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Autore: ___Ace    15/06/2015    2 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Liberté, Égalité, Fraternité.
Quatorze.
 
Era stata una notte movimentata quella che aveva preceduto la mattina del 14 luglio e i poveri diavoli che erano finiti per svariate ragioni a passare quel che restava della loro vita nella Bastiglia non avevano chiuso occhio, curiosi e interessati allo scompiglio che si era ininterrottamente riversato per le strade.
Tutti gli occhi si erano ammassati alle finestrelle strette e sbarrate per osservare meglio, per fare da tramite a quelli che non potevano muoversi o alle celle situate più in profondità, senza contatti con il mondo esterno. Anche se lontani, riuscivano ad adocchiare svariati particolari e, ogni qualvolta che una guardia veniva colpita dai cittadini, si alzava un urlo di gioia generale, mostrando chiaramente per chi tifassero tutti i detenuti.
Le uniche ore di calma furono all’alba, quando gli spari cessarono e le grida di malcontento si zittirono per dare modo alle due fazioni di riposare e riprendere fiato prima del botto finale.
Perché la rivolta era appena iniziata, lo sapevano tutti. Nell’aria si respirava quel clima di stallo, l’attimo prima dello scoppio. L’aria era satura di tensione e aspettative, dalle strade si alzava la polvere e alcune vie erano impraticabili dopo i vari scontri avvenuti. Numerosi edifici erano stati saccheggiati e gli ingressi arsi dalle fiamme erano crollati con il calare del sole.
All’interno del penitenziario, non si sentiva volare una mosca. Tutto era silenzioso, molti uomini si erano rannicchiati negli angoli meno sudici, o sdraiati nelle brandine per schiacciare un pisolino, o semplicemente per aspettare che qualcosa accadesse.
Uno solo era rimasto vigile senza mai chiudere gli occhi, mantenendo lo sguardo fisso sulla città, mentre con le mani si teneva ancorato alle sbarre della finestrella, come se fosse stata l’unica sua salvezza. Di lì a breve sarebbe successo qualcosa, lo sapeva, se lo sentiva. Ne era certo, come non aveva dubbi su chi fosse stato l’artefice di tutti quegli incendi. Solo un esperto come suo fratello Ace avrebbe potuto organizzare un botto come quello e di ciò ne andava fiero.
Un movimento alle sue spalle lo avvisò del risveglio di uno dei suoi compagni di cella e, poco dopo, un viso conosciuto spuntò al suo fianco.
-Moccioso, sei ancora fermo qui?- gli domandò Bagy, assonnato, mentre si stiracchiava e faceva scricchiolare tutte le ossa indolenzite a causa delle posizioni scomode alle quali era costretto.
Rufy annuì lievemente, concentrato su ogni piccolo movimento che scorgeva da quell’altezza. -Stanno arrivando.- sussurrò pacato, al che Bagy lo squadrò con un velo di preoccupazione. Certo, anche a lui sarebbe piaciuto filarsela da quel postaccio, ma aveva seri dubbi sul fatto che a qualcuno venisse in mente di attaccare una fortezza come quella in cui si trovavano.
Si passò una mano sul volto stanco, segnato da occhiaie profonde. -Lo spero, ragazzino. Lo spero davvero.-
Allora, Rufy si voltò a guardarlo e, inaspettatamente, gli regalò un ampio sorriso, uno di quelli che gli riempivano tutta la faccia e che andavano da un orecchio all’altro. A volte sembrava essere di gomma perché nessuno mai era riuscito ad imitarlo.
-Stanno arrivando!- ripeté con convinzione.
-Ho capito.- fece Bagy, guardandolo con il suo solito cipiglio scettico. -Ti ho detto che lo spero.-
-Ma no!- disse il ragazzo, afferrando l’uomo per i capelli e trascinandolo più vicino per schiacciargli direttamente il viso contro le sbarre fredde. -Guarda! Stanno arrivando.- scandì con entusiasmo, indicando un gruppo di gente che si avvicinava sempre di più alla Bastiglia, brandendo forconi, bastoni e spade.
Bagy sgranò gli occhi, incredulo, mentre, attimo dopo attimo, le grida iniziavano a farsi strada, salendo sempre più di volume fino ad arrivare alle orecchie di tutti, svegliando i detenuti e allertando le guardie di ronda che, insospettite dal baccano, si riversarono fuori dall’edificio, lasciando le celle senza controllo.
-Ehi, che succede?-
-Fatemi vedere!- si lamentò Mister Three, allungando le mani per aggrapparsi alle spalle di Bagy e Rufy con l’intento di spostarli.
Il più piccolo lo lasciò fare, sghignazzando allegramente e dirigendosi verso l’entrata della sua cella, mettendo la testa tra le sbarre e gridando a tutti di svegliarsi e di tenersi pronti per l’evasione, scatenando un pandemonio di speranze e impazienza. L’aria di libertà iniziava a scorrere tra le mura, animando sempre più le persone all’interno e dando la carica giusta che serviva per raggiungere l’obbiettivo.
-Ehi tu, piccoletto, ne sei certo?- gli chiese un energumeno nella stanzetta accanto alla sua.
-Assolutamente. Dopotutto, i miei fratelli me lo avevano promesso.-
-Uh? Promesso cosa?-
-Che mi avrebbero fatto uscire!-
 
*
 
Quella mattina, alle prime luci dell’alba, un gruppo di insorti attaccò l’Hôtel des Invalides con lo scopo di recuperare delle armi, riuscendo nell’impresa e impossessandosi di un alto numero di fucili e baionette, compresi un paio di cannoni. L’unico intoppo che trovarono, però, fu la mancanza di polvere da sparo. Fu quello uno dei principali motivi per i quali decisero di attaccare la prigione-fortezza della Bastiglia, da tempo ormai simbolo del potere del Monarca.
