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Autore: ___Ace    06/08/2015    2 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Liberté, Égalité, Fraternité.
Quinze.

 

-L’avevo già steso io con un calcio.-
-Io gli ho fatto un buco sullo stomaco!-
-Ma non serviva che ti intromettessi, l’avevo finito ormai.-
-Almeno hai la certezza che è morto!-
-Ce l’avevo anche prima, razza di idiota!-
Sanji e Zoro stavano tenendo a bada una decina di soldati sulla riva del fiume, spedendone qualcuno in acqua e mettendo fuori gioco gli altri. Lo spadaccino si difendeva utilizzando addirittura tre spade, mentre il biondo si arrangiava come poteva schivando le armi da taglio e confidando nelle sue capacità atletiche, spezzando ossa, rompendo qualche collo e prendendo a pugni un militare dopo l’altro.
Poco distante da loro, Rufy si stava divertendo come un bambino al parco, usando per combattere tutto quello che gli capitava sotto gli occhi, compreso il remo di una barchetta ancorata alla riva, sassi e una rete da pesca che finì per aggrovigliarsi alle gambe, ruzzolando a terra e ridendo come un ubriaco.
-Ehi! Mi dareste una mano?-
Nemmeno il tempo di dirlo, che Zoro era già sul posto ad impedire che un gendarme sparasse all’amico appena ritrovato.
-Non ti ricordi più come si combatte?- gli chiese spiccio, liberandolo e tirandolo su di peso, scuotendo il capo nell’udire le risate del moro, troppo felice di essere uscito di prigione e di aver ritrovato i suoi fratelli.
Quando Ace lo aveva portato via dalla Bastiglia, raggiungendo poi la piazza, aveva creduto che nulla sarebbe potuto andare meglio, ma quando il maggiore, sorridendogli in modo fraterno, lo aveva spinto in avanti per fargli vedere una sorpresa di cui gli aveva parlato durante la strada, beh, si era reso conto che non c’era limite alla felicità.
Era scoppiato a piangere senza vergogna, correndo verso l’ingresso dell’edificio dove Sabo lo stava aspettando, anche lui con le lacrime agli occhi e un nodo in gola, e gli era saltato addosso, stringendolo forte e mormorando all’infinito il suo nome. Aveva passato giorni credendo morto Ace e mesi con la convinzione che non avrebbe mai più rivisto il bel sorriso di Sabo, invece era stato graziato ed era di nuovo con la sua famiglia. Ad aggregarsi, poi, era arrivato anche Ace e si erano stretti l’uno con l’altro per un po’, giusto per recuperare parte del tempo passato in lontananza forzata e ridando tutte le energie a Rufy, compresa la carica per affrontare una rivolta, nonostante la malnutrizione e il sonno patito.
Si sentiva invincibile.
Si passò una mano sul viso, alzando i pugni pronto a ricominciare. -Devo solo riscaldarmi.- affermò, sorridendo enigmatico al soldato che gli si era parato di fronte.
Anche rivedere i suoi amici lo aveva mandato direttamente al settimo cielo e baciare Nami era stata la ciliegina sulla torta, anche se l’aveva vista sparire dietro le barricate poco dopo. Era meglio per tutti, almeno la sapeva al sicuro e, quando avrebbe concluso quella battaglia, l’avrebbe raggiunta subito, senza perdere altro tempo. Doveva rendere orgogliosi Bagy, Mister Three e Von Clay, dopotutto.
-Ehi, guardate chi c’é.- disse Sanji, notando come un impaurito Usopp li raggiungeva, cercando di passare inosservato tra i soldati e schivando con precisione innata tutte le risse che incontrava lungo il tragitto, nascondendosi dietro al coperchio di un barile che si portava appresso come scudo.
-Ici! Usopp!- lo chiamò Rufy a gran voce, facendo ricadere l’attenzione di molti sul ragazzo appena arrivato. -Da questa parte!-
-Accidenti a te, Rufy!- rispose l’altro, notando tre uomini armati accerchiarlo, richiamati dalle urla del Rivoluzionario. Fortuna che aveva con sé della polvere da sparo che aveva modificato nella sua serra, trattandola fino a farle produrre solo del fumo e non un’esplosione, così ne lanciò un po’ a terra e sfruttò il fattore sorpresa per defilarsi senza troppi rischi. Aveva avuto proprio un’idea geniale e, da quello che aveva sentito, le dosi che aveva dato a Sabo avevano fatto scalpore alla Bastiglia.
-Quando hai finito di giocare a fare lo scienziato pazzo,- ironizzò Sanji, respingendo con un’asse di legno un nemico, -Vieni a dare una mano!-
Un’ombra di terrore passò sul volto di Usopp che di combattere non ne aveva proprio l’intenzione e, sgusciando dietro alle spalle di Rufy, poggiandogli le mani sulle braccia per voltarlo a destra e a sinistra, ovvero ovunque vedesse dei soldati, si preparò a fare di tutto per salvarsi la vita.
-Scordatelo,- disse, alzando la voce per farsi sentire in mezzo a quel caos e per sovrastare le risate di Rufy. -Piuttosto, voi dovreste difendermi. Non vorrete rischiare di perdere il vostro guerriero più valoroso.-
-Eccolo che ricomincia.- Zoro roteò gli occhi al cielo, sostenendo una spada con la bocca, stringendo i denti attorno all’elsa e difendendosi da un fendente con le altre due, incrociandole davanti al suo corpo e creando una barriera difficile da infrangere. Era sempre stato bravo e portato per quell’arte fin da piccolo e crescendo era migliorato di giorno in giorno, diventando uno dei più bravi ed essenziali spadaccini nei ranghi dei Rivoluzionari. Parte di quella fortuna la doveva a Rufy che, dopo averlo incontrato, aiutato ad uscire dai guai e assillato per diventare suo amico, lo aveva convinto ad aggregarsi a quella sua combriccola di gente persa e apparentemente senza beni, ma che in realtà possedeva il tesoro più prezioso di tutti, ovvero la famiglia, l’amicizia e il voler dare la vita gli uni per gli altri.
Aveva conosciuto tante belle persone e si era fatto un sacco di amici, anche se per Rufy conservava un posto speciale nel suo cuore, dato che aveva fatto molto per lui anche se all’inizio non lo conosceva affatto. Aveva trovato un poso dove stare e si era creato degli obbiettivi da raggiungere. Uno di questi era diventare il combattente migliore di tutta la Francia e poi chissà, magari anche del mondo.
