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Autore: Nadie    31/07/2015    4 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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 22. Raccogliersi

  





Le nuvole si mangiano una Dublino troppo piccola, troppo bassa per poterlo raggiungere, per poterlo sfiorare.
E mentre l’aereo si innalza tra le coltri bianche di un cielo sereno, lui si sente tirato a forza fuori da una baia buia, fuori da acque scure in cui le sirene fanno quello che devono fare e lui è soltanto l’ennesimo pezzo di carne, carne che ha dentro un cuore scalpitante sommerso da acqua salata e che ci vuoi fare, vecchio mio?  È questo ciò che spetta a chi si tuffa dove l’acqua è troppo profonda e non sa, non ha idea di cosa si nasconda sotto la superficie scura.
Osserva la Città-Salata dal suo finestrino e si sente un sopravvissuto, uno che è riuscito a salvarsi la pelle e deve ancora farci l’abitudine al fatto di essere rimasto vivo, vivo in mezzo alla vita.
Ha fame, non mangia da giorni e del resto è cosa nota che alcol e sigarette non bastino a saziare le pance vuote.
Ha anche la schiena dolorante, dev’essere colpa del pavimento freddo e duro del bagno su cui ha passato le ultime tre notti, in preda ad una sbronza da cui non avrebbe mai più voluto uscire perché – e questo lo ha provato sulla pelle – le cose fanno meno male quando non sei abbastanza cosciente da capirle, da ricordarle.
Eppure si è saputo raccogliere da terra e, nonostante il vomito e la rabbia, ha preso le sue cose, ha fatto le valigie ed è salito sul primo aereo per Londra, per la sua città, il suo porto sicuro.
E Londra non è come Dublino, Londra non è così spigolosa e tagliente e non ha acque scure in cui nascondere sirene affamate; Londra è una città in cui puoi restare a riva, in cui non servono le branchie, in cui lui può e sa vivere, sopravvivere.
Il pensiero della sua fresca città lo consola, lo nutre di speranza, speranza però flebile e pallida perché – altro taglio sulla pelle – anche a riva la vita è dura.
Chiude gli occhi e cerca di addormentare ciò che ha saputo raccogliere di se stesso, ciò che è rimasto di se stesso.
Dovrà rimettersi a posto una volta raggiunta la riva.
 
 
 
 
C’è un sole freddo sopra i tetti della sua città-salvatrice e un vento fresco lo fa rabbrividire.
Mentre si mischia al traffico e ai milioni di cuori sparsi per le strade, prova a pensare al suo passato, quello in cui gli Occhi Verdi non l’avevano ancora divorato.
È stato un bambino felice, pieno di storie della buona notte e passeggiate della Domenica mattina con la mano ben stretta a quella della mamma.
Sua madre e suo padre gli hanno raccontato quel poco che si può raccontare sul mondo e sulla vita, gli hanno parlato di continenti ed oceani, mari e montagne, soldati e guerre, alleati e nemici.
Gli hanno spiegato che il sole non muore mai, ma deve pur lasciare un po’ di spazio alla luna!
E non vedrai mai notti buie, piccolo nostro, perché c’è sempre una stella che brilla da qualche parte lassù.
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.
Vaga verso casa sua, stanco e sudato, mentre calpesta noncurante le strade che lo hanno cresciuto, richiamato a casa dopo una giornata di scuola, spiato mentre dava il suo primo bacio, ascoltato quando aveva da dire cose che non avrebbe potuto e saputo dire a nessun altro.
Che cosa magnifica, la strada!
Il ricordo traslucido della sua giovinezza resta impigliato all’asfalto umido, ed ogni passo gli ricorda ciò che era, ciò che è diventato.
E allora respira.
Dentro ai confini astratti della sua città può tornare a respirare, Londra gli libera i polmoni, gli alleggerisce le spalle.
Londra è casa sua e a casa sua lui può essere quello che è.
Respira.
 
