

« Quella notte, io e mio fratello avevamo oltrepassato una soglia da cui non potevamo tornare indietro. Avevamo giocato con forze occulte che non potevamo comprendere, ottenendo in cambio un sacco di dolore e sofferenza. Dovevamo rimediare... io dovevo rimediare: trovare un modo per restituire ad Al il suo corpo, per farlo tornare a vivere come meritava. Per affrontare il lungo viaggio che mi aspettava, mi sottoposi all’operazione per rimpiazzare i miei arti mancanti con gli automail... queste protesi meccaniche che mi avete aggiustato.

« L’alchimia ci aveva sottratto i nostri corpi, e l’alchimia ce li avrebbe restituiti. Per prima cosa dovevo saperne di più sulle trasmutazioni, e mi recai nella capitale per diventare un’Alchimista di Stato, così da poter sfruttare le risorse disponibili e trovare un modo di recuperare quello che io e Al avevamo perso. Con il tempo diventammo famosi in tutta la nazione: ero noto come l’Alchimista d’Acciaio... anche se la gente credeva sempre che si trattasse di mio fratello, a causa della sua armatura. Scoprimmo che effettivamente un modo c’era per riavere i nostri corpi... un antico artefatto in grado di infrangere le leggi dell’alchimia e trasmutare qualsiasi cosa. La Pietra Filosofale. »

Harry si lasciò sfuggire un gemito di stupore, attirando l’attenzione di Ed. Tuttavia non si perse in chiacchiere, lasciando al biondo l’occasione per riprendere il suo racconto.

« La Pietra Filosofale aveva dunque il potere per farci riavere i nostri corpi. Durante i nostri viaggi e ricerche, tuttavia, io e Al scoprimmo segreti sulla Pietra inimmaginabili: essa si può creare, infatti, sacrificando un’enorme quantità di vite umane. Come potevamo pensare di riottenere i nostri corpi con un simile oggetto, che richiedeva un prezzo enorme da pagare? Volevamo rinunciare all’idea, ma qualcosa stava nel frattempo minacciando il mondo intero: un gruppo di creature chiamate Homunculus, intenzionate ad ottenere il potere supremo con la Pietra Filosofale. Io e Al eravamo finiti nel loro mirino, volevano includerci nel loro piano per creare la Pietra... scatenando una guerra contro l’intera nazione. È stata una dura battaglia, con perdite da entrambe le parti... ma alla fine abbiamo eliminato gli Homunculus e salvato il mondo intero. Sono anche riuscito a recuperare il mio braccio e a restituire ad Alphonse il suo corpo, sacrificando il mio stesso potere alchemico. »

« Come? » fece Po, confuso. « Ma tu hai ancora il braccio di ferro. »

« Veramente è fatto d’acciaio » lo corresse Ed. « Ma hai ragione... ho ancora l’automail al posto del mio vero braccio. Dopo la fine della guerra e la distruzione dei cattivi, io e mio fratello eravamo tornati a una vita tranquilla... poi è accaduto tutto questo. All’improvviso mi sono ritrovato in questo strano mondo, da solo, dotato di nuovo degli automail e dei miei poteri; poi sono stato aggredito da quella massa di imbecilli senza volto. Ho cercato di opporre resistenza, ma sono riusciti a danneggiarmi il braccio, impedendomi di compiere altre trasmutazioni... se non fosse stato per voi, a quest’ora sarei sicuramente morto. »

Detto questo, Edward si alzò in piedi, mostrandosi al gruppo in tutta la sua “altezza”. Ormai aveva recuperato forze a sufficienza, tanto che fu perfino in grado di sorridere con determinazione.

« Ecco chi sono. Edward Elric, l’Alchimista d’Acciaio. Con un battito di mani posso trasmutare qualsiasi elemento dell’ambiente che mi circonda; posso contare anche su una buona tecnica di combattimento corpo a corpo, e trasformare il mio automail in una lama. Avevo rinunciato a tutto questo per salvare mio fratello e tornare a una vita normale; eppure qualcosa me li ha restituiti, portandomi per giunta in questo mondo impazzito. Giuro che farò tutto il necessario per tornare a casa... e per riuscirci sono pronto a dare fondo a tutto il mio potere! »

I sette compagni annuirono quasi all’unisono. Era chiaro per tutti... Ed era proprio come loro, un eroe come loro; dunque era degno di essere uno di loro.

« Molto bene, allora » dichiarò Jake Sully per primo, offrendogli la mano. « Benvenuto nel club, piccolo amico. »

« Cosa? Chi hai chiamato “piccolo”? » sbottò Ed, irritandosi in modo abnorme nel giro di un istante. « È facile per te parlare di altezze, gigante che non sei altro! Prova a ripeterlo, scoprirai quanto può essere doloroso un automail infilato su per il... »

Inaspettatamente, scoppiarono quasi tutti a ridere. Era strano riuscire a fare una cosa così semplice, così naturale, in un mondo come quello... dove pericolo e morte incombevano dietro ogni angolo. Quegli otto compagni erano ancora sperduti, confusi, spaventati dalla situazione in cui erano stati gettati controvoglia... ma il mondo sarebbe andato in frantumi da solo prima che decidessero di abbandonare la speranza e l’ottimismo.

« Ehi, ho trovato un nome perfetto per il nostro gruppo » annunciò Po nel frattempo, estasiato come se avesse appena preparato il suo piatto migliore. « I Valorosi! Che ve ne pare? »

I compagni si scambiarono un’occhiata indecisa.

« Mi piace » disse Ed infine, ignaro di tutto il tempo impiegato dal panda sull’argomento. « Per me è aggiudicato! »

E i Valorosi si rimisero in marcia, verso l’ignoto.

 

   
 
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