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Autore: virgily    01/08/2015    6 recensioni
[Dal cap. 1 - Fatale Monstrum]
-Tu… Non esisti…-
Silenzio. E i suoi occhi, in quei lunghissimi secondi che trascorsero a rallentatore, non si staccarono mai dai miei, scrutandomi con curiosità. Una risata acuta e inquietante scoppiò nuovamente sulla sua bocca. Con estrema facilità si portò una mano alla giacca, continuando a ridere, puntandomi una pistola contro. Non pensai, non c’era più tempo per farlo. Mi gettai a terra non appena fece fuoco, serrando le palpebre più forte che potevo. Un boato, lo sgretolarsi di polveri sottili. Mi voltai appena, osservando con occhi sgranati il maestoso buco che attraversò la parete che si trovava alla mi spalle. Se mi avesse colpita, come minimo, sarebbe riuscito a farmi esplodere la testa, lasciando schizzi cremisi e materia grigia ovunque. Cercai di riprendere fiato, di tenere i nervi saldi sebbene sentissi i suoi occhi pesare su di me come un’incudine. Sollevai lo sguardo, ora era in piedi, e torreggiava su di me esponendo quel magnifico ghigno che riusciva ad incutermi una paura più profonda e malata del semplice terrore. [...]
-Allora, sono abbastanza reale per te, adesso?-
Genere: Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joker aka Jack Napier, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Cap. 9 – You know I make you wanna scream


Non appena ripresi conoscenza, con un movimento convulso le dita, pallide e affusolate, mi si arcuarono come artigli. Le unghie si spezzarono nel forte attrito con il pavimento ruvido e freddo, e un tremore mi percosse tutto il corpo, lasciando che lentamente una piccola chiazza purpurea cominciasse a espandersi sulle mie vesti; dovevo essermi ferita in un qualche modo all’addome ma non ne avevo memoria. Frastornata, tenevo gli occhi quasi serrati, e per quanto forte fosse il dolore mi sembrò di non essere neanche più in grado di pensare. Un urlo straziato squarció quell’angoscioso silenzio. Chi era? Sollevando appena il capo dal lurido giaciglio, mi portai una mano al viso: era solcata da scie cremesi che il sangue aveva tracciato prima di seccarsi. Lentamente mi stropicciai alla buona gli occhi e il naso, pervasi dalla fastidiosa presenza di grumi di polvere che mi irritavano l’intero volto. Poi, facendo leva con le mani tentai faticosamente di mettermi seduta, poggiando la schiena contro la colonna di cemento a cui ero legata. Avevo la caviglia serrata da un catenaccio, e a stento riuscivo a sentire il sangue scorrermi nel piede sinistro. Tremai, un po’ per l’umida temperatura che mi stava congelando i lembi scoperti di pelle, e un po’ per l’insopportabile angoscia dell’attesa. Mi portai le ginocchia al petto, stringendomi in me stessa alla ricerca di calore e conforto. Nascosi poi il viso tra le braccia conserte. Ero stordita, ancora mi faceva male la testa. È così che mi avevano presa: un bel colpo alla dietro la nuca e nel giro di pochi secondi ero K.O. E ora ero lì, in quell’angolo d’inferno senza capire dove mi trovassi e soprattutto perché proprio io. Beh no, in realtà potevo ben immaginare per quale motivo mi trovassi lì: Joker.
 Improvvisamente dei singhiozzi, affannati e accelerati, mi colsero alla sprovvista. Allora sollevai appena il capo, volgendo lo sguardo alla ragazza legata al mio fianco: tremava come una foglia, aveva le gambe livide, le labbra screpolate, gli occhi stanchi. “oh Dio…”
-L-Laura?- non volevo crederci. Per tutto questo tempo lei era lì e non me ne ero minimamente resa conto. Posai le mani a terra e cercando di fare il meno rumore possibile mi avvicinai al suo fianco, trascinandomi la pensante catena che scricchiolava ad ogni mio minimo movimento. Era così pallida e il suo sguardo era smorto, forse non era ancora del tutto cosciente.
