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Autore: MissBethCriss    04/08/2015    0 recensioni
In questa vita di cicatrici e amore, una domanda sarà posta a chi saprà ricordare. E un fiore riuscirà a sbocciare nei cuori di chi saprà amare; è come un'onda il suo odore, vi inonderà con ardente passione. E chi saprà amare, ad occhi chiusi, si fiderà dell'altro, e amerà senza riserve. Poiché quando il sole sarà tramontato, al buio, vi rimarranno solo dei ricordi sulla linea del tempo.
▻ Day One: Post Glee
▻ Day Two: Book AU
▻ Day Three: NYU! Seblaine
▻ Day Four: Hogwarts
▻ Day Five: Free Day
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Beth's Corner: Buon terzo giorno della SW! Cosa succede quando unisci la tua canzone-ossessione-del-momento con il tuo telefilm-ossession-del-momento? Questo succede. Per chi non conosce Sense8 consiglio di andare su serietvsubita e far ammenda a questa mancanza, merita, fidatevi. Tranquilli, salvo due minuscole citazioni, non ci sono spoiler, non ho usato i personaggi del telefilm, ma ho preso in prestito solo il loro cervello dai lobi uniti. Grazie a Betta l'Omonima per betaggio e per farti carico anche della pubblicazione.

Questa storia partecipa alla Seblaine Week 2015
Day Three: NYU! Seblaine

Ricordi sulla linea del tempo

Ad occhi chiusi

Se c’era un suono che Sebastian Smythe, studente di legge della rinomata università parigina Sorbonne, odiava, era quello della sveglia alle sei di mattina di lunedì, nel pieno della sessione d’esame. Erano mesi che passava ogni ora del giorno sui libri e ogni ora della notte fra i bar, a sbronzarsi e a cercare una distrazione che lo prelevasse dal mondo reale per condurlo nella via della perdizione. O almeno questa era la sua solita routine fino a qualche settimana fa, finché cui incontrò una persona che gli scombussolò tutta la routine, rendendo quelle uscite prive del loro solito interesse.
Quando la sveglia lo disturbò per la seconda volta, finalmente decise che era ora di alzarsi. Si stiracchiò le braccia, pigro, senza la benché minima voglia di affrontare un’altra giornata di studio, e si avviò con passo strisciante verso la cucina. Sbadigliando, prese il pentolino del latte e accese i fornelli, dopo averci messo abbastanza latte per due persone. Poi aspettò. Mentre attendeva, cominciò a preparare anche il caffè; erano gesti ormai così automatici che era convinto che se Defne, la sua coinquilina, avesse deciso un giorno di scambiare la bottiglia di latte con una di vino, lui non se ne sarebbe accorto e l’avrebbe usata lo stesso.
Una volta soddisfatto, Sebastian andò a prendere la sua amata bottiglia di Courvoisier e si mise a sedere su uno degli sgabelli laccati di vernice rossa scelti dalla sua compagna di disavventure, che in quel momento era intenta a cantare sotto la doccia una delle canzoni di Zaz. E se c’era una cosa che odiava quanto il suono della sveglia alle sei di mattina, questa era quella cantante che Defne adorava. Quando si sedette, rimpianse il fatto di non aver acceso la radio o la televisione per coprirla. Ormai era troppo tardi, erano troppo lontane dalla sua portata, si sarebbe limitato ad imprecare sottovoce e ad augurare cose poco belle a Zaz.
Prima che il caffè fosse pronto, una nuvola dal profumo dolciastro dei frutti di bosco lo investì, annunciando l’entrata nel cucinino della briosa Defne Galliard, un metro e sessanta di allegria e lentiggini.
Bonjour! — lo salutò con tono allegro, andandogli a scompigliare i capelli con una mano, per poi lasciargli un bacio sulla nuca. Sebastian rispose con un brontolio indistinto. Dopo tre anni che condividevano il piccolo appartamento e diciotto anni di amicizia, Sebastian ancora si meravigliava di come la ragazza riuscisse ad avere tutta quella vitalità, anche alle sei e mezza.