Per quello si trovava in piazza a combattere, per difendere i suoi sogni e le persone che amava.
-Diamine, ma sei sempre in mezzo?-
Eccezione fatta per quel cuoco maledetto.
Mentre era distratto, Sanji gli era finito contro senza accorgersene, inciampando sui suoi piedi e coinvolgendolo in un ruzzolone tra la polvere, proprio nel bel mezzo di una battaglia rischiosa e pericolosa.
Zoro, già nervoso di suo, non accettò per niente quel commento, soprattutto perché, per una volta, la colpa non era stata sua.
-Sei tu che mi sei venuto addosso, impiastro!- sbottò, ringhiando e scalciando per togliersi di dosso il peso del ragazzo biondo che, appoggiate le mani suo terreno, faceva leva per rialzarsi.
-Se ti fossi spostato, forse non sarebbe successo!- ribatté Sanji, indietreggiando di qualche passo per lasciare al compagno lo spazio per muoversi e sollevarsi da terra, raccogliendo le spade e mettendosi in posizione d’attacco, fronteggiandolo. Decisamente, la situazione non stava prendendo una bella piega.
Fu quello il pensiero di Usopp che, ancora nascosto dietro Rufy, aveva adocchiato i due amici, schiaffandosi una mano sul viso per celare la sua espressione esasperata e disperata. Se si fossero messi a litigare in quel momento sarebbero stati guai per tutti.
Dovette però concentrarsi su altro, rendendosi conto che, se non si fosse dato finalmente da fare, per Rufy ci sarebbero state delle complicanze. Il ragazzino era forte, ma non aveva gli occhi ovunque, perciò gli avrebbe guardato le spalle e avrebbe fronteggiato il soldato che si stava avvicinando di silenziosamente.
-Non ho tempo per farti da balia perché, se non l’hai notato, sono impegnato a farci vincere la causa.-
-Come se avessi bisogno di te per vivere.- sputò Sanji a quel punto, offeso dal commento dell’altro. Lui non aveva bisogno di nessuno e si era sempre arrangiato, fin da piccolo. Nemmeno quando Zeff gli aveva offerto un tetto sopra la testa aveva ceduto a farsi coccolare e viziare. In parte perché il vecchio di certo non rappresentava l’icona dell’amore, ma anche perché sapeva badare a se stesso e la sua indipendenza gli piaceva. Se lì c’era qualcuno di infantile, quello era solo Zoro che, tra parentesi, non aveva nemmeno un minimo di senso dell’orientamento, figurarsi quindi se sapeva arrangiarsi.
In quelle parole, però, c’era molto di più. C’erano rabbia, rancore, risentimento, frustrazione, odio e un sacco di altri sentimenti che il biondo provava da molto tempo verso quel ragazzo dai capelli verdi e con la fissa per le spade. Lo detestava come pochi e se non lo aveva ancora ucciso era solo perché stavano dalla stessa parte.
Ad ogni modo, Zoro capì. Non era una mente brillante o un sapientone, ma se voleva ci arrivava e lo sfogo di Sanji era stato tanto spontaneo quanto brutto da vedere e sentire. In poche parole gli aveva detto di stargli alla larga, di smetterla di cercarlo e di assillarlo. A sua discolpa non poteva nemmeno dire che era il biondo a richiedere la sua presenza perché ciò non era mai successo. Era sempre lui il primo a farsi avanti, a chiedere di più di qualche insulto o di uno sguardo, era sempre e solo lui quello che trasformava un momento tranquillo in un attimo di passione. Sanji, invece, stava zitto e lo accontentava. Riflettendoci, non sapeva nemmeno se gli piacesse tutto ciò, quello che facevano, il sesso, ecco.
Aggrottò le sopracciglia in un’espressione furiosa. Se non voleva allora poteva dirglielo benissimo e non fare la parte della vittima costretta.
-Beh, di certo non ne ho bisogno io.- scandì, mettendo in quelle parole tutto il disprezzo che aveva a disposizione e vedendo negli occhi azzurri del biondo spezzarsi qualcosa, facendogli chiedere subito dopo se non avesse sbagliato a lasciarsi prendere la mano.
Ma Zoro agiva così, non pensava e seguiva l’istinto e, in quella circostanza, l’unica cosa che aveva voluto era stato ferire Sanji, come si era sentito ferito lui dall’affermazione di poco prima.
Si erano appena dati le spalle, quando uno sparo particolarmente vicino a loro gelò il sangue nelle vene di entrambi.
Si guardarono negli occhi in quello stesso istante, cercandosi con ansia, giusto il tempo necessario per controllare che nessuno dei due fosse stato ferito e concentrandosi poi su altro per nascondere lo stato sconvolto e il sollievo che avevano provato nell’accertarsi che non erano stati loro le vittime, ma qualcun altro.
Fu Zoro ad accorgersi per primo dell’ennesima morte avvenuta nel campo di battaglia.
A pochi metri, Rufy gli dava le spalle, inginocchiato sull’erba macchiata di fango e sangue mentre reggeva tra le braccia un corpo che non si stava muovendo, ma che sembrava essere ancora in vita, dato che il ragazzino lo scrollava e gli parlava affannato e preoccupato.
Sanji, però, si mosse prima di lui, correndo per raggiungere l’amico, seguito dopo qualche secondo dallo stesso Zoro che, avendo intuito chi si nascondesse dietro le spalle coperte dalla camicia rossa troppo appariscente di Rufy, cercava di auto convincersi che non fosse così grave come gli sembrava.
-Oh, merde.-
Gli bastò vedere il viso del biondo contrarsi in una smorfia di dolore per capire che la situazione aveva iniziato a precipitare e, quando aggirò il ragazzo a terra, il respirò gli venne completamente tolto.
Rufy stava sostenendo Usopp, stringendoselo al petto e dandogli dei colpetti sulle guance per tenerlo sveglio, blaterando cose insensate che lo spadaccino non capì, mentre Sanji si era accovacciato per controllare le condizioni della ferita. Poi si rialzò e scosse la testa senza guardare nessuno in particolare.
-Usopp, ehi, mi senti? Resta sveglio, forza! Ci… ci sono io. Sono qui. Ehi? Sono Rufy!-
Con le palpebre socchiuse, Usopp si sforzò di aprire le labbra e sorridere, ottenendo però un colpo violento di tosse nel momento in cui tentò di parlare. Si sentiva malissimo e con le membra pesanti, mentre al petto sentiva una fitta continua e una sensazione di calore che andava, via, via, disperdendosi, lasciandolo al freddo.