L’imponente edificio medievale non scoraggiò gli uomini quando lo raggiunsero, trovando il ponte levatoio alzato e l’ingresso principale sbarrato da un gruppetto di ufficiali volontari. I Rivoluzionari erano nettamente superiori, ma acconsentirono ad intavolare una trattativa che, dopo un paio d’ore, rese chiaro che non sarebbe servita a nulla. Non restava che trovare altre entrate secondarie.
-Io non avevo pensato al problema delle guardie.- borbottò Ace, colto alla sprovvista. Aveva sentito dire che i detenuti rinchiusi non fossero molti, perciò aveva ipotizzato che, allo stesso modo, la polizia non avesse ritenuto necessario mettere a guardia della prigione una quarantina di uomini, quando in città era scoppiato il finimondo.
-Fortuna che ci sia io, allora.- lo apostrofò Sabo, sorridendogli sfacciato. -Ieri abbiamo passato l’intera giornata a saccheggiare magazzini, era ovvio che avrebbero aumentato la vigilanza nei luoghi in cui nascondono qualcosa.- spiegò, tornando a guardare la Bastiglia e sorridendo quando si accorse che, ad una delle finestre in alto, era legata una camicia rossa. Anche se sbiadita, sapeva esattamente a chi apparteneva.
Ace seguì il suo sguardo e si ritrovò a sorridere pure lui, sentendo il battito nel cuore aumentare di velocità, mentre il petto si gonfiava di determinazione e coraggio.
-Penso che Rufy si sia riposato abbastanza.- mormorò il biondo, scambiandosi un’occhiata complice con il moro, il quale annuì convinto.
-E’ ora di tirarlo fuori.- decretò, estraendo un paio di pistole che aveva assicurato alla cintura e caricandole. -Tu pensi a questi, mentre io mi occupo del ponte?-
-Fantastico. Ci vediamo più tardi in piazza.- concordò Sabo, poi fece qualche passo avanti, mettendosi in prima linea mentre, alle sue spalle, i suoi compagni impugnavano le armi, pronti all’attacco.
Si assicurò di avere l’attenzione dei soldati su di sé e, sistemandosi i guanti, si fermò per fronteggiarli, sorridendo sprezzante e sicuro di sé.
Ci fu un attimo di immobilità assoluta in cui nessuno osò respirare.
Ad un tratto, Sabo alzò le braccia verso il cielo in un gesto teatrale e le riabbassò fulmineo, lasciando cadere a terra dei sacchetti contenenti un composto esplosivo preparato apposta per quel momento da Usopp, i quali, a contatto con il terreno, scoppiarono e fecero alzare tutt’attorno una cortina di fumo che permise agli insorti di attaccare senza la preoccupazione di venire colpiti dagli spari.
Tutto ciò, infatti, era stato organizzato per cogliere le guardie di sorpresa, aumentando le probabilità di riuscita e dando modo a Ace e al resto degli uomini di tagliare le catene del ponte levatoio per penetrare nel cortile interno senza essere braccati o presi di mira.
Così, mentre Sabo apriva le danze alle porte della Bastiglia, Ace sfondava un portone di servizio, entrando a spada tratta nell’edificio e iniziando a setacciarlo da cima a fondo, lasciandosi alle spalle una serie di vittime che gli avevano sbarrato la strada quando aveva superato la prima linea di difesa.
-Liberate tutti i prigionieri, non deve restare nessuno qui dentro!- esclamò, indicando agli insorti le prime celle che incontrarono lungo il corridoio. -E prendete tutte le armi che trovate!-
-Forza gente, muoviamoci!-
I Rivoluzionari si divisero ed iniziarono ad eseguire gli ordini, facendosi aiutare dai detenuti che, mano a mano, liberavano per scoprire dove i soldati tenevano cibo e armi.
-E non dimenticate la polvere da sparo.- si premurò di ricordare loro il corvino, prima di filare su per le scale con l’intento di raggiungere il terzo piano. Obbiettivo che, a metà rampa, trovò un intoppo dovuto a tre secondini che erano rimasti a guardia del secondo livello.
Sbuffò seccato, alzando gli occhi al cielo e rinfoderando le pistole per estrarre la spada, pronto a farsi largo.
-Levatevi dai piedi!- disse frettoloso, incrociando le lame con il primo soldato che si fece avanti, sbilanciandolo e facendogli perdere l’equilibrio per spintonarlo poi giù dalle scale, lasciandolo in balìa dei suoi compagni che lo stavano seguendo.
Toccò poi al secondo, il quale ricevette un poderoso pugno allo stomaco, invece il terzo si ritrovò semplicemente alle strette, accerchiato da un alto numero di uomini, mentre Ace lo superava e lasciava agli altri buona parte del divertimento, facendo gli scalini due a due per essere più veloce, arrivando al terzo piano incespicando nei suoi stivali e col fiatone.
C’era un bel casino nelle celle. Molti detenuti sbraitavano e cercavano di acchiapparlo per costringerlo a liberarli, ma Ace li evitò con facilità, percorrendo il corridoio e guardandosi a destra e a sinistra alla ricerca di un prigioniero in particolare.
