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Autore: HeartSoul97    04/08/2015    3 recensioni
"Alex Watson è una normale diciassettenne londinese, forse solo un po' sfigata, niente di più. I suoi amici? Una ragazza bellissima e dolce, un'allegra libraia e un chitarrista che sogna la fama. Ma i suoi nemici? Uno solo: un ragazzo tanto bello quanto stronzo, che non fa che prenderla in giro, e che abita proprio accanto a lei! Le cose cominciano a precipitare quando una misteriosa lettera giunge alla nostra protagonista..."
Ora, spazio all'autrice. Abbiate pietà, è la primissima storia DAVVERO romantica che scrivo, non ho esperienze su cui basarmi, quindi chiedo umilmente il vostro parere. Opinioni positive ben accette, negative anche di più, perché servono a migliorare. Grazie per l'attenzione, a tutti.
Un'altra cosa: nei vostri commenti potete darmi spunti o consigli su ciò che potrebbe succedere. Vorrei infatti che la storia risultasse anche divertente, ma io non ho molto senso dell'umorismo, quindi imploro il vostro aiuto. Grazie mille.
Vi auguro sinceramente una buona lettura e spero che continuerete a seguirmi.
HeartSoul97
Genere: Demenziale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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19. Schizophrenic playboy
Un comportamento all’apparenza autodistruttivo
può essere in realtà un’azione a fin di bene
ritortasi contro chi l’ha fatta.
 

È domenica, ma abbiamo già deciso di vederci con la Costance per riprovare tutto, visto che la gara è stasera.
Arrivo alla palestra della scuola con quasi mezz’ora di anticipo. Non riesco a smettere di tremare, e di certo non è per il freddo.
Passeggio nervosamente avanti e indietro, torcendomi le mani, quando finalmente qualcuno appare all’orizzonte. La Costance viene verso di me e cerca di tranquillizzarmi.
«Watson, stai tranquilla. Lo so che è difficile non farsi prendere dal panico, ma ascoltami. Andrà tutto bene. Anche se non vinceremo».
«Lo so, non ho paura di perdere, ma… cosa faccio se dovessi scordarmi i passi? Se mi facessi prendere dal panico e cominciassi a fare errori?»
«Improvvisa».
La sua risposta pare la più semplice e naturale del mondo. Come se improvvisare fosse facile.
«Non so improvvisare, non sono capace»
«Certo che lo sei. Tutti lo siamo. Si improvvisa tutti i giorni, senza rendersene conto»
«In che senso?»
«Non mi dirai certo che pianifichi ogni singolo istante delle tue giornate, no? Di solito ci comportiamo in base a quanto ci accade, e non tutto ciò che ci accade si può prevedere; agiamo di conseguenza, e non è forse un modo meno diretto per dire che improvvisiamo?».
Rifletto su queste parole. In effetti è vero… ma non faccio in tempo a dirglielo che arrivano Jake e Ludvig, in formazione da battaglia.
Jake è teso quanto me, se non di più: stringe i denti di continuo, lo vedo dalla sua mascella. Ludvig è molto più rilassato, mi sorride.
«Ciao» mi saluta, chinandosi verso di me e stampandomi l’ennesimo bacetto sulla guancia. Temo di doverci fare l’abitudine.
A quel gesto, Jake contrae la mascella per l’ennesima volta. Il suo sguardo è freddo come il ghiaccio, ma brucia di un calore incandescente sulla mia pelle.
La Costance apre la palestra della scuola, salvando la situazione.
«Allora» esordisce, dopo che abbiamo posato le nostre cose.
«Oggi è un giorno importante. La gara inizierà alle cinque e trenta. Noi dobbiamo essere alla Concert Hall per le cinque al massimo. Sono quattro prove; le prima tre le sosterrete insieme agli altri sulla pista da ballo. Tutte le coppie rimangono in gara fino alla fine. Poi ci sarà l’ultima prova, il tango, che è individuale. Non vi chiedo di vincere, vi chiedo solo di dare il meglio». Ci guarda negli occhi uno ad uno.
«Ho fiducia in voi. Abbiamo lavorato sodo. Dimostriamo a tutti che l’impegno premia sempre. E spero che questa esperienza vi abbia portato qualcosa». Lo sguardo della Costance è soprattutto fermo su di me e Jake.
«Spero che vi abbia insegnato a fidarvi delle persone, che abbiate imparato a lasciarvi guidare da qualcun altro. Perché lasciarsi guidare non è certo segno di debolezza. Richiede molto coraggio, prima di tutto».
Cos’è questo discorso serio? Non ce l’ha mai fatto prima, se ne deve uscire così il giorno della gara?
Ah, giusto. Il discorso d’incoraggiamento.
«Ragazzi, io sono fiera di voi in ogni caso. Avete lavorato duramente anche se non siete ballerini provetti come Imogen e Robert, e in pochissimo tempo avete dato il meglio di voi. Vi chiedo di dare il meglio ancora un’ultima volta». Ha gli occhi lucidi. Quasi mi commuovo anche io… quasi.
«Mettiamocela tutta».
Noi tre annuiamo, poi la Costance sospira e accende lo stereo.
«Si ricomincia, pelandroni!».
 
