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Autore: Porsche    05/08/2015    2 recensioni
"Ok, ti dirò quello che ho capito di te dopo la discussione con tua madre. Ma se ci azzecco, allora devi essere sincera e dirmelo, d'accordo?".
Feci cenno di si con la testa, curiosa di sapere che cosa avrebbe detto riguardo la sottoscritta.
"Ho capito che sei una persona introversa, che difende il suo mondo interiore attraverso una corazza. Che preferisce restare nell'ombra, invisibile agli occhi degli altri, come se fossi soltanto anima e non corpo. Che non ha dei sogni nel cassetto per cui impiegare tutte le proprie forze, ma che si lascia trasportare dalla vita, come se non le appartenesse... E credo... di aver intravisto una ferita di molti anni fa che la corazza non è riuscita a rimarginare, ma che è ancora lì, ad attendere di essere guarita".
Non mi girai a guardarlo nemmeno una volta.
Ero stata sconfitta e ciò era umiliante.
Ma quello che volevo nascondere erano le lacrime che continuavano a scendere senza che niente e nessuno potesse fermarle.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dietro ad un sorriso

Capitolo 4 – Lonely People

Part 1/3

 

 

 

Guidare era da sempre stato per me sia fonte di divertimento sia motivo di pericolo.
Tutto nasceva dal fatto che ero curiosa per natura, mi capitava quindi di distrarmi molte volte durante i miei viaggi.
E la bellezza della California non mi aiutava di certo. Ovunque si girasse lo sguardo c’era qualcosa capace di attirare l’attenzione di chiunque. Potevano essere le magnifiche case che abitavano su quel suolo ma la vera meraviglia risiedeva nella natura: gli alberi erano maestosi e il cielo sembrava limpido anche d’inverno.
In quelle immagini mi ci perdevo anche quando non avrei dovuto farlo, per questo avevo preso l’abitudine di guidare piano, c’erano troppe distrazioni in giro.
Tuttavia, riuscivo sempre ad arrivare puntuale.
Tranne questa volta.
Infatti, quando finalmente intrapresi la via dove risiedeva l’orfanotrofio, da lontano riuscii a scorgere una macchia informe e multicolore posta esattamente dove si trovava il cancello principale.
Sbattei le palpebre, perplessa.
Non avevo la più pallida idea di cosa fosse e di cosa stesse succedendo, ma più mi avvicinavo, più realizzavo che quella macchia era costituita da persone urlanti ed armate di cartelloni e striscioni.
Era disarmante trovarsi quel mare di persone, davvero, tanto che sentivo crescere l’ansia.

Cercai di regolarizzare il respiro.
Purtroppo, avevo già sperimentato che cosa si provasse ad avere un attacco di panico.
La cosa peggiore che si possa fare è abbandonarsi alla paura. La vista comincia ad annebbiarsi, il cuore prende un ritmo martellante e nella testa il vuoto più totale sembra scontrarsi con mille pensieri …
In poche parole, l’attacco di panico è un momento di instabilità allo stato puro.
Come trovarsi a camminare sopra una corda tesa ad un’altezza considerevole da terra. L’unico punto di contatto con la realtà sono i tuoi piedi, ma il vero strumento che non ti permetterà di cadere è la mente. Finché sarà lei ad essere concentrata, i tuoi piedi cammineranno sicuri e decisi anche se si trovassero sui fuochi ardenti.
Eppure, le prime volte cadrai e ti farai male. Ma è inevitabile.
Succederà fino a quando, come avviene con un esercizio di matematica, la tua mente saprà come svolgere tutti i passaggi e finire il compito con il massimo dei voti.
Per arrivare a questo, al controllo di me stessa, mi ero fatta aiutare da esperti, affinché sapessi come affrontare la situazione, nel caso fosse ricapitata.
Ed era ricapitata, in effetti. Più volte.
All’inizio vinceva lei, ma ultimamente ero io ad avere la meglio.
Ma c’è da dire una cosa. Per quanto ci si abitui, ogni volta basta un piccolo cedimento, una debolezza improvvisa, e l’instabilità torna senza darti il minimo scampo.