Il ragazzo stava usando la bottiglia liquore come cuscino, e vedendo quella scena il sorriso di Defne si allargò. Non gli disse nulla, però, perché sapeva che l’amico aveva la lingua più tagliente della più affilata spada esistente, e di mattina presto era ancora più fastidioso. Con un’alzata di spalle andò a prendere le tazze e due piattini in cui depose i croissant ancora caldi che era andata a prendere dal forno che avevano davanti casa. Li mise con cura sul tavolo e versò poco caffè e tanto latte nella sua tazza e l’inverso in quella di Sebastian, che alzò la testa dal tavolo solo quando l’odore del caffè gli solleticò il naso.
— Come mai mi hai preso tre cornetti al cioccolato? Ti sei messa d’accordo con mia nonna, per caso? Quando la senti, tranquillizzala, io mangio.
Defne rise e si sistemò in uno chignon improvvisato, fermato con una matita, i fini capelli biondi che brillavano come oro bianco liquido. — Bas — cominciò la ragazza, — non c’entra nulla tua nonna. Sai, è dalla bellezza di ventotto giorni - li ho contati - che quando apro la porta della mia camera non vedo un ragazzo, seminudo e con i muscoli anche sulla cartilagine delle orecchie, che con un sorriso imbarazzato mi saluta mentre sgattaiola via il più veloce possibile. Mi sto cominciando a preoccupare, sai? E il cioccolato stimola la produzione della serotonina, il neurotrasmettitore che viene chiamato anche “ormone della felicità” — citò una definizione letta su una delle riviste mediche che piacevano tanto a lei. — È il mio dovere, da brava coinquilina, quello di tirarti su se i tuoi amici non riescono più a tirarti su il gingillo. — gli disse, mentre addentava il suo cornetto alla crema. I suoi occhi blu lo fissavano da dietro le lenti spesse degli occhiali, in attesa che l’amico parlasse.
— Sei assurda. Ai tuoi pazienti consiglierai il cioccolato al posto del viagra? — le chiese, mentre versava una generosa quantità di caffè nella propria tazza.
— Idiota. Il cioccolato stimola un ormone, non ho detto “rilassa la muscolatura liscia dei corpi cavernosi” del tuo amico laggiù, o sbaglio?
— Io non voglio sapere come mai conosci queste cose -, disse, mentre spezzettava il cornetto con le mani per poi mangiarlo. — E comunque pensavo fossi felice del mio cambio di stile di vita, viste le volte in cui ti sei lamentata di non poter andare in bagno tranquilla la mattina presto.
— Un Sebastian Smythe che non fa sesso per ventotto giorni non è il Sebastian Smythe che conosco io, col quale mi facevo il bagno insieme e con cui passavo i pomeriggi a giocare nella soffitta a casa dei nonni. Quindi, se permetti, mi preoccupo. Non ti piacciono più gli uomini e non sai come dirlo? Ti presento una delle mie amiche, darebbero il proprio rene destro pur di portarti a letto — gli disse senza respirare brandendo il cornetto come se fosse la bacchetta di un direttore d’orchestra.
— Che schifo, no. Puoi dire alle tue amiche che con sommo rammarico, per loro, i miei gusti non sono cambiati, nemmeno di una virgola. Grazie per l’interessamento.
— E allora cos’è? Ti sei fatto tutti i ragazzi parigini?
— Defne, piantala — le disse brusco da sopra della tazza, per poi bere un po’ del contenuto.
Con fare pensieroso, la ragazza si portò le ginocchia al petto e ci appoggiò il mento. Un lampo attraversò i suoi occhi, facendo temere il peggio al ragazzo che le era seduto di fronte, e scoppiò in una sonora risata.
