Chapter
2
Deaf
and Blind (pt 2)
Don’t
lose yourself in this suffering yet. Hold on.
To me
1
Luglio
Appoggio
il mento, sulle braccia piegate. Sbuffo,
lanciando un’altra occhiata allo schermo di Frankie e alla
pigna di libri
sparpagliati sul tavolo della cucina.
La mia
tesina è completa, sebbene non ne sia
completamente soddisfatta: d’altra parte, sono per natura una
persona
incontentabile per quanto riguarda ogni cosa che faccio, quindi non mi
lascio
turbare troppo dal problema.
Il vero
problema è il chilometrico programma di quinta a cui dovrei
dare un’altra
ripassatina. Ma la mia voglia di studiare al momento è
finita sotto le scarpe,
anzi, diciamo
Giro
la testa su un fianco, incontrando a colpo
sicuro con lo sguardo la mia dolcissima Angi.
Angi
è la mia chitarra, una stupenda Ibanez MBM1-BK
MATT BACHAND (per essere precisi xD NdA) nera come un abisso oscuro e
profondo.
Sì,
tra i tanti difetti, sono anche affetta da una
malata mania di dare un nome a tutti gli oggetti a cui sono
affezionata. Ma in
fondo, chi può davvero affermare che anche questi strumenti,
a loro modo, non
abbiano un’anima? Di certo hanno un motivo di esistere, e
questo è già
abbastanza. Perché non dovrebbero avere anche un nome?
Trattengo
languidamente i miei occhi sopra la sua
forma slanciata e le sue corde così invitanti e sogno
già ad occhi aperti di
provare quel nuovo riff che mi gira in testa da due giorni.
Ancor
prima che me ne possa accorgere, ho
dimenticato l’esistenza dei libri e di un esame di
maturità, e mi sto alzando
dalla sedia per raggiungere Angi.
Non ho
fatto nemmeno un passo verso la sospirata
meta, che la porta di casa si apre di scatto, facendomi sussultare.
Sentendomi
colta in flagrante e, d’un tratto,
terribilmente in colpa, mi affretto a risedermi al mio posto davanti al
computer, e fingo di sfogliare il testo di storia.
Non
che Arianna potrebbe davvero sgridarmi
trovandomi a suonare la mia chitarra invece che chinata sui libri;
anzi, ha
iniziato anche a prendermi in giro chiamandomi ‘maniaca dello
studio’. Il mio è
più che altro un atteggiamento quasi involontario: lei
rappresenta la mia
coscienza, che ne sia conscia o meno, e solo la sua presenza mi mette
in
agitazione quando sto facendo qualcosa che, so, non è
propriamente corretto.
“Cosa
diavolo pensi di fare?” la sento urlare alle
mie spalle, arrabbiatissima, mentre si fa strada nel corridoio a passo
sostenuto. Salto sulla sedia, mordendomi il labbro inferiore. Ha
iniziato anche
a leggermi nel pensiero adesso?
Mi
volto lentamente per affrontare la sua furia.
“Ti
ho già detto milioni di volte che non puoi
decidere tutto tu e informarmi all’ultimo momento!”
continua a gridare.
Scopro
ben presto che la sua rabbia è rivolta a
qualcuno a qualche chilometro di distanza, dall’altra parte
di una
comunicazione telefonica. E a giudicare dal suo tono, posso tirare a
indovinare
chi sia l’uomo misterioso…
“No,
Luke, ascoltami bene: la mia risposta è NO!”
Yeah,
I got it.
Entra
in cucina come una fiera, con il cellulare
ben assicurato tra la guancia e la spalla; lascia cadere con poco garbo
i
sacchetti della spesa sulla credenza, insieme ad un mucchietto bianco
di
buste.
Liberatasi
da quei pesi, recupera il telefono prima
di essere colpita da una paralisi al collo, e prosegue con la sua
filippica.
Quando
si volta, le faccio un timido segno con la
mano, cercando di trattenere le risa davanti alla sua espressione
concentrata e
arrabbiatissima.
Come
risvegliandosi da una trance, si batte la mano
libera sulla fronte, e si avvicina rapida per posare un fugace bacio
sulla mia
fronte.
Sfortunatamente,
non ho nemmeno il tempo per
ricambiare, perché, invasata da un altro attacco
d’ira, sparisce nella stanza adiacente,
lanciando un’altra serie di improperi.