Lo trovò in fondo, dove l’edificio faceva angolo, in una cella con altri tre uomini che indossavano abiti che avevano l’aria di aver visto giorni migliori. Lo riconobbe immediatamente, anche se indossava una giacca diversa e più grande di almeno due taglie. Era inconfondibile anche in quello stato, con i capelli in disordine e più lunghi, il viso e le mani sporchi e un lieve accenno di barba sul mento ancora da adolescente. Avrebbe saputo trovare suo fratello ovunque solamente grazie all’enorme sorriso di quest’ultimo e allo sguardo acceso e gioioso che lesse in quegli occhi scuri e grandi.
E non avrebbe mai permesso a nessuno di portarglielo via perché, quando se lo ritrovò tra le braccia dopo aver aperto la porta della cella, la sensazione che provò nel saperlo vivo e vegeto gli scaldò l’anima, facendolo sentire nel posto giusto al momento giusto.
-Sapevo che saresti arrivato, Ace!- ridacchiò Rufy, stringendosi convulsamente alle spalle del fratello maggiore, abbracciandolo con forza e felice di rivederlo dopo tutti quei mesi, soprattutto perché i primi tempi lo aveva creduto perso per sempre. Invece Ace era tornato, lo aveva fatto per lui e non lo avrebbe mai abbandonato in quel mondo da solo, senza una famiglia e senza un fratello.
-Te l’avevo promesso, no?- gli ricordò il più grande, accarezzandogli la zazzera scura e spettinata. -Non potevo lasciare il mio fratellino rinchiuso in questo postaccio e per giunta senza carne.-
Rufy si bloccò all’istante, alzando il capo verso di lui e mostrandogli un paio di occhioni lucidi. -Ace… Io…-
-Andiamo, Rufy, va tutto bene, ci sono qui io ades…-
-Ho fame!- scoppiò il minore, sbraitando e zittendo per alcuni secondi tutte le voci che avevano fatto da sottofondo durante quella rimpatriata tra fratelli.
Una furia dai capelli azzurri si parò tra di loro, afferrando il piccoletto per la collottola e strattonandolo senza ritegno, stupendo Ace. -Tu, razza di pozzo senza fondo!- lo insultò, spedendolo a terra con uno spintone e rivolgendosi poi a Pugno di Fuoco. -Il tuo caro fratellino non ha fatto altro che ingozzarsi con la nostra razione di cibo!-
-Ma io ho sempre fame!-
-Come se non l’avessimo capito.-
-Ehi, io ti conosco. Tu sei Bagy!-
A quelle parole, l’ego dell’uomo prese il sopravvento sull’affronto e sulle sofferenze subite. Si voltò verso il corvino, gonfiando il petto e indicandosi. -In persona. Mi compiace sapere che mi hai riconosciuto, ragazzo. Di certo il nostro incontro deve averti toccato parecchio.-
Si beccò una pacca sulla schiena che lo lasciò senza fiato a causa della forza esercitata. -Come potrei dimenticarlo!- fece Ace, felice di rivedere quel clown tanto simpatico. -Sei quello che hanno sbattuto fuori dalla locanda per aver imbrogliato durante una partita a carte! Che risate quel giorno.-
Bagy si sentì gelare. Ovviamente non aveva raccontato quella parte della storia ai suoi compagni di cella e i risolini che gli giunsero alle orecchie da parte di Mister Three e Von Clay lo irritarono parecchio. Possibile che Rufy avesse un fratello ancora più stupido e piantagrane?
-M-ma… Ma che stai dicendo?- provò a salvarsi la faccia senza però molto successo, anche perché il tempo stringeva e Ace sembrava essersi reso conto di aver cincischiato fin troppo.
Aiutò Rufy ad alzarsi e, dopo avergli messo in mano una spada, gli spiegò velocemente cosa fare e in poco tempo tutti i detenuti del terzo piano facevano il diavolo a quattro in strada, dando man forte ai Rivoluzionari che avevano intrattenuto le guardie durante l’assedio.
A Rufy non sembrava vero di mettere piede fuori da quell’infernale prigione, respirare finalmente a pieni polmoni l’aria parigina e vedere cose diverse dalle mura e dalle solite facce note. Anche se, doveva ammetterlo, era certo di essere stato in compagnia dei migliori compagni di cella di sempre, persone che si mise subito a cercare in mezzo alla folla, accorgendosi di averli persi di vista tutti.
-Ehi, Rufy! Andiamo, la festa si sta svolgendo in piazza!- lo richiamò Ace, distraendolo e ricordandogli che, probabilmente, avevano determinati ordini da eseguire, perciò si rassegnò a seguirlo. Non che non fosse contento, ma avrebbe voluto salutare i suoi amici e augurare loro buona fortuna.
Ormai i rivoltosi avevano messo alle strette le guardie ed erano riusciti con successo ad impossessarsi della Bastiglia, liberando tutti i prigionieri, compresi ex militari incarcerati per aver sostenuto la causa del popolo, i quali presero immediatamente le difese dei cittadini. I soldati trovati morti vennero decapitati e le loro teste furono infilzate su pali appuntiti e brandite come trofei lungo le strade attraverso tutta la città, in modo da rendere chiaro a tutti l’esito dell’attacco. Uno dei dirigenti della prigione che aveva gettato la resa fu aggredito dalla folla e linciato, mentre gli altri sopravvissuti furono fatti prigionieri, in attesa di giudizio.
Non sarebbe passato molto prima che la notizia della presa della Bastiglia si diffondesse in tutta la Francia.