Bevo avidamente dalla mia bottiglietta d’acqua. È mezzogiorno e abbiamo provato tutto senza soste fino ad ora: sono esausta. Non so come farò a reggermi in piedi stasera.
«Ragazzi, potete andare. Pranzate. Riposate. Ci rivediamo qui alle quattro e mezza; in meno di mezz’ora dovremmo essere alla Hall».
Raccolgo le mie cose con l’intenzione di andarmene a casa, fare una bella doccia e dormire un po’, ma Ludvig mi blocca.
«Ti va di pranzare insieme?» mi chiede, con il sorriso sulle labbra.
Cerco disperatamente una scusa per rifiutare, ma siccome non me ne viene in mente nessuna mi vedo costretta ad accettare.
«Ma sì, perché no».
«Non vi dispiace se mi aggiungo anche io?» la voce di Jake arriva da dietro le mie spalle.
«Certo che no» risponde lo svedese, anche se la sua faccia esprime qualcosa di molto diverso.
Così ci avviamo tutti e tre verso un posto qualsiasi dove mangiare. Io al centro e loro ai miei lati che si scambiano occhiate torve. Mi sento estremamente a disagio. Perché doveva succedere proprio oggi? Sono già nervosa di mio, ci si devono mettere anche questi due?
Compriamo dei panini e ci accomodiamo su una panchina; il mio imbarazzo cresce, mentre cerco disperatamente qualcosa di cui parlare per alleggerire l’atmosfera.
«Ehm, allora…».
Parla! Parla! Di’ qualcosa, idiota!
«Giusto, Alex! È passato un sacco di tempo ma non ho mai avuto modo di chiedertelo. Com’è stata la festa di Amber, alla fine?». La domanda innocente di Ludvig colora di viola la mia faccia e non oso guardare quella di Jake.
Stupido di uno svedese! Proprio in questo momento dovevi ricordartelo?!
«Uhm, carina» rispondo, con la gola secca, mentre la mia mente fa il replay del dannato gioco della bottiglia.
«Già, non male» aggiunge Jake, mentre io mi sento sprofondare.
Non ne ho parlato a nessuno. Solo Momo e quelli non abbastanza ubriachi da ricordare la serata sanno di quel bacio. Neanche con Jake ho più toccato l’argomento e solo adesso sento di aver fatto davvero una cavolata. È come aver lasciato le cose a metà, tuttavia non posso fare a meno di ricordare cosa è successo l’ultima volta che ho parlato a tu per tu con lui – partendo proprio da qui. Solo l’ennesima fuga dal passato e dal presente. 
«Mi è dispiaciuto non aver partecipato, anche se Amber… non mi è proprio simpaticissima» dice con una piccola smorfia. Non oso immaginare come sarebbe potuta andare se anche lui fosse stato lì.
Sarebbe successo lo stesso? Oppure no? Una (s?)fortunata coincidenza di eventi?
«Mah, non che ti sia perso granché… le solite cose, musica elettronica, un po’ di alcol, qualche gioco stupido…» dico, sperando di chiudere il discorso lì.
«Stupidissimo, altroché» conferma Jake, imbarazzandomi ancora di più.
Ludvig gli lancia un’occhiata strana, ma non dice niente.
Riprendiamo a mangiare i nostri panini, mentre cerco una scusa per scappare via. Guardo l’orologio e noto che sono quasi le due. È decisamente ora di andare a casa.
«Va bene, io andrei a casa, ci vediamo dopo» dico in fretta alzandomi, ma Jake si alza con me e Ludvig pure, esclamando subito «Ti accompagno».
Jake lo guardo storto.
«Non ce n’è bisogno. Abito di fronte a lei, la accompagno io»
«Apprezzo la premura, ma abito a un tiro di schioppo da lì».
Gli occhi grigi di Jake ardono di un fuoco infuriato mentre incrociano quelli turchini di Ludvig, più determinati che mai.
«Ragazzi, posso tornare anche da sola…» protesto debolmente, ma neanche mi ascoltano.
«Cosa c’è, ti dà fastidio? Se è così, sappi che non mi importa» lo punzecchia Ludvig.
Jake non risponde, ma il suo sguardo potrebbe incendiare una casa.
Così ci avviamo, incapaci di conversare come persone normali. Ho come l’impressione di assistere ad una sfida di cui non dovrei sapere niente.
Sono il premio?
La domanda fa spontaneamente capolino dalla mia mente, ma la scaccio via: è semplicemente impossibile. Di piacere a Ludvig ne ho la certezza, ma Jake non mi parla da due settimane. Questo vuol dire che forse ha deciso di passare sopra tutto quanto è accaduto… prima.
La cosa mi rende davvero triste e arrabbiata. Non può mollare tutto proprio quando avevo deciso di mettere le cose a posto con lui! Sarebbe oltremodo ingiusto!
Forse basta stuzzicarlo un po’. Cosa posso fare…? Oppure peggiorerei le cose?
Ma sì, cavolo. Sono stufa di tutta questa scena. Se lui è schizofrenico, visto che prima se ne frega e poi si incavola, non è mia colpa mia.
Così, arrivati sotto casa, prendo l’iniziativa e dopo un breve «A dopo» mi metto in punta di piedi e saluto Ludvig con un bacetto sulla guancia. So per certo che le mie guance sono del colore dei peperoni maturi.
È sorpreso… piacevolmente, direi, visto che mi fa un ampio sorriso mentre se ne va.
Perdonami, penso.