-Laura?- la chiamai piano, trattenendo a stento le lacrime. Avrei voluto urlare, chiamare aiuto. Ma percepivo che quello era soltanto l’inizio di un lungo ed estenuante tormento. Lasciai una carezza gentile sul viso della ragazza, scostandole appena i capelli. Probabilmente fu proprio quel contatto a darle la forza di guardarmi. Laura non disse nulla, ma nel suo sguardo vidi il terrore: la paura di morire. Non ebbi il coraggio di dirle qualcosa per rassicurarla. Sapevo bene, purtroppo, che nulla avrebbe potuto darci conforto in una situazione del genere. Neanche pregare poteva servire a qualcosa. La giovane si strinse ulteriormente al mio petto spaventata più che mai, e cominciò a piangere, soffocando tra i singhiozzi di un vero e proprio attacco di panico. Ricambiai l’abbraccio, incapace di poter proferire alcuna parola. Persino tra i miei pensieri c’era un silenzio quasi tombale. Quasi. Effettivamente c’era un sussurro sottile che mugugnava qualcosa: “è tutta colpa tua”. Era la mia coscienza e a stento trattenni le lacrime.
Sentii improvvisamente un suono di passi avvicinarsi a quella specie di cella nella quale eravamo state rinchiuse, e un brivido mi fece accapponare la pelle.    
-Laura non piangere…- Dissi – O attirerai ancora di più la loro attenzione- e con la coda dell’occhio, feci finta di non vedere quelle figure di nero vestite affacciate alla piccola apertura sulla spessa porta di acciaio. E sebbene cercassi con tutte le mie forze di ignorarli, di non dargli la soddisfazione di scrutare la mia espressione contrita, riuscii comunque a sentire il peso incessante dei loro viscidi occhi sempre puntanti su di noi. Bisbigliavano, sogghignavano. Erano uomini, e dio solo sapeva cosa diavolo volessero farci. Con uno scricchiolio metallico si aprirono i cancelli della nostra cella, e con ampie falcate due giovani uomini estremamente ben vestiti e curati si fecero avanti verso di noi. Non riuscivo a definire con precisione il volto di ciascuno dei due, probabilmente a causa della fitta penombra che incupiva l’intero ambiente; ma certamente dubito che alla prima occhiata buona avrei potuto mai considerarli come esponenti della malavita. Non parlarono, ma i loro occhi ci scrutavano attentamente, e questo non preannunciava nulla di buono. Poi, uno dei due, quello più basso e dalla stazza meno prestante, indicò la giovane donna al mio fianco, e immediatamente sentii un brivido farmi trasalire. L’altro allora si cucciò su di noi, liberando la caviglia della mia amica non curante del fatto che lo stessi fissando intensamente. Ero paralizzata, non sapevo cosa avrei potuto fare: gridare? Mi avrebbero zittita. Lottare? Mi avrebbero picchiata. E più tempo sprecavo a pensare, più l’angoscia dentro di me cresceva incessantemente. L’uomo sollevò Laura di peso, strappandomela dalle braccia e fu soltanto in quel momento che si degnò di guardarmi: occhi scuri, viscidi. Erano cattivi, ma non malizioni. Erano spietati. Mi fulminò con un solo sguardo austero e glaciale, ma ciò non mi distolse dal pensiero di aggrapparmi alla sua caviglia in un vano tentativo di impedirgli di portarmela via. Laura era solo una povera vittima innocente in tutta questa storia, non potevo permettere che le facessero del male per causa mia. Così mi decisi e mi prostrai al suolo con un unico slancio ben deciso, e annoidai le braccia attorno alle sue gambe forti e robuste. In cambio ricevetti unicamente un calcio ben assestato in pieno addome, e mentre sentivo la voce flebile della mia amica chiamarmi senza sosta mentre la trascinavano via, non riuscii a trattenere i conati di sangue che mi esplosero in bocca, facendomi riversare una buona dose di quel vistoso liquido cremisi sul lurido pavimento. Mi sentivo così debole, impotente. Io, che fino a qualche ora prima ero sospesa tra realtà e follia, nelle grazie di uno schizofrenico criminale, adesso mi ritrovavo a dover far i conti con un nemico sconosciuto e, senza ombra di dubbio, più sadico e spietato di quanto potessi pensare. Mi sentii una miserabile, ma ciò che davvero mi faceva male, era la consapevolezza che neanche la mia amica sarebbe riuscita a sottrarsi a questo ignobile destino.