Accostai ad un lato della strada. Feci dei respiri profondi ed analizzai la situazione.
Innanzitutto non era difficile immaginare il “perché” di quella massa di persone. Piuttosto c’era da capire “chi” avesse spifferato ai quattro venti la presenza di Michael quella sera. E, cosa ancora più importante, come avrei fatto ad entrare?
Aspettai qualche minuto per vedere se si sarebbe un po’ sfollato, ma non successe nulla. Alla fine, chiamai mia madre e grazie all’aiuto della security di Jackson, mi fecero passare per l’entrata secondaria senza particolari problemi.
Quando scesi dalla macchina, dovevo avere una faccia piuttosto pallida, perché mia madre si avvicinò, visibilmente preoccupata.
   << Isabella, tutto bene? >>.
   << Si, tranquilla, sto bene. Ma si può sapere che diavolo è successo? Oggi pomeriggio queste persone non c’erano >>.
   << Non c’erano perché eravamo riusciti a mantenere segreta la visita di Michael. Lo aveva chiesto espressamente lui al telefono, quando prese accordi la prima volta con Claire sul giorno e l’orario della visita, ma qualcuno oggi pomeriggio deve essersi lasciato sfuggire qualcosa. Come vedi basta poco per diffondere una notizia in poco tempo >>.
Era pazzesco che tutto fosse avvenuto in poche ore.
   << Il Signor Jackson si è arrabbiato per questo? >>.
   << Oh no! Anzi, è stato molto comprensivo. Claire era mortificata per l’accaduto ma Michael le ha detto che non c’era bisogno di esserlo. Non ci crederai, ma è stato lui  a scusarsi per aver creato confusione intorno all’orfanotrofio >>.
In effetti, ero parecchio incredula. Primo perché mia madre lo aveva chiamato già due volte Michael, come se fossero amici da una vita; e secondo, se davvero così fosse stato, avrebbe avuto un comportamento davvero umile e comprensivo. Molto più di quello che ci si potrebbe aspettare da una Star.
Presi a camminare in direzione della porta secondaria ma mia madre mi fermò, prendendomi per un braccio.
   << Isabella, riguardo Michael, comportati bene, ti prego >>.
La serietà con la quale lo disse non fermò l’improvvisa fiamma che sentii nello stomaco.
   << Perché diavolo me lo dici? Solo perché non mi piace, non vuol dire che mi metterò a fare l’antipatica come se fossi una ragazzina. Se vedrò cose non di mio gradimento ne farò parola, se sarà il contrario, non ci sarà nulla di cui preoccuparsi >>, risposi, a denti stretti.
   << Lo dico perché ho avuto modo di parlare con lui questo pomeriggio e anche poco fa. Ci ha ringraziato innumerevoli volte per averlo invitato, visto che dopo le accuse mosse a suo discapito, molte persone gli hanno voltato le spalle. Credo che questo sia il primo incontro di solidarietà a cui partecipa dopo esser stato accusato. Per lui è un segno di riconoscenza, un gesto significativo volto ad esprimere che in questa battaglia non è solo. E sinceramente, Isabella, spero che riesca a capire fino in fondo che milioni di persone sono ancora con lui, perché a guardarlo bene, a me sembra essere l’uomo più solo della terra >>.
Non risposi, ci guardammo per pochi secondi negli occhi, sfidandoci l’un l’altra.
Volevo avere la meglio, ma le ultime parole mi ronzavano in testa, incessantemente.
Decisi di dargliela vinta e mi liberai dalla sua presa, rimasta stretta per tutto quel tempo.