Gli bastò però spostare lo sguardo su Rufy e si sentì meglio, consapevole di avergli salvato la vita, proteggendolo con la sua. Sarebbe stato un eroe, l’uomo che aveva sempre sognato di essere. Coraggioso, valoroso e amato.
-N-non vi preoc-cupate…- balbettò, deglutendo a fatica e combattendo le lacrime che gli stavano facendo bruciare gli occhi. I guerrieri non piangevano. -Me la caverò.-
-Certo che ce la farai! Ora chiamiamo Traffy e lui ti guarirà, vedrai. Lui… Usopp? Usopp!-
-Sono…- provò a dire, accennando un sorriso tirato e stanco, -Sono il vostro guerriero più valoroso… no?-
Zoro respirò a fondo, mordendosi un labbro e stringendo i pugni, costringendosi a mantenere un certo controllo. Lo faceva per rispetto verso Usopp che era stato davvero il più coraggioso di tutti quel giorno e per Rufy che sembrava ancora convinto che il ragazzo che reggeva tra le braccia si fosse solamente addormentato per riprendere le forze.
-Va bene così, riposati e poi… ti… sveglio io.- mormorò tra i singhiozzi. -Quando sarà ora di pranzo verrò a chiamarti e ti lascerò anche la mia porzione.-
Sanji voltò la testa altrove, fissando un punto in lontananza e sperando che quel soffio di vento che c’era asciugasse le poche lacrime che gli avevano rigato le guance, mentre per quelle di Rufy ci sarebbe voluto più di un fazzoletto per assorbirle.
Quando fu chiaro che Usopp non si sarebbe risvegliato, ne rialzato, Rufy smise improvvisamente di singhiozzare, ammutolendosi e stringendo impercettibilmente le dita attorno al corpo dell’amico, chinando il capo su di lui e sussurrandogli qualcosa che agli altri due sfuggì. Lo videro solamente alzare il capo e guardare davanti a sé, con uno sguardo vuoto, privo di sentimento. L’unica cosa che vi lessero furono assenza di pietà e sete di vendetta.
A quel punto, Zoro capì che il tempo iniziava a stringere e che presto sarebbero giunti ad un finale, perciò, se voleva portare a termine la missione che gli aveva affidato Shanks, doveva sbrigarsi. Agguantò Sanji per un braccio e gli parlò vicino all’orecchio in modo serio e deciso. -Fate in modo di arrivare vivi alla barricata. Tutti e due.- ordinò, dando ad intendere che né lui né l’altro ragazzo dovevano azzardarsi a morire.
Il biondo annuì e, caricatosi il corpo inerme di Usopp sulle spalle, si avviò dietro Rufy che apriva la strada, sparando ad ogni soldato che intralciava il loro cammino senza battere ciglio.
-Ti portiamo a casa Usopp.- sospirò Sanji, sentendo una stretta al petto nel vedere Zoro dirigersi proprio verso il plotone di soldati, -Ti portiamo a casa.-
 
*
 
Questo posto è un fottuto labirinto, pensò Zoro, correndo a perdifiato e nel modo più silenzioso possibile, per quanto il continuo tintinnare delle sue spade potesse permetterglielo, lungo gli infiniti corridoi del palazzo reale, svoltando prima a destra e poi a sinistra, salendo e scendendo scale fino a perdere completamente l’orientamento. O almeno, lo avrebbe perso se solo ne fosse stato provvisto.
Perché mai Shanks non avesse affidato il lavoro a uno più capace di orientarsi non riusciva a spiegarselo. Gli aveva detto di infiltrarsi nella reggia, trovare le stanze dei reali e cercare una principessa per portarla alla base. Doveva ammettere che, quando aveva sentito quelle parole, un pensierino sulla sanità mentale del Rivoluzionario se l’era fatto, ma l’uomo gli aveva detto che era una questione di vitale importanza, che erano in gioco cose come l’onore e il coraggio e che lui era senza dubbio il migliore sul campo. Inizialmente, Zoro si era fatto una risata e gli aveva detto di no, ma Shanks era stato bravo a rigirare la frittata a suo favore e gli aveva messo la pulce nell’orecchio, avvisandolo che in città girava voce che fosse arrivato lo spadaccino più forte al mondo e che, guarda caso, lui sapeva come e dove trovarlo.
Per quel motivo, in quel momento, si trovava a cercare di non scivolare sul marmo lucido, aggrappandosi alle tende in tessuto pregiato appese alle pareti con la speranza di trovare al più presto quella smorfiosa di una nobile.
Non gli interessava sapere a cosa sarebbe servita a Shanks, forse per fare un ricatto al Re, ma non aveva intenzione di pensarci troppo. Voleva solo portarla via da quel posto e sapere chi diavolo era quel bastardo che si vantava di essere il più forte.
Quante storie, sono io il migliore dell’intera regione! pensò, guardandosi attorno.
Finì si salire gli ultimi scalini, saltandoli due a due, e si ritrovò all’inizio di un lungo e ampio corridoio con pareti e colonne di un bianco brillante e con rifiniture in oro e argento. Ai muri erano appesi quadri di svariate dimensioni e uno in particolare con l’immagine della Famiglia Reale riempiva una parete intera.
Forse ci siamo, rifletté il ragazzo, avvicinandosi alla tela e sfiorando la cornice preziosa e lavorata, cercando con gli occhi la figura di una ragazzina con i capelli rosa, almeno ciò gli aveva detto il Rosso.
L’unico problema fu che non la trovò.
Maledizione!, imprecò tra sé e sé, decidendo di fregarsene di creare scompiglio ed iniziando ad aprire tutte le porte delle varie stanze, trovandole, per sua fortuna, rigorosamente vuote.
Continuò in quella maniera fino al piano superiore, partendo dall’inizio e arrivando al lato estremo, dove le finestre davano la visuale sulla Parigi sottostante, in quel momento polverosa e rumorosa, con le persone che si scannavano nelle piazze.
