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Autore: SalvamiDaiMostri    01/08/2015    3 recensioni
Johnlock dai toni estremamente drammatici a causa di una particolare condizione di Sherlock: mai avrebbe pensato che le stronzate del suo passato avrebbero inciso così profondamente sulla sua vita adulta e compromesso fino a tal punto la sua felicità. E a pagarne le conseguenze è John. E questo Sherlock sa che è terribilmente ingiusto, oltre che pericoloso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Di ritorno dall’ambulatorio, John trovò Sherlock disteso a pancia in su sul pavimento della sala, a petto nudo, che indossava solamente i pantaloni azzurri e grigi del pigiama. Il salotto era illuminato dalle ultime luci del tramonto e Sherlock ne appariva ridipinto; aveva una gamba distesa e l’altra leggermente flessa in verticale, le braccia piegate verso l’alto che sostenevano un libro che era intento a leggere a meno di una spanna dal naso. In effetti Sherlock era letteralmente circondato da decine di libri impilati o aperti o palesemente gettati in aria e rovinosamente caduti a terra: John rimase piuttosto sconcertato nel constatare che tutti quei libri, compreso quello che stava leggendo, erano libri di cucina e ricettari.
“Sempre lieto di trovare il salone in disordine.” salutò John chiudendo la porta di casa dietro di sé.
“Sempre lieto di disordinarlo.” salutò Sherlock senza muoversi minimamente.
“Che stai facendo?” domandò John camminando perplesso verso di lui.
“Traccio un profilo.” rispose l’altro, John si avvicinò ancora.
“E lo fai leggendo...” appoggiò l’indice sulla copertina del libro che Sherlock leggeva e lesse “L’aglio nella cucina irlandese?”
“Esattamente. Caso a dir poco singolare.” confermò.
“E lo fai... Sdraiato sul pavimento.”
“Acuto osservatore, come sempre, John.” Sherlock non distoglieva lo sguardo dalle pagine illustrate.
“Perchè sei sul pavimento, Sherlock?” John pose la domanda in tono seccato, ma non perchè quella situazione lo stesse stufando: faceva parte di una sorta di rito tutto loro nel quale Sherlock aveva il ruolo dell’uomo infantile e imprevedibile e lui invece assumeva quello dell’adulto severo e concreto che rimaneva seccato nel vedere il salone in disordine e suo marito dargli risposte sciocche. Era una loro danza, l’equilibrio che teneva in piedi la loro vita insieme nella quotidianità. In realtà John adorava che Sherlock riuscisse del tutto inconsapevolmente a sorprenderlo ogni giorno con una follia nuova, amava terribilmente che si comportasse come un ragazzino senza regole, e amava corrucciarsi e rimproverarlo solo un po’: tale pensiero gli balenò nella mente per un singolo istante; avrebbe sorriso, ma non faceva parte del ruolo.
“Avevo intenzione di avviare l’intero processo di ricerca coricato sul divano, ma, al mio risveglio, era scomparso. Così come il tappeto. Mistero circa il quale immagino tu sappia qualcosa in più di me.”
“L’hai notato solo oggi? Sono tre giorni che non ci sono.” Sherlock si abbassò il libro sul petto e, alzando un sopracciglio, domandò perplesso:
“Davvero?”
“Davvero.” disse John annuendo; prese a togliersi la giacca.
“E perchè mai?”
“Te l’ho detto chiaro e tondo l’altro giorno: li ho mandati a far pulire e disinfettare da una compagnia specializzata. Come ti ho già detto, nelle tue condizioni non dovresti ficcare il naso nello sporco e, visto che su quel divano ci passi le giornate e Dio solo sa cosa c’era su quel tappeto, mi è sembrato necessario fare qualcosa al riguardo.” John ripose la giacca sull’attaccapanni.
“Giusto.” concluse l’altro. John fece quindi per andarsi a sedere sulla sua poltrona:
“Ti siedi un po’ con me?” Sherlock allora posò a terra il libro che stava leggendo, aperto sulla prima pagina del capitolo ‘Sformati e pasticci’, per andarsi a sedere a cavalcioni su John e abbracciarlo adagiando il mento sulla spalla sinistra del marito. “Com’è andata oggi? Hai dormito un po’?” John faceva scorrere il proprio naso sul collo e tra i capelli di Sherlock per inspirarne il suo odore e accarezzarlo leggermente. Sherlock scosse la testa:
“Nope, non c’è stato verso...”
“Oggi allora proviamo ad andare a dormire presto, ok?” John gli stampò un bacetto sul collo, due dita prima della nuca. Sherlock annuì. “Dimmi del caso, sono curioso...” sussurrò John appoggiando la testa a quella di Sherlock in un gesto di estrema tenerezza.
“Sono state ritrovate cinque vittime in città nelle ultime due settimane... Sono state uccise in modi piuttosto diversi, ma erano tutte donne sopra i settant’anni  e assieme al corpo è stato rinvenuto un libro di cucina... Perciò anche Scotland Yard è riuscita a dedurre che si trattava di un unico serial killer. Sono già diverse ore che consulto i libri ritrovati, ma non sono giunto ad alcuna conclusione rilevante...”
“Strano caso davvero...”
“Lo intitolerai ‘Le nonnine appassionate di cucina morte’.” John rise:
“Ne dubito. Preparo cena, hai fame?”
“No, John...” Sherlock si tirò leggermente indietro così da poter guardare John in viso. Il marito gli spostò i riccioli dalla fronte con due dita e gli accarezzò la guancia con aria preoccupata; sospirò:
“Sono tre giorni che non hai appetito, due che non chiudi occhio. Se i sintomi sono tornati, significa che le medicine non stanno più facendo effetto... Dobbiamo dirlo alla Tietjens...” Sherlock abbassò lo sguardo e annuì serio. John allora lo chiamò con un sussurro: “Hey...” Sherlock tornò quindi a guardarlo negli occhi. “La sai una cosa?” domandò il biondo; Sherlock alzò le sopracciglia con aria interrogativa, dunque John continuò: “Mio marito è molto più bello del tuo.” rise e con lui anche Sherlock che, abbassandosi su di lui, rispose:
“Evidentemente non hai mai incontrato mio marito...” e lo baciò teneramente ridendo ancora.
John assaporava la bocca di Sherlock arrampicando le mani sulla schiena di lui, quando all’improvviso il cellulare del moro squillò: i due si fermarono e Sherlock lesse il messaggio.
“E’ Lestrade... Dice che ci sono sviluppi sul caso... Vieni con me?”
“Alla centrale? Con questo freddo? Sherlock, non penso sia una buona idea che tu vada... Sta notte ti ho anche sentito tossire diverse volte...” Sherlock lo guardò infastidito:
“E’ un caso interessante e voglio andarci: chissà se me ne ricapiterà un altro così!” a quelle parole John ebbe un sussulto.
 
«Oh... Non dire così, Sherlock... Non dire così...»
 
Vinto da tale orribile pensiero, John non potè fare a meno di cedere e concedere quindi a Sherlock quello svago. Quantomeno, pensò, lavorando la sera, probabilmente si sarebbe stancato e sarebbe riuscito a dormire bene una volta rincasati.
“E va bene, va bene...” rispose in un sospiro. Sherlock saltò giù dalla poltrona e corse a vestirsi “Ma dovrai coprirti bene!” aggiunse il medico.
 


Durante il viaggio di ritorno in taxi, Sherlock tossì ancora diverse volte.
“Dannazione Sherlock... A volte ti comporti proprio come un bambino!” Sherlock fece finta di non curarsi di ciò che gli diceva “Certo che, se sapesse, Lestrade non ti avrebbe convocato a quest’ora per così poco... Pensi di metterlo al corrente prima o poi della tua condizione?”
“Se accetto o meno di raggiungerlo, la responsabilità è mia, non di Lestrade.” John annuì in quanto Sherlock aveva effettivamente ragione.
“Ma si tratta comunque di una questione di rispetto nei suoi confronti... E’ stato nostro testimone di nozze accidenti...” Sherlock non rispose “E, come lui, anche Molly e la Hudson dovrebbero esserne messe al corrente...” Sherlock continuava a guardare fuori dal finestrino. Il taxi si fermò davanti al 221b e John pagò il conducente: entrambi scesero. “La Hudson magari potrebbe darmi una mano con le pulizie in casa... Sarebbe di grande aiuto.” Sherlock si voltò di scatto e, con tono serio, freddo e tagliente, rispose:
“La signora Hudson è la nostra padrona di casa, non la governante: non la disturberai perchè venga a farci le pulizzie perchè sia io che te siamo perfettamente in grado di provvedervi da soli e non la disturberai per nessun’altra ragione che riguardi la mia malattia.” John, attonito, non trovò parole per rispondergli e rimase in silenzio qualche secondo. Sherlock sospirò: “Ascolta... Capisco ciò che dici... Loro meritano che io sia sincero con loro... Ma è una cosa che devo fare e farò io ok? E a tempo debito...” John annuì.
“Scusami Sherlock...” Sherlock tirò due colpi di tosse, si schiarì la gola e prese sottobraccio suo marito:
“Rientriamo forza, qui fuori si gela...”
 
Mentre John si abbottonava la camicia del pigiama, Sherlock già si sistemava sotto alle coperte.
“Hai sonno? Voglia di dormire?” domandò John avvicinandosi alla propria parte del letto.
“Abbastanza direi... Credo che riuscirò a dormire un po’ questa notte.” rispose. John sorrise sollevato:
“Bene...” Sherlock si girò su un lato verso l’esterno del letto e John lo abbracciò di spalle. “Buonanotte dunque.”
“Buonanotte.”
 
Stavano dormendo da poco quando John avvertì  svariate volte il corpo di Sherlock scuotersi violentemente per i colpi di tosse, sempre di più, sempre più frequenti. Dunque si separò da lui per evitare di essere scosso e di essergli di peso. Sherlock si svegliò poi nel cuore della notte a causa della tosse e per la stessa ragione non riuscì a riaddormentarsi, mentre John, nonostante il rumore e la preoccupazione, era crollato sotto il peso della giornata.
I colpi di tosse divennero sempre più violenti e fastidiosi e cominciarono ad essere dolorosi: non solo gli dolevano i muscoli del ventre a causa delle contrazioni continue, ma anche il petto.
Verso le tre del mattino, Sherlock ebbe una crisi ti tosse peggiore delle precedenti, tanto da far emergere John dal sonno profondo a uno stato di dormiveglia.
Improvvisamente Sherlock gridò:
“CAZZO! JOHN! JOHN! VIA DAL LETTO! SCENDI!”
John, ancora intontito e mezzo addormentato, si mise a sedere contro la testata del letto strofinandosi gli occhi nel buio:
“Cos-?”
“SCENDI HO DETTO!” e con uno spintone lo buttò giù dal letto. John, dopo essersi ripreso dalla botta presa sul pavimento, si alzò per accendere la luce:
“Ma che cazzo ti prende...?” ma appena accese la luce, tutto fu più chiaro: il pigiama di Sherlock era cosparso di macchie di sangue, così come il suo collo, la bocca e le mani che ora coprivano questa quanto più possibile. Coperte, lenzuola, materasso e cuscini erano stati colpiti da diversi schizzi di sangue, soprattutto dal lato di Sherlock. 
 
«Emottisi... Sta tossendo sangue...»
 
“Dimmi che non ne hai addosso!” supplicò Sherlock disperato scuotendo la testa. John si guardò i vestiti sommariamente e non notò nulla:
“No, non ne ho.”
“Controlla! Controlla!” insistette terrorizzato. John obbedì, andò verso la specchiera e si osservò accuratamente il viso e il resto del corpo:
“Nessuna traccia, tranquillo.”
“Tranquillo un cazzo!” commentò premendosi con rabbia le mani, una sull’altra, alla bocca. John fece per muoversi in direzione di lui, ma Sherlock lo fermò: “No, no, no, John! Vai a prendere i guanti e la mascherina o non ti avvicinare...”
“Sto andando, sto andando: è tutto in bagno. Vado a prenderli.” pochi secondi dopo si ripresentò protetto come richiesto: “Dai, va a lavarti la faccia che io tolgo la biancheria sporca...” Sherlock, nel vederlo al sicuro da lui, si calmò e solo allora realizzò quanto fosse conciato male. Perciò obbedì e si diresse verso il bagno dove si spogliò dei vestiti sporchi e si lavò.
John agì poi con estrema professionalità e freddezza: in quel momento pensava soltanto a come muoversi nel più efficace dei modi; al dramma ci avrebbe pensato dopo.
Quando Sherlock tornò, il letto era già rifatto e la biancheria sporca del suo sangue infetto era stata chiusa in un sacco della spazzatura nel corridoio. Si appoggiò allo stipite della porta:
“Cristo santo...” si porto una mano alla fronte e affondò le dita tra i ricci sudati tirandoli poco verso il basso. “Stavolta, stavolta... Con tutte le volte che ho tossito... Me ne sono accorto troppo tardi che sputavo sangue! Chissà da quanto-??” sgranò gli occhi e portò anche l’altra mano alla testa: “Oddio John, e se te n’è entrato in bocca??” Sherlock, preda del panico, si lasciò cadere a terra scivolando contro lo stipite, con le mani nei capelli, le lacrime agli occhi e una smorfia di orrore disegnata sulla bocca. John gli si avvicinò, si inginocchiò a terra e fece per abbracciarlo, ma Sherlock ebbe un sussulto e cercò di sottrarsi a lui con un gemito:
“Sherlock, non avere paura: sono protetto.” allora Sherlock gli si gettò tra le braccia e si aggrappò a lui tremante. John lo abbracciò a sua volta e stringendolo a lui gli accarezzava la schiena: “Farò il test domani stesso, ok? E continuerò a farli regolarmente, come da quando stiamo insieme. Vedrai che non è successo niente...” Sherlock annuì tante volte, come per autoconvincersi delle parole di John. “Avverti dolore al petto?” Sherlock annuì ancora: “Siediti sul letto e calmati, adesso chiamo l’ambulanza. Se ti viene da tossire ancora, usa i fazzoletti che ho messo sul comodino e poi gettali subito nel sacchetto che c’è lì.” Sherlock obbedì.
Dopo aver effettuato la telefonata in salone, John andò in bagno e raccolse da terra il pigiama sporco che Sherlock si era tolto e lo gettò nel sacco insieme alle lenzuola. Tornò quindi da Sherlock,  il quale era seduto sul bordo del letto. John si accovacciò tra le sue gambe e lo guardò dal basso:
“Allora, stanno arrivando. Quello che faranno in ospedale sarà trovare la fonte di questo sangue... Probabilmente si tratta di lesioni all’interno dei polmoni... E poi cercheranno di individuare la causa di tali lesioni. Una cosa però voglio che ce la diciamo adesso io e te prima che chiunque altro arrivi.” Sherlock annuì. “E’ molto probabile che, appena avranno i risultati dei tuoi esami, verranno a dirti che hai contratto l’AIDS. Voglio che tu lo sappia adesso che sei qui, al sicuro, con me.” Sherlock annuì ancora. “Io sono qui, con te, ok? Non me ne vado nemmeno per un secondo, va bene?” John sorrise prendendogli la mano sinistra con la sua, quella con la fede, e la strinse forte: “Sono tuo marito, non possono mandarmi via.” e dicendo questo si sedette accanto a lui sul letto, lo prese tra le braccia egli baciò la fronte cullandolo dolcemente; Sherlock per quei pochi momenti si abbandonò al calore dell’abbraccio dell’uomo che amava, a quel vago oblio provocato dal dondolio, alla dolcezza di John, alla  sua forza, al suo amore. In quel momento non pensò a ciò che gli stava accadendo o a ciò che sarebbe accaduto: sentiva solamente di essere amato e di amare immensamente. E per questo, Sherlock fu eternamente grato a John.
 
All’arrivo dell’ambulanza, la signora Hudson fu svegliata dalle sirene in strada e dall’entrata dei paramedici all’interno dell’edificio. Uscì dal 221a avvolta in una vestaglia gialla e domandò a John, il quale stava salendo le scale, cosa fosse accaduto:
“Si tratta di Sherlock, signora Hudson... Si è sentito male.”
“Oh cielo... Lo portano via?”
“Si, signora Hudson... La chiamo appena so qualcosa.” la signora fece per salire le scale dietro a John, ma lui, a malincuore, si voltò e le chiese per favore di tornare in casa perchè Sherlock preferiva così. Lei ovviamente non capì, ma decise di ascoltare il suo inquilino e di rispettare la volontà di Sherlock.

 

Quando riaprì gli occhi fu accecato dalla luce e dal candore della stanza d’ospedale. Tramortito da antidolorifici e anestetici, Sherlock non riuscì ad avere immediatamente una chiara percezione della realtà attorno a lui e la sua prima reazione fu di puro terrore: si sentiva terribilmente confuso, sentiva la testa girare e dolergli terribilmente e ad ogni suo respiro provava una forte fitta al  fianco destro, qualche centimetro sotto l’ascella. Ma la cosa peggiore era la continua sensazione di soffocamento: riusciva a sentire il morso chiudersi intorno a qualcosa di rigido che gli scendeva in gola e glie la riempiva di dolore. Il panico lo colse e tentò di portarsi la mano alla bocca per cavare via qualunque cosa lo stesse soffocando, ma John fu pronto e gli afferrò il braccio:
 “Hey hey, sei intubato... Non toccare.” gli disse con voce stanca; a quel contatto Sherlock trasalì e si calmò ancora prima di capire ciò che gli era stato detto: lui era lì, il suo John era lì con lui.
 
«John. E’ John. E’ qui, va tutto bene. Grazie, è qui.»
 
Lo vide, poi, seduto al suo capezzale, con i capelli spettinati e i segni del polsino della camicia sulla guancia: aveva vegliato il suo sonno, era stato con lui per tutto quel tempo... Certo, era ceduto e si era assopito addormentandosi sulle proprie braccia conserte, ma doveva essere un sonno molto leggero perchè, al suo primo movimento, era intervento prima che potesse farsi del male. Facendo non poco sforzo, Sherlock si concentrò e colse quello che John gli aveva detto e comprese la fatica a respirare e il forte dolore che provava.
Il marito si alzò e si avvicinò a lui per accarezzargli la testa e baciargli la fronte: “Va tutto bene, va tutto bene... Sono qui...” gli sussurrò sulla pelle. Sherlock chiuse gli occhi e si fece consolare da quel bacio e quelle carezze.
 
«E’ qui, è qui con me. Grazie. Va tutto bene. Grazie.»
 
Quando John si risedette, Sherlock gli prese la mano e cominciò a scrivere con l’indice sul suo palmo:
“T... U... ‘Tu’? Mi chiedi io come sto?” Sherlock annuì. “Risulto ancora negativo, non preoccuparti per me...” Sherlock si sentì immensamente sollevato, come se dalle sue spalle fosse appena stato rimosso un macigno immenso che era stato lì sin da- ... Sin da quanto tempo?
‘Quanto tempo’ scrisse.
“Da quanto sei qui?” Sherlock annuì. John controllò l’orologio al polso: “Stanno per compiersi le quarantasette ore: finalmente hai dormito un po’.” Sherlock fece per riprendere a scrivere,  ma John gli rispose senza bisogno che ponesse la domanda: “Prima di arrivare in ospedale hai perso conoscenza. Una volta qui, ti hanno sottoposto a vari esami... Dai raggi-x sono subito risultate diverse lesioni sulla parete del polmone destro: sei stato quindi sottoposto ad un’operazione chirurgica per suturare le ferite. Tranquillo, è andata a buon fine: ogni lesione è stata riparata e per ora non accennano a formarsene ulteriori. Sei intubato solamente per facilitare la respirazione mentre eri tenuto in coma farmacologico, credo che di qui a poco verranno a togliertelo.” John sospirò e improvvisamente Sherlock gli strinse la mano e, guardandolo intensamente negli occhi in un misto di paura e rassegnazione, scrisse:
‘AIDS?’ John abbassò lo sguardo e senza proferire parola annuì piano.
Sherlock, senza abbandonare la presa della mano di John, rivolse il suo sguardo in alto, verso il soffitto immacolato della stanza: avrebbe voluto ordinare le idee, riflettere su se stesso, su qualcosa almeno! Ma non riusciva a pensare a nulla.
John ruppe quel silenzio dopo qualche minuto:
“E’ ancora da definirsi la causa delle lesioni.. Hanno già escluso la tubercolosi, eventuali patologie cardiache o epatiche che erano quelle delle quali dovevamo preoccuparci di più.” mentre parlava, John stringeva la sinistra di suo marito con la propria, mentre con la destra continuava ad accarezzargli la fronte e i ricci corvini che la adornavano. “Con ogni probabilità, si tratta di un’infezione delle vie respiratorie che dovremmo poter tenere a bada piuttosto facilmente. La dottoressa Tietjens si occupa di coordinare il tuo caso.” Detto questo, John aveva esaurito le cose da dire.
Se le era ripetute un paio di volte nella testa mentre lo guardava dormire, così indifeso e vulnerabile, cullato dai suoni dei monitor: voleva dirgli tutto e bene, senza dimenticarsi nulla, perchè di certo avrebbe voluto sapere e, sapendo, sarebbe stato più tranquillo. Ma ora aveva esaurito le informazioni. Sherlock giaceva sul lettino e gli stringeva forte la mano, non l’aveva mai lasciata e non avrebbe voluto farlo mai. Lo guardava in silenzio con quei suoi occhi verdi e blu lucidi e supplicanti che mostravano tanta paura e, nel ricambiare il suo sguardo, John si rese conto di non avere più nulla da dirgli ed ebbe paura del proprio silenzio. Aveva ripetuto il suo raccontino come un pappagallo ammaestrato avrebbe saputo fare, e adesso? Si sentì sopraffatto dalla propria inutilità e non riuscì a fare altro che baciare le mani di Sherlock, stringerle a sé e appoggiare la fronte al suo fianco per aggrapparsi a lui e stargli quanto più vicino possibile.


Salve bella gente!
Vi ringrazio infinitamente per aver seguito la mia storia fino a qui e vi invito a lasciarmi una recensione: non potete immaginare quanto tutto questo sia importante per me. I nostri cari ragazzi cominciano a sentire l'angst che volevo, anche se mi sto concedendo molto fluff.
Ci tengo a specificare che ormai mi sto liberamente ispirando a "Positive" di 
whitchry9 (che ho comunque trovato e letto DOPO aver cominciato la mia Positive personale) soprattutto per quanto riguarda la parte più tecnica della malattia: vi passo il link nel caso voleste darle un'occhiata: 
https://www.fanfiction.net/s/9822761/1/Positive
Credo sia inoltre opportuno specificare che non sono certa al 100% che ciò di cui scrivo sia anatomicamente e clinicamente valido e corretto. Mi sono documentata (e tanto!) ma non sono un medico e non presumo di saper fare il mestiere di medico.. Perciò, miei cari lettori appassionati di virologia, spero che sorvolerete sui miei errori :p 
Per ora è tutto, ci vediamo al prossimo capitolo!
Ancora grazie di cuore, un saluto. _SalvamiDaiMostri

 
   
 
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