Lasciai mia madre fuori e mi incamminai all’interno della struttura.
Mi guardai un attimo intorno notando per la prima volta lo splendido lavoro che avevano fatto Claire e tutti i suoi collaboratori.
C’era rosso ovunque. Festoni rossi che addobbavano l’intero soffitto; striscioni fatti dai bambini con la scritta “Buon Natale”, in rosso; l’albero, posto al centro della stanza era completamente coperto di palline rosse ed oro, ed aveva appesi i biglietti di ogni bambino, scritti accuratamente dai legittimi proprietari affinché anche quell’anno venissero esauditi i loro desideri.
Purtroppo, non succedeva quasi mai.
Se sei un bambino e vivi in un orfanotrofio, l’unica cosa che vuoi è avere una famiglia e la famiglia è un regalo che difficilmente trovi sotto l’albero.
Mi avvicinai ad esso. Le palline riflettevano la luce artificiale della stanza rendendole ancora più lucide, quasi accecanti, ma la mia reale attenzione era concentrata sulle lettere appese ai rami dell’albero. Ne toccai una e pensai che quella di Katy ero stata io stessa a scriverla, riportando esattamente quello che lei mi aveva dettato.
Sorrisi malinconica al ricordo. Quel giorno le chiesi che cosa volesse da Babbo Natale; mi rispose che le sarebbe piaciuto ricevere una mamma, un papà e, se fosse stata abbastanza buona durante l’anno da meritarlo, anche un cane.
Scrissi per filo e per segno le sue parole e pregai per lei che quel regalo le venisse fatto davvero.

Presi a camminare intorno all’albero, facendo scorrere lo sguardo su ogni cosa attirasse la mia attenzione, ma qualcun altro dovette aver avuto la mia stessa idea perché mi ritrovai a sbattere contro qualcosa, o per meglio dire, “qualcuno”.
   << Oddio, scusami! >>, si affrettò ad esclamare una voce sottile ed acuta.
Alzai gli occhi e rimasi di sasso quando vidi chi avevo di fronte.

Lassù qualcuno deve davvero volermi male, pensai, mentre scrutavo il viso del Signor Jackson.
   << Non fa niente. Non è successo nulla >>.
Aspettò la mia risposta con aria preoccupata, come se avesse commesso il peggiore dei crimini.
   << Meno male >>, rispose, sollevato. Parve scrutarmi e per un attimo il suo sguardo vagò sulla mia figura. Tossicchiò e riprese a parlarmi. << Stavo ammirando l’albero di Natale. È bellissimo. Chi l’ha addobbato? >>.
   << I volontari si saranno sicuramente offerti di preparare tutti gli addobbi di questa stanza >>.
   << É tutto molto festoso e ben decorato. I bambini sentiranno sicuramente lo spirito di fratellanza e gioia che questa festa comporta >>. Si guardò un po’ intorno, lasciando vagare lentamente gli occhi su ogni particolare della stanza prima di riposarli sui miei. << Mi piace questo orfanotrofio, si vede che a voi tutti sta a cuore il benessere di questi bambini >>.
Lo guardai un attimo, elaborando l’ennesimo complimento che ricevevo quel giorno da parte sua. In verità io non facevo molto, del vero lavoro sporco se ne occupavano altri, ma davo il mio sostegno nel far svagare i bambini, passavo del tempo con loro e inventavo mille giochi pur di farli divertire. Riempivo le loro giornate e le mie.
   << Grazie Signor Jackson. Mi creda, qui tutti si danno un gran da fare, spendono gratuitamente il loro tempo senza chiedere nulla in cambio ed è bello che venga riconosciuto. Per noi è motivo di orgoglio >>, dissi, sincera.
Abbassò un momento gli occhi, poi tornò a guardarmi e sorrise. Era una cosa che faceva spesso, notai. Deviava gli occhi, di solito sempre in basso, per poi rialzarli e seguirli da un sorriso. Chissà perché. Risultava quasi timido.
   << Michael >>.
   << Come? >>, chiesi e, inconsciamente, mi sporsi un po’ in avanti per ascoltarlo meglio.
   << Chiamami Michael e dammi pure del tu. Spero di non dover essere considerato così vecchio da venire chiamato d’ora in poi Signor Jackson >>, disse, ridendo subito dopo.
Inarcai un sopracciglio, stupita. La sua richiesta mi aveva completamente colta impreparata. Non avrei mai immaginato che potesse risultare così amichevole e confidenziale dal chiedere di essere chiamato per nome da qualcuno che conosceva a malapena. Per lui, noi, non eravamo nessuno. Solo altre facce che ben presto avrebbe rimosso dalla mente.
Stava ancora aspettando una mia risposta, tanto che, alla mia espressione sorpresa, si aggiunse la sua.
   << Ehm, io … va bene, Michael. Come desideri >>.
Sorrise, di nuovo sereno, sollevato da qualcosa che non riuscii ad afferrare.

