Capitolo
4 – Lonely People
Part
1/3
Guidare
era da sempre stato per me sia fonte di divertimento sia motivo di
pericolo.
Tutto nasceva dal fatto che ero curiosa per natura, mi capitava quindi
di distrarmi molte volte durante i miei viaggi.
E la bellezza della California non mi aiutava di certo. Ovunque si
girasse lo sguardo c’era qualcosa capace di attirare
l’attenzione di chiunque. Potevano essere le magnifiche case
che abitavano su quel suolo ma la vera meraviglia risiedeva nella
natura: gli alberi erano maestosi e il cielo sembrava limpido anche
d’inverno.
In quelle immagini mi ci perdevo anche quando non avrei dovuto farlo,
per questo avevo preso l’abitudine di guidare piano,
c’erano troppe distrazioni in giro.
Tuttavia, riuscivo sempre ad arrivare puntuale.
Infatti, quando finalmente intrapresi la via dove risiedeva
l’orfanotrofio, da lontano riuscii a scorgere una macchia
informe e multicolore posta esattamente dove si trovava il cancello
principale.
Sbattei le palpebre, perplessa.
Non avevo la più pallida idea di cosa fosse e di cosa stesse
succedendo, ma più mi avvicinavo, più realizzavo
che quella macchia era costituita da persone urlanti ed armate di
cartelloni e striscioni.
Era disarmante trovarsi quel mare di persone, davvero, tanto che
sentivo crescere l’ansia.
Cercai
di regolarizzare il respiro.
Purtroppo, avevo già sperimentato che cosa si provasse ad
avere un attacco di panico.
La cosa peggiore che si possa fare è abbandonarsi alla
paura. La vista comincia ad annebbiarsi, il cuore prende un ritmo
martellante e nella testa il vuoto più totale sembra
scontrarsi con mille pensieri …
In poche parole, l’attacco di panico è un momento
di instabilità allo stato puro.
Come trovarsi a camminare sopra una corda tesa ad un’altezza
considerevole da terra. L’unico punto di contatto con la
realtà sono i tuoi piedi, ma il vero strumento che non ti
permetterà di cadere è la mente.
Finché sarà lei ad essere concentrata, i tuoi
piedi cammineranno sicuri e decisi anche se si trovassero sui fuochi
ardenti.
Eppure, le prime volte cadrai e ti farai male. Ma è
inevitabile.
Succederà fino a quando, come avviene con un esercizio di
matematica, la tua mente saprà come svolgere tutti i
passaggi e finire il compito con il massimo dei voti.
Per arrivare a questo, al controllo di me stessa, mi ero fatta aiutare
da esperti, affinché sapessi come affrontare la situazione,
nel caso fosse ricapitata.
Ed era ricapitata, in effetti. Più volte.
All’inizio vinceva lei, ma ultimamente ero io ad avere la
meglio.
Ma c’è da dire una cosa. Per quanto ci si abitui,
ogni volta basta un piccolo cedimento, una debolezza improvvisa, e
l’instabilità torna senza darti il minimo scampo.
Innanzitutto non era difficile immaginare il
“perché” di quella massa di persone.
Piuttosto c’era da capire “chi” avesse
spifferato ai quattro venti la presenza di Michael quella sera. E, cosa
ancora più importante, come avrei fatto ad entrare?
Aspettai qualche minuto per vedere se si sarebbe un po’
sfollato, ma non successe nulla. Alla fine, chiamai mia madre e grazie
all’aiuto della security di Jackson, mi fecero passare per
l’entrata secondaria senza particolari problemi.
Quando scesi dalla macchina, dovevo avere una faccia piuttosto pallida,
perché mia madre si avvicinò, visibilmente
preoccupata.
<<
Isabella, tutto bene? >>.
<<
Si, tranquilla, sto bene. Ma si può sapere che diavolo
è successo? Oggi pomeriggio queste persone non
c’erano >>.