 
*
 
In una delle piazze più grandi, più precisamente quella poco distante dalla reggia del sovrano, gli insorti avevano dato inizio ad una rivolta che si era allargata a macchia d’olio, raggiungendo buona parte della periferia e comprendendo entrambe le rive. Chi non poteva combattere si era rifugiato o barricato in casa, mentre chi era in grado di impugnare una qualsiasi arma era corso in strada a combattere per i propri diritti. Si vedevano uomini di ogni età, giovani ragazzi che correvano da una parte all’altra per aiutare i rivoltosi a costruire delle barricate nelle vie più strette, donne che, dall’interno dei magazzini, rifornivano di fucili e pistole coloro che ne erano sprovvisti. Tutti si davano da fare per ottenere ciò che volevano, ovvero la libertà di parole e di pensiero, la possibilità di una vita migliore e di un’esistenza serena, senza l’acqua alla gola e la paura di non arrivare a fine giornata.
C’era chi combatteva per la prima volta e chi di battaglie era ormai un veterano ma, anche se la maggior parte dei parigini erano mercanti e contadini, le guardie avevano comunque il loro bel da fare per tenere a bada Rivoluzionari e giovanotti attaccabrighe.
A quel proposito, appostati sul terrazzo di una casa a quattro piani, ben riparati dietro ad una porta in legno massiccio scardinata e usata come scudo appoggiato alla ringhiera, Thatch e Izou giocavano a colpire i soldati che vedevano svoltare l’angolo della via per raggiungere i rivoltosi, sparandogli addosso e guardandoli cadere uno ad uno.
Izou si accovacciò per mettersi comodo, puntando il suo fucile attraverso il buco creatosi dopo che avevano divelto la maniglia, e chiuse un occhio per prendere meglio la mira.
Senza nemmeno guardare il fratello, gli fece una proposta. -Chi ne elimina di più vince?-
Thatch sorrise in maniera contorta, caricando un altro colpo. -Io sono già a quota diciassette.-
Il volto del compagno rimase impassibile e, dopo aver sparato, si rilassò per passare al prossimo. -Con questo fanno ventinove.-
-Cazzone.- ringhiò il castano, continuando a prendere la mira e sparando più spesso di prima nella speranza di beccarne più di qualcuno e alzare i suoi punti.
L’aveva ormai quasi raggiunto quando, mentre si sporgeva per scorgerne altri, un proiettile andò a conficcarsi sul muro alle sue spalle, passandogli esattamente a pochi centimetri dal viso e graffiandogli uno zigomo.
Si tirò indietro, imprecando e pulendosi con una mano il rivolo di sangue, allertando Izou e dicendogli di fare attenzione. Il moro assottigliò lo sguardo, nel tentativo di capire dove si stava nascondendo il cecchino che, sicuramente, era salito allo stesso piano nell’edificio di fronte al loro per fermare il massacro dall’alto che stavano compiendo indisturbati.
-Riesci a vederlo?- fece Thatch, sbuffando arrabbiato e rimettendosi in posizione.
Izou annuì. -E’ nascosto bene. Facciamo attenzione.-
L’uomo si sporgeva di rado e ogni qual volta che i due fratelli provavano a mirare verso la strada per fornire fuoco di copertura ai civili, puntualmente gli scaricava addosso una serie di proiettili nel tentativo di farli fuori. Nemmeno Izou, che da sempre era un grande tiratore, era ancora riuscito a renderlo inoffensivo.
-Ora basta!- sbottò Thatch ad un certo punto e, dopo aver atteso che una nuova scarica cessasse, si alzò e si appoggiò alla porta stesa lungo la ringhiera e crivellata di colpi, incurante del rischio che stava correndo ad esporsi in quel modo e posizionando il fucile, prendendo la mira mentre il soldato dall’altra parte ricaricava.
Sparò nello stesso istante in cui lo vide sporgere la testa per mirare verso di loro, centrandolo in piena fronte e facendolo stramazzare al suolo con gli occhi vitrei e l’espressione vuota.
-Yeah man!- gridò, battendo un pugno sul legno e alzando il fucile al cielo, guardando poi Izou dall’alto, il quale lo scrutava con stupore e il vago sentore di aver perso una scommessa che gli sarebbe costata molto cara.
Indicando il punto davanti a loro nel quale giaceva il militare, il castano disse orgoglioso: -How about that?-
L’altro scosse il capo, leggermente infastidito, ma ammettendo a se stesso che Thatch aveva avuto una fortuna sfacciata, nonché una mira eccellente, anche se non glielo avrebbe mai e poi mai detto di persona. Decise di fare finta di niente, riprendendo a concentrarsi su quello che succedeva in strada, ignorandolo.
-Shut the fuck up.-
 
*
 
La spada cadde a terra e il corpo indifeso del soldato fu trapassato senza insicurezze e lasciato poi scivolare nella polvere assieme a tutti quelli che avevano perso lo scontro prima di lui. Ed ecco che Eustass Kidd passava ad un altro attacco, facendo arretrare il nemico, il quale non poteva fare altro sotto i suoi colpi micidiali e la sua forza che sembrava non esaurirsi mai. Avanzava nella via infierendo un affondo dopo l’altro, aprendosi la strada verso la piazza dove era scoppiato il culmine della rivolta, sbraitando insulti e tagliando gole senza preoccuparsi troppo di risultare crudele o senz’anima.
Se prima una parte di lui si soffermava in maniera minima a riflettere sui misteri della fede e sul significato di Paradiso e Inferno, dopo ciò che aveva visto quel giorno aveva deciso di fregarsene altamente di commettere peccati perché aveva capito che di gente peggiore di lui ne esisteva.
Una, in particolare, pareva rispecchiare gli esatti canoni del Figlio del Demonio in persona.