In verità, non volevo assolutamente chiamarlo per nome.
Stavo quasi per dirglielo, in quell’attimo iniziale di incertezza, ed ero sicura che avesse anche intuito le mie reali intenzioni.
Ma decisi di assecondarlo per due ovvie ragioni.
Innanzitutto era l’ospite d’onore di quella giornata ed andava trattato come tale. Claire era già dispiaciuta per non essere riuscita a mantenere gli accordi presi con Jackson, ed io non volevo causarle ulteriori motivi di disagio. In fondo, anche io ero una volontaria, e in quel momento rappresentavo il buon nome dell’orfanotrofio. Non potevo comportarmi se non in modo educato e cordiale.
La seconda ragione era più evidente. Si trattava di Michael Jackson, dopo quella serata, chi l’avrebbe mai più rivisto? Anche se abitavamo nella stessa città sarebbe stato del tutto impossibile rincontrarlo. Era l’artista più conosciuto al mondo, super impegnato, e di certo non lo si poteva incontrare al supermercato come un qualsiasi essere umano. Dovevo solo fare buon viso a cattivo gioco e in poco tempo sarei tornata a casa, alla mia vita.

Con quella improvvisa consapevolezza mi sentii subito più rilassata. Ero di nuovo al sicuro.
   << Ti piace il Natale, Isabella? >>, chiese, improvvisamente emozionato.
Mi sembrò una domanda strana, in fondo, a chi non piaceva il Natale? Non c’era bambino o adulto che non aspettasse quel periodo dell’anno per stare insieme ai propri familiari.
   << Mi piace molto, è la festa che preferisco in assoluto. Il giorno di Natale io e mia madre ci riuniamo sempre a casa dell’una o dell’altra e cuciniamo insieme tutto il tempo >>, sorrisi nel pensare che non erano tanto i regali a piacermi di questa festa, ma la possibilità di spendere tempo con mia madre, fare cose stupide e ridere insieme a lei.
Michael mi guardò visibilmente interessato, forse troppo, come se stessi raccontando qualcosa di incomprensibile alle sue orecchie.
Non mi sembrava di aver detto nulla di strano ma a guardarlo bene negli occhi, notai una nota malinconica in quelle iridi castane.
Tanto che ne fui incuriosita.
   << A te piace il Natale? >>, azzardai nel chiedergli.
Sorrise apertamente e capii che gli piacesse molto, ma nello stesso momento allontanò gli occhi dai miei, e stavolta non sembrò per timidezza. Piuttosto mi diede l’impressione che volesse nascondere qualcosa.
   << È una bellissima festa, la più significativa tra tutte le feste. Ognuno di noi dovrebbe avere l’opportunità di festeggiarla con i propri cari >>. 
Era vero. L’essenza del Natale era quella, trascorrere del tempo con chi si ama. Tuttavia quella risposta mi lasciò con l’amaro in bocca. Più che una semplice affermazione, ebbi la sensazione che stesse esprimendo un desiderio che gli era stato negato.
Non sapevo che rispondere e mi stupii nel pensare che avrei voluto sapere di più, capire perché lui, l’uomo più famoso del mondo, avesse un’espressione così malinconica.
Durò poco, però, forse si rese egli stesso conto di essersi esposto troppo.
   << E tuo padre? >>.
   << Scusami? >>, mi ero incantata e non avevo sentito nemmeno una parola. Era una persona molto sfuggente, quasi quanto la sottoscritta, ed aveva fatto nascere in me una certa curiosità.
   << Prima hai detto che a Natale tu e tua madre vi riunite per stare insieme, mi chiedevo dove fosse tuo padre >>. 
Oh, era questa la domanda.
Stavolta fui io ad allontanare gli occhi, presa da quella nuvola tenera e malinconica che sono i ricordi.
   << Non avrei dovuto, perdonami >>.
Tornai a guardarlo una volta ridivenuta serena.
   << Tranquillo, è una domanda legittima. Comunque, lui non è più qui, un male incurabile l’ha portato via >>.
Lo dissi senza problemi, come una voce registrata su nastro e più volte ripetuta.
   << Mi dispiace, credimi >>. Gli credevo, lo si vedeva dal cipiglio preoccupato che il suo viso aveva assunto.
   << Ti ringrazio, ma non preoccuparti, è successo tanti anni fa. Con il tempo ho imparato ad accettare la sua scomparsa >>.
Era una bugia bella e buona, ovviamente. Se ami una persona non la dimentichi nemmeno dopo 100 anni. E io amavo mio padre, amavo lui e i suoi abbracci calorosi.
Non avevo permesso che nessun segno lasciasse il dubbio che dietro le mie parole si nascondesse ancora una bambina bisognosa di suo padre, ma lo sguardo di Michael, in quel momento, fu il più intenso della serata. Mi sentivo indagata nel profondo, messa su di un piedistallo e scrutata attentamente come si fa con un oggetto all’asta. Ero sempre stata brava a nascondere certi sentimenti, avevo oramai raggiunto un certo livello di esperienza in questo, eppure stavolta non ero stata creduta.