Brontolando per stare perdendo tempo invece che combattere, Zoro aprì l’ennesima porta, entrando in una stanza illuminata solamente dalla luce del giorno che filtrava da una porta finestra dall’altro lato, di fronte a lui, dove, appoggiata al parapetto in lucido marmo chiaro, stava una ragazza che si voltò nello stesso istante in cui lui mise un piede a terra, invadendo il suo spazio privato e provando la sensazione di aver irrimediabilmente distrutto la calma apparente che aleggiava lì attorno.
Fu un attimo e vide una scheggia rosa spostarsi dalla finestra al letto, estraendo da dietro la testiera del baldacchino una spada dall’aria maneggevole e, soprattutto, affilata.
La cosa che più lo colpì, però, non fu l’arma, ma bensì la visione di una donna che lo stava fronteggiando senza esitazione.
Una donna aveva avuto il coraggio di sfidare lui.
Scoppiò a ridere di gusto, scuotendo il capo e iniziando a camminare senza meta, passandosi una mano sugli occhi e appoggiandosi poi ad un armadio per calmarsi, incrociando le braccia al petto e ragionando sul fatto che le assurdità non avevano limite.
-Chi siete? E che cosa volete?- si sentì domandare e osservò di sottecchi come potesse una voce così imperiosa provenire da un corpicino tanto piccolo. Probabilmente la mocciosa era abituata a dare ordini e dettare legge.
-Scusa, ma non abbiamo tempo da perdere.- le rese noto dopo un’attenta occhiata curiosa, -Dobbiamo andare.-
-Andare dove?-
-Via da qui.-
La guardò boccheggiare spaesata e si accorse del breve istante di tentennamento, ma lei si riprese immediatamente e indurì lo sguardo. -Io non vado da nessuna parte.-
Zoro roteò gli occhi scocciato. Perché la gente doveva sempre essere tanto complicata? E perché tutti insistevano nel farlo lavorare, quando il suo unico desiderio era sdraiarsi e bere fino a svenire?
-Senti,- iniziò, avvicinandosi di qualche passo e notando che lei indietreggiava, sempre con la guardia alta. -Il tempo stringe e presto qualcuno si accorgerà delle guardie e del personale ucciso nei corridoi, per cui…-
-Hai ucciso le guardie?- domandò la ragazza con la voce incrinata, facendo si che Zoro si mordesse la lingua, rimproverandosi di aver parlato troppo come al solito. Riflettendoci, non sarebbe stata una buona pensata raccontarle delle vittime che si era lasciato alle spalle con la gola squarciata e le interiora sparse sui pavimenti pregiati.
Cercò di salvare il salvabile, ma dovette concentrarsi per schivare un affondo effettuato in maniera pulita ed impeccabile da parte della nobile che, in quel modo, lo stupì non poco.
-Come diavolo hai fatto? Ci vuole un sacco di esercizio per saperlo fare!- sbottò, sgranando gli occhi.
-E non è ancora finita.- fu la pronta risposta della donna, la quale si avventò di nuovo su di lui, costringendolo ad estrarre una delle sue spade per respingere l’attacco e tenerla a bada per non finire infilzato. Se lo avesse sconfitto non si sarebbe più fatto vedere vivo in giro.
Per sua fortuna poteva contare sulla sua forza e sull’esperienza acquisita, anche se la ragazzina sapeva il fatto suo e mirava a punti parecchio pericolosi se colpiti. Doveva per forza aver avuto un buon maestro.
Intercettò un attacco e deviò la traiettoria, facendo così finire l’arma dell’avversaria addosso al muro e disarmandola.
-Allora,- disse, riprendendo fiato e assicurandosi di tenere ben ferma la lama sulla gola della principessa. -Vogliamo andare o continuiamo ancora un po’, Vostra Grazia?-
-Sai chi sono?- sussurrò lei, più indispettita per aver perso lo scontro che preoccupata per la situazione in cui si trovava. Per quanto ne sapeva, l’uomo avrebbe potuto ucciderla, violentarla o chissà cos’altro.
Zoro sogghignò sarcastico. -Non tutti i Reali hanno i capelli rosa.-
La diretta interessata arricciò il naso, puntellando le mani sui fianchi. -E non tutti i francesi hanno i capelli verdi.- lo riprese saccente, colpendolo nel vivo e facendolo sbuffare.
-Smettila di blaterare e spogliati.- le ordinò burbero, rinfoderando la spada ed iniziando a trafficare con qualcosa che aveva dentro una borsa in pelle a tracolla che aveva portato con sé.
-Che cosa?- strillò Perona, coprendosi il petto con le mani, la quale credette di aver toccato il fondo per quella giornata. Si era svegliata disturbata dagli scoppi violenti avvenuti in città e per tutta la mattinata fino all’ora di pranzo se ne era rimasta rintanata nella sua stanza a guardare quello che succedeva in città dalla sua finestra, scrutando l’orizzonte con lo sguardo pieno di sogni, paure e speranze, desiderando solo di poter fuggire via e, per concludere, era arrivato quello straccione per portarla Dio solo sapeva dove.
-Mettiti questi.- precisò allora, lanciandole addosso dei vestiti comodi appartenuti a chissà quale poveraccio. -Non ti riconosceranno così. E sbrigati!-
-Mi dici chi diavolo sei? Perché sei qui? Chi ti manda?-
Doveva sapere se poteva almeno fidarsi. Di certo non sarebbe stata tanto sciocca da seguire uno sconosciuto senza sospetti. D’accordo che odiava la sua vita, ma addirittura buttarsi in braccio alla morte, beh, quello le sembrava un pochino esagerato e drastico.
Incrociò lo sguardo con il ragazzo, il quale si era fatto serio e la fissava intensamente, finendo per sogghignare.
-Fai troppe domande.- esclamò, grattandosi distrattamente la testa e dandole le spalle per lasciarle la sua privacy. -Mi hanno detto di cercare la principessa dai capelli rosa e di portarla via da palazzo. Per quanto riguarda chi mi manda, ho solo un nome: Drakul Mihawk. E ora muoviti o giuro che ti trascinerò fuori di peso.-
 
*
 
-Spada!-
Afferrò al volo l’arma che gli era stata lanciata dal compagno e parò all’ultimo momento l’attacco di un ufficiale, facendo breccia nella sua difesa e affondando poi la lama nello stomaco dell’uomo, spingendolo lontano con un calcio e lasciandolo cadere a terra.
-Spada!-
In quello stesso istante, lanciò il ferro al biondo che stava a circa un metro di distanza e che ebbe così modo di far fare la stessa fine, più o meno, ad un altro soldato.