Ah,
l’amore…
Canticchiando
a bassa voce e ridendo sotto i baffi,
mi faccio strada verso la credenza, raccogliendo la scatola di cereali
che
Arianna non si è nemmeno accorta di aver fatto volare dal
sacchetto. Prima di
mettermi a sistemare i viveri al loro posto, do una rapida occhiata
alla posta,
scostando le buste con le dita.
Pubblicità,
pubblicità, catalogo di un negozio di
vestiti da cui nessuno ha mai comprato nulla ma che inspiegabilmente ci
continua a mandare la lista dei nuovi arrivi ogni due mesi,
pubblicità,
un’immancabile bolletta, un CD…
Mi
blocco di scatto, inarcando un sopracciglio.
Lascio perdere le altre lettere e mi rigiro il CD tra le mani: sembra
un CD
ancora vergine, se non per il fatto che non c’è
più la pellicola di plastica
trasparente a ricoprirlo, ma la custodia è completamente
bianca.
Lo
apro, cercando qualche indizio della sua
provenienza, senza però avere maggior fortuna: anche il
compact disc appare
completamente intonso.
Un
terribile desiderio di sapere mi assale: vorrei
chiedere alla mia amica, ma, a giudicare dalle grida che mi giungono di
tanto
in tanto, Arianna sembra ancora impegnata nell’altra stanza.
Dovrei
aspettare il suo ritorno, ma il mio occhio
cade casualmente sullo stereo a pochi passi di distanza, e mi rendo
conto di
non riuscire a resistere: la curiosità è troppo
forte.
Mordicchiandomi
il labbro inferiore e mandando in
ferie, ancora una volta, la voce della coscienza, faccio scattare
l’apertura
del lettore e tolgo il cd che ha passato lì gli ultimi due
mesi.
Sorrido
tra me e me, mentre ripongo ‘Avenged
Sevenfold’ nella sua custodia, riflettendo che la mia ultima
passione è infine
stata spodestata per un cd ignoto e forse assolutamente insignificante.
Premo
il tasto play e ritorno saltellando alla mia
solita sedia.
Per
almeno una trentina di secondi, il silenzio
regna sovrano nella stanza, interrotto soltanto dal brusio causato da
Arianna.
Appoggio la testa al braccio, fissando il lettore con malcelata
delusione, e,
afferrata una penna, picchio impazientemente la punta sul tavolo:
inizio a
pensare che il cd sia effettivamente vuoto e che il mio entusiasmo di
poco
prima sia stato assolutamente immotivato.
Sto
per alzarmi e riporre il mio amore al suo
legittimo posto e, per farmi perdonare, dare un altro ascolto alla
track numero
10, quando sento uno strano suono provenire dalle casse.
Forse
ho le traveggole, ma mi sembra proprio il
rumore di un accendino acceso e l’inconfondibile sfrigolio
della fiamma intorno
alla cartina infiammabile di una sigaretta. Con la fronte corrugata,
pongo
ancora più attenzione nell’ascolto, e le mie
orecchie colgono un altro suono
altrettanto particolare che, prima ancora di essere correttamente
registrato
dal mio cervello, mi lascia senza respiro. E’ poco
più di un sospiro, un breve
e rapido sospiro che però il mio cuore riconosce
immediatamente, quasi
inconsciamente.
Le
bacchette di una batteria battono veloci su
tamburo e piatti, introducendo una canzone che credo di non aver mai
ascoltato:
eppure, quando anche basso e chitarra si uniscono al primo strumento,
mi rendo
conto che la melodia non mi è completamente sconosciuta.
E’ legata ad un
ricordo lontano, sebbene diversa, forse più veloce?
Le
stesse note si ripetono per tre volte, poi, all’improvviso,
capisco.
La
penna mi scivola tra le dita, mentre parole mai
davvero dimenticate sdrucciolano lentamente contro di me.
Leave all behind now to watch her crawl
Through our dark gardens of insanity
She'll be the light to guide you back home
Just give her a kiss worth dying for - and open your arms
Una
stanza d’albergo, un letto
disfatto, un blocco per gli appunti e una chitarra classica.
Tutto
riaffiora dal buio del passato,
riempiendo la mia mente.
La
sua espressione concentrata, il
suo sorriso, la sua risata. Sembra tutto così vero,
d’un tratto così vivido,
quasi fosse il presente.
Watch me fall
For you
My venus doom
Hide my heart
Where all dreams are entombed
My venus doom
Una
lacrima scivola sul mio viso,
senza il mio permesso, mentre mi ritrovo a pensare che le stupide frasi
messe
insieme quel giorno, quasi per gioco, sono diventate una canzone
suonata da
tutta la band, registrata addirittura in studio.