Non aveva mai visto nessuno torturare le sue vittime come faceva Trafalgar. Lo guardava mozzare via arti, gambe o mani che fossero; infilzare senza esitazione corpi nemici e piantare pallottole nei punti vitali degli avversari con una precisione invidiabile, per poi restarsene ad ascoltare le grida di disperazione e dolore dei malcapitati quasi come se provasse orgoglio o gongolasse.
E sorrideva. Quel figlio di puttana sadico ghignava vittorioso prima di spedire le anime all’altro mondo. Certo, anche a Kidd ormai non faceva più impressione uccidere le persone, ma arrivare addirittura a provare piacere, beh, era una cosa che metteva i brividi, maledizione!
Si ritrovarono spalla contro spalla, entrambi intenti a fronteggiare i loro nemici. Law poteva chiaramente sentire le scapole del rosso premere contro il suo collo data la notevole altezza del ragazzone, mentre Kidd si chiese come potesse quello scricciolo essere tanto letale.
-Buongiorno Eustass-ya.- lo salutò il dottore, menando un fendente che andò a squarciare il fianco del soldato che aveva provato ad attaccarlo.
-Ti sembra forse un buongiorno questo, Trafalgar?- rispose con irritazione il rosso, parando un affondo. - Stavo meglio prima, senza la tua faccia nei paraggi.-
-Strano, eppure ogni notte siamo sempre così vicini.- lo sfotté il moro, gettando un’occhiata veloce e maliziosa al suo compagno, cogliendolo impreparato. Kidd, però, si riprese subito davanti a quella frecciatina e rispose all’attacco con la rabbia, come faceva in ogni occasione.
-E puntualmente mi ritrovo i tuoi piedi gelati nel culo!- sbottò, abbattendo un militare e respirando a pieni polmoni per riprendere aria, voltandosi verso Law con un braccio abbandonato lungo il fianco e l’altro che reggeva la sua spada. -Usa quel fottuto cane per scaldarti, io non sono una stufa.-
Nel dire ciò, spostò la sua attenzione in un punto alle spalle del suo interlocutore, ma non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca per avvisare il dottore della presenza di un nemico alle sue spalle perché, con un movimento veloce e ben assestato, Law estrasse un pugnale da chissà dove, ovviamente il bastardo era ben armato, e con una mezza piroetta tranciò di netto la trachea dell’avversario, riportando poi l’attenzione su Kidd e ignorando l’uomo agonizzante ai suoi piedi che affogava nel suo stesso sangue.
Inarcò un sopracciglio scuro ed elegante, guardando la faccia allibita di quell’armadio con i capelli rossi, tanto disordinati quanto folti. Era sempre più curioso di scoprire come sarebbe stato affondarci le mani, anche se quello, si rese conto, non era affatto un pensiero su cui soffermarsi in una situazione del genere.
-Stavamo dicendo?- chiese infine, con l’ombra di un ghigno sulle labbra sottili.
Kidd si riscosse, sbattendo le palpebre e fissandolo di rimando. Quel ragazzo era senza pietà. Aveva massacrato tutti i soldati che gli si erano parati di fronte senza battere ciglio e non sembrava avere l’aria di uno che stava per vomitare dopo aver visto tanti cadaveri. Forse era grazie al suo lavoro che sembrava non provare il minimo rimorso, ma non avrebbe mai pensato che nascondesse una vena così macabra. Combatteva in maniera strana, diversa da quella che vedeva di solito durante gli scontri. Attaccare e difendersi erano le regole basi che praticamente ogni combattente seguiva; Trafalgar, invece, studiava l’avversario e, al momento propizio, colpiva. Non perdeva neanche il tempo ad indebolirlo, semplicemente gli infieriva un colpo ben assestato e poi lo lasciava al suo destino. A parte quando sembrava giocarci come i gatti con le loro prede, non lasciava via di scampo. Li uccideva e rimaneva a guardarli, occhi negli occhi, fino a che le anime non si spegnevano e non restava più nulla ad impegnarlo.
Se ne stava lì, in mezzo a quel tappeto di morti, con un sorriso contorto sulle labbra e gli abiti sporchi di sangue e polvere.
E Kidd fece fatica a resistere all’impulso di avvicinarsi a lui e mordergli le labbra fino a distruggergliele.
 
*
 
Parigi era in preda al caos più totale. L’occhio del ciclone era l’Île de la Cité, dove soldati e popolo si stavano scontrando dalle prime luci dell’alba, mentre nelle periferie i saccheggi di magazzini, edifici e chiese continuavano senza sosta. Di tanto in tanto si faceva viva qualche pattuglia di militari che intrattenevano i ribelli per un po’, ma alla fine venivano sopraffatti e fatti a pezzi, il più delle volte, dalla rabbia e dal malcontento che regnava negli animi di tutti.
A Montmartre i baracchini di contrabbando e i vari locali del peccato erano chiusi, compreso il vecchio mulino gestito da Madame Dadan. La donna aveva fatto barricare porte e finestre, nascosto l’oro rubato ai clienti e il denaro ricavato in post sicuri e armato le ragazze di piccole armi da taglio, padelle, bastoni e pale. Con loro avevano solo un paio di fucili, ma li avrebbero usati senza timore in caso di necessità.
Erano tutte rintanate nelle stanze, in attesa che la rivolta cessasse o che qualcuno andasse a dire loro di non preoccuparsi e che il peggio era passato, ma il tempo scorreva e la tensione saliva di minuto in minuto.
