Film > The Phantom of the Opera
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Autore: BigMistake    03/08/2015    0 recensioni
Siamo nei primi anni del 1900, sotto l'ombra della "Belle Époque". Una giovane donna si trova a percorrere un passato non suo, volendo riscoprire in un certo modo sé stessa e superare così il dolore per la perdita della propria madre.
Dal prologo: Fissò il vuoto per qualche altro secondo inspirando profondamente, sembrava sul punto di svenire. «Vieni Christine, andiamo in giardino. Sei pallida …» in quella carezza sulla gota una piaggeria forzata, spinta oltre un confine che cercava di custodire come una perla dentro il suo guscio.
Seguito della fanfiction Lumière Noire.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Nuovo personaggio, Raoul De Chagny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lumière Noire - Deux anges tombés'
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CHAPITRE IV: Le vieux monde.


Un anello. Splendente sulla pelle candida della sua mano, mai sostituito con nulla. Non esisteva nulla che in realtà potesse davvero sostituirlo. Christine l’aveva capito da tempo ormai e la sua solitudine, così cercata e voluta ne era la prova inconfutabile.

Lei era il loro messaggio.

Di un uomo che si era chiuso nella sua mostruosità, esiliato da sé stesso.

Di una donna a cui l’innocenza era stata privata.

Tutto in un disegno superiore di cui lei era la firma, dopo anni e anni.

Parigi 1919.

L’orizzonte non era mai stato così lontano. Mai. Nemmeno quando i suoi occhi, studiavano l’oceano sognando un giorno di poterlo scavalcare per conoscere l’ignoto al di là di quella distesa azzurra, oltre la quale mille volti e mille culture l’attendevano.

E mentre lei ancora bambina restava a guardare silenziosamente, sua madre affianco le stringeva la mano. Forte.

Quasi a spezzarle le dita.

Gli occhi umidi di un pianto che tratteneva.

Maman, andiamo a vedere cosa c’è lì …

Una domanda innocente, che aveva il sapore dell’infanzia e della consapevolezza che solo i bambini hanno in certe occasioni. Una lieve crudeltà ingenua che trapassava da parte a parte un cuore straziato dai ricordi e dal dolore di una vita passata e rinnegata.

Una vita che però era appartenuta a Lucia, che suonava come il canto della sirena.

Ora Christine capiva.

Capiva cosa si celava nello sguardo che sua madre le aveva riservato quella volta, lo stesso che suo padre le aveva dedicato prima che partisse ormai quasi quindici anni prima. Un tumulto di ricordi ed emozioni che avvolgevano le loro spire nello stomaco, fino a farle mancare il fiato.

Per loro un richiamo più forte di quello che provava Christine, con l’esilio in quella terra straniera come condanna.

Loro desideravano tornare a Parigi. Probabilmente nel 1919. Probabilmente nello stesso luogo in cui ora si trovava lei.

Era tornata. Questo le suggeriva la voce che sussurrava lungo il suo collo.

Come se si appartenessero.

Lei, Parigi. L’Operà Garnier.

Mai era riuscita a sentirsi tanto piena e completa da quando ogni giorno si sedeva in quel bistrot, all’ombra della facciata del gigante sfigurato che tanto le ricordava Lui.

Suo padre. Il suo sangue.

Sedeva ed osservava come il lento ed inesorabile trascorrere del tempo lo stesse logorando, lo stesse facendo appassire.

Esattamente come il tempo stava lentamente portando via Erik. Nella menzogna in cui la sua leggenda si era trasformata. Di uno scrittore che aveva costruito false verità su di racconti di povere nobildonne spaventate e gente che del teatro, dell’esasperazione dei fatti aveva fatto la sua vita.

E quella cicatrice deturpante era diventata tra le parole di un libro, il volto sfigurato della Morte stessa. Una delle tante menzogne.

Christine aveva convissuto con quel volto sfigurato ogni giorno della sua vita e non era mai stato quello descritto. Per lei quel volto non era nemmeno orribile. Anzi.

Era ciò che lo distingueva. Era la cicatrice che portava anche lei, sotto il suo orecchio fino al mento.

Suo padre non sarebbe stato lui senza la sua metà corrosa dal genio che continuava a consumarlo.

Erik non è morto.

No, non ancora perché la sua umanità lo stava strappando al mondo, ma ancora era vivo, nella sua casa a Coney Island in attesa di ricongiungersi alla sua Lucia.