Giunti nell’androne, io e Jake prendiamo l’ascensore. Durante la salita non vola una mosca e l’imbarazzo cresce. Solo quando arriviamo finalmente sul pianerottolo Jake si decide a parlare.
«Perché l’hai fatto?» mi chiede, con un tono decisamente ferito.
Mi si spezza il cuore.
«Non sapevo cos’altro fare per farti smettere di evitarmi» dico. Da dove l’ho preso tutto questo coraggio?
Jake distoglie lo sguardo, chiaramente a disagio.
«Ti chiedo scusa. Avevo bisogno di pensare». Poi apre la porta ed entra dentro casa sua, lasciandomi con un palmo di naso.

Nelle due ore che seguono, non faccio altro che darmi della stupida.
Che ti salta in mente? Idiota!
Mi sembrava una buona idea. Quanto meno mi ha parlato.
Sì, ma il gioco vale la candela?
Speriamo di sì. Chissà cosa intendeva quando ha detto che “aveva bisogno di pensare”. Non sono così sicura di volerlo sapere, in fin dei conti.
In men che non si dica, si fanno le quattro e mi tocca uscire. A malapena realizzo che tra solo un’ora e mezzo la famigerata gara avrà inizio.
Prendo le custodie degli abiti cercando di spiegazzarli il meno possibile, lego i capelli meglio che posso in uno chignon, afferro le ultime cose che mi servono – portafoglio, cellulare, chiavi di casa – e mi avvio verso scuola con Jake pochi passi dietro di me.

La Costance è all’entrata della palestra e si torce le mani dalla tensione. Ludvig arriva un secondo dopo di noi.
«Ragazzi, avete preso tutto ciò che serve? Siete pronti?» chiede ansiosa. Annuisco; anche i ragazzi fanno un cenno d’assenso.
Non ci avevo pensato finora, ma sono proprio curiosa di vedere i loro, di abiti…
 