-P-Prendete me…- bofonchiai appena, tossendo le ultime gocce di sangue denso e caldo. Non sapevo se la mia mossa sarebbe valsa a qualcosa, ma dovevo provarci… per Laura. La ragazza fra le braccia dei due si dimenava quanto più poteva, lasciando vorticare i soffici boccoli ambrati per aria. Ma non appena udì la mia timida e flebile richiesta, la giovane si bloccò, puntando le sue grandi iridi chiare contro di me, che ancora riversata a terra la osservavo con occhi languidi, e il sangue che mi colava dagli angoli delle labbra. I due uomini si guardarono attoniti. Evidentemente neanche loro sapevano come reagire alla mia iniziativa perché mi parvero, giusto per qualche istante, come spaesati. Poi si lanciarono un’occhiataccia complice, e fissandomi l’uomo robusto che teneva tra le braccia la mia amica tornò sui suoi passi, lasciando a terra il corpo di Laura.
-No! No vi prego! Non abbiamo fatto nulla, vi prego non fatelo! - pianse fortissimo la giovane nell’angolo della sua cella, quasi paralizzata mentre le mani forti e gonfie dell’uomo mi afferrarono di peso per le braccia, trasciandomi e forzandomi a camminare al suo fianco, non curante delle mie gambe doloranti e tremanti.
-Virgily! Virgily!- riuscivo ancora a sentire le grida di Laura sebbene fossi  ormai lontana dalla nostra cella. C’era un lungo corridoio, stretto e asfissiante. La luce era fredda, talmente luminosa che mi fece male agli occhi per cinque minuti buoni, impedendomi di vedere con lucidità dove effettivamente mi stessero portando. Inciampai più e più volte sui miei stessi passi, con le labbra dischiuse ma incapaci di dare fiato alle mie frustrazioni. Con una spinta decisa l’uomo che mi stringeva a sé mi fece svoltare a destra, in una piccola saletta spoglia e dall’aspetto sterile e inquietante: una piccola lampadina dalla luce giallognola sovrastava quattro mura grigiastre e vuote. Era un ambiente completamente privo di mobilia, tranne che per una vecchia barella multilivello, dallo schienale rigido e sollevato, accostata a un piccolo carrelletto di acciaio. La confusione che immediatamente mi annebbiò il cervello mi fece rallentare talmente tanto che sentii le mani del mio aggressore quasi entrarmi nella carne quando mi sollevò di peso per posizionarmi su quella fredda barella. Impacciatamente cercai di divincolarmi dalla sua presa, ma le dita tozze e vigorose dell’uomo mi agguantarono il viso, portandomi ad una vicinanda millimetrica dal suo: aveva la pelle chiara, solcata da qualche piccola ruga attorno agli occhi. I capelli scuri gli incorniciavano un viso squadrato, spigoloso e arrossato. Mi mostrava i denti come un animale rabbioso e con un semplice –Stai zitta- mi costrinse a seguire i suoi ordini. Una volta distesa lungo tutta la superficie rigida e metallica della portantina, l’uomo si sfilò dalle tasche del pantalone gessato due paia di manette che utilizzò per immobilizzarmi i polsi alle protezioni laterali della barella. Soltanto dopo essersi assicurato che le mie nuove costrizioni fossero fissate a dovere, mi diede le spalle allontanandosi di qualche passo da me, giusto il tanto che gli serviva per fiancheggiare la porta d’ingresso alla stanza, portandosi le mani dietro alla schiena in un tipico atteggiamento di guardia, sbandierando i suoi grandi occhi scuri e roventi senza mai darsi pace. Sospirai piano, lasciando sfuggire una piccola lacrima incolore dal mio autocontrollo. Sentivo il cuore battermi all’impazzata nel petto, rimbombare talmente forte che temevo che prima o poi mi avrebbe spaccato le costole, infrangendo la cassa toracica. Abbassai appena lo sguardo, lasciandomi prendere l’attenzione da quel piccolo carrellino di acciaio che mi sostava accanto. C’erano diverse fiale, dal contenuto liquido e incolore, e delle siringhe. Un brivido mi fece accapponare la pelle, e il cuore mi andò in gola. Cosa stava per accadermi?