Una volta sconfitta l’orda di guardie, i due si scambiarono un lungo sguardo, prendendosi un momento per studiarsi a vicenda e per rendersi conto di quello che era successo in quegli ultimi minuti.
Si erano ritrovati nel bel mezzo del casino più totale e si erano dovuti separare in piccoli gruppi per riuscire ad essere presenti in più punti della città.
Ace aveva imprecato sonoramente quando aveva capito che avrebbe dovuto arrangiarsi con Marco, praticamente da solo, dato che aveva la certezza che l’atro l’avrebbe lasciato morire alla prima occasione. Invece, al contrario di quello che aveva pensato, il ragazzo lo aveva aiutato quando aveva perso la sua arma in uno scontro piuttosto intenso, iniziando così quello scambio che si era appena concluso con una vittoria da parte loro.
Si guardavano, cercando di capire come diavolo erano finiti a sostenersi a vicenda, quando, fino al giorno prima, avrebbero fatto carte false per distruggersi.
Alla fine si sorrisero, un po’ in imbarazzo perché non si erano mai scambiati altro, oltre che alle minacce e agli sguardi assassini, e poco dopo il sorriso divenne una risata che li costrinse a reggersi la pancia per respirare.
-Dio, se è stato divertente!- fece Ace, affiancando il biondo e avviandosi con lui verso le barricate. Potevano stare tranquilli, quella piazza era ormai sgombera e la gente si stava lentamente riprendendo, scacciando gli ultimi gendarmi e costringendoli alla ritirata.
-Da rifare assolutamente!- concordò Marco, massaggiandosi il collo indolenzito.
-E quando hai lanciato quel pugnale dritto sul petto del militare!- ricordò il corvino, saltellando qualche passo più avanti al maggiore e agitando le braccia per imitare il gesto che l’altro aveva compiuto. -Una mira perfetta!-
-Invece tu hai praticamente dato fuoco a due ufficiali con una torcia!- si complimentò Marco, ancora impressionato dalla strana vocazione che il ragazzino aveva per il fuoco.
-Si, ma si sono spenti cadendo in acqua.- si imbronciò Ace, abbassando il capo con uno sbuffo contrariato e gettando un’occhiata veloce in direzione del fiume dove i due uomini ai quali aveva bruciato le uniformi si erano gettati, correndo come forsennati impazziti. Era stato divertente, Marco stesso aveva ridacchiato e gli stava pure facendo un complimento.
-La scena rimane comunque indimenticabile.- gli confermò per l’appunto il biondo, battendogli istintivamente una mano sulla spalla, un gesto comune e semplicissimo che facevano tutti e che lo stesso Ace aveva fatto e ricevuto mille volte, ma che in quell’occasione lo lasciò senza fiato.
Guardò Marco, notando come anche lui era rimasto un tantino sconvolto, anche se cercò ugualmente di non darlo a vedere, schiarendosi la voce e continuando a camminare come se niente fosse.
Pure il moro decise di non darci troppo peso e di prendere l’accaduto come una specie di buon segno. Forse erano arrivati ad una tregua e avrebbero potuto, col tempo, spianare le loro divergenze e riuscire ad andare d’accordo come tutti gli altri senza odiarsi reciprocamente.
Sorrise Ace, entusiasta per il buon finale della battaglia e per quella specie di nuovo inizio. Doveva ammettere che Marco non lo aveva rallentato durante il lavoro, nemmeno il giorno prima, quando aveva preparato i falò da accendere. Dopo la sfuriata che gli aveva fatto, si era dimostrato per lo meno propenso a dare una mano e a non intralciare nessuno e quello il rivoluzionario lo aveva apprezzato molto. Quella mattina avevano poi combattuto praticamente sempre fianco a fianco, dall’inizio alla fine, aiutando i propri compagni e guardandosi le spalle in quell’ultimo frangente, ritrovandosi in sintonia almeno su qualcosa.
Non è così terribile, si diceva intanto Marco, i cui pensieri erano sulla stessa lunghezza d’onda di quelli di Ace. Poteva essere che si fosse sbagliato a giudicarlo tanto in fretta, senza imporsi di conoscerlo meglio. Certo, a primo impatto sembrava solamente un moccioso pestifero, ma cercando più a fondo risultava addirittura interessante e, spesso, divertente. Non aveva mai perso il sorriso nemmeno quando aveva rischiato di perdere un braccio. Fortuna che era intervenuto lui di persona a salvare la situazione, dando inizio in quel modo un gioco, se così potevano chiamarlo. Si stupiva ad accettarlo, ma si era davvero divertito.
Nei pressi della barricata aiutarono alcuni uomini feriti a superare la barriera, assicurandosi che tutti fossero al sicuro e che i più gravi venissero spostati immediatamente dai dintorni.
-Ace! Ace!-
Fu Marco a voltarsi per primo verso la figura piccolina che si stava avvicinando a loro, incespicando nei suoi piedini e agitando le braccia magroline.
-Uhm, credo vogliano te.- avvisò, battendo dei colpetti leggeri sulla spalla del corvino, impegnato in quel momento a parlare con un suo compagno d’armi.
Quando Ace prestò attenzione allo scricciolo che lo aveva raggiunto, guardandolo torvo dal basso, si illuminò, sorridendo allegro e abbassandosi fino ad appoggiare un ginocchio a terra, andando poi a posare una mano sulla testolina bionda che gli stava di fronte.
-Oh, la bambina del latte.- disse, scompigliandole i capelli.
-Mi chiamo Elise, lo sai.- si imbronciò lei, sporgendo il labbro inferiore in una smorfia che avrebbe addolcito chiunque e che fece sogghignare persino Marco.
-Appunto, la bimba del latte.- ripeté il moro, che con i nomi non era mai stato un maestro e quello della piccola gli sfuggiva sempre. Si ricordava di lei solamente perché, a parte averla vista un sacco di volte, quando passava per casa sua si fermava sempre per un bicchiere di latte fresco che lei gli offriva gentilmente e si offendeva pure se le diceva che andava di fretta. Sabo lo prendeva in giro perché diceva che si era probabilmente innamorata di lui.
-Cosa ci fai qui fuori? E’ pericoloso, lo sai vero?- la riprese bonario, alzandosi e aggirandola. -Forza, mettiti dietro la barricata e torna a casa, va bene?-
-Ma il mio papà è ancora fuori.- rispose Elise, alzando il capo e guardando i due ragazzi con gli occhi lucidi. -Io e la mamma non lo troviamo da nessuna parte.-
Ace sospirò, scambiandosi un’occhiata indecisa con Marco.