Ci avviamo a piedi verso la Hall, che non è molto distante da scuola. Sono sempre più tesa a causa della gara imminente, e cerco conforto negli altri. La Costance è tesa quanto me; Jake, come stamattina, non fa che contrarre la mascella e Ludvig anche comincia a sentire un po’ di pressione, credo. Non è più rilassato come prima; tuttavia, appena incrocia il mio sguardo preoccupato, mi sorride per incoraggiarmi. Arrossisco, ricordando la scenetta di poco prima.
Arriviamo alla Hall alle cinque precise. Il posto è gremito di persone; ci avviamo a fatica verso i camerini, per cambiarci. Ne riemergo pochi minuti dopo quasi esasperata dalla quantità di persone. Quando, dopo qualche minuto ancora, Jake e Ludvig mi vengono incontro, trattengo a stento una risatina: sono proprio buffi! Sembrano due pinguini. Uno pallido e biondo e l’altro moro. Poi i giudici registrano i nostri nomi e attaccano un numero sul retro della giacca di Jake: siamo la coppia numero 8. Le ragazze delle coppie delle altre scuole – sono tutte scuole – sussurrano tra loro quando passiamo in mezzo alla folla e per un attimo mi sento davvero… non so, “importante”. Capisco che devono considerarmi fortunata, considerando la bellezza dei ragazzi che mi camminano accanto.
Anzi, credo di rendermene effettivamente conto solo adesso. Sono entrambi bellissimi e la gente si volta a guardarli. E io sono in mezzo a loro.
Mi sento improvvisamente triste. Che ci faccio qui? Non è il mio posto. Le persone come me non stanno con quelli come loro. Dovrei avere la decenza di tornarmene tra i miei simili, non andarmene in giro con queste creature ultraterrene. Sicuramente, quelle che li osservano si staranno chiedendo che cosa ci fa una come me con due come loro. Una ragazza così banale, così insignificante…
E all’improvviso sento qualcosa che non vorrei sentire.
«Caspita, che racchia fortunata! Con due bellezze come loro!». Mi irrigidisco, cercando di trattenere le lacrime, mentre le due ragazze ridacchiano, gettandomi un’occhiata.
Ho bisogno d’aria. Di uscire.
Fendo la folla alla ricerca di un posto dove respirare, ma trovo solo un pezzetto di muro, ai margini della pista, dove appoggiarmi, improvvisamente svuotata di tutte le mie energie. Jake e Ludvig sono rimasti bloccati in mezzo alla folla, ma in questo momento non ho bisogno di loro. Una piccola lacrima furtiva sfugge al mio controllo, e stringo le mani a pugno. No. Ne ho abbastanza.
Non m’importa di quello che pensano. Io sono ciò che sono, se questo non va bene agli altri, allora si facessero risolvere i loro problemi da uno psicanalista. Ho imparato – a fatica – ad accettarmi; l’importante è che vada bene a me.
«Tutto bene?» chiede una voce sopra di me e alzando lo sguardo noto gli occhi grigi e preoccupati di Jake.
Mi sforzo di fare un piccolo sorriso, ma non deve riuscirmi molto bene, perché lui mi attira a sé e mi stringe in un goffo abbraccio.
Sono sorpresa da quel gesto, tanto che quando mi rilasso mi rendo conto di aver tenuto i muscoli tesi e rigidi.
«La gara sta per iniziare. Si invitano i gentili spettatori a prendere posto e i partecipanti a spostarsi a bordo pista» annuncia un altoparlante.
Io e Jake ci stacchiamo dall’abbraccio, imbarazzati, e ci portiamo al bordo della pista. Mentre aspettiamo gli altri, però, Jake mi prende la mano e la stringe, nascondendo le nostre mani intrecciate dietro di noi. Non posso fare a meno di arrossire e chiedermi il perché di tutte queste attenzioni. Mi evita per giorni e poi… questo. Se non è schizofrenico lui, non so chi possa esserlo.
Davanti alla grande pista circolare si trova il tavolo della giuria, a cui si siedono due uomini e due donne dall’aria severa. I giudici.
Da qui riesco a vedere la Costance seduta in prima fila: ancora si torce le mani dall’ansia.
Il presentatore, un tipo sui trentacinque anni con un ridicolo farfallino a pois, si fa avanti.
«Buonasera a tutti signore e signori, benvenuti alla quarta edizione della gara di ballo “Ballo nelle scuole” promossa dall’associazione…» e continua su questo tono per qualche minuto nominando associazioni, patroni e mecenati. Smetto di ascoltarlo, troppo concentrata a percepire le mie dita intrecciate a quelle di Jake per focalizzarmi su qualcos’altro.
Riapro le orecchie solo quando Farfallino a Pois si decide a presentare la giuria.
«…Ronald O’Connor, presidente della scuola di ballo…» il primo dei giurati si alza. È un uomo sulla cinquantina, ma a parte un po’ di pancia ha ancora un fisico lavorato. Deve aver ballato parecchio.
«Samantha MacDonald, ballerina professionista, ora presidente della scuola di ballo…» la donna a sinistra di O’Connor si alza, salutando gli spettatori. Dimostra poco più di quarant’anni. Indossa un tailleur prugna che le evidenzia la vita sottile; ha i capelli tagliati corti e un volto rigido, severo, incorniciato da un paio di pendenti dall’aria costosa.
«Daniel Peaty, insegnante di danza all’accademia…»   questo qui non ha l’aria molto severa. Saluta la folla con un sorriso gioviale e sorrido alla vista del suo volto rubicondo. Non so perché, ma mi sta simpatico.
Alle parole «Patricia Gonzales, ballerina professionista di tango» l’ultima donna, sulla trentina, si alza. È indubbiamente bellissima; indossa un elegantissimo vestito nero e i lucenti capelli corvini sono raccolti in uno chignon ordinato. A giudicare dal nome direi che ha qualcosa a che fare con la Spagna…
Penso al mio, di chignon, e arrossisco di imbarazzo. Non è colpa mia se i miei capelli sono rossi e ingestibili.
«Giudice O’Connor, vuole spiegarci le regole della gara?» dice ancora Farfallino Ridicolo, mentre il giurato si alza di nuovo e prende il microfono.
«Ma certo. Le undici coppie apriranno le danze con la salsa; si affronteranno tutte insieme sulla pista. Non giocate sporco: al primo sgambetto, squalifica con effetto immediato. Ma ormai non siete più bambini, non credo di dovervi chiedere di ballare con onestà» il giudice scruta i partecipanti uno ad uno.
Io non ci avevo neanche pensato, a barare. Con tutti i casini che ho per la testa non posso certo mettermi anche a pensare a come vincere giocando sporco.
«Dopo la prima gara, cioè la salsa, ci sarà una piccola pausa; poi bachata e merengue, intervallati da una pausa di cinque minuti. In seguito alle prime tre tipologie, ci sarà il tango, affrontato dalle singole coppie. La durata del tango non può superare i cinque minuti. Dopo, ogni coppia riceverà un punteggio».
«Dopo che tutte le coppie si saranno esibite, io e i miei colleghi eleggeremo un vincitore. Non ci sarà una classifica: solo un unico vincitore. A tutte le scuole verrà data una targa di partecipazione. A tutte quelle che non bareranno, ovviamente» aggiunge, gettando un’altra occhiata storta.
«Sentito, ragazzi? Niente scherzetti, non ne vale la pena» rincara il presentatore, riacquistando il microfono.
Comincio a essere stufa di tutte le presentazioni. Quando si comincia?
«Allora, questo è quanto. Che vinca il migliore!» esclama infine Farfallino e gli spettatori fanno partire un applauso. Guardandoli, mi accorgo sgomenta di non aver detto ai miei niente di tutto questo. Non ho mai parlato delle prove a casa, non gli ho detto della gara. Che razza di figlia! Un po’ di supporto morale, in questo momento, mi avrebbe fatto piacere.
Come per magia, noto mia madre parcheggiata vicino all’ingresso, vicino ad Angela e Samuel, i genitori di Jake. Anche mio padre è lì.
Ci muoviamo in sincrono sulla pista, alla ricerca di una posizione, ogni coppia ad una certa distanza dall’altra. Mentre aspettiamo che parta la musica, bisbiglio un “grazie” a Jake, e lui mi sorride. Ripenso per un secondo alla sensazione fortissima che ho provato quando abbiamo intrecciato le mani, prima. Il cuore mi si era riempito di una stupida, irrazionale felicità.
La musica parte quando meno me lo aspetto, ma ho ripetuto questa cosa talmente tante volte che il mio corpo agisce al mio posto. La gara è iniziata.
Muoversi in una pista con tanta gente intorno è molto diverso rispetto a muoversi in una palestra vuota. In un attimo mi rendo conto che non urtare i ballerini è difficilissimo: la salsa è un ballo veloce e sono troppo concentrata a ballare bene per accorgermi con precisione della gente intorno a me. Inoltre, un qualsiasi urto potrebbe essere visto come “barare” e quindi devo fare ancora più attenzione.
Tuttavia, quando per un attimo mi ritrovo quasi stesa per terra a causa di un urto alla schiena, mi vedo costretta a rivalutare quanto ho detto. A quanto pare, gli altri non si fanno troppi scrupoli.
Anzi, è una fortuna che Jake abbia avuto la prontezza di riflessi di afferrarmi al volo, cambiando il passo che avremmo dovuto fare.
Improvvisa, aveva detto la Costance. Vale anche per quando qualcuno ti viene addosso?
Continuiamo il nostro ballo, ma dopo un po’ un’altra botta, stavolta di lato, mi fa perdere di nuovo l’equilibrio – stavolta non resisto, devo vedere chi è stato. La coppia dietro di noi si scambia un’occhiata. La ragazza indossa un vestito color corallo: è la stessa di prima, quella che mi ha chiamato “racchia fortunata”. Il mio orgoglio ancora brucia. Se pensa che sbaglierò dei passi in questo modo, se lo può anche scordare.
Affronto il resto del ballo con ancora più determinazione di prima: sarò anche “racchia”, ma non mi lascerò mettere i piedi in testa da una stronza qualsiasi in vestito corallo. Proprio no.
Tuttavia, quando finalmente la musica finisce, non posso fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.
Il presentatore annuncia i famosi cinque minuti di pausa e parlo con Jake.
«Sta cercando di farci sbagliare» diciamo all’unisono, e ci viene da ridere. Perché d’un tratto tutta la tensione che c’era tra noi è svanita nel nulla? Anche mentre ballavamo non ero così tesa come durante le prove. Cosa sta succedendo?
«Cosa faresti se Corallina dovesse riuscire a farmi cadere?» chiedo a Jake, in un attimo di coraggio.
«Ti afferrerei. Non ti lascerò mai cadere, Alex» mi dice, guardandomi negli occhi, e io mi sento sciogliere. Cosa devo fare, o dire, adesso?
«Ah, siete qui!» la voce di Ludvig ci riporta alla realtà e distogliamo lo sguardo, imbarazzati.
«Tutto bene?» ci chiede – anzi, mi chiede.
«Insomma. La tizia color corallo mi è venuta addosso un paio di volte e non sono sicura che sia tato casuale» dico.
«Davvero? Ci farò caso, se dovesse ricapitare».
Anche la Costance, intanto, si avvicina a grandi passi. Le brillano gli occhi.
«Bravi, ragazzi. Davvero bravi. Anche se non capisco perché hai cambiato quel passo all’ultimo minuto»
«Avevo perso l’equilibrio» dico, senza aggiungere altro. Non vale la pena avvertire anche la Costance di Corallina, si agiterebbe e basta.
Riusciamo solo a scambiare qualche altra parola prima che Farfallino annunci che la pausa è finita e ora tocca alla bachata.
Mentre ci ricomponiamo in pista, noto l’occhiata truce della ragazza in mise corallo. Per tutta risposta, le lancio uno sguardo di sfida.
Le serviranno molto più di due spintoni per mettermi fuori gioco.