Annuì leggermente, senza interrompere quell’interrogatorio silenzioso, mentre io, presa da un senso di frustrazione, nascosi lo sguardo girandomi verso i bambini, che solo in quel momento, mi accorsi si stavano preparando per la consueta scena natalizia. 
Notai Claire dare le ultime direttive necessarie affinché lo spettacolo potesse iniziare al più presto.
Katy mi guardò per pochi secondi e mi salutò con la manina. Sapevo che era emozionata. Quell’anno, per la prima volta, avrebbe avuto un ruolo di prim’ordine nello spettacolo.
Mia madre, invece, stava sistemando il tavolo del buffet. La vedevo mentre posava un vassoio in una determinata maniera, poi faceva un passo indietro per vedere se la posizione fosse di suo gradimento e, dato che almeno una cosa in comune ce l’avevamo, ovvero la precisione, puntualmente tornava a spostare il vassoio per poi ripetere ogni azione da capo. La trovai addirittura bacchettare con la mano uno dei bodyguard di Jackson. Si era avvicinato tranquillo per prendere un sandwich ma lei, con un gesto secco, non glielo aveva permesso. La faccia che fece, lui un gigante di quasi due metri davanti ad una donna di nemmeno un metro e sessantacinque, fu la cosa più buffa che mi capitò di vedere quel giorno. 
Era stato esilarante, tanto che mi ritrovai a ridere e insieme a me, anche Michael. Aveva lo sguardo puntato dove si era appena conclusa la scena e rideva con una mano posata sulla bocca. Ogni tanto mi scrutava e cercava un modo per smettere di ridere. Forse gli sembrò di essere maleducato ma era talmente divertito che non riusciva a tornare serio.

Durante tutta la serata che seguì mi domandai perché non mi fossi bloccata, inorridita dal clima di confidenza che si era venuto in poco tempo a creare.
Perché in quel momento non avevo avvertito il senso di irritazione che sentivo da quando lo avevo visto la prima volta quel pomeriggio.
E perché invece di freddarmi come ero solita fare, mi ritrovai invece a ridere insieme a lui, imbarazzata per mia madre e divertita da quella risata spensierata e delicata, un po’ contagiosa e un po’ fanciullesca.

 

 

 

*Spazio autrice:

Salve a tutte ^^
Ebbene, la festa di Natale sarà divisa in tre parti come avrete visto dal titolo, questo perché credo che il primo approccio sia fondamentale per lo scorrere della storia e soprattutto per il cambiamento di Isabella.
Non mi piacciono le cose che avvengono di fretta, né tantomeno voglio lasciare nulla al caso, e spero davvero di riuscirci.
Il primo passo da affrontare, penso, è proprio questo, l’evoluzione non dei sentimenti ma dell’opinione di Isa.
Sarà piuttosto graduale, all’inizio si porrà molte domande, ma è inevitabile, credo.
Poi, chi volesse vedere la foto di lei e del vestito, eccolo accontentato ^^


Grazie a chi segue questa storia e un bacio a tutte voi :*
Martina.

  
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