<<
Non c’erano perché eravamo riusciti a mantenere
segreta la visita di Michael. Lo aveva chiesto espressamente lui al
telefono, quando prese accordi la prima volta con Claire sul giorno e
l’orario della visita, ma qualcuno oggi pomeriggio deve
essersi lasciato sfuggire qualcosa. Come vedi basta poco per diffondere
una notizia in poco tempo >>.
Era pazzesco che tutto fosse avvenuto in poche ore.
<<
Il Signor Jackson si è arrabbiato per questo?
>>.
<<
Oh no! Anzi, è stato molto comprensivo. Claire era
mortificata per l’accaduto ma Michael le ha detto che non
c’era bisogno di esserlo. Non ci crederai, ma è
stato lui a
scusarsi per aver creato confusione intorno all’orfanotrofio
>>.
In effetti, ero parecchio incredula. Primo perché mia madre
lo aveva chiamato già due volte Michael, come se fossero
amici da una vita; e secondo, se davvero così fosse stato,
avrebbe avuto un comportamento davvero umile e comprensivo. Molto
più di quello che ci si potrebbe aspettare da una Star.
Presi a camminare in direzione della porta secondaria ma mia madre mi
fermò, prendendomi per un braccio.
<<
Isabella, riguardo Michael, comportati bene, ti prego >>.
La serietà con la quale lo disse non fermò
l’improvvisa fiamma che sentii nello stomaco.
<<
Perché diavolo me lo dici? Solo perché non mi
piace, non vuol dire che mi metterò a fare
l’antipatica come se fossi una ragazzina. Se vedrò
cose non di mio gradimento ne farò parola, se
sarà il contrario, non ci sarà nulla di cui
preoccuparsi >>, risposi, a denti stretti.
<<
Lo dico perché ho avuto modo di parlare con lui questo
pomeriggio e anche poco fa. Ci ha ringraziato innumerevoli volte per
averlo invitato, visto che dopo le accuse mosse a suo discapito, molte
persone gli hanno voltato le spalle. Credo che questo sia il primo
incontro di solidarietà a cui partecipa dopo esser stato
accusato. Per lui è un segno di riconoscenza, un gesto
significativo volto ad esprimere che in questa battaglia non
è solo. E sinceramente, Isabella, spero che riesca a capire
fino in fondo che milioni di persone sono ancora con lui,
perché a guardarlo bene, a me sembra essere l’uomo
più solo della terra >>.
Non risposi, ci guardammo per pochi secondi negli occhi, sfidandoci
l’un l’altra.
Volevo avere la meglio, ma le ultime parole mi ronzavano in testa,
incessantemente.
Decisi di dargliela vinta e mi liberai dalla sua presa, rimasta stretta
per tutto quel tempo.
Mi guardai un attimo intorno notando per la prima volta lo splendido
lavoro che avevano fatto Claire e tutti i suoi collaboratori.
C’era rosso ovunque. Festoni rossi che addobbavano
l’intero soffitto; striscioni fatti dai bambini con la
scritta “Buon Natale”, in rosso;
l’albero, posto al centro della stanza era completamente
coperto di palline rosse ed oro, ed aveva appesi i biglietti di ogni
bambino, scritti accuratamente dai legittimi proprietari
affinché anche quell’anno venissero esauditi i
loro desideri.
Purtroppo, non succedeva quasi mai.
Se sei un bambino e vivi in un orfanotrofio, l’unica cosa che
vuoi è avere una famiglia e la famiglia è un
regalo che difficilmente trovi sotto l’albero.
Mi avvicinai ad esso. Le palline riflettevano la luce artificiale della
stanza rendendole ancora più lucide, quasi accecanti, ma la
mia reale attenzione era concentrata sulle lettere appese ai rami
dell’albero. Ne toccai una e pensai che quella di Katy ero
stata io stessa a scriverla, riportando esattamente quello che lei mi
aveva dettato.