La bachata inizia, e va tutto bene, per un po’. Almeno finché Corallina non trova il coraggio di provare a farmi sbagliare di nuovo, mettendo un piede in mezzo al momento giusto.
Ma anche se ormai vedo il pavimento sotto di me, Jake mantiene la sua promessa e mi impedisce di cadere, riportandomi a ritmo di musica in un secondo.
Vedo il suo sguardo rabbuiarsi e i suoi occhi assumono il colore delle tempeste. Fa quasi paura. Fossi in Corallina, lascerei stare.
Quando capisco che ci stiamo avvicinando a loro, sibilo:
«Non abbassiamoci al loro livello». Jake mi guarda: si vede che non è contento, ma lascia perdere e continuiamo a ballare.
Non ritentano, per fortuna, di farci sbagliare.
Alla pausa seguente, devo trattenere Jake per una manica per impedirgli di andare a dirgliene quattro.
«Dai, lascia perdere!»
«Quella stronza… che cosa meschina…» dice, a denti stretti.
Sono preoccupata: anche se infastidiscono me, stanno facendo infuriare lui e Jake è esattamente il tipo di persona in grado di fare cavolate quando è meno opportuno. C’è il rischio che reagisca e che ci squalifichino per direttissima, dubito che ci crederanno se dicessimo loro che Corallina e l’altro tipo hanno iniziato per primi. E io non ho faticato due mesi, sacrificando tempo e dignità, per farmi squalificare a metà gara, non esiste proprio!
Jake mi guarda imbronciato e furioso. Cerco di sorridere.
«Lasciali perdere». La sua espressione si addolcisce un po’.
Quando la pausa finisce, succede una cosa strana. Mi sento strattonare indietro e, appena riesco a liberarmi, il mio chignon non esiste più – solo la mia matassa di capelli rossi sciolti. Qualcuno mi ha sciolto i capelli.
Guardo le ragazze intorno a me: anche quelle che prima avevano i capelli sciolti durante la pausa li hanno legati. Rabbrividisco. Il merengue è un ballo veloce e i capelli sciolti svolazzano da tutte le parti: come farò a vedere quello che faccio se verrò costantemente accecata dai miei stessi capelli?
Non c’è più tempo di legarli, ormai, perché la musica parte, impietosa.
Jake mi lancia un’occhiata di sbieco mentre iniziamo. Anche lui ha capito il pericolo: se non vediamo dove andiamo e urtiamo qualcuno, i giudici potrebbero pensare che lo facciamo apposta.
So perfettamente chi può essere stato a fare una cosa del genere. Corallina. Che razza di strega!
Per di più, il merengue è il ballo che mi spaventa di più: è quello in cui me la cavo peggio, perché non mi va di stare così appiccicata a Jake e quindi sono rigidissima.
Tuttavia, la voglia di far vedere a quella strega che il suo stupido trucchetto non ha funzionato è più forte dell’imbarazzo: accecata dalla rabbia, cerco di non pensare ad altro che a ballare nel modo più sciolto che conosco.
Eppure, a quanto pare, non basta.