 
 
L’acqua che scivola sul suo corpo lava via il sudore e la delusione, la sua pelle torna a respirare ma tra le sue costole si agita una furia che quasi gli toglie il fiato, quasi lo sfianca.
Mentre il suo amore ammazzato sgocciola via dalla sua carne, sente parole con denti aguzzi strisciare nel bel mezzo dei suoi pensieri urlanti.
Parole che mordono e avvelenano peggio dei serpenti infastiditi.
Ti ho tradito.
Non sopporta la freddezza con cui quelle parole sono uscite fuori dalla Sua bocca, come fossero niente di grave, nulla di importante.
Non sopporta gli umidi ‘ti amo’ pianti fuori dalle labbra per tamponare ferite che resteranno aperte finché avrà pelle.
Non sopporta neanche più il suo cuore straripante d’amore per chi dell’amore non merita nemmeno le briciole.
E adesso che è nudo, solo e grondante d’acqua gelida, si sente debole e patetico.
Il getto freddo della doccia lo fa sussultare, batte un pugno su una mattonella bagnata e pensa solo che vorrebbe averLa accanto, contro la sua pelle, sotto l’acqua così fredda da saper aprire tagli invisibili sul suo corpo stanco.
Vorrebbe litigare con Lei, alzare la voce, urlarLe addosso tutta la sua rabbia appiccicosa e non importa ciò che penseranno i vicini.
Ma se n’è andato senza aggiungere niente: nessuna virgola speranzosa, nessun punto e a capo, nessuna pagina voltata. Solo frasi in sospeso, storie in sospeso.
Quando, gocciolante e infreddolito, esce dalla doccia e si scontra con lo specchio, capisce che l’amore non aggiusta proprio un bel niente ma si limita soltanto a lasciare occhiaie, fame, cuori feriti, notti insonni, rabbie trattenute a stento e sul viso l’espressione di chi non ha più niente da perdere.
E così l’uomo sfuggito alle onde salate si rimette a posto come può, ora che è salvo sulla sua isola troppo povera rispetto a ciò che freme sotto la sua pelle; si rende presentabile più per se stesso che per gli altri, per gli specchi in cui il suo sguardo cadrà, per gli specchi in cui vuole vedere il riflesso di uomo che non crede neanche che esistano, le sirene.
 
 
Casa sua è una piccola barca in quel grande porto che è Londra.
Una barca che condivide con un fratello momentaneamente assente, ma presto di ritorno col suo sorriso gentile, le battute così pessime da suscitare infallibilmente il riso e i suoi abbracci, gli abbracci stretti del finalmente-sei-tornato.
Occhi Bui sorride distrattamente mentre pensa al fratello più piccolo e spesso più coraggioso, si ricorda dei suoi occhi vispi e delle guance sempre asciutte, anche dopo le cadute e le ginocchia sbucciate, e quasi invidia quella forza d’animo che lui sente di aver perso per colpa del tempo e delle porte in faccia, dei fallimenti e delle delusioni.
Ma nonostante suo fratello sia sempre stato il faro splendente anche nelle tempeste peggiori, stavolta non gli racconterà niente, né a lui né a nessun altro.
Si chiude alle spalle la porta del bagno e, con i capelli ancora gocciolanti, si trascina stanco fino in camera.
Si abbandona sul letto, gli occhi allacciati al bianco luminoso del soffitto e i ricordi che gli scorticano il petto.
Li sente agitarsi oltre le barriere della sua mente con una forza quasi barbara, sono ricordi che gli ricordano che certe cose non le può dimenticare neanche volendo.
E in mezzo alla foschia accecante dei suoi pensieri striscia il ragazzo ventenne che è stato, striscia il suo amore maltrattato e strisciano le lettere e le confessioni che hanno ferito per sempre la sua fiducia.
Chiude gli occhi e il giorno si spegne nel suo sonno buio e statico, ma Lei resta accesa in mezzo alle sue ossa, brilla sotto la sua carne e gli brucia la pelle; il Suo tocco incandescente scotta il suo io ammaccato ricordandogli che no, non La può dimenticare neanche volendo.
 
 
 
 
 

Il ritardo questa volta è di proporzioni che sforano le ere geologiche, e vi chiedo venia! 
Sono stati due mesi parecchio impegnativi e la connessione ha anche deciso di dare il suo contributo... sparendo simpaticamente! 
E me sò pure beccata la febbre e ho passato gli ultimi due giorni a guardare videocassette di film di Robert De Niro(si può avere una cotta per un ultrasettantenne?) e a revisionare questo capitolo(di cui non sono ancora completamente soddisfatta)
Mi spiace aver fatto passare così tanto tempo e mi spiace che il capitolo non sia granché(anche perché accade poco), spero di non avere altri intoppi in futuro!
Grazie, mille grazie a chi legge, anche a chi lo fa in silenzio.
Un abbraccio,
C.


 
  
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