Sorrisi malinconica al ricordo. Quel giorno le chiesi che cosa volesse
da Babbo Natale; mi rispose che le sarebbe piaciuto ricevere una mamma,
un papà e, se fosse stata abbastanza buona durante
l’anno da meritarlo, anche un cane.
Scrissi per filo e per segno le sue parole e pregai per lei che quel
regalo le venisse fatto davvero.
<<
Oddio, scusami! >>, si affrettò ad esclamare
una voce sottile ed acuta.
Alzai gli occhi e rimasi di sasso quando vidi chi avevo di fronte.
Lassù
qualcuno deve davvero volermi male,
pensai, mentre scrutavo il viso del Signor Jackson.
<<
Non fa niente. Non è successo nulla >>.
Aspettò la mia risposta con aria preoccupata, come se avesse
commesso il peggiore dei crimini.
<<
Meno male >>, rispose, sollevato. Parve scrutarmi e per
un attimo il suo sguardo vagò sulla mia figura.
Tossicchiò e riprese a parlarmi. << Stavo
ammirando l’albero di Natale. È bellissimo. Chi
l’ha addobbato? >>.
<<
I volontari si saranno sicuramente offerti di preparare tutti gli
addobbi di questa stanza >>.
<< É tutto
molto festoso e ben decorato. I bambini sentiranno sicuramente lo
spirito di fratellanza e gioia che questa festa comporta
>>. Si guardò un po’ intorno,
lasciando vagare lentamente gli occhi su ogni particolare della stanza
prima di riposarli sui miei. << Mi piace questo
orfanotrofio, si vede che a voi tutti sta a cuore il benessere di
questi bambini >>.
Lo guardai un attimo, elaborando l’ennesimo complimento che
ricevevo quel giorno da parte sua. In verità io non facevo
molto, del vero lavoro sporco se ne occupavano altri, ma davo il mio
sostegno nel far svagare i bambini, passavo del tempo con loro e
inventavo mille giochi pur di farli divertire. Riempivo le loro
giornate e le mie.
<<
Grazie Signor Jackson. Mi creda, qui tutti si danno un gran da fare,
spendono gratuitamente il loro tempo senza chiedere nulla in cambio ed
è bello che venga riconosciuto. Per noi è motivo
di orgoglio >>, dissi, sincera.
Abbassò un momento gli occhi, poi tornò a
guardarmi e sorrise. Era una cosa che faceva spesso, notai. Deviava gli
occhi, di solito sempre in basso, per poi rialzarli e seguirli da un
sorriso. Chissà perché. Risultava quasi timido.
<<
Michael >>.
<<
Come? >>, chiesi e, inconsciamente, mi sporsi un
po’ in avanti per ascoltarlo meglio.
<<
Chiamami Michael e dammi pure del tu. Spero di non dover essere
considerato così vecchio da venire chiamato d’ora
in poi Signor Jackson >>, disse, ridendo subito dopo.
Inarcai un sopracciglio, stupita. La sua richiesta mi aveva
completamente colta impreparata. Non avrei mai immaginato che potesse
risultare così amichevole e confidenziale dal chiedere di
essere chiamato per nome da qualcuno che conosceva a malapena. Per lui,
noi, non eravamo nessuno. Solo altre facce che ben presto avrebbe
rimosso dalla mente.
Stava ancora aspettando una mia risposta, tanto che, alla mia
espressione sorpresa, si aggiunse la sua.
<<
Ehm, io … va bene, Michael. Come desideri >>.
Sorrise, di nuovo sereno, sollevato da qualcosa che non riuscii ad
afferrare.
In
verità, non volevo assolutamente chiamarlo per nome.
Stavo quasi per dirglielo, in quell’attimo iniziale di
incertezza, ed ero sicura che avesse anche intuito le mie reali
intenzioni.
Ma decisi di assecondarlo per due ovvie ragioni.