-Non ti preoccupare.- rispose allora quello, decidendo per entrambi. -Ora Ace ed io lo andiamo a cercare, d’accordo?-
La bambina parve tentennare, ma alla fine si asciugò una lacrima che le era corsa lungo la guancia con una manina e annuì convinta, lasciandosi convincere a rientrare al di là della barricata.
-Non sei obbligato ad accompagnarmi.- fece notare Ace quando si fu allontanata, affondando le mani nelle tasche dei calzoni e voltandosi verso la piazza, imitato subito da Marco. Non voleva coinvolgerlo in un giro di recupero quando era perfettamente consapevole che avrebbero potuto non trovare affatto il padre della bambina e voleva evitargli rischi inutili, anche se l’altro sembrava più che propenso a tenergli compagnia.
-Lo so.- rispose infatti il biondo, tranquillo.
-Bene. Andiamo allora.-
Non lo avrebbe detto, ma era contento di non dover essere da solo, anzi, gli faceva piacere che Marco avesse scelto spontaneamente di accompagnarlo. Tutto aveva un altro aspetto se fatto volentieri, a differenza dell’ordine che avevano ricevuto due notti prima. In quell’occasione erano stati costretti da altri a lavorare assieme, mentre in quell’occasione lo avevano fatto semplicemente perché gli andava e ciò faceva sentire Ace al settimo cielo. Era decisamente meglio andare d’accordo, senza la paura di fare domande o chiacchierare di tanto in tanto.
In piazza ormai non c’era altro che polvere e corpi privi di vita sparsi a terra, eccetto alcuni uomini che si erano resi volontari per andare alla ricerca degli ultimi sopravvissuti o di quelli rimasti indietro. Nel pomeriggio avrebbero chiuso le barricate, dividendo la città i vari blocchi e chi restava fuori non avrebbe avuto scampo quando sarebbero ritornate le guardie per il contrattacco, perciò era meglio ridurre il numero delle vittime più che si poteva e cercare di salvare il salvabile. Era anche una questione di principio e di fratellanza. Dopotutto, tutta la città si era mobilitata perché era unita e credeva nella possibilità di avere un futuro migliore, perciò sarebbe stato da ipocriti abbandonare un compagno, un amico o un fratello se c’era la possibilità di non farlo.
Aiutarono un paio di rivoluzionari a trascinare fuori dal campo di battaglia un paio dei feriti, chiedendo nel frattempo in giro informazioni sul padre della piccola Elise, ma non trovando purtroppo risposte soddisfacenti, fino a che un uomo che lo conosceva disse loro che il tizio che stavano cercano era stato portato poco prima alla barricata dopo che lo avevano trovato con una gamba rotta, ma vivo e vegeto.
-Oh, beh, credo che possiamo rientrare anche noi in questo caso.- fece Ace, stringendosi nelle spalle e guardando marco alla sua destra annuire. Ancora non se ne rendevano conto, ma il fatto di scambiarsi uno sguardo per consultarsi prima di prendere una qualsiasi decisione sarebbe diventata un’abitudine per loro.
Si incamminarono con calma, commentando la battaglia e dando una mano di tanto in tanto ai volontari in difficoltà, coprendo loro le spalle e controllando che non ci fossero altre guardie appostate e pronte a tendere un agguato.
-Altri dieci metri e poi ci siamo.- stava dicendo un rivoluzionario ad un ferito che si era caricato in spalla.
-Stasera berremo come dei disperati.- scherzò un altro, cercando di tirare su il morale a tutti e riuscendo a strappare qualche sorriso tirato.
Anche Ace stava immaginando come avrebbe passato la serata. Si sarebbe riposato e avrebbe mangiato fino a scoppiare con la sua famiglia e, finalmente, in compagnia di Rufy. Non vedeva l’ora di guardarlo litigare con Shanks o con Sabo per il cibo.
-Entrate, vi copriamo noi.- disse ad un tratto Marco, facendo passare avanti gli ultimi cittadini, mentre Ace si guardava attorno reggendo una pistola. Ormai avevano finito per quella parte della giornata.
-E’ stato impegnativo.- sospirò infine, con l’adrenalina ancora nel sangue. Era rimasto con il fiato sospeso per tutto il tempo.
Marco concordò con lui, asciugandosi il sudore sulla fronte con la manica della giacca. Era sfinito, stanco e dolorante per gli scontri corpo a corpo impegnativi che aveva sostenuto. Sentiva le orecchie che fischiavano a causa degli spari ed era certo di non aver mai visto tanto sangue come in quell’occasione, nemmeno quando gli era capitato di ingaggiare una battaglia in mare aperto completa di abbordaggio con le navi inglesi.
-Dai, rientriamo anche noi.- mormorò, indicando con un cenno del capo l’ingresso della barricata alle loro spalle e incamminandosi prima di Ace.
-Uh? Aspetta, quello chi è?- chiese il moro, fissando qualcosa che si muoveva poco distante da loro in mezzo alla polvere, ai corpi e ai resti di carri distrutti, baracchini in legno e mura crollate. Poteva essere uno di loro che era svenuto in battaglia o che era stato ferito e non era riuscito a farsi notare prima.
-Marco, sta chiedendo aiuto.-
Il biondo, che non riusciva a distinguere l’uomo a terra, rimase immobile, indeciso su cosa fare. -Potrebbe essere un nemico.-
Non sapeva perché lo stava dicendo, ma aveva una brutta sensazione.
Ace lo guardò scettico. -Ma che dici, è moribondo! Muoviti, vieni a darmi una mano.- e si avviò verso la vittima, obbligando Marco corrergli dietro in fretta, sempre più preoccupato. La visibilità era scarsa a causa dei fuochi e delle esplosioni, l’aria era ancora soffocante e non si vedeva nulla. Se solo fosse stato tutto un po’ più nitido.
-Ehi, amico! Ci siamo noi.- si fece sentire Ace, alzando un braccio per farsi notare dal moribondo che, udendolo, alzò il capo, rimanendo steso a terra e attendendo che il ragazzo si facesse un po’ più vicino.