— Non ci posso credere — disse fra una risata e un’altra. — Ti sei innamorato! —esclamò, ridendo così tanto che la matita scivolò dai capelli, cadendo per terra.
— No, non è vero! —replicò troppo velocemente Sebastian, con l’unico effetto di confermare la sentenza dell’amica. — Ma non stai facendo tardi? À la place du Tertre aspettano solo te!
— Che vadano al diavolo i turisti! — disse lei, eccitata. — Non pensavo che sarei vissuta abbastanza a lungo da vedere un esemplare di Sebastian Marc Alexandre Smythe innamorato — disse lei, battendo le piccole mani sulle cosce.
— Vacci tu al diavolo, Galliard. E poi devo studiare, non ho tempo da perdere io.
— Anch’io dovrei studiare.
— Tu non hai il nome degli Smythe da portare avanti — disse con finto tono melodrammatico il ragazzo, che guardando l’amica scoppiò a ridere.
Defne si sistemò gli occhiali, arricciando la punta del suo naso delicato alla francese. — Mi sento offesa — gli confidò, — terribilmente offesa. È da dodici anni che provo a far ragionare quella tua testa pervertita, poi arriva un tipo a caso e questo ti prende per le pal- per le orecchie — si corresse — e nel giro di due settimane ti riporta sulla retta via. Per portati alla monogamia deve avere una bocca capace di far miracoli.
La bellezza di Defne, secondo Sebastian (oltre a quella fisica), era anche la sua capacità di trasmettere i suoi pensieri in modo assurdamente trasparente, e di capire le persone come se fossero dei libri aperti. Sebastian si fidava di lei come se fosse sua sorella, ed era geloso di lei come lo sarebbe potuto essere un fratello maggiore, benché avessero la stessa età. Quando, però, si trattava di parlare della sua vita privata, la capacità dell’amica di capire i suoi pensieri prima che lui stesso li realizzasse lo faceva innervosire un bel po’.
— Lui, beh, lui… — cominciò l’altro, balbettando. Ma non sapendo come continuare la frase preferì riempirsi la bocca con il cornetto.
— Sebastian, sono Defne, ricordi? Dopo un mese di convivenza con te non mi sorprende più nulla, ti sei portato a letto gente che urlava così forte che mi sorprende che nessun vicino abbia mai chiamato la polizia.
Sebastian farfugliò qualcosa, con la bocca talmente piena che la ragazza non capì nulla. — Puoi ripetere? — gli chiese.
— Non so come sia la sua bocca — buttò fuori tutto a un fiato, come se stesse strappando un cerotto: rapido e indolore. Defne aprì la bocca, incredula.
— Mi stai dicendo che questo qua ti ha messo il cappio della monogamia, come lo chiami tu, con un nonnulla? No, okay, lo voglio conoscere.
— Defne — disse il suo nome con fare lamentoso.
— Okay, okay — fece lei alzando le mani al cielo. — Non sia mai che vi lasciate per colpa mia e della mia insistenza. Come vi siete conosciuti?
— Fra le strade affollate dell’Opéra, direzione Louvre.
Non le stava mentendo. Erano agli inizi della sua trasformazione e delle forti emicranie, e lui gli era semplicemente apparso davanti, con la medesima espressione spaesata. I loro occhi si riconobbero subito e si sorrisero: entrambi sentivano di conoscersi, anche se non si erano mai visti. In quel periodo Sebastian ancora non sapeva cosa significasse essere un sensate, e ancora oggi faceva fatica a comprenderne il significato più profondo. In realtà si sarebbe potuto dire che i due si fossero incontrati anche all’incrocio tra Broadway e Waverly Place, Manhattan, New York, ma questa era un’altra storia, che Defne ancora non era pronta ad ascoltare.
— Anche lui è un artista, come me? — gli chiese, con gli occhi che brillavano come un mare colpito dai raggi del sole.
— Non proprio, è un attore.
— E si può sapere il nome di questo attore?
— Blaine Anderson.
 