Innanzitutto era l’ospite d’onore di quella
giornata ed andava trattato come tale. Claire era già
dispiaciuta per non essere riuscita a mantenere gli accordi presi con
Jackson, ed io non volevo causarle ulteriori motivi di disagio. In
fondo, anche io ero una volontaria, e in quel momento rappresentavo il
buon nome dell’orfanotrofio. Non potevo comportarmi se non in
modo educato e cordiale.
La seconda ragione era più evidente. Si trattava di Michael
Jackson, dopo quella serata, chi l’avrebbe mai più
rivisto? Anche se abitavamo nella stessa città sarebbe stato
del tutto impossibile rincontrarlo. Era l’artista
più conosciuto al mondo, super impegnato, e di certo non lo
si poteva incontrare al supermercato come un qualsiasi essere umano.
Dovevo solo fare buon viso a cattivo gioco e in poco tempo sarei
tornata a casa, alla mia vita.
Con
quella improvvisa consapevolezza mi sentii subito più
rilassata. Ero di nuovo al sicuro.
<<
Ti piace il Natale, Isabella? >>, chiese, improvvisamente
emozionato.
Mi sembrò una domanda strana, in fondo, a chi non piaceva il
Natale? Non c’era bambino o adulto che non aspettasse quel
periodo dell’anno per stare insieme ai propri familiari.
<<
Mi piace molto, è la festa che preferisco in assoluto. Il
giorno di Natale io e mia madre ci riuniamo sempre a casa
dell’una o dell’altra e cuciniamo insieme tutto il
tempo >>, sorrisi nel pensare che non erano tanto i
regali a piacermi di questa festa, ma la possibilità di
spendere tempo con mia madre, fare cose stupide e ridere insieme a lei.
Michael mi guardò visibilmente interessato, forse troppo,
come se stessi raccontando qualcosa di incomprensibile alle sue
orecchie.
Non mi sembrava di aver detto nulla di strano ma a guardarlo bene negli
occhi, notai una nota malinconica in quelle iridi castane.
Tanto che ne fui incuriosita.
<<
A te piace il Natale? >>, azzardai nel chiedergli.
Sorrise apertamente e capii che gli piacesse molto, ma nello stesso
momento allontanò gli occhi dai miei, e stavolta non
sembrò per timidezza. Piuttosto mi diede
l’impressione che volesse nascondere qualcosa.
<< È una
bellissima festa, la più significativa tra tutte le feste.
Ognuno di noi dovrebbe avere l’opportunità di
festeggiarla con i propri cari >>.
Era vero. L’essenza del Natale era quella, trascorrere del
tempo con chi si ama. Tuttavia quella risposta mi lasciò con
l’amaro in bocca. Più che una semplice
affermazione, ebbi la sensazione che stesse esprimendo un desiderio che
gli era stato negato.
Non sapevo che rispondere e mi stupii nel pensare che avrei voluto
sapere di più, capire perché lui,
l’uomo più famoso del mondo, avesse
un’espressione così malinconica.
Durò poco, però, forse si rese egli stesso conto
di essersi esposto troppo.
<<
E tuo padre? >>.
<<
Scusami? >>, mi ero incantata e non avevo sentito nemmeno
una parola. Era una persona molto sfuggente, quasi quanto la
sottoscritta, ed aveva fatto nascere in me una certa
curiosità.
<<
Prima hai detto che a Natale tu e tua madre vi riunite per stare
insieme, mi chiedevo dove fosse tuo padre >>.
Oh, era questa la domanda.
Stavolta fui io ad allontanare gli occhi, presa da quella nuvola tenera
e malinconica che sono i ricordi.
<<
Non avrei dovuto, perdonami >>.
Tornai a guardarlo una volta ridivenuta serena.
<<
Tranquillo, è una domanda legittima. Comunque, lui non
è più qui, un male incurabile l’ha
portato via >>.