-Sei ferito?- continuò il ragazzo, abbozzando un sorriso amichevole, ignorando il biondo dietro di lui che cercava di afferrarlo per la collottola.  -Adesso ti aiutia…-
-Ace spostati!-
Perché Marco si era accorto del braccio che l’uomo a pochi metri da loro aveva alzato e aveva riconosciuto l’uniforme della polizia bene quanto la rivoltella che stringeva con la mano e che puntava dritta e senza esitazione verso il giovane più vicino che, con tutta la sua buona volontà, non ci aveva proprio fatto caso, intendo com’era stato a voltarsi verso il biondo per rimproverarlo di non essere fiducioso.
Per Ace era accaduto tutto a rallentatore, come se fosse stato uno spettatore esterno e non all’interno del suo corpo, mentre per Marco era stato un susseguirsi veloce di azioni e decisioni. In un attimo era scattato in avanti, spingendo Ace con tutta la forza che aveva nelle braccia e facendolo rotolare a terra di lato appena in tempo per evitare che venisse colpito dalle pallottole, ma non riuscendo a scansarsi per salvare se stesso.
Il moro, invece, aveva visto tutto. Aveva visto Marco andargli addosso; si era visto cadere a terra malamente e aveva anche percepito la fitta dolorosa al polso; aveva visto il biondo continuare a muoversi verso di lui e, ad un tratto, aveva visto, e udito, benissimo gli spari che colpivano il suo corpo, bloccandolo e facendolo accasciare al suolo, privo di sensi.
Poi non aveva sentito altro, ogni rumore era stato attutito e si era ritrovato di nuovo padrone di sé e del suo corpo, perciò si era alzato, aveva raccolto la sua pistola ed era andato verso il soldato che, resosi conto di averlo mancato, aveva ripreso a sparare, ma le munizioni erano finite. Si era messo a strisciare, implorando pietà mano a mano che Ace avanzava con in faccia lo sguardo peggiore che un uomo potesse vedere. Fu con quell’immagine che morì l’ufficiale, troncato da un colpo preciso alla testa. Una fortuna per lui, perché il Rivoluzionario aveva troppa fretta di tornare da Marco per portarlo al di là della barricata per perdere tempo a farlo trapassare nel modo più doloroso e lento possibile.
Il ragazzo si era caricato il biondo sulle spalle, sentendo qualcosa di viscido e caldo scorrergli lungo un braccio e, ignorando il braccio sicuramente slogato, la testa che gli girava e la mancanza di aria nei polmoni, percorse gli ultimi metri fino a trovarsi al sicuro in mezzo ai suoi compagni.
L’unica cosa che disse, fu un ordine che non poteva essere ignorato, non quando era dato con quel tono e con quello sguardo.
-Trovate Trafalgar Law.-
 
*
 
Il Quartier Generale pullulava di ogni tipo di disperato.
Gente ammassata lungo la via, sulle porte, nelle sale, chi seduto sui balconi delle finestre, chi osservava dalle terrazze, chi aspettava all’aperto e chi all’interno, ognuno dando sfogo ai propri pensieri chiacchierando, urlando, piangendo e litigando per accaparrarsi un posto in fila per essere visti da un dottore.
O meglio, da uno dei tanti.
C’era stato bisogno di ogni persona che avesse almeno un minimo di conoscenze mediche per calmare la folla agitata e per seguire i feriti, dato che erano veramente tanti e un medico soltanto non sarebbe mai bastato. I più esperti si occupavano dei casi gravi, mentre quelli che si vantavano di curare un raffreddore con dei rimedi vegetali badavano al superfluo.
Quelli coscienti si erano messi l’anima in pace, avevano bevuto una brodaglia aspra che aveva alleviato il loro dolore e si erano messi ad attendere pazientemente che il Dottr Chopper si liberasse, mentre i più coraggiosi ed intrepidi, o accecati dal dolore o svenuti, erano finiti nelle abili e sapienti, e a volte troppo azzardate, mani del Chirurgo della Morte, il quale non aveva smesso un attimo di lavorare da quando la rivolta aveva avuto fine.
Aveva perso il conto ormai di quelli che erano passati sotto ai suoi ferri. Non ricordava di aver mai amputato tanti arti come quel giorno, o di aver effettuato operazioni improvvisate con le uniche risorse che possedeva. Ad ogni modo, continuava imperterrito a salvare vite, compiendo il suo dovere e i suoi compiti senza battere ciglio, non abbattendosi quando un caso troppo disperato moriva sotto i suoi occhi. Lui faceva il possibile e lo faceva al meglio. Tre vittime su cento erano un numero che poteva sopportare e portare sulla coscienza.
-Penguin, sei libero?- domandò ad operazione finita, poggiando gli attrezzi e dirigendosi verso una bacinella piena d’acqua per lavarsi le mani.
-Ho appena finito.- rispose prontamente il suo assistente.
-Bene. Richiudilo e poi prenditi una pausa.- lo informò, mentre il ragazzo lo sostituiva ed iniziava ad applicare meticolosamente i punti di sutura su una ferita all’addome di un poveraccio che si era beccato un affondo da parte di uno dei soldati.
Law si rinfrescò velocemente anche il viso, massaggiandosi gli occhi e sospirando. Aveva ancora un sacco di lavoro da fare, ma la testa iniziava a pulsare e se volava lavorare bene doveva essere lucido, perciò, a meno che non ci fossero state altre emergenze, si sarebbe riposato per qualche minuti. Il pomeriggio era lungo e di certo non sarebbe tornato a casa tanto presto. Di quel passo sarebbe potuto anche rimanere alla base per qualche giorno, quindi gli conveniva mandare un messo a Corazòn per informarlo della sua salute e delle condizioni in cui si trovava.
Uscì dalla stanza passando per una porta secondaria, collegata ad un salottino dove, solitamente, alcuni dei rivoluzionari si fermavano per rifocillarsi bevendo qualcosa o schiacciando un pisolino.
Si era aspettato di trovarci qualcuno, ma non Eustass Kidd.
Il rosso era stravaccato su un divanetto, troppo piccolo per la sua stazza e le gambe superavano di parecchi centimetri il bordo, lasciate penzolare nel vuoto, mentre le braccia erano incrociate dietro la testa per sostenerla e stare comodo.