-Io mi sono stancata.- decretò ad un tratto Bonney, alzandosi dal pavimento sul quale era stata seduta per più di un’ora, intenta ad incidere frasi a caso sulle assi in legno.
-Cosa vuoi fare?- le chiese un’allarmata Nami, vedendola afferrare una giacca scura dall’armadio ed indossarla. Quando poi la vide estrarre dalla tasca una pistola carica non ebbe più molti dubbi sulle intenzioni dell’amica.
-Stai scherzando? Ti faranno fuori in un secondo!-
Bonney le scoccò un’occhiataccia offesa. -Grazie tante per il sostegno.- fece sarcastica.
-Lo sai che ha ragione.- si intromise Bibi, una delle loro compagne, -Che speranze vuoi avere?-
-Sempre meglio di restare qui come un’oca impaurita.- sentenziò decisa. Non aveva alcuna intenzione di passare l’intera giornata a tremare per il terrore di sentire i soldati sfondare la porta e fare irruzione nel locale. E, soprattutto, non sarebbe rimasta in quel posto a farsi violentare e poi sgozzare.
-Stupida esaltata.- borbottò a quel punto Rebecca, accomodata sul bordo del letto e intenta a lisciarsi i capelli. Tra lei e Bonney non era mai corso buon sangue, infatti non passò molto prima che insulti colorati la raggiungessero.
-Sta zitta, puttana.-
-Guarda che non mi offendi. E’ il mio lavoro.- rispose semplicemente l’altra con indifferenza.
-Bonney, è una pazzia.- cercò di farla ragionare Nami, mettendo fine al battibecco, anche se il suo comportamento era dettato più dal senso del dovere, che dalla sincerità perché, se fosse stato per lei, avrebbe seguito la ragazza in strada e avrebbe contribuito a dare man forte ai ribelli.
Bonney, ignorandole, aprì i balconi, cercando di non fare troppo rumore e, una volta aperte anche le ante della finestra, mise un piede fuori, e poi un altro, fino a ritrovarsi sul tetto spiovente, con la città che andava in fiamme e l’orizzonte tinto di grigio, nero e rosso, mentre l’aria calda di luglio le sferzava i capelli e il viso.
Aveva passato anni rinchiusa in quella casa del piacere, tra le mura delle cucine e della sua stanza, troppo spaventata per uscire allo scoperto e troppo impaurita dalle persone per potersi relazionare con esse. Aveva vissuto in compagnia, ma era come se al mondo non avesse nessun amico. Quella che si avvicinava di più ad una conoscenza era Nami, ma era ancora troppo timida per permettere a quel rapporto di migliorarsi, per quello aveva continuato a mantenere le distanze dalla rossa e da tutte le altre.
Però, in quel momento voleva cambiare, uscire dal suo guscio e affrontare la realtà, o non avrebbe mai potuto costruirsi un futuro. Sarebbe morta comunque se fosse rimasta nel locale; per mano di qualcuno, o per la vecchiaia, un giorno avrebbe chiuso gli occhi e non si sarebbe più risvegliata, perciò tanto valeva darsi da fare e avere qualche bel ricordo prima di trapassare. E poi, era già uscita altre volte nell’ultimo periodo, era stata brava ed era andato tutto bene.
Si chinò quindi sulle ginocchia e prese a scendere lungo le tegole, mantenendosi in equilibrio e raggiungendo la grondaia più vicina per calarsi a terra. Non fu difficile, l’aveva visto fare mille volte dagli uomini che se ne andavano di nascosto dalle stanze delle sue coinquiline. Dadan poteva pure imporre delle regole ferree, ma venivano trasgredite ogni notte. Ad ogni modo, se ci riusciva un ubriacone, poteva farcela di sicuro anche lei da sobria.
Infatti così fu, i suoi stivali toccarono terra e automaticamente una sensazione di grandezza si fece strada in lei. Era certa che, se soltanto avesse voluto, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, persino ritornare a casa tutta intera.
Fece per voltarsi e dirigersi verso la battaglia, ma un rumore dietro di lei attirò la sua attenzione, facendo si che sul suo viso si dipingesse un’espressione di sorpresa, sostituendo per un momento la sua facciata poco disponibile.
-Non crederai che ti lasci andare da sola, spero.-
Nami, pulendosi le mani sulla gonna, le si avvicinò con passo deciso, superandola e precedendola sulla via.
Bonney la guardò con scetticismo prima di decidersi a seguirla, affiancandola e camminando accanto a lei, vestita con dei comodi pantaloni e un’ampia camicia.
-Non ti chiederò dove tu abbia trovato quegli abiti.- disse Nami, in un chiaro intento di curiosare negli scheletri nell’armadio di quella ragazza dai capelli rosa tanto aggressiva quanto asociale.
La diretta interessata si strinse nelle spalle. -Uomini.- rispose semplicemente, anche se con ciò intendeva dire che li aveva raccattati in giro, e non sottratti agli amanti che mai aveva ospitato nel suo letto.
Eccezione fatta per uno, si ritrovò a pensare, abbassando subito il capo. Chissà che fine ha fatto.
Vide Nami alzare gli occhi al cielo, ma lasciar comunque cadere il discorso. -Ci sarà il disastro, lo sai, vero?-
Bonney annuì, ugualmente determinata ad andare avanti e ad essere lei stessa a prendere le decisioni migliori per lei.
Avevano immaginato che non sarebbe stata delle migliori la situazione, ma non avevano previsto tutte le vere e proprie difficoltà.