Grieve all your hearts out as she'll
arrive enthralled
in
tragic,
ecstatic agony
And in her flames we will die some more
Just show me a life worth living for – light of the dark
Ma
è una bugia. Il nostro non era
stato un gioco ed io in fondo ne sono consapevole.
Espressione
di un sentimento profondo
che aveva allacciato e legato i nostri cuori in un modo così
strano.
Ciò
che avevo provato, ciò che ancora
provo, è di certo amore. Un amore molto più
profondo di quanto mai abbia
sentito per qualcuno.
Per
lui non era la stessa cosa, il
suo grande amore l’aveva già trovato, eppure sono
sicura che almeno un poco mi
abbia voluto bene.
Watch me fall for you –
My venus doom
Hide my heart where all dreams are entombed –
My venus doom
[ all dreams are of you – my venus doom ]
Quanto
vorrei essere la tua Venere,
quanto vorrei essere l’oggetto dei tuoi sogni.
Davvero
quella canzone era dedicata a
me? Poteva essere vero?
La
passione, l’alchimia dei corpi,
talvolta può essere scambiata per amore.
Ma
se fosse stato di più?
Perché
aveva lasciato che quelle
parole divenissero una canzone vera e propria, anche dopo che me ne ero
andata
via?
I
pensieri si fanno più fitti, più
confusi, la testa inizia a farmi male.
Stringo
i pugni, quasi
inconsapevolmente, respirando più forte.
Quando
sento di non poterne più, la
musica d’un tratto cambia, si fa più dolce.
La
canzone non è finita, non è
rimasta come l’avevamo lasciata.
Mi
accorgo con sorpresa che Ville ha
aggiunto altre frasi, e sembra quasi che non le canti, ma le reciti,
con un
timbro di voce ancora più basso, che mi dà i
brividi e mi congela sul posto.
Hold me inside your infernal offering
Touch me as I fall
Don’t lose yourself in this suffering
yet
Hold on
Hold me inside your infernal offering
Touch me as I fall
Don’t lose yourself in this suffering
yet
Hold
on
To
me
Un
astruso sentimento mi pervade:
ogni parola si adatta perfettamente al mio stato d’animo.
Sembra
quasi un messaggio, lasciato
apposta per me.
Scuoto
la testa, come per scacciare
lo stupido pensiero e mi alzo, muovendomi rapida verso lo stereo e
quasi
inciampando nei miei stessi piedi.
Ma
quando mi trovo davanti al lettore
non ho davvero la forza di spegnere; senza preavviso, le mie dita
scelgono da
sole la loro strada.
Indietro,
poi ancora avanti.
Il
brano ricomincia, di nuovo,
dall’inizio.
E
resto ascoltare ancora, fissando il
pavimento, illudendomi di essere ancora in quella camera
d’albergo, mentre
Ville canta per me la mia canzone.
D’un
tratto
altri ricordi. Altre ferite.
“Voglio
un posto” mormorò Ville, mordendosi un labbro, con
lo sguardo perso nel vuoto,
perso nei suoi pensieri “voglio un posto dove custodire il
mio cuore, senza
soffrire ancora”
Lo
guardai, dal basso verso l’alto, con la testa appoggiata sul
suo grembo, mentre
lui passava, senza rendersene conto, la mano tra i miei capelli.
“Conosco
un posto” dissi timidamente, ma ottenni immediatamente la sua
attenzione.
Rivolse
i suoi occhi accesi di curiosità verso il mio volto.
“Davvero?”
sorrise, spostando lentamente le sue dita sulla mia fronte, fino alla
punta del
mio naso.
“C’è
un posto segreto” mormorai, giocando con la sua mano
“Dove ogni sogno e
desiderio più recondito resta prigioniero, fino a quando non
giunge l’occasione
giusta per realizzarlo. E’ lì che avevo celato il
mio povero cuore spaurito”
recitai con sentimento, aggrappandomi al suo braccio e cominciando a
sollevarmi
Ville
mi porse il suo aiuto, senza bisogno che proferissi parola. In pochi
attimi ero
seduta sulle sue ginocchia.
“Avevo?”
mi fece notare, tirandomi ancora più vicina a sé.
Annuii,
spostando indietro i suoi capelli dalla spalla destra e piegando il
capo, fino
a toccare con le labbra il suo collo.