Si fermò a guardarlo Law, osservando le membra rilassate; i capelli spettinati e sporchi, alcuni addirittura imbrattati di polvere e fango; i vestiti macchiati di sangue in più punti; il petto che si alzava e abbassava ad ogni respiro e il viso sereno mentre dormiva profondamente, con gli occhi chiusi. Credendolo addormentato, il dottore si avvicinò, chinandosi su di lui e avendo la conferma dei suoi sospetti, accorgendosi di alcuni graffi che risaltavano sulle pelle chiara, in particolare un brutto taglio di cinque centimetri che partiva dall’attaccatura dell’orecchio sinistro e finiva sul sopracciglio rossiccio. Così, sospirando, recuperò del disinfettante e inumidì un paio di garze, poggiandole poi con attenzione sulla ferita del rosso che, infastidito, corrugò le sopracciglia facendo sogghignare Law.
-Brucia.- borbottò Kidd, tenendo gli occhi chiusi e prendendo un respiro profondo, come se fosse stato appena svegliato.
-Lo so, ma si cicatrizzerà più in fretta.- gli spiegò il moro, sedendosi sulla poltrona li vicino e allungando le braccia per stiracchiarsi. Si sentiva veramente stanco e spossato.
-Come sta andando?- domandò Kidd dopo un po’.
Law si strinse nelle spalle, chiudendo gli occhi. -Va.- rispose, non sapendo definire meglio l’andamento della situazione. -Gente che vive, gente che muore. Un po’ come sempre del resto.-
Il rosso annuì lievemente, capendo che era meglio non indagare oltre. -Gli altri?-
 -Sono quasi tutti rientrati. Ne mancano pochi all’appello.-
-Chi è rimasto indietro?-
-Uhm, non saprei di preciso, ma da quel che mi ha riferito Shachi, gli unici che devono ancora tornare sono Ace e Zoro.-
Nella sala adiacente dove Penguin stava finendo di porre le ultime suture scoppiò un gran baccano che fece scattare Kidd a sedere e schizzare in piedi Law, il quale si diresse a grandi falcate verso la fonte del rumore fatto di oggetti che cadevano per terra in continuazione e frasi frettolose di più persone.
-Ehi, aspetta un attimo!- si udì la voce dell’infermiere di alcune note troppo alta.
-Dov’è Trafalgar?-
-Sono qui, Ace.- si rivelò il diretto interessato, mentre alle sue spalle appariva la figura di Kidd che aveva decisamente visto giorni migliori.
-Toh, parli del diavolo.- disse quello, appoggiandosi con un sospiro stanco allo stipite. Camminare gli faceva venire le vertigini e la ferita alla tempia pulsava più forte di quello che si era aspettato, ma non poteva di certo buttarsi giù per così poco e farsi vedere debole. Non se lo sarebbe mai perdonato.
Il corvino ignorò tutto ciò che gli stava attorno, spostando Penguin di lato con poca grazia e mostrando così al medico ciò che aveva disteso sul tavolo non appena era entrato.
Law, a quella vista, gli fu accanto in un istante, iniziando subito ad osservare il corpo e formulando nella sua testa varie domande e ipotisi, assieme, ovviamente, ad un piano da seguire per fare del suo meglio e cominciare con l’operazione.
-Cosa gli è successo?- chiese freddo, buttandosi alle spalle stanchezza e preoccupazioni varie e recuperando la solita aria professionale.
Ace deglutì e strinse i pugni. -Gli hanno sparato.- mormorò a denti stretti. -Sono tre colpi in tutto. Qui, qui e anche qui.- spiegò velocemente, indicando con la mano un punto sullo stomaco di Marco, privo di sensi e dal colorito pallido, uno sul torace e un altro decisamente meno grave sulla spalla sinistra.
Poi bloccò il braccio di Trafalgar, stringendogli il polso e obbligandolo ad incontrare i suoi occhi spiritati. -Devi. Salvarlo.-
Suonò quasi come un ordine, misto ad una preghiera fatta di disperazione, ma Law non rispose subito e nemmeno fece commenti sull’agitazione e sulla paura che aveva visto nello sguardo e nel comportamento dell’amico. Prese invece il tutto come l’ennesima sfida contro la Morte. Ed era più che intenzionato a vincere.
-Esci. Ti chiamo quando ho finito.- dichiarò senza degnarlo più di uno sguardo, facendo segno a Penguin di accompagnare il ragazzo fuori dalla sala e di controllare che non avesse bisogno anche lui di qualcosa. Dopodiché andò a lavarsi nuovamente le mani fino agli avambracci e preparò l’occorrente per un intervento d’urgenza, rendendosi conto solo dopo dello sguardo di Kidd puntato addosso.
-Vai pure a casa, Eustass-ya. Io tornerò presto.-
Il rosso grugnì scocciato. -Scordatelo, qui ho tutto quello che mi serve.- decretò, muovendosi per tornare a riposare sul divanetto nella stanza accanto. -E poi,- aggiunse, -Corazòn è noioso. Sono certo di non piacergli.-
Law sogghignò ironico, l’ultima distrazione prima di escludere il mondo da quella stanza. -Ma dai, cosa te lo fa credere?-
-Lo so e basta.-
 
 
 
 
 
Angolo Autrice.
Ehm, buona estate?
Perché, insomma, non credo di essere l’unica che ha voglia di fare niente, causa maggior questo caldo insopportabile! Ma dalla prossima settimana sono in ferie, quindi spero di portarmi avanti un pochino .-. il prossimo capitolo è pronto a metà, ma almeno è qualcosa dai ^^ per il resto, spero stiate tutti bene e vi auguro di divertirvi un sacco! La scorsa settimana ho fatto il mio primo AFTER ** ne vado così fiera, alla veneranda età di 21 anni ho fatto una cazzata pure io, anche se non ero ubriaca e ho dovuto fare da balia a due idioti ubriachi marci, gustando l’alba nei pressi di un distributore di benzina. Poetico, ci scriverò una one-shot magari.
Che dire, le immagini nemmeno le metto più perché ho visto che dopo un po’ il link si annulla e non so metterle intere sulla pagina D: sono disperata per questo!
Tornerò presto, spero. Sto tirando avanti una mini-long e spero di finirla perché tipo non vedo l’ora di farvela leggere :3
E nei prossimi capitoli, a brevissimo, alzo il rating grazie ad un bestione con la testa rossa e un ragazzetto saccente, MLMLML. Indovinate chi sono, LOL.
Un abbraccione e grazie per la pazienza, grazie a chi legge e a chi lascia un pensierino, vorrei poter fare di più.
 
See ya,
Ace.
  
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