Forse di incontrare di nuovo la sua Christine.

La Christine diventata un epitaffio su di un’elegante lapide di marmo.

E un ritratto a ricordarne i bei lineamenti, solo rimembranze della giovane donna che suo padre aveva…

... amato?

Dio solo sa, come si potesse definire quel sentimento. In quindici anni lei stessa non era riuscita a trovare per sé una risposta a quella domanda. E si era chiesta tante, tantissime volte, cosa li legasse con quella catena così pesante da portare anche lei quel nome odiato e amato.

E non aveva mai avuto il coraggio di andare dalla cantante a parlarle.

«Bonjour Christine …»

Quel giorno era arrivato. Troppo tardi per ricevere delle risposte.

Forse perché le conosceva già quelle risposte. Forse perché sapeva inconsciamente molto più di quello che realmente rivelava a sé stessa. Forse perché voleva solo essere ascoltata. O forse perché voleva subire anche lei l'incantesimo che lo aveva trascinato nel baratro.

Ed aveva scelto quel giorno.

Non aveva visto rose più belle dal fioraio. Con il loro fusto lungo e sodo, i petali vellutati di sangue.

Mentre gli sciacalli iniziavano il loro banchetto con la carcassa dell’Opera.

Quindici lunghissimi anni.

Il tempo impietoso che l’aveva vista invecchiare pensando di essere invincibile, come pensava che lo fossero i suoi genitori.

«… eppure siamo anche noi umani Christine …»

Si guardavano negl’occhi. Una foto inanimata. Una donna un tempo smarrita.

Tutto sembrava essere già scritto, fino a farla giungere nel cimitero quel giorno. Come avrebbero voluto loro.Una rosa tra le mani, un anello splendente sull’anulare sinistro.

Le due Christine del Fantasma.

«… prima o poi ci saremmo dovute incontrare …» e un sorriso, amaro che sfiorava il disegno delle labbra. Gli occhi che di tanto in tanto cercavano aiuto nel terreno o nelle altre lapidi attorno a lei.

Perché voglio incontrarla? Se l’era chiesto più di una volta.

Perché devi farlo.

La risposta era arrivata due anni prima, su di un giornale sgualcito trovato su di un marciapiede, dove con dolore la famiglia annunciava la scomparsa della Contessa De Chagny, amata moglie e madre.

Christine era morta nel 1917.

E lei era viva, nel suo nome.

Con il suo anello che stonava su quel dito.

Forse pesava.

Troppo.

Doveva essere restituito, sfilato.

Legato ad una rosa rossa listata con un nastro nero.

Lasciato sul marmo freddo che la costudiva.

Mentre gli occhi fissi della foto osservavano i suoi movimenti. Ancora.

Ancora in quella manciata d’istanti in cui era rimasta in silenzio ad osservarla. Ancora.

Pensando a come vite così distanti si intrecciavano e si contorcevano nella genialità di un uomo che il destino aveva relegato a ruolo di reietto e come egli era riuscito a sopraffarlo, fino a rendersi protagonista assoluto di quella grande opera che aveva compiuto.

Lui a cui era serbato un ruolo marginale nella società, che si era macchiato di sangue pur di esternare quel talento che lo logorava fino al midollo, fino alle ossa e alla linfa vitale che scorreva dentro anche sé stessa.

Lui aveva scritto con il sangue il suo nome nell'eterno firmamento del suo macabro estro.

E mai mai nessuno avrebbe potuto fermarlo.

No, il libro si sbagliava.

Il Fantasma dell’Opera non poteva essere morto.

Erik non poteva morire.

«Erik, non morirà mai …»


Note dell'autrice: Eccoci qui, adesso la storia è davvero conclusa. Volevo che le due Christine si incontrassero e credo di esserci riuscita in qualche modo. Come già accennato più che una storia questa manciata di capitoli sono una sorta di Epilogo alla storia precedente quindi, non vogliono sembrare frettolosi (anche perché frutto di una lunga riflessione), ma sono semplicemente coincisi per chiudere un cerchio. La scena finale del musical in questo caso è ripresa per far quadrare i conti.


Ho tratto ispirazione dal finale di un'altra ff "Save me from my solitude" di Alkimia, che ringrazio.


Ringrazio quei pochi che sono passati qui per leggere. Ringrazio chi ha voluto lasciare un piccolo segno.


I remain, Gentlemen. Your obedient servant.


BM


 

 

 

   
 
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