Sento una botta alla schiena che mi fa perdere l’equilibrio, e un tonfo dietro di me. La musica si ferma.
Mi giro, e vedo Corallina a terra con un’espressione sofferente.
Ci metto un attimo a fare due più due.
«Che succede qui?» chiede subito Farfallino a Pois.
Corallina mi precede.
«È stata lei a farmi cadere! Si è sciolta i capelli apposta, per bloccarmi la vista e urtarmi indisturbata così da farmi cadere e impedirmi di finire la gara!» piagnucola.
Sono talmente indignata da quelle false accuse che mi trattengo a stento dal prenderla a schiaffi.
«È vero?» chiede il giudice O’Connor, scrutandoci con occhi indagatori.
«Certo che no! Non farei mai una cosa del genere!» esclamo.
«Perché hai i capelli sciolti, allora?».
Posso accusarla di avermi sciolto lo chignon alla fine della pausa se non sono sicura che sia stata lei?
«La signorina dovrebbe saperlo meglio di tutti. Non è vero, dolcezza?» dice inaspettatamente Jake, glaciale, rivolto a Corallina.
Lei arrossisce di rabbia e imbarazzo, incapace di replicare.
«Temo di non capire» dice il giudice O’Connor.
«Semplice. La signorina e il suo partner cercano di rovinarci la gara da quando è iniziata; vedendo che ci siamo ripresi, hanno deciso di ricorrere a misure più drastiche».
Jake si piega sulle ginocchia per portare il viso all’altezza di lei, ancora a terra per quella farsa.
«Lo sai che la diffamazione è un reato?» le chiede Jake, spietato.
Corallina si trattiene per qualche secondo, poi scoppia a piangere e scappa via, alzandosi velocemente.
«Be’, la questione era dubbia, ma la fuga è la più efficace ammissione di colpevolezza» conclude O’Connor.
Poi il suo sguardo si rivolge al partner di Corallina e diventa freddo come il ghiaccio.
«Dovreste vergognarvi. Siete squalificati». Il ragazzo abbassa la testa, rosso fino alle orecchie, e corre via nella direzione in cui era sparita la ragazza. La coppia numero 2 non è più in gara.

I giudici decidono di ricominciare da capo il merengue. Nel minuto prima che parta la musica noto il mio fermaglio per capelli a terra, fuori dalla pista: corro a prenderlo e mi lego di nuovo i capelli, sollevata.
Ricomincia il ballo, ma mi sento molto più a mio agio, sapendo che quella strega è fuori e non può più disturbarci.
Non ho mai ballato un merengue più rilassato di questo. La presa di Jake sulla mia vita è calda, forte e rassicurante: ho avuto la prova che lui ci tiene davvero a me, non mi lascerà mai cadere. Così tiro fuori quello che avrei dovuto dire tanto tempo fa.
«Ti devo parlare»
«Ti pare il momento?!»
«Mi hai evitato per due settimane, te la sei cercata» ribatto, leggermente risentita. Sì, forse parlarne ora è inopportuno, ma sento di doverlo fare.
«Mi dispiace di averti evitata ma te l’ho detto, dovevo pensare. Non possiamo parlare dopo?»
«Va bene. Volevo solo dirti che mi dispiace» dico alla fine. Jake rimane stupito per un attimo, poi sorride, mentre continuiamo a ballare.

