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Autore: DarkEvilStiles    31/07/2015    1 recensioni
Riccardo è un normalissimo sedicenne con molti amici di cui potersi fidare, una vita movimentata, ma soprattutto una bellissima ragazza: Anastasia. Lei è tutto per lui, ma non si può esattamente dire lo stesso di lei. C'è un segreto del quale il ragazzo non è a conoscenza, un segreto che cambierà totalmente il suo modo di vedere le cose, lo farà entrare in un periodo del tutto nuovo della sua vita e lo porterà a compiere nuove esperienze che prima non avrebbe mai sognato di fare.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Francesco’s POV
 
 
23 dicembre. Le vacanze di Natale erano appena cominciate, ed io non stavo più nella pelle per ciò che avevo in programma per quei giorni: nottate con gli amici, partite a carte, ma soprattutto, avrei passato molto più tempo con Andrea, il mio  ragazzo. Insomma, divertimento assicurato. Il carico di compiti assegnatoci poteva anche aspettare. Ero finalmente libero, seppur per poco più di due settimane.
I miei genitori sarebbero stati fuori, quella sera, così decisi di chiamare Andrea. Sarebbe venuto a casa e avremmo visto un film insieme sul divano. Non ci vedevamo da quasi una settimana, a causa di impegni scolastici e non.
La nostra relazione era nata totalmente per caso: ci eravamo conosciuti su facebook. Una richiesta d’amicizia che aveva cambiato tutto. Dopo aver scambiato i numeri, avevamo cominciato a parlare anche a telefono e su whatsapp, fino a diventare inseparabili. Anche lui, come me, era di Milano. Dopo due settimane, trovato un po’ di tempo libero, ci eravamo incontrati. Era un ragazzo dolcissimo, e grazie alla sua incredibile semplicità e simpatia mi aveva fatto innamorare perdutamente. Da quel giorno erano passati nove mesi, e provavamo sempre le stesse cose l’uno per l’altro, anzi, ci amavamo sempre di più.
Alle 20:00 in punto, i miei genitori uscirono.
Più o meno mezz’ora dopo, sentii suonare il campanello.
Andrea aveva i capelli castano chiaro, gli occhi verdi, naso a patata, orecchie piccole (come le mie) e labbra carnose. Quel giorno, aveva indosso Vans azzurre, skinny jeans, un maglione blu ed un giubbino in pelle dello stesso colore. Era bellissimo.
Entrò in casa e mi abbracciò forte. Dopo qualche minuto, mi baciò appassionatamente.
Gli accarezzai i capelli, dolcemente.
— Mi sei mancato tantissimo — dissi.
— Anche tu. Troppo.
Ci baciammo ancora. Col passare dei minuti, i baci diventarono sempre più intensi, fino a quando, preso dal momento, mi tolsi la maglia. Lui fece lo stesso. Ci dirigemmo verso il divano, dove mi sedetti. Si mise a cavalcioni su di me e continuò a baciarmi. Non riuscivo a staccarmi dalle sue labbra.
Prima di continuare, mi fissò per qualche istante disse a bassa voce: — Ti amo.
Stavamo per fare sesso, e per entrambi era la prima volta, ma non eravamo agitati, perché eravamo sicuri di farlo con la persona giusta.
Mi sdraiai, e lui su di me. I sui baci cominciarono a scendere. Partì dal collo, per poi passare al petto e agli addominali. Stava per sbottonarmi i pantaloni, quando disse: — Sei sicuro?
— Assolutamente sì.
Pochi secondi dopo, mi ritrovai interamente nudo. Anche lui si spogliò. Il suo corpo era stupendo, e mi ritenevo fortunato ad avere un ragazzo del genere.
Fu bellissimo, perché fatto da due persone che si amavano davvero. Rimanemmo abbracciati e ci coccolammo ancora un po’, quando mi tornò in mente il reale motivo per il quale Andrea era venuto a casa.
— Ma non dovevamo vedere un film?
Scoppiò a ridere. — Credo che ciò che abbiamo fatto sia stato meglio che vedere un film.
— Indubbiamente. — Sorrisi.
Qualche minuto dopo, riprese a parlare. — Francesco, non voglio più nascondermi. Voglio che tutti sappiano della nostra relazione.
Ne parlavamo già da un po’, ma credevo avrebbe voluto aspettare ancora, quindi mi colse un po’ di sorpresa.
— Lo voglio anch’io, ma mio padre... e i miei amici...
— Non puoi lasciare che tuo padre ti impedisca di esprimere ciò che sei. Sei gay, l’hai accettato, ci convivi, hai me. Se vorranno accettarti bene, se no fatti loro. Ci toglieremmo un enorme peso, e vivremmo meglio. Allora, che ne dici?
Stare accanto a lui mi dava forza, credevo di poter riuscire a fare tutto. Così, risposi: — A Natale pranzeremo da mia nonna. Ci sarà la maggior parte dei miei parenti. Credo lo dirò in quel momento. Tu, invece?
— Anch’io avevo pensato di fare così.
— Bene.
Poco più tardi, andammo a fare una doccia e ci rivestimmo, per poi tornare a coccolarci.
Il tempo sembrò volare, e quando Andrea mi chiese che ore fossero, mi accorsi che erano le 23:30. In quell’istante, sentii il rumore di un’auto che parcheggiava subito fuori casa. Poi, delle voci e dei passi sempre più vicini.
Ci guardammo, smarriti.
— Cazzo — disse lui.
— Corri nella mia camera — sussurrai.
I miei genitori entrarono in casa. Andrea era appena arrivato in stanza, perché sentii la porta chiudersi.
— Hey, cosa hai fatto stasera? — chiese mia madre.
— Niente, ho visto serie tv in streaming e ho fatto una doccia.
— Oh, bene — rispose.
Mio padre, come al solito, non disse niente, e a me andava bene così. Era un fan medio del calcio, che bestemmiava il sabato sera guardando le partite in tv, ma che quando si parlava di cose come l’omosessualità diventava il più religioso del mondo. Era molto chiuso mentalmente, e per questa ragione in diciassette anni non eravamo mai andati d’accordo, anzi, litigavamo piuttosto spesso.
— Voi cosa fate ora? — domandai.
— Credo vedremo un film.
— Okay, allora io vado in camera.
Aprii la porta. Andrea era sdraiato sul mio letto.
— Hey, allora, non posso farti uscire dall’ingresso principale, quindi devi per forza passare per la finestra.
Sorrise. — Sembra la scena di un film. Fortuna che la tua casa è al piano terra, altrimenti mi sarei dovuto lanciare dal tetto.
— Pur di non vederti morire davanti ai miei occhi ti avrei fatto dormire sotto il letto.
— Ma come, non sopra? — Fece un’espressione perversa. Forse non era esattamente “sopra il letto” che intendeva.
— Sì, poi arriva mia madre o mio padre nel bel mezzo della notte per una qualsiasi ragione e trova uno sconosciuto nel letto del figlio. Dai, muoviti.
— Agli ordini.
Aprì la finestra ed uscì, senza fare rumore. Prima di andare, mi guardò e sussurrò: — Ti amo.
— Anch’io — risposi.
Chiusi la finestra e lo guardai mentre si allontanava, fino a quando scomparve.
Mi buttai sul letto.
“Bene”, pensai. “Finalmente è giunto il momento di fare coming out, Francesco.”
Pensai a mille modi in cui dirlo, mi auto incoraggiai, fino a quando mi addormentai.
 
Il mattino seguente, il countdown era cominciato. Ormai pensavo solo a come avrebbero reagito i miei genitori e tutto il resto dei parenti. Secondo le mie previsioni, mia madre non l’avrebbe presa poi tanto male. Mio padre era l’unico problema, e questa cosa mi preoccupava non poco. Chissà cosa avrebbe fatto dopo averlo saputo. L’ansia mi pervadeva e il tempo, ovviamente, non era d’aiuto: ogni volta che doveva refrigerarsi, passava in fretta. Difatti, la sera arrivò presto in quella giornata piuttosto vuota. Andammo da mia nonna ad aspettare la mezzanotte, per farle compagnia. Mio nonno era morto solo l’estate prima, e lei si sentiva davvero sola. Non volevamo che passasse la sera della Vigilia senza nessuno accanto.
Mezzanotte. Milano era in festa. Il cellulare stava per esplodermi in mano, date le centinaia di messaggi da parte di amici, parenti o anche solo conoscenti con cui avevo scambiato il numero. Andrea, invece, aveva scritto l’ennesimo papiro riguardo ciò che provava per me. Lo faceva ogni volta che poteva, e stavolta aveva usato il Natale come scusa. Quasi piansi leggendo quanto amore c’era in quel messaggio, ma dovetti trattenermi per non destare sospetti.
Più o meno un’ora dopo, tornammo a casa. Mi sdraiai e, prima che me ne accorgessi, mi addormentai. Sarebbe stata una lunga giornata, quella che stava per arrivare.
 
Il rumore del cellulare che squillava mi svegliò. Erano le 8:00. Essendo troppo assonnato, non vidi nemmeno chi fosse.
— Pronto?
— L’amore della tua vita ti chiama la mattina di Natale e tu rispondi “pronto”?
— No, l’amore della mia vita mi sveglia mentre dormo tranquillamente la mattina di Natale, ed essendo vacanza è già tanto che io gli risponda a quest’ora.
Scoppiò a ridere. — Non fare il difficile, vestiti ed esci. Incontriamoci al solito posto alle nove e mezza.
In circostanze differenti, avrei risposto con un “no” secco e sarei tornato a dormire, ma era Andrea, come potevo dirgli di no?
Uscii dalla camera. I miei erano già svegli. Feci velocemente colazione ed uscii.
Pur essendo Natale, non faceva particolarmente freddo come gli anni precedenti. Difatti, le strade cominciavano lentamente a riempirsi di gente.
Incontrai Andrea. Era bellissimo, come sempre. Mi baciò.
— Hey, ma che fai? Ci guardano tutti — dissi.
— Non mi interessa più ciò che dice la gente, Francesco. Io ti amo, e voglio che tutti lo vedano, e siano invidiosi dell’amore che emaniamo solo stando vicini.
Mi vennero le lacrime agli occhi. Lo baciai con passione, ignorando tutti quelli che si fermavano a guardarci. Sentimmo qualche insulto, ma non ci importava, ormai. Eravamo liberi, e poche ore dopo l’avrebbero saputo anche i nostri parenti. Eravamo ad un passo dal rendere la nostra relazione definitivamente pubblica.
Camminammo per le strade di Milano mano nella mano, comportandoci come ogni coppia. Non vidi nessuno che conoscevo, e questa cosa in parte mi sollevò, anche se avrei voluto vedere le loro reazioni, sapere se mi avrebbero accettato e cosa ne pensavano a riguardo. Ma avrebbero saputo anche loro, di lì a poco.
Passammo una mattinata fantastica. Non credevo sarei mai potuto essere tanto felice di stare con qualcuno.
Purtroppo, il momento di salutarci arrivò in fretta.
— In bocca al lupo — disse.
— Crepi, anche a te.
— Crepi.
Mi diede un bacio a stampo e se ne andò. Mi sedetti su una panchina per qualche minuto, presi il cellulare e controllai i messaggi: stranamente, ce n’erano più di duecento sul gruppo Whatsapp della classe. Quando aprii la chat, mi accorsi che Alfonso, un mio compagno di classe omofobo, ci aveva visti e fotografati, poi aveva messo la foto lì. Lessi tutto, nella speranza che qualcuno ci difendesse, ma c’erano solo  insulti, anche pesanti. Non volli rispondere, perché potevano pensare ciò che volevano per me, non mi interessava più di tanto, ma restai molto deluso. Credevo che alcune persone fossero diverse, ed invece erano state le prime ad attaccarmi. L’unica cosa che mi consolava era che il coming out era ormai completo al cinquanta percento, dato che di sicuro si sarebbe sparsa la voce nel giro di pochi giorni.
Mi alzai e mi avviai verso casa di mia nonna. Il momento era giunto, e stavo già cominciando ad agitarmi.
 
Quando arrivai, erano già tutti presenti. Salutai, ci scambiammo gli auguri e qualche minuto dopo ci sedemmo a tavola.
Il pranzo fu davvero sostanzioso, come tutti gli anni. Sentivo di star scoppiando. Procedette tutto normalmente. Più o meno tre ore dopo, arrivò il momento dello scambio dei regali. Dovevo dichiararmi prima, però. Feci per alzarmi e cominciare a parlare, ma il cellulare squillò.
— Andrea?
— Francesco... sono in ospedale...
Scattai in piedi. — COSA?! Quale?!
Mi guardarono tutti.
— Il Policlinico... — Gemette.
— Non è lontano da qui. Arrivo subito.
Riattaccai e corsi verso l’ingresso.
— Francesco, ma dove vai?! — esclamò mia madre.
Mi bloccai, con la mano destra sulla maniglia, e mi voltai verso di lei.
— Il mio ragazzo è in ospedale — risposi.
Il caos, ecco cosa successe immediatamente dopo.
Mia nonna rischiò di avere un infarto, mia madre spalancò la bocca e cominciò a piangere, i miei zii fecero delle facce sconvolte, mio cugino di quattordici anni mi fissò schifato.
Mio padre si alzò, si avvicinò e mi afferrò il polso destro. — Tu ora vieni a casa con me e tua madre.
— Ho cose più importanti a cui pensare.
Feci per aprire la porta, ma aumentò la stretta. Cominciava a farmi male.
— Ho detto che vieni a casa con me e tua madre — replicò, duro.
Dovetti arrendermi.
 
In auto, si respirava aria pesante. Nessuno disse una parola. Quel silenzio era ancora più fastidioso degli insulti che di sicuro avrei ricevuto poco dopo.
Giunti a casa, mio padre chiuse lentamente la porta e mi fissò per qualche secondo.
Mia madre, che aveva già capito il suo intento, cominciò: — Giorgio, per favore, non fargli niente. Sono sicura che possiamo parlarne civilmente, e...
Lui non le rispose nemmeno. Sorrise sarcasticamente, poi mi tirò un pugno. Riuscii a tenermi in equilibrio, all’inizio, ma dopo il secondo caddi a terra. Sapevo che reagire non sarebbe servito a niente, perché era nettamente più forte di me, così subii. Tra un calcio ed un altro, disse: — Sei nato solo perché il mio cazzo di preservativo si è rotto, sai? Sei stato sempre un errore, sin dalla nascita!
— GIORGIO, TI PREGO! — Mia madre provò a fermarlo, ma lui la spintonò.
— Cos’è, vorresti difenderlo per caso?
— Credo solo che il modo migliore di superare questa cosa sia provare a capirlo e a parlarne. Potrai picchiarlo, sì, ma rimarrà sempre così com’è! — Non sembrava molto decisa, dato che anche lei tremava. Come me, aveva paura.
— L’unica persona con cui ne parlerà sarà uno strizzacervelli.
Mi tirò un altro calcio, ben mirato allo stomaco.
— Basta, ti prego... — lo implorai.
Si fermò. Poi, disse: — Adesso alzati.
Feci come mi aveva ordinato.
Mi mise una mano in tasca e tirò fuori il cellulare. Lo gettò a terra e lo schiacciò, rompendolo. Poi si diresse verso il mio portatile, che in quel momento si trovava sul tavolo, e fece lo stesso.
— Se solamente provi ad uscire di casa o a contattare in qualunque modo e per qualsiasi ragione quell’altro frocio, non sono sicuro che la prossima volta riuscirai a tenerti in piedi. Ci siamo intesi?
Lo guardai in cagnesco.
Mia madre si avvicinò velocemente e toccò delicatamente le ferite che mi erano state inflitte. Essendo un medico, poteva aiutarmi. Mio padre, invece, disse: — Sai, ho sempre sospettato che fossi frocio, ma provavo a convincermi che non fosse così. Credimi, se fossi stato normale sarebbe stato tutto diverso. Sei una delusione.
— E tu un padre di merda! — gridai.
— Beh, sì, è una conseguenza del tuo essere finocchio.
Detto questo, andò in camera da letto e sbatté la porta.
Mia madre mi fissava tristemente, mentre curava le ferite.
— Che c’è, ti faccio pena? — domandai.
— N-No, è che...
— Sei una dottoressa, quindi dimmi, com’è considerata l’omosessualità da voi? Come un cancro terminale?
Non rispose.
Passò qualche minuto, poi disse: — Ho finito.
— Bene, quindi ora posso andare a trovare il mio ragazzo.
— No, non puoi. Hai sentito tuo padre.
— Che c’è, hai paura di lui?
— No, ma...
— Invece sì. Una volta tanto, prova a non sottostare ai suoi voleri.
— Anche volendo, non potresti comunque. Devi metterti a letto. Tra poco inizierai a sentire dolore per ciò che è successo.
— Non mi interessa.
Mi avviai verso l’ingresso, ma sentii una fitta improvvisa allo stomaco. Caddi in ginocchio.
— Riposati, Francesco — disse. — Ti prego.
Così, andai in camera e chiusi a chiave.
 
Fu il peggior Natale della mia vita. Sembrava essere iniziato alla grande, ma ovviamente mio padre aveva rovinato tutto. E poi, Andrea era in ospedale. Cosa poteva essergli successo? Si aspettava che andassi da lui, ma non potevo. Avevo anche il cellulare fracassato. Non potevo nemmeno usare quello di mia madre, dato che non ricordavo il suo numero. Continuava a ripetermi che avrei dovuto, ma non ci davo troppo peso. In quel momento, però, era di vitale importanza. Assorto nei pensieri e nel silenzio che si era venuto a creare in casa, mi addormentai. Solo i miei singhiozzi facevano da sottofondo. Piangevo un po’ per la tristezza, un po’ per la rabbia e un po’ perché ero consapevole di essere impossibilitato a fare nulla, sbattuto su quel letto senza poter contattare il mio ragazzo e chiedergli come stesse.
 
Il mattino dopo, mia madre bussò alla porta della stanza, svegliandomi.
— Francesco, la colazione è pronta.
Sentii mio padre gridare, dalla sala: — Deve morire di fame, quella checca!
Io, comunque, non risposi. Ero così arrabbiato e triste che, anche volendo, non sarei riuscito ad emettere suoni.
Dopo qualche minuto, la sentii singhiozzare. Infine, si allontanò.
 
Tornò all’ora di pranzo.
— So che non vuoi mangiare, né vedere tuo padre, ma parliamone, almeno.
Nemmeno allora risposi. Se ne andò di nuovo.
 
La stessa routine continuò anche il giorno seguente.
 
Il 28 dicembre, decisi di uscire dalla mia stanza. I miei erano fuori, ed io stavo meglio. Controllai l’orologio: erano le 21:45. Mi diressi verso il frigorifero. Bevvi molta acqua, poi preparai da mangiare. Quando mi sentii sazio, ricordai che mio padre mi aveva ordinato di non uscire di casa per nessuna ragione. Ma se mi aveva minacciato tanto duramente, allora perché quella sera erano usciti? Mi diressi verso la porta d’ingresso e tentai di aprirla. Non ci riuscii: mi avevano chiuso dentro.
Mi buttai sul divano e accesi la tv. Dato che non volevo sorbirmi film di Natale, misi MTV. Stavano dando 16 Anni e Incinta. Pur di distrarmi, guardai quello. Eppure, il pensiero fisso era uno: Andrea. Cosa poteva mai essergli successo?
Circa due ore dopo, i miei arrivarono a casa. Il programma in tv era già finito, ed io ero di nuovo a letto.
Mi accorsi che stavano discutendo.
Mi alzai e avvicinai l’orecchio alla porta, per sentire meglio.
— Non ti sembra una decisione un po’ drastica? Insomma, non ha commesso un reato! — disse mia madre.
— Per me, è l’unico modo di farlo tornare sulla retta via, come le persone normali — rispose mio padre.
— Ma lui è normale!
— No che non lo è. Ti ho detto che ci trasferiremo, e così faremo. Appena finite le festività, cercheremo una casa nel Centro o Sud Italia. Lì, poi, lo manderemo anche da un bravo psicologo che saprà come curarlo. La questione è chiusa. — Non potevo credere a ciò che avevo appena sentito. Stavamo per andare via da Milano. — Lui non dovrà mai più vedere quel frocio. — Strinsi i pugni. Avrei voluto ucciderlo. — Lui deve guarire.
  
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