Sebastian si stava lavando i denti, ripetendo come un mantra le leggi che non riusciva a ricordare, quando lo sentì. Inizialmente era solo una flebile eco che iniziava a riaffiorare come un ricordo lontano, poi la voce diventò sempre più forte, finché non la riconobbe e si aprì in un sorriso.
Il moro apparve con la sua chitarra in mano dal nulla, seduto sul water con gli occhi ambrati socchiusi, non rendendosi conto di essere lì.
— And I see love, I see love when I close my eyes — cantava. Sebastian non conosceva la canzone, ma subito gli venne in mente il nome del cantante, Passenger: lui non lo conosceva, ma l’altro sì, e questo gli permetteva di sapere di chi fosse la canzone. — And I feel love in spite of myself. And I feel love to frighten myself. And I feel love and I feel nothing else. Vultur- — il ragazzo si fermò, aprendo gli occhi di colpo; subito, due gioielli ambrati si rifletterono sullo specchio vicino a quelli di Sebastian. Il francese gli sorrise e il nuovo arrivato lo ricambiò con il timido sorriso di chi era appena stato derubato di pensieri che voleva tenere per se stesso.
Sebastian lo salutò.
Blaine — ricambiò l’altro, dopo aver sputato il dentifricio ed essersi sciacquato la bocca. Poi si girò, appoggiandosi al lavabo. — Non sapevo che cantassi… ma che ore sono da te?
L’altro arrossì. — Le due del mattino, circa.
In un batter di ciglia Sebastian non si trovava più nel suo appartamento a Parigi, bensì in un minuscolo locale nel cuore di Manhattan: casa di Blaine. Il ragazzo si trovava seduto sul suo divano, circondato da spartiti, copioni, scatole di cibo cinese e lattine di bibite che Sebastian non aveva mai provato, ma di cui conosceva di riflesso il sapore dolciastro.
—Mi dispiace per il disastro — si scusò l’altro, mentre cercava di dare una riordinata approssimativa, dopo aver appoggiato la sua chitarra contro il muro.
— Cosa ti tiene sveglio fino alle due a suonare? — gli chiese Sebastian, mentre si sedeva stando attento a non stropicciare gli spartiti che sembravano regnare sovrani nella stanza.
— Non ho nulla da offrirti… — borbottò l’altro sovrappensiero, non avendo sentito la domanda dell’altro. Quando lo vide sorridere, però, si fermò un attimo, permettendo al ragazzo francese di riformulare la domanda. — Non mi devi offrire nulla, sai che non sono qui veramente. Però posso sentire sulla lingua il sapore di quello che bevi tu, e credo che sia lo stesso motivo per cui riesci a capirmi quando parlo in francese, benché tu non sappia dire altro che “croissant”. Ma cosa ti tiene sveglio fino a quest’ora? Quelli della Tisch ti fanno fare le ore piccole?
L’altro sorrise imbarazzato e prese un respiro profondo, riprendendo in mano la chitarra per tranquillizzarsi, come se fosse uno scudo. — No, cioè sì, ci fanno lavorare da morire, e specialmente quando sei il protagonista di un’opera il tempo per strimpellare è sempre poco.
— Mi piacerebbe vederti sul palcoscenico, se sai recitare come strimpelli devi proprio lasciare il pubblico senza fiato — gli disse. Era strabiliante il fatto che la solita arroganza che si sentiva nella sua voce semplicemente sparisse quando parlava con Blaine; era come se riuscisse ad essere se stesso, senza riserve, solo in compagnia del riccio.
— Se mai verrai a New York, ti terrò il posto in prima fila — gli sorrise.
Gli fece l’occhiolino. — Prima mi stavi pensando — disse. Non era una domanda, era una consapevolezza sbiadita, come se non fosse una propria certezza, ma appartenesse a Blaine, che si limitò ad annuire.
— Amarsi all’interno della propria cerchia è considerato un amore narcisista. Sei come otto entità tutte collegate, come facce di uno stesso dado; ti parlo da narcisista patentato — Sebastian non credeva all’amore, benché l’altro in poco tempo stesse demolendo ogni sua certezza, cominciando dalla credenza del colpo di fulmine.
— Ma è anche considerato come la forma più pura di amare, perché non hai barriere o altro — disse semplicemente, con quello sguardo che brillava al buio che tanto amava.
— Sei un incorreggibile romantico, Anderson.
— E tu forse un po’ troppo cinico, Smythe.
Touché.
— Ma nulla di irrimediabile.
Mentre parlavano, i due si erano avvicinati, pian piano, come due poli apposti che si attraggono, tanto che i loro corpi si toccavano. Ben presto, la mano di Blaine si andò a legare a quella dell’altro, molto stupito di quel contatto.
— E quindi tu vedi l’amore quando chiudi gli occhi e pensi a me — cominciò il francese, posando una mano a coppa sulla guancia dell’altro. Blaine si avvicinò ancora di più, chiudendo gli occhi. — E ami, malgrado chi sei. Ami benché ciò ti spaventi, ma non riesci a sentire altro fuorché l’amore — e lo baciò.
— Allora ama me, perché ti amo per come sei: essere sensate ci permette di conoscere cose che l’altro ignora di se stesso — gli sussurrò all’orecchio destro quando si staccò dalle labbra, per poi baciarlo un’altra volta. — E ama me, perché non andrò da nessuna parte, e anche se mi trovassi dall’altra parte del mondo sapresti dove trovarmi.
Sebastian ad un certo punto non sentì più il caldo divano contro la schiena, ma il freddo del lavandino che gli premeva contro le gambe nude.
— Amo te perché non posso far altro che amarti — sussurrò a sua volta Blaine.
— Adesso ti porterei in camera mia, ma con Defne in giro sarebbe molto interessante spiegargli perché bacio l’aria, non credi?
Blaine rise, staccandosi definitivamente dalle labbra dell’altro, ma non allontanandosi da lui.
— I vantaggi del vivere da solo.
— Vai a dormire, ora — gli disse Sebastian, giocando con i ricci alla base del collo. — A nessun professore piace avere alunni-zombie a lezione, anche se hanno il tuo corpo —sussurrò, con una punta di malizia nella voce.
— Non mi va di andare a dormire — si lamentò Blaine.
— Io devo andare a lezione, quindi tu riposati. Ti verrò a disturbare più tardi, promesso.
— Affare fatto — e poi si ritrovarono seduti sul divano di Blaine.
— Scrivimi quando sei da solo — gli soffiò a fil di labbra prima di baciarlo, per poi sparire con in bocca il sapore dell’altro, che sembrava ormai solo un vago ricordo.
 