Quando il merengue finisce, tiro un sospiro di sollievo. È stato il più facile e allo stesso tempo il più difficile della mia vita. Ho finalmente avuto il coraggio di dire quelle due paroline che da tanto tempo, forse troppo, mi tenevo dentro.
Vorrei parlare subito con Jake e dirgli tutto quello che devo, ma Ludvig viene verso di noi con un sorriso a trentadue denti.
«Ottimo lavoro! Alla fine quella strega ha avuto quello che si meritava» approva.
«Pronta per il tango?» mi chiede e io annuisco. Poi penso che devo andare a cambiarmi.
«No, in realtà no… devo cambiarmi» esclamo e corro via, verso i camerini.

Riemergo da lì quando la coppia numero 1 è già in pista. Noi siamo i settimi, ora che i secondi sono stati squalificati.
Guardiamo le performances degli altri tutti e tre insieme. Dopo un po’ ci raggiunge anche la Costance, complimentandosi con noi per tutto il resto e incoraggiandoci in ogni modo per affrontare questo stramaledetto tango.
«Qualsiasi cosa succeda, continuate a ballare, se non ricordate qualcosa inventate i passi, l’importante è che non vi fermiate per nessun motivo. L’indecisione è penalizzata quanto l’incapacità» ci avverte.
Finora le colonne sonore sono state le più famose: Piazzolla, Veronica Verdier… a quanto pare nessuno ha pensato al Tango de Roxanne a parte noi.
Comincio a sentire un po’ d’ansia, perché mi rendo conto della bravura delle altre coppie in gara. In particolare i numero 5 sono bravissimi, sembrano professionisti, e infatti la giuria assegna loro un punteggio alto.
Ma non devo scoraggiarmi. L’importante è partecipare, dimostrare a me stessa che anche io posso fare qualcosa di buono.
Quando tocca effettivamente a noi, però, sono così agitata da sentirmi male: temo che vomiterò nel bel mezzo della pista da ballo.
Il nostro tango inizia con me e Ludvig; Jake si aggiunge dopo, quando finisce la parte strumentale e inizia la canzone.
Non so perché, oggi sono più consapevole che mai del fatto che sto ballando. Anziché smettere di pensare, come Ludvig mi consiglia sempre di fare, non riesco a fare a meno di pensarci di continuo.
Perché mi sento così agitata?
Non riesco a trovare una risposta, per quanto ci provi. L’unica cosa che sono in grado di fare è dimenticare un passo.
Non ricordo più che passo devo fare. Cos’era? Raggelata, cerco lo sguardo di Ludvig, ma lui è tranquillo: semplicemente, mi spinge a lasciarmi guidare da lui ed è esattamente ciò che faccio. Inventiamo un pezzo di coreografia, sperando che non lo noti nessuno, e, alla fine della parte strumentale, Ludvig mi fa fare un perfetto casquè. Con la differenza che avvicina il suo volto al mio e mi bacia, proprio quando l’argentino narcolettico del film urla “Roxanne” ed inizia il testo, cioè entra in scena Jake.
Sono decisamente scioccata da questa mossa. Perché l’ha fatto? Vuole farmi prendere un infarto prima che finisca la gara?
Da lì in poi non facciamo cambi improvvisi, ma Jake ha un’espressione di fuoco, come se volesse pestare Ludvig a sangue.
Continua il nostro ballo e per una volta mi sento davvero un po’ come Satine del film. Perché Ludvig e Jake si stanno affrontando qui ed ora, su questa pista, ma la parte razionale della mia mente insiste a dire che è tutta scena.
Quando finisce, sono sollevata ma anche un po’ rattristata: tutto quel lavoro per quattro minuti e mezzo. È quasi un insulto.
Il punteggio che ci danno i giudici non è altissimo, ma neanche così basso come immaginavo. Tuttavia, qualcuno protesta.
«Perché erano in tre? Si parla di coppia, non di trio! Non c’era scritto da nessuna parte che si poteva fare!» a protestare sono alcune coppie, ma il giudice O’Connor le azzittisce in un attimo.
«Da nessuna parte c’era scritto che non si potesse fare». Un senso di trionfo mi allarga il cuore.
Guardiamo le ultime coppie rimaste senza parlare.