Non appena si ritrovarono nei pressi dei confini della Rive Droite, capirono subito che buttarsi nella mischia non era esattamente una delle idee migliori. La gente urlava, gridava improperi e maledizioni, rumore di spari e clangore di spade sovrastavano qualsiasi cosa, c’era un’esplosione dietro l’altra a causa dei barili di polvere da sparo e, spesso, la polvere che si alzava da terra rendeva impossibile avanzare con sicurezza. Anche se, a dire la verità, un posto sicuro in quel delirio non c’era.
Avanzavano lentamente, riparandosi dietro alle barricate e camminando rasente i muri delle case, in modo da nascondersi nei vari angoli o vicoli che incontravano lungo il cammino, riuscendo a raggiungere un punto abbastanza vicino al ponte che portava all’isola in mezzo alla Senna da dove si alzavano alte delle fiamme.
-Quella che brucia è Notre-Dame?- chiese Bonney, la quale non aveva mai visto la cattedrale dall’interno.
-No.- rispose Nami, spiando l’edificio al di là del fiume da una fessura creatasi in un muro mezzo distrutto, -Hanno troppa paura di Dio per farlo.- chiarì, gettando un’occhiata tutt’intorno alla ricerca di facce conosciute e riconoscendo alcuni Rivoluzionari, abituali clienti di Dadan.
Si erano fermate dietro una barricata dall’aria resistente, abbastanza vicina all’acqua e con un’ottima visuale sul ponte, tanto che dall’alto di essa, alcuni uomini prendevano di mira i soldati che si avvicinavano troppo con l’intento di abbatterla.
-E ora che si fa?- domandò la rossa, voltandosi verso l’amica che aveva avuto l’idea geniale di uscire a dare man forte ai civili, ma senza pianificare nulla di concreto.
Bonney gliela lesse negli occhi quell’accusa e, per non venire ripresa, si schiarì la gola ed estrasse con sicurezza un’arma che non aveva mai usato, ma che, fin da quando ne era entrata in possesso, la teneva accanto al letto come una specie di talismano. Aveva pensato che l’avrebbe conservata fino a quando non avrebbe rivisto il suo proprietario, ma non aveva la certezza di riuscire a ricavarsi un altro momento per loro due, perciò era meglio usarla per difendersi, o almeno provarci.
La caricò, spostando gli occhi seri e determinati a sostenere lo sguardo dell’amica. -Facciamo vedere a tutti che anche le donne sanno combattere.-
Nami sapeva che il momento era il meno adatto, perciò si trattenne dallo scoppiare a ridere troppo fragorosamente e si accontentò di mostrare un sorrisetto divertito. Bonney era veramente una pazza senza il minimo tatto, ma aveva coraggio da vendere, per quello le stava simpatica e, se le cose stavano in quel modo, era meglio darsi subito da fare.
Curiosò in giro alla ricerca di una qualsiasi arma, trovando in mezzo alle macerie un pezzo di un corrimano in ferro battuto, piuttosto lungo, ma abbastanza leggero da poterlo maneggiare con facilità. Così, dopo averlo raccolto, si scambiò un’occhiata eloquente con Bonney e poi si fecero strada verso la piazza più vicina, quella da cui partiva il ponte, attirando sguardi stupiti, ma anche molti rimproveri. Ovviamente, quello non era affatto un posto adatto a delle signore, ma bastò che Bonney piazzasse un paio di pallottole nelle gambe di qualche soldato che tutti i rivoltosi non ebbero più nulla da ridire, riprendendo da dove avevano interrotto.
-Non sapevo che fossi capace di sparare.- notò Nami, alle prese con il suo primo avversario, un soldato poco più alto di lei che aveva tutta l’intenzione di farla retrocedere senza ucciderla.
-Nemmeno io. Ho premuto il grilletto a caso.- ammise l’altra ragazza, osservando come la rossa, senza troppe cerimonie, abbattesse la spranga di ferro sulla schiena del militare, ribaltandolo e iniziando a prenderlo a calci fino a che non venne allontanata dalla stessa Bonney.
-Davvero? Ottimo.- fece con il fiatone.
-E tu? Da quando sai fare quello?-
-Beh, sai, ho improvvisato.- sorrise complice la rossa, altrettanto stupita delle sue azioni.
Un’esplosione particolarmente vicina e improvvisa le colse di sorpresa, facendo perdere l’equilibrio a Bonney che, maledicendo l’artefice, si ritrovò a sbattere per terra il sedere. Nemmeno il tempo di rialzarsi, pronta a trovare il pazzo che aveva quasi rischiato di farle saltare in aria assieme ad altri civili, che un gruppo di Rivoluzionari spuntarono dall’altro lato della piazza, correndo allo sbaraglio come animali impauriti.
Bonney non capiva cosa diavolo stava succedendo, ma Nami, avendo intuito chi c’era dietro quelle esplosioni continue, assottigliò gli occhi fino a riconoscere la figura di Ace che, sbraitando frasi ai compagni e indicando continuamente punti diversi del perimetro, si avvicinava a loro sempre di più con accanto Sabo e una ragazza dai capelli corti, un altro tizio biondo che non conosceva e…
-Rufy.- sussurrò, mentre il cuore iniziava a batterle all’impazzata, facendole girare la testa per un attimo.