— Blaine Anderson? Mi piace.
Sebastian le sorrise, ripensando al loro primo bacio e a quelli successivi che si erano dati qualche ora più tardi nel bagno della biblioteca Bobst, una delle più grandi biblioteche accademiche della NYU. Aveva spaventato Blaine, apparendogli vicino mentre era con la testa da tutt’altra parte, impegnato com’era nella ricerca di un tomo che gli serviva per un esame. Avevano anche parlato davanti ad una tazza fumante di caffè (di Blaine), mentre il riccio usava le cuffiette come auricolari, per parlare con l’altro senza sembrare un pazzo che parlava da solo.
A un certo punto, Sebastian fu riportato alla realtà dal suono del campanello. Defne si precipitò ad aprire, mentre lui si sporgeva per vedere chi fosse. Quando la porta si aprì e intravide quegli stessi ricci che popolavano i suoi ricordi, a stento riuscì a credere a ciò che i suoi occhi gli mostravano per la prima volta in carne ed ossa.
Defne parlò con la sua solita parlantina veloce e il ragazzo alla porta la guardava con occhi smarriti perché non capiva una parola di quello che stesse dicendo. Quando fu il suo turno per parlare, il nuovo arrivato disse le uniche parole in francese che conosceva, e cioè il suo nome - Blaine Anderson-, e il fatto che stesse cercando Sebastian Smythe. Prima ancora di rispondere, Defne si girò verso l’amico e lanciò un urletto eccitato, e Sebastian guardandola scoppiò a ridere e andò loro incontro. Defne saltò al collo di Blaine come se lo conoscesse da anni e continuò a parlare, ma il moro poté soltanto annuire e ridere.
Sebastian, con fare sbrigativo, le disse che lui non capiva il francese, mentre Blaine si trovò a bocca aperta: era la prima volta che lo sentiva parlare nella sua lingua madre dal vivo, trovandola ancora più bella di quanto si ricordasse. Defne si scusò, e radunò velocemente la sua roba per uscire e lasciargli casa libera.
Quando la ragazza si fu chiusa la porta alle spalle, i due colmarono la distanza fra i loro due corpi, che finalmente non equivaleva più a un oceano, ma a un bacio. Finalmente ne assaporarono il sapore nella sua pienezza, perché per la prima volta erano lì, uno di fronte all’altro, e la sbiaditezza del ricordo era sostituita dalla concretezza del loro amore.
Blaine trovò rifugio tra le braccia di Sebastian che lo avvolgevano, ed entrambi ispirarono l’odore dell’altro e si strinsero forte per verificare se stessero ancora sognando.
— Sei un pazzo — gli disse mentre lo baciava. — Sei pazzo — ripeteva mentre gli faceva fare un giro su se stesso.
— Non ce la facevo più a starti lontano — si giustificò Blaine. —  Dopo aver dato l’ultimo esame ho fatto la pazzia di prenotare il primo volo per Parigi. Ho impiegato un’ora buona per trovarti, non sono riuscito a trovare una persona che parlasse inglese! — disse falsamente scandalizzato, facendolo ridere. — Sono distrutto, ma ne è valsa la pena.
L’altro sorrise e lo baciò. — Com’è andato il viaggio? Se vuoi riposarti un po’ prima che ti mostri la città, fai pure.
— No, non voglio riposarmi. Mi sento più vivo che mai, ma ucciderei per farmi una doccia.
— Vuoi compagnia? —  gli chiese Sebastian con gli occhi scuriti dalla bramosia di averlo, finalmente, dopo giorni di desiderio mai pienamente appagato.
— Molto volentieri — rispose l’altro, con il desiderio quasi palpabile nel tono della voce.
Bienvenue à Paris, mom amour — gli disse il francese, per poi trascinarlo in bagno senza smettere di baciarsi.
 
 
Betta’s Corner: Ciao! Sono sempre io, Betta (l’altra). Vi dirò, diverse persone mi hanno minacciato per farmi iniziare Sense8, e ad essere sincera dopo aver betato questa os mi sta venendo un po’ di voglia. Buh, chissà. Cooomunque, spero abbiate apprezzato anche questa NYU!Seblaine, ci leggiamo domani!

 

   
 
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