Ovviamente, non vinciamo. Però abbiamo ottenuto uno dei punteggi migliori: la Costance non può che ritenersi soddisfatta.
Alla fine di tutto, dopo che ci danno anche la targa di partecipazione, scorgo i miei genitori, ma una voce mi costringe a girarmi dall’altra parte della sala.
«Qui, Alex! Siamo qui!» Momo, con Sean accanto, mi saluta. Vicino a loro noto sedute due persone che meno mi aspettavo di vedere qui: Imogen e Robert!
«Sei stata bravissima!» mi abbraccia la mia migliore amica, ma anche Imogen mi fa i complimenti e, controvoglia, pure Robert mormora un “bel lavoro”.
Chiacchiero con loro per un po’, poi decido di andare dai miei genitori.
Mentre mi avvio in quella direzione, con la coda dell’occhio noto l’altra ragazza che, prima della gara, aveva commentato insieme a Corallina.
La sorpasso sdegnosa. Chi è amico di persone come quelle non ha alcun diritto di giudicare gli altri.
Tuttavia…
Perché quel commento mi brucia così tanto? Sbatto le palpebre un paio di volte per scacciare indietro un pianto imminente. Sono stufa di piangere.
Jake, che sta parlando con sua madre, mi nota e si avvicina a me, ma appena si accorge della ragazza si rabbuia, rivolgendomi uno sguardo preoccupato.
Si china verso di me.
«Sappi che sei bellissima» sussurra al mio orecchio, mentre io arrossisco. Sapeva di quello che avevano detto? Le aveva sentite anche lui? È per questo che mi ha abbracciata, prima?
Di nuovo quella stupida, irrazionale felicità.

Dopo un po’ che chiacchieriamo, anche Ludvig ci raggiunge. Subito il sorriso sparisce dalla faccia di Jake.
«TU!» inveisce, con gli occhi che mandano lampi pericolosi.
«Come hai osato baciarla?!» chiede, e sento che la tempesta si avvicina… oltre ai pezzi del puzzle che tornano al loro posto.
Quel casquè era per indispettire Jake? Perché mai?
Di nuovo la buffa sensazione di assistere ad una sfida di cui io sono il premio. Non ho intenzione di essere il premio di nessuno!
Li separo prima che arrivino alle mani.
«State calmi, CALMATEVI!» urlo, per farmi sentire sopra le loro accuse concitate.
«Lasciate stare, okay? Smettetela di litigare, per favore».  Tuttavia, le mie parole non vengono esattamente prese in considerazione: si guardano in cagnesco, anche se non sono del tutto sicura che si siano calmati.
Li trascino fuori dalla Hall, incavolata nera. Andava tutto bene e in un attimo si è guastato tutto.
«Insomma, che vi prende? La volete piantare?!» sbotto, non appena usciamo da lì. Per fortuna la maggior parte della gente è ancora dentro, così nessuno assisterà a questa sfuriata.
Eppure non sembra che mi stiano ascoltando: si accusano di cose che non conosco.
«Ti avevo detto di non farlo, Ohlsson!» ringhia Jake.
«Come se mi importasse di quello che dici tu! Se per te è così importante, potevi pensarci due volte prima di ferirla» lo sfida Ludvig. È la prima volta che lo vedo arrabbiato.
«Questi non sono affari tuoi! Mi pento tutti i giorni di quello che è successo, ma questo non ti dà il diritto di farti beffe di me!»
«E tu non hai il diritto di impedirmi di provarci con una ragazza che mi piace!»
«BASTA!» esclamo, ma non serve a evitare quello che accade dopo. Senza che me ne renda neanche conto, Jake colpisce Ludvig con un pugno sul viso, ma la sua reazione non si fa attendere, visto che gli molla un cazzotto anche lui.
Ci metto un attimo a riprendermi abbastanza da poter parlare.
«MA SIETE SCEMI O COSA?!» esclamo, mettendomi in mezzo e sperando che si astengano dal picchiarsi.
Li guardo in faccia, prima l’uno e poi l’altro. Jake perde sangue dal naso; il labbro di Ludvig è spaccato e sanguinante.
«Non ho parole» dico, cercando di esprimere tutto il mio disgusto per quella rissa ingiustificata. Sembra funzionare perché entrambi abbassano lo sguardo, colpevoli.
Detto questo, giro i tacchi e me ne vado.
 
 

 


***
Angolo autrice
Ed eccomi di nuovo qui, un po’ più tardi di quanto speravo, ma alla fine ce l’ho fatta. È stato davvero difficile scrivere questo capitolo, specialmente con la consapevolezza che è il penultimo. Proprio così, il prossimo capitolo sarà l’ultimo di questa storia che finalmente trova una conclusione.
A proposito, giusto per informazione: “Schizophrenic playboys”, da cui prende spunto il titolo del capitolo, è una canzone dei The Cranberries. Il testo, in realtà, non c’entra niente con la mia storia, ma per Jake mi pareva più che appropriato.
Scusate l’assenza dell’extra, ma credo che non ce ne sia bisogno…
La gara è finalmente finita, ma è finita anche quella tra Jake e Ludvig? Lo scoprirete nell’ultimo capitolo!
Come al solito ringrazio tutti coloro che seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono. Sono davvero felice che abbiate continuato a seguirmi e mai perso le speranze, nonostante alcuni lunghi mesi di assenza!
Alla prossima!
Heart

 
  
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