“Adesso
è qui, nelle tue mani. Non lo senti battere per
te?”
“Stupida,
stupida, stupida” mi ripeto
un milione di volte, asciugandomi il viso con un gesto deciso.
Una
goccia salata fugge ancora la mia
volontà, scivolando oltre la guancia, e poi il mento. Cade
più giù, senza un
suono.
Abbasso
lo sguardo, accorgendomi che
quell’odiosissima prova della mia debolezza è
andata a bagnare una delle
lettere della nostra posta.
Prendo
in mano il pezzo di carta e mi
rendo conto che non c’è nessuna busta, nessun
mittente.
Rimango
a fissarla per qualche
istante, percorrendone i bordi con le dita, ancora e ancora, fino quasi
a farmi
male.
Sono
le mie stesse dita a schiudere i
lembi del foglio, troppo velocemente perché possa davvero
pensare a quello che
sto facendo, mentre il nodo che mi stringe le viscere diventa sempre
più saldo.
Sollievo
e delusione mi colgono
insieme, in un ossimoro potente e devastante, quando i miei occhi
incontrano
lettere e inchiostro uniti in una calligrafia che non conosco.
Sbircio
le prime parole e scopro che
il breve messaggio è indirizzato a me. Non sono sicura di
voler veramente
leggere, ma in fondo si dice che la curiosità è
femmina, non è vero?
Bene,
sono una donna.
Hey
Liz,
qui
è Linde che scrive. Beh, come stai? Ho saputo che stai per
prendere il tuo diploma; in bocca al lupo.
Come
sai non sono una persona molto loquace, nemmeno di persona,
e, beh, con le lettere sono ancora peggio – sì, se
te lo stai chiedendo, è
possibile -.
Non
so esattamente quello che debba o possa dire, quindi,
salterò tutti i preamboli e spero scuserai la mia scortesia.
Quanto
è passato? Più di un anno? Non lo so
più, ho perso il
conto. Ma sono sicuro che Ville ricordi il numero di giorni, forse
anche di
ore, esatto, da quando sei partita ad adesso.
Quando
te ne sei andata, ho pensato che fosse la cosa migliore.
Per entrambi.
Di
certo non lo è stata per Ville; non credo di aver preso un
granchio peggiore nella mia vita.
Mi
dispiace.
E’
passato un anno e non è giusto che io adesso ti chieda di
fare qualcosa: avrai una nuova vita adesso, e dopo quello che hai
sofferto, non
vorrai sicuramente riaffondare nelle sabbie mobili del passato.
Ma
ancora una volta, mi ritrovo qui, ad intromettermi ed
egoisticamente domandarti di pensare a quello che hai lasciato indietro.
Lui
non ti ha dimenticato. E’ sempre qui ad aspettare.
Ti
ho mandato un cd. Vi è registrata un’unica
traccia, una
piccola anteprima del nostro nuovo album. Da quanto ci ha detto Ville,
dovresti
conoscerla molto bene.
Ti
lascio nuovamente il mio numero di cellulare, e quello di
Ville, nel caso in cui tu non li abbia più: spero possano
servirti.
Un
abbraccio sincero da Manna, Luisa e tutti i ragazzi.
Linde
***
Le
note ancora ristagnano nella
stanza; accompagnano ogni mio respiro, ogni battito accelerato del mio
cuore.
Poi,
dei passi famigliari risuonano
sul pavimento della cucina, modificano quella ripetitività,
sciogliendo anche
lo stato di trance al quale mi sono incautamente abbandonata.
“Scusami
Ell, ma Luke mi avev– “
Arianna comincia a raccontarmi, sospirando profondamente, ma non appena
mi
raggiunge le parole le muoiono in gola.
“No”
riesce soltanto a sussurrare,
scuotendo piano la testa, mentre nelle sue iridi celesti si riflettono
le fiamme
azzurre di un fuoco debole, ma abbastanza forte da consumare un
più fragile
pezzo di carta.
Lascio
cadere quel che resta: un
ultimo frammento annerito, che si accartoccia su se stesso, con un
orribile
sfrigolio di morte. Poi è solo cenere.
Alzo
gli occhi verso la mia amica,
ormai asciutti e rossi, senza più lacrime.
“Non
posso tornare indietro”
Ecco qui l'altro pezzetto!
Grazie alla mia pulcetta e anche a chi ha solo letto lo scorso capitolo!
Alla prossima, baci
FallenAngel aka Moss