Lo dissi senza problemi, come una voce registrata su nastro e
più volte ripetuta.
<<
Mi dispiace, credimi >>. Gli credevo, lo si vedeva dal
cipiglio preoccupato che il suo viso aveva assunto.
<<
Ti ringrazio, ma non preoccuparti, è successo tanti anni fa.
Con il tempo ho imparato ad accettare la sua scomparsa >>.
Era una bugia bella e buona, ovviamente. Se ami una persona non la
dimentichi nemmeno dopo 100 anni. E io amavo mio padre, amavo lui e i
suoi abbracci calorosi.
Non avevo permesso che nessun segno lasciasse il dubbio che dietro le
mie parole si nascondesse ancora una bambina bisognosa di suo padre, ma
lo sguardo di Michael, in quel momento, fu il più intenso
della serata. Mi sentivo indagata nel profondo, messa su di un
piedistallo e scrutata attentamente come si fa con un oggetto
all’asta. Ero sempre stata brava a nascondere certi
sentimenti, avevo oramai raggiunto un certo livello di esperienza in
questo, eppure stavolta non ero stata creduta.
Annuì
leggermente, senza interrompere quell’interrogatorio
silenzioso, mentre io, presa da un senso di frustrazione, nascosi lo
sguardo girandomi verso i bambini, che solo in quel momento, mi accorsi
si stavano preparando per la consueta scena natalizia.
Katy mi guardò per pochi secondi e mi salutò con
la manina. Sapevo che era emozionata. Quell’anno, per la
prima volta, avrebbe avuto un ruolo di prim’ordine nello
spettacolo.
Mia madre, invece, stava sistemando il tavolo del buffet. La vedevo
mentre posava un vassoio in una determinata maniera, poi faceva un
passo indietro per vedere se la posizione fosse di suo gradimento e,
dato che almeno una cosa in comune ce l’avevamo, ovvero la
precisione, puntualmente tornava a spostare il vassoio per poi ripetere
ogni azione da capo. La trovai addirittura bacchettare con la mano uno
dei bodyguard di Jackson. Si era avvicinato tranquillo per prendere un
sandwich ma lei, con un gesto secco, non glielo aveva permesso. La
faccia che fece, lui un gigante di quasi due metri davanti ad una donna
di nemmeno un metro e sessantacinque, fu la cosa più buffa
che mi capitò di vedere quel giorno.
Era stato esilarante, tanto che mi ritrovai a ridere e insieme a me,
anche Michael. Aveva lo sguardo puntato dove si era appena conclusa la
scena e rideva con una mano posata sulla bocca. Ogni tanto mi scrutava
e cercava un modo per smettere di ridere. Forse gli sembrò
di essere maleducato ma era talmente divertito che non riusciva a
tornare serio.
Perché in quel momento non avevo avvertito il senso di
irritazione che sentivo da quando lo avevo visto la prima volta quel
pomeriggio.
E perché invece di freddarmi come ero solita fare, mi
ritrovai invece a ridere insieme a lui, imbarazzata per mia madre e
divertita da quella risata spensierata e delicata, un po’
contagiosa e un po’ fanciullesca.
*Spazio
autrice:
Ebbene, la festa di Natale sarà divisa in tre parti come
avrete visto dal titolo, questo perché credo che il primo
approccio sia fondamentale per lo scorrere della storia e soprattutto
per il cambiamento di Isabella.
Non mi piacciono le cose che avvengono di fretta, né
tantomeno voglio lasciare nulla al caso, e spero davvero di riuscirci.
Il primo passo da affrontare, penso, è proprio questo,
l’evoluzione non dei sentimenti ma dell’opinione di
Isa.
Sarà piuttosto graduale, all’inizio si
porrà molte domande, ma è inevitabile, credo.
Poi, chi volesse vedere la foto di lei e del vestito, eccolo
accontentato ^^
Grazie a chi segue questa storia e un bacio a tutte voi :*
Martina.