-Signorina Carter…- una voce mascolina e vellutata giunse improvvisamente al mio orecchio. Era una voce che non mi parve nuova, sebbene non riuscissi a relazionarla ad alcun volto conosciuto. Proveniva dallo stesso ingresso nel quale mi avevano spinta pochi minuti prima, e quasi voltantomi di scatto mi ci vollero poco più di dieci secondi per riconoscere il giovane uomo ben vestito che lentamente si avvicinava a me: aveva i capelli castani ben pettinati, e un sorrisetto sornione e soddisfatto impresso sul suo visetto sbarbato e affilato. I suoi occhi chiari erano fissi su di me, osservandomi beffardi.
-D-Detective Collins…- sussurrai in un fil di voce, confusa. Il risolino divertito del giovane uomo alla mia reazione quasi si ampliò in un ghigno sadico e inquietante:
-A dire il vero, qui mi chiamano tutti Harry Baker… O boss nella maggioranza dei casi- puntualizzò afferrando un piccolo sgabello in legno scolorito, sedendosi al mio fianco.
-Sai, Peter era mio fratello…- affermò in seguito, con una calma quasi disarmante sebbene dal tono della sua voce potevo percepire che stesse trattenendo la sua rabbia. I miei occhi si sgranarono di colpo. Ora cominciavo a capire:
-S-Sono un’esca?- e i suoi grandissimi occhi azzurri quasi s’illuminarono alla mia domanda,
-Perspicace la ragazza…- sogghignò scivolando il suo sguardo su tutta la mia figura stesa e legata su quella vecchia barella.
-E anche molto bella- mi sorrise nuovamente –Sai, di solito una ragazza normale dopo aver subito un’aggressione, e aver assistito a un duplice omicidio, è sotto shock per giorni. Tu invece eri così calma, e oltrettutto in dolce compagnia. Ammetterai anche tu che c’erano fin troppe coincidenze per far reggere la tua storia…-  constatò tamburellandosi i polpastrelli sulle ginocchia, mostrando un sorrisetto tutt’altro che ben intenzionato sulle labbra sottili.
-Ma allora perché anche Laura…- non mi fece terminare la frase che immediatamente mi zittì,
-E perché no? Dopotutto è a causa di entrambe se mio fratello e il suo amico sono stati ammazzati da quell’animale…- sogghignò quasi digrignando i denti.
-Tuttavia mi chiedo…- lasciò la frase a metà, accorciando appena la distanza tra i nostri volti, penetrandomi con uno sguardo malizioso e malevolo:
-Perché una brava ragazza come te si scopa un mostro del genere?-  affermò canzonatorio facendomi ardere il sangue nelle vene,
-Sono cazzi miei- risposi piano, a denti stretti senza neanche rendermi conto di aver aperto bocca. Immediatamente mi maledii appena vidi il suo risolino divertito allungarsi ulteriormente sul suo volto, assumendo un’accezione sgradevole e viscida:
-Oh, ora capisco…- il suo tono di voce si fece basso e roco, e quasi annullando del tutto le distanze immerse il viso tra i miei capelli –All’apparenza sembri un fiore candido e innocente, e invece hai delle spine belle accuminate…- sentii precisamene le sue labbra quasi sfiorarmi il lobo sinistro, facendomi fremere ad ogni sua parola,
-Scommetto che in fondo ti piace farti fottere dai cattivi ragazzi…-
-V-Vaffanculo- sibilai quando le sue dita lunghe a affusolate si allungarono sui miei capelli, afferrandoli con decisione, tanto da obbligarmi a mordermi le labbra per trattenere un gridolino di dolore. Tirandomeli con forza, il giovane uomo mi costrinse a sollevare il capo e lo sguardo: nelle sue grandi iridi grigie mi parve di vedere un fuoco ardere bramoso. Mi venne un brivido mentre sentivo i conati di vomito cominciare ad inasprirmi la bocca dello stomaco.