-Mon Dieu, l’Idiota di Fuoco e la sua combriccola.- borbottò la ragazza accanto a lei, rinfoderando la pistola in quel momento di calma e guardando divertita come Ace le raggiungeva, litigando, come sempre, con i suoi fratelli. Tra lei e quel ragazzo c’era un rapporto complicato, fatto di frecciatine e insulti continui, ma le stava simpatico, in sua compagnia non doveva preoccuparsi di apparire volgare o poco educata, anche perché, in fatto di buone maniere, Ace non era affatto ferrato. Andavano d’accordo, ma restava comunque uno stupido davanti ai suoi occhi. Con i suoi fratelli, invece, andava tutto bene. Sabo era gentile, mentre era impossibile non essere amici del piccoletto.
-Dovevi fare più attenzione!- riuscirono a sentire quando tutti furono più vicini. Sabo stava riprendendo Ace per qualcosa che aveva fatto mentre, qualche passo più indietro, Rufy li seguiva sghignazzando con un paio di coetanei  che aveva incrociato lungo la via e che si erano aggregati a loro, curiosi di sapere come stava il ragazzino, dato che era da mesi che non lo vedevano. -Ci è praticamente esplosa sotto al naso!-
-Ti ho detto che è stato un incidente!- si difese il moro, camminando a passo spedito e alzando le braccia al cielo. -Se solo Marco non si fosse messo in mezzo, io…-
-Io? Mi stai forse dando la colpa?- si intromise quello nuovo, che nessuna delle due conosceva. Aveva uno strano accento e l’aria da straniero, gli abiti erano sporchi, ma non erano vecchi o usurati, mentre dall’aspetto e dalla corporatura doveva essere più grande, almeno sulla trentina.
Ace aprì la bocca per ribattere, ma Sabo pensò bene di mettere fine a quel battibecco. -Non voglio sapere altro, l’importante è che non si sia fatto male nessuno.-
-Sai che non sbaglio mai.-
-Ne hai combinata una delle tue, Ace?- lo prese in giro Bonney, incapace di trattenersi, e sfoggiando un sorrisetto malefico quando il ragazzo fu abbastanza vicino da poterla sentire e riconoscerla. Godette nel vederlo arrestarsi in mezzo al gruppo per lo stupore, espressione che sfoggiò anche Sabo non appena si accorse di lei, notando anche Nami alle sue spalle.
-Ragazze, cosa ci fa…-
-Nami?-
La voce di Rufy sovrastò le altre e, subito dopo, Bonney lo vide superare i fratelli, facendosi largo tra loro, spintonando Ace che gli stava inconsciamente sbarrando la strada. Davanti a ciò, lei pensò bene di spostarsi di sua spontanea volontà, lasciando via libera all’amico che, senza degnarla di attenzione, avanzava serio e determinato verso Nami.
Bonney inclinò il capo incuriosita quando, non appena furono uno di fronte all’altra, Rufy si fermò a guardare come la sua migliore amica fosse tutta intera, senza ferite o graffi.
-Come stai?- lo sentì domandare, accorgendosi di Ace che l’aveva affiancata, seguito dagli altri. Era andata più o meno in quel modo con tutti gli amici di Rufy che avevano trovato lungo la strada. Non appena l’avevano visto, avevano avuto le reazioni più differenti. Usopp, ad esempio, era scoppiato in lacrime dopo aver tentato senza successo di trattenerle; Sanji e Zoro, incontrati in momenti differenti, lo avevano salutato con un sorriso appena accennato e una pacca sulla spalla, mentre Franky aveva interrotto un assalto ad un magazzino solo per dare il benvenuto tra la gente libera a quel moccioso.
Nami annuì mesta, intimorita dai cambiamenti che leggeva negli occhi di Rufy. Anche se il ragazzo era sempre lo stesso, notava come fosse diventato un poco più alto, come i capelli fossero più folti e scuri e la barba che gli era cresciuta leggermente. -Bene.- disse solamente, anche se avrebbe voluto domandargli come stesse lui, cosa aveva fatto tutti quei mesi in prigione, se aveva mangiato e, soprattutto, se un pochino gli era mancata. Qualcosa le diceva, però, che a quell’ultima domanda avrebbe avuto molto presto risposta, perché Rufy la guardava diversamente dal solito, come se fosse davvero preoccupato per lei, come se ci tenesse molto, tanto, come se fosse interessato.
Stava per aggiungere qualcosa, ma lui la precedette, facendo una cosa che nessuno dei presenti si sarebbero mai aspettati.
Sentì le sue labbra sulle sue e tutto scomparve. Spari, grida, esplosioni, voci, tutto. Non c’era più niente, solo Rufy e lei. Rufy che le stava dando un bacio timido, leggero, ma che la rese più felice di qualsiasi altro perché sentiva con quanto affetto avesse fatto quel gesto.
Purtroppo, però, era una donna molto orgogliosa e, in parte arrabbiata per averlo creduto in pericolo e non aver ricevuto mai una qualche informazione se non da Ace, in parte offesa per quel bacio rubato senza il suo permesso, lo allontanò con un sonoro ceffone sul viso, tanto forte che fece voltare il viso al ragazzo.
-E questo per cos’era?- le domandò lui immediatamente, massaggiandosi la guancia senza capirci molto. Non era stata contenta? Le aveva dimostrato che gli piaceva, perché, quindi, lo aveva picchiato?
Come se Nami non fosse stata abbastanza, ricevette due scappellotti in testa contemporaneamente, uno da Sabo, il quale provvide subito a scusarsi con la ragazza, e uno da Ace che non credeva ai suoi occhi.
-Sei impazzito?- gli urlò contro, -Ti sembra il momento, questo?-
-Ma Ace, Bagy mi ha detto che se voglio baciare una donna devo farlo e basta.- si difese Rufy, strofinandosi una mano sulla testa per far passare il dolore. Perché dovevano sempre avercela