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Autore: gingersnapped    30/07/2015    2 recensioni
Hiccup Horrendous Haddock III era tutto fuorché orrendo, come invece suggeriva il suo nome
Merida Dunbroch era una ragazza non convenzionale.
Jackson Overland Frost era il tipico adolescente che si nascondeva dietro una maschera
Rapunzel Corona era di una bellezza che rasentava la perfezione.
Questa però, non è una raccolta d’amore. Questa è una raccolta di come questi quattro amici si innamorarono –e alcuni scoprirono più tardi di esserlo già in precedenza. Questa è una raccolta di giorni normali resi speciali da momenti e da parole, oppure da un semplice gesto.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Mericcup





Hiccup si soffermò a guardare quel paesaggio meraviglioso. Il sole pian piano si ergeva sempre più in alto, diventando man mano più caldo, mentre si faceva spazio nel cielo, di un azzurro incredibile, senza nemmeno una nuvola. Questo calore era filtrato dalle foglie dei grandi ed immensi alberi che si trovavano lì e che venivano mosse da un leggero venticello, vagamente fresco. Si voltò sorridente verso la sua accompagnatrice, che ricambiava lo sguardo senza l’entusiasmo del moro.
“Seriamente stiamo andando a pesca, Hic?”, gli chiese, delusa, guardando le canne da pesca che lui teneva in mano.
“Mi hai scoperto!”, esclamò lui, sarcasticamente. “Mi sono portato queste fino a qui per farti un semplice scherzo”, aggiunse, gesticolando con la mano che teneva le canne da pesca e guardando sorridendo la rossa, che aveva perso l’ombra di qualsiasi sorriso.
“Avevi detto che mi portavi a caccia”, disse semplicemente lei, camminando speditamente davanti a lui. D’altronde, non era mica lei che aveva uno zaino enorme contenente esche e tutto il materiale adatto alla pesca e non solo: conosceva fin troppo bene Merida, tanto da sapere che non si era portata qualcosa da bere o da mangiare perché c’era lui.
“Beh, tecnicamente la pesca è una caccia”, commentò lui, cercando di starle al passo. Merida smise di camminare immediatamente, girandosi verso Hiccup che, carico com’era, sembrava essere ritornato il ragazzino imbranato di qualche anno addietro.
“Mi stai prendendo in giro?”, domandò, le sopracciglia rosse corrucciate e gli occhi chiarissimi che lo fissavano con fare interrogativo.
“Sono troppo vecchio per tirarti i capelli”, rispose semplicemente lui, sorridendo e superandola. La rossa rimase lì per lì a sbattere le ciglia –rigorosamente ramate- per un paio di secondi, poi riprese il cammino.
“Neanche da piccolo mi tiravi i capelli, però”, ribatté lei, soddisfatta dell’affermazione.
“Questo perché tu li tiravi a me.”
“Te li tirerei pure adesso per non avermi detto che andavamo a pesca”, brontolò lei, poco dopo. “E bada a te perché sono più lunghi”, aggiunse, ripensando alle due treccine che aveva sul lato destro.
“Cos’hai contro la pesca?”
“La pesca è noiosa!”
“Credimi, è molto divertente certe volte”, commentò lui, ridacchiando tra sé chissà per quale pensiero.
“Spiegamelo”, disse lei, sedendosi su un tronco d’albero lì vicino caduto per terra. Hiccup si girò a guardare l’amica –così ostinata a non farsi piacere la pesca- con i suoi grandi occhi verdi.
“Dai, Merida, abbiamo già perso del tempo prezioso e..”, tentò di spiegare lui, volgendo lo sguardo al ruscello dove dovevano ancora arrivare.
“Allora ammetti che la pesca è noiosa?”
“Cosa? No!”, esclamò lui, esasperato.
“Dimostramelo.”
“Lo farei se riuscissi a farmi arrivare al posto dove pescare.”
“Non vedo l’ora di andare in vacanza con Punzie”, disse Merida, alzandosi e seguendolo verso il sentiero.
“Anch’io”, mormorò lui. Tra Merida e Jack non sapeva proprio chi fosse il peggiore: voleva bene ad entrambi, molto, però solo Odino sapeva quanto erano capaci di fargli perdere le staffe. La vacanza con l’amica bionda invece si configurava come un riposo da tutte le preoccupazioni.
Finalmente, dopo quelle che perfino a lui parsero ore, iniziarono a pescare. I primi tentativi di Merida furono terribili, ma non per questo meno divertenti di quanto si aspettava. Rise di gusto quando vide l’amo impigliarsi tra i fitti capelli di Merida –e quando fu costretto a ricorrere alle forbici per liberarlo-, e rise ancor di più quando la rossa si arrampicò su uno dei tanti alberi perché non aveva legato l’amo correttamente ed era volato fin lì, finché non cadde in acqua perché il ramo su cui era salita non aveva retto il suo peso.
“Merida, va tutto bene?”, chiese lui avvicinandosi, preoccupato, avendo visto la brutta caduta che la ragazza aveva fatto. Questa sbatté i suoi occhi acquamarina un paio di volte, sistemandosi i capelli all’indietro affinché potesse vedere qualcosa e si ritrovò quelli di Hiccup puntati su di lei, densi di timore. E proprio gli occhi verdi del moro mutarono, cambiando dalla completa paura per l’amica al sollievo e al divertito, visto che lei l’aveva schizzato e trascinato con sé nell’acqua gelida. I due risero come se fossero ritornati bambini, passando la mattinata a rincorrersi e dimenticandosi della pesca per un po’.
“Torniamo a casa?”, domandò poi lei, verso l’ora di pranzo, strizzando la maglietta completamente zuppa d’acqua.
“Ma se non abbiamo neanche pescato!”, rispose Hiccup, strizzando anche la sua e ritornando alle canne da pesca. La rossa sbuffò, alzando gli occhi acquamarina al cielo.
“Non vorrai già mollare?”, la stuzzicò Hiccup. Dopo anni di amicizia, conosceva perfettamente i punti deboli della rossa, e l’orgoglio era sicuramente uno di quelli. Infatti, la ragazza si girò immediatamente verso di lui con la bocca spalancata, come se avesse ricevuto uno dei peggiori oltraggi.  
“Beh, se la metti su questo piano..”, borbottò lei, dirigendosi verso lo zaino e prendendo arco e frecce. Hiccup la guardò stranito.
“Intendi colpirmi?”, le chiese, divertito. Lei assottigliò gli occhi, e incoccò la freccia puntandola verso l’acqua. Dopo solo un tentativo riuscì nella sua impresa, alzando il bel pesce con la sua freccia.
“Sei ancora convinto che non so pescare, Hiccup?”, chiese lei, sorridendo beffarda. Hiccup sorrise, alzando le mani in alto come se si stesse consegnando ad un poliziotto.
“Nossignora”, rispose e si misero a ridere insieme.
 


 
Jackunzel


 


“Sai, non vado sulla neve da tantissimo tempo”, disse Rapunzel, mettendosi il berretto che le stava porgendo Jack. “L’ultima volta ci sono andata con Anna ed Elsa e abbiamo costruito un pupazzo di neve”, aggiunse, ridendo di gusto al ricordo di Olaf, quel pupazzo di neve venuto su come solo delle bambine potevano farlo, storto e con una testa enorme, ma che amava i caldi abbracci.
“Wow”, fece stupito Jack, “non hai mai fatto pattinaggio sul ghiaccio?”
Rapunzel scosse la testa, lasciando che qualche ciuffo di capelli sfuggisse dal cappello. Jack fece una faccia esageratamente sconvolta, come se fosse davvero grave, facendo preoccupare però seriamente la bionda.
“Elsa faceva pattinaggio. E a volte anche Anna, ma lei non era proprio brava. Mia madre diceva sempre che sarei potuta cadere e farmi molto, molto male”, tentò di giustificarsi lei, mentre Jack si metteva una mano sulla bocca per non ridere apertamente. Lei rimase a guardarlo con i grandi occhi verdi in attesa, non sapendo bene cosa dire o fare. Sembrava una bambina in momenti come quello. Quando smise di ridere, Jack le mise il braccio sulle sue spalle –gesto tipico di Jack- e l’accompagnò alla pista di pattinaggio dove un sacco di persone sfrecciavano l’una accanto all’altra, divertendosi. Anche l’albino guardava divertito la scena, come se quello fosse il suo habitat naturale e si voltò a guardare l’amica che in quel momento aveva assunto un’espressione assolutamente di puro terrore.
“Io non so pattinare!”, esclamò lei, la voce di due ottave più alta del normale. “Questa gente è bravissima, io non so pattinare e cadrò e farò la figura di chi non sa pattinare!”
“Ti insegnerò io, sta’ tranquilla”, disse Jack, cercando di calmarla. “Ho insegnato a pattinare ad Hiccup, figuriamoci se non riesco ad insegnarlo a te.”
“Ma scommetto che non c’era tutta questa gente che quando hai fatto da istruttore ad Hiccup”, sospirò lei, timorosa.
“Non ha importanza questo”, brontolò lui, eludendo la vera risposta. Effettivamente, quando aveva insegnato a pattinare ad Hiccup, non c’era nessuno ma questo non cambiava i fatti: adesso il moro sapeva pattinare, o almeno non cadeva ogni tre secondi. Era un progresso quello. “Punzie, sta’ calma. Queste persone non hanno intenzione di ucciderti e nessuno ti farà molto, molto male. Fidati di me”, aggiunse, porgendole la mano avvolta nel guanto blu che gli aveva portato lei. Lei prese titubante la sua mano, ed insieme entrarono in quella pista di pattinaggio.
“Vedi che riesci a stare in piedi da sola?”, fece lui per incoraggiarla, dopo un bel po’ di tempo, cercando di staccare le loro mani.
“Guai se togli la mano, Jackson Overland Frost”, lo minacciò lei, avvicinandosi ancor di più a lui. “Se cado io, cadrai anche a tu.”
Jack alzò gli occhi al cielo, girando la faccia dall’altro lato affinché la bionda non potesse vedere che era arrossito quando lei aveva pronunciato il suo nome completo.
“E va bene”, disse lui, “però adesso iniziamo a muoverci.”
Camminarono pian piano, lei ben ancorata al suo braccio e lui alquanto contento di averla così vicina –era sempre Rapunzel, la sua dolce Rapunzel per la quale aveva una così non proprio nascosta cotta-, finché lui aumentò la velocità e iniziarono a divertirsi, facendo giravolte e scivolando qualche volta sul ghiaccio, non facendo più caso alla folla attorno a loro. Ad un certo punto la bionda abbandonò la presa salda sul braccio di Jack senza rendersene effettivamente conto volteggiando assieme a lui come se non avesse fatto altro fino a quel momento.
“Sei bravissima!”, commentò lui, fermandosi per ammirare meglio l’amica che, aggraziata come sempre, sembrava danzare con quei pattini. Rapunzel smise di girare, fermandosi pure lei, e si affrettò a raggiungere Jack in men che non si dica.
“Davvero?”, chiese, alzando gli occhi verdi su di lui. Jack si soffermò a guardarla: il capo rivolto verso l’alto, verso di lui, la linea del collo che tirava la pelle candida, le labbra leggermente socchiuse in un sorriso, le lunghe ciglia castane che sembravano pettinare l’aria in quel momento. Pendeva letteralmente dalle sue labbra. Jack fece uno di quei sorrisi così sinceri involontariamente, e vide i suoi occhi verdi illuminarsi più del solito. Pensò che avrebbe potuto vivere solo di questo.
“Non saprei”, disse dopo, riacquistando la sua facciata da malandrino. “Che ne dici di sfidare il maestro?”, domandò, iniziando a pattinare attorno a lei.
“Jack!”, esclamò lei rimproverandolo, ma ridendo anche lei e iniziando a seguirlo. 
   
 
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