-Eh sì…- sbuffò appena –Sei proprio il tipo di donna per cui mio fratello andava matto… E adesso lui è morto- e con questa frase finale, tra di noi calò un lungo e pesantissimo silenzio. Il mio cuore oramai aveva acquisito un ritmo frenetico ed inarrestabile, e sembrava non aver intenzione di rallentare. Mi faceva male la testa, sentivo le meningi scoppiare. Tutti i miei muscoli erano intorpiditi, e certo l’ansia di non sapere cosa ne sarebbe stato di me non aiutava affatto la mia situazione. Una valanga di pensieri sconclusionati e privi di alcuna logica si susseguirono nella mia mente. Laura era ancora imprigionata, Joker era sparito. Ero sola, e non avevo la più pallida idea di come comportarmi. Quasi sperai che tutto questo fosse soltanto un brutto sogno, e che al mio risveglio tutto sarebbe tornato alla normalità, salvo per Joker. Lui era l’unica eccezione, e tutto ciò era a dir poco paradossale: con tutto quello che mi stava succedendo a causa sua, io ancora non mi capacitavo di ritornare a vivere una vita priva del medesimo brivido che quel clown schizofrenico mi aveva causato dal momento del nostro primo incontro. Anzi, nel profondo del mio cuore ero certa che anche se si sarebbe fatto aspettare, il mio clown sociopatico sarebbe venuto a prendermi. Non era presunzione la mia, dopotutto io ero sua.  
E al solo pensiero, l’angolo destro delle labbra mi si sollevò automaticamente, e questo mio piccolo e apparentemente insignificante gesto non passò affatto inosservato:
-Cos’è quel sorrisetto, eh?- domandò improvvisamente, tornando ad afferrarmi i capelli
-Lascia che ti dica una cosa, troietta- e la sua bocca fu nuovamente incollata al mio orecchio, aumentando ulteriormente il mio senso di nausea e ribrezzo.
-Se pensi davvero che il tuo clown da strapazzo sopravvivrà nel tentativo di venirti a salvare anche questa volta, ti sbagli di grosso. Però consolati…- e lasciando in sospeso la frase, l’uomo mi strinse appena, mordicchiandomi dispettosamente il lobo, provocandomi un brivido congelato che mi fece fremere e dimenare dalla sua salda presa, nel vano tentativo di scostarmi il più possibile dalla sua molesta persona.
-Mi sento talmente benevolo che ho deciso di lasciarti in vita. Sarebbe un vero peccato ucciderti senza averti assaggiato prima…- le sue mani lentamente erano scese al mio viso, lasciandomi delle carezze lascive e inquietanti. Con i polpastrelli, tracciò lentamente il contorno della mia bocca, mordendosi appena il labbro inferiore con desiderio. Strinsi le mani costrette nelle manette in un pugno, e sentendo l’adrenalina cominciare a scorrermi nel sangue azzardai un piccolo morso a quelle dita moleste che cominciavano a causarmi un serio voltastomaco. Sfortunatamente il bastardo aveva i riflessi pronti, e il mio colpo andò a vuoto:
-Uhh… la cagnetta sa mordere- rise scostandosi da me, quasi concedendomi il privilegio di poter prendere un respiro di sollievo. Tuttavia, quando i miei occhi cominciarono a studiare i suoi movimenti, mentre lentamente afferrava una siringa contenente un liquido trasparente dal banchetto posizionato affianco alla barella sulla quale ero legata, i miei occhi si sbarrarono di colpo. Le pupille dilatate e eccitate dell’uomo mi scrutarono con attenzione, e rise al mio evidente pallore.
-Lo sai che cos’è il Penthotal? Agisce sul sistema nervoso centrale e in piccole dosi, come queste, abbatte tutti i freni inibitori. Certo, il corpo umano riesce a tollelarlo solo per venti minuti… Ma ti assicuro che saprò come sfruttare a dovere il tempo a nostra disposizione- sogghignò divertito conficcandomi l’ago in vena senza alcuna precauzione. Un dolore pungente e imprevisto mi fece scalciare d’improvviso, facendomi cacciare un’urlo dettato per lo più dallo spavento.
-Oh sì, comincia a scaldarti perché ho intenzione di farti urlare un bel po’ prima che perderai i sensi- sentii tutta quella robaccia penetrarmi fredda nel corpo, cominciando quasi da subito a entrarmi in circolo. La testa allora mi si fece pesante, cominciò a girare, come quando bevevo troppi alcolici di diversa gradazione, annebbiandomi quasi la vista. Il battito cardiaco finalmente cominciò a rallentare la sua forte corsa, probabilmente a causa del penthotal, e neanche mi resi conto del fatto che il giovane avesse estratto l’ago della siringa dal mio braccio, buttandola non curante a terra prima di avventarsi su di me. Cercai di dimenarmi con tutte le forze, ma dovevo ammettere che quella roba che mi aveva iniettato aveva fatto rallentare ulteriormente i miei movimenti, impedendomi anche di pensare con la lucidità e la razionalità necessaria per scampare alle sue luride mani. Sentii le sue dita affusolate ovunque, tastando e palpandomi al di sopra dei vestiti. Scivolò lentamente sul mio ventre, solleticandomi appena prima scendere ulteriormente e cominciare a massaggiarmi l’interno coscia, facendomi venire la pelle d’oca per il disgusto.
-Toglimi le mani di dosso!- avevo cominciato ad urlare, scalciando per quanto la mia debolezza mi rallentasse nei riflessi. Più il tempo scorreva e più mi sembrava di perdermi, di smarrire ogni briciolo di coscienza di me stessa, ma non potevo permettergli di prendersi ciò che non gli spettava, di prendersi gioco di me, usandomi a suo piacimento.
-Altrimenti?- rise, cucciandosi di colpo per potermi stampare l’impronda di un umido bacio sulla base del collo
-Morirai- mormorai appena. Avevo la testa pesante che quasi cominciava a dondolare lungo la mia spalla, le mie ultime forze mi stavano abbandonando e probabilmente prima o poi nemmeno sarei riuscita più ad ascoltarmi quando avrei aperto nuovamente bocca.
-Ah davvero?- strinse i miei capelli bruni tra le sue dita, tirandomeli con forza per portarmi il viso alla sua altezza, così che il suo fiato tiepido e affumicato potesse entrarmi in bocca.
-E come pensi di uccidermi, eh?- domandò canzonatorio, beffeggiandomi –Perché invece non ti rilassi? Giuro che cercherò di essere il più delicato possibile-
-Va a farti fottere- fu tutto quello che uscì dalle mie labbra quando improvvisamente, interrompendoci nel bel mezzo della mia tortura, spezzando quell’aria elettrica e rovente che era calata tra di noi, degli scagnozzi del giovane boss fecero il loro ingresso irrompendo con una certa fretta in quella misera stanza degli orrori:
 -Che diavolo succede?! Vi avevo detto che volevo restare solo con la nostra giovane ospite- con voce roca e burbera Harry Baker si sollevò appena dal mio corpo, e mettendosi a braccia conserte agrottò le sopracciglia, fissandoli in cagnesco in attesa di una loro risposta:
-Tutte le guardie dell’ingresso principale sono state uccise!- affermarono quasi all’unisono in un pallore cadaverico e preoccupante.
-Che significa che sono stati uccisi?! Non è possibile!- alla sua escalamazione, automaticamente scoppiai in una fervida risata piena di gusto. L’uomo dinnanzi a me aveva spalancato leggermente le labbra nello stupore, restando immobile per svariati secondi mentre continuavo a ridere. Finalmente l’ora stava giungendo. Era Joker, ne ero certa. E proprio quando cominciai a sentire il rumore di molteplici colpi da arma da fuoco in lontananza, il mio cuore perse un battito.
-Che cazzo restate lì impalati?! Andate! E sparate a vista!!- aveva ordinato a denti stretti, cominciando a perdere anche la sua ferrea sicurezza oltre che la calma.
-Te lo avevo detto: morirai- ghignai divertita. Oramai non potevo più contenere quel vomito di parole che il mio buon senso aveva censurato per tutta la mia sofferta permanenza; e in balia della sostanza con la quale mi aveva drogata mi ero lasciata andare in una risata acuta e spassionata. Un riso talmente liberatorio da farmi ardere le guance e farmi scalpitare il cuore nel petto. Improvvisamente però, costretta a dover bruscamente terminare il mio piccolo momento di libero sfogo, mi ritrovai il capo girato verso il lato destro, e una sensazione fastidiosamente dolorosa sulla guancia, accompagnata da un lieve bruciore all’angolo delle labbra. Mi passai allora la punta della lingua sulla parte lesa, non stupendomi del fatto che quel liquido caldo che aveva cominciato a colarmi dalla piccola ferita fosse il mio stesso sangue. Lanciai allora uno sguardo freddo e spietato alla persona piegata davanti a me, a quell’uomo apparentemente intoccabile: la mano con cui mi aveva colpita era ancora chiusa a pugno, e non smetteva di tremare.
-Oh, ora sì che ti sei fottuto con le tue stesse mani- ridacchiai nuovamente –Questo a Joker non piacerà affatto…-
-Stai zitta! Troia!- portò nuovamente il suo pugno all’indietro, pronto per caricarmi nuovamente. Immediatamente serrai fortissimo le palpebre, preparandomi a ricevere un ennesimo colpo, ma il rombo sordo di uno sparo mi fece quasi sobbalzare della barella, facendomi spalancare gli occhi di colpo: e in quell’istante, sebbene percepissi che il tempo a disposizione per restare cosciente era ormai poco, sentii il mio cuore accellerare d’improvviso, in un ultimo sprint prima del vuoto: lui era lì, con il sorriso tirato sulle guance e uno sguardo truce sul viso inconrniciato dai riccioli verdastri; la sua pistola fumava ancora. E sebbene Harry fosse uscito dalla mia visuale quando cadde a terra, riuscivo ancora a sentire il suo respiro affannato e gravoso. Gettando la pistola sul pavimento, il clown si fece lentamente avanti, affondando una mano guantata all’interno del suo soprabito violaceo, estraendo quello che riconobbi subito essere un coltello. Poi, arrestandosi di colpo, lo vidi cucciarsi lentamente, quasi a raccogliere qualcosa dal pavimento che sostava a pochi centimetri dal corpo stremato e sanguinante del mio rapitore: il contenitore del penthotal. Allora l’angolo destro delle sue labbra storpiate si sollevò lentamente, dipingendo sulla sua maschera immortale un ghigno sadico e malevolo.
-Uhh, ci sei andato pesante con la mia bambolina eh?- il suono della sua risata andava in netto contrasto con l’oscurità che trapelava dal suo sguardo serio e folle al tempo stesso. Raggiunse allora il corpo quasi esanime dell’uomo i cui respiri, mozzati dai conati di sangue che gli colavano dagli angoli delle labbra, sembravano morirgli in gola.
-Tuo fratello per lo meno era ubriaco. Ma tu sei veramente patetico…- non riuscivo a vedere bene cosa stesse succedendo, poiché la schiena di Joker mi copriva completamente la visuale, ma a giudicare dall’urlo acuto e straziato che spezzò quel breve silenzio che ci aveva avvolti, il mio clown doveva aver cominciato a punirlo.
-La tua morte è il prezzo da pagare per la tua stupidità. Per aver rubato ciò che è mio…- riuscii a percepire il suono della carne che veniva tagliata di netto, finchè un ringhio soffocato fece tacere quella tetra e inquietante sinfonia; allora socchiusi appena gli occhi, sentendo le palpebre cominciare a chiudermisi pesantemente. Poi, una mano mi sfiorò con estrema delicatezza la guancia. Sollevai lentamente il viso, non vedevo molto bene a causa della mia vista annebbiata dalla droga, ma ero sicura che quei due pozzi scurissimi che mi facevano vacillare nel buio erano proprio i suoi occhi. Distesi le labbra, e il sorriso che ne venne fuori non fu come quelli precedenti; adesso non stavo sfidando nessuno, ma ammiravo con sospiri sommessi quel pazzo uomo che per l’ennesima volta era venuto a salvarmi.
-Ciao bambolina- mi disse appena, e con la mano ancora posata sulla mia gote Joker passò il pollice con accortezza sulla mia ferita all’angolo della bocca, probabilmente per ripulirmi dal sangue che ancora fuoriusciva da essa.
-Sei stata bravissima…- sussurrò con dolcezza e un ghigno amareggiato scolpito sul suo volto. Scossi appena la testa, in disappunto
-S-Sapevo che saresti arrivato…- sbadigliai piano, sentendo gli occhi farsi sempre più stanchi, e la mia vista peggiorare in pochi istanti. Con lo sguardo socchiuso e stremato, percepii come le sue mani si posarono delicatamente sui miei polsi, liberandomi dalle manette che mi costringevano su quella lurida barella. Poi, mi sentii sollevare, stretta al suo petto, con le gambe a ciondoloni tra le sue braccia. Fu il calore del suo corpo ad accompagnarmi lentamente verso la mia incoscienza forzata. E quasi cullata in quella morbida presa, finalmente potevo rilassarmi, crogiolarmi in quella familiare sensazione di protezione che avevo bramato durante tutta la permanenza in quell’incubo che pareva quasi infinito. Sussurrai qualcosa, ma non ricordai che cosa avevo detto di preciso, perché non appena diedi fiato alla mia bocca tutto divenne improvvisamente nero, e sentii le sue braccia stringermi ancora più forte.

***

-Non lasciarmi mai più…- la castana, avvolta tre le forti braccia del Clown di Gotham City, aveva sussurrato queste quattro parole con una dolcezza disarmante poco prima di perdere i sensi. Joker impallidì, quasi impetrando sul posto. Stentava a credere a ciò che aveva appena sentito. Lei, dopo essere stata rapita, picchiata, drogata e molestata a causa sua e dei suoi guai, non solo era felice di vederlo ma lo aveva appena supplicato di non lasciarla più. Sogghignò fra sé e sé: quella Virgily era pazza quasi quanto lui. Ed era proprio per questo motivo che lo schizofrenico criminale promise a sé stesso che nessuno gliel’avrebbe mai più portata via.
Perché lei era sua.
Gli apparteneva.
Fino alla fine dei suoi giorni.


*Angolino di Virgy*
Con estremo ritardo, come mio solito, finalmente pubblico questo nuovo capitolo che spero vivamente vi piaccia. 
Probabilmente mi starete odiando con tutta la vostra forza, e non vi biasimo per questo. Sono la prima a maledirmi ogni qual volta che mi riprometto di aggiornare presto senza mantenere poi le mie promesse. In realtà sto avendo parecchi problemi a livello di trama. Perchè cercare di dare un senso alla mia follia è di sé per sé impossibile T.T Comunque, se la mia povera Virgily se l'è vista brutta questa volta, vi assicuro che questo è soltanto l'inizio. Poverina... Mi dispiace troppo.... ma devo farlo. Per me, per Joker, e anche per la stessa Virgily. 
Spero solo che il capitolo vi piaccia, e che il periodo di vacanza dalla sessione estiva mi permetta di scrivere e aggiornare più spesso. 
E adesso sono pronta per le fiaccole e i forconi! Fate del vostro peggio perchè so che me lo merito (Virgily cattiva!)
Un bacio, e si salvi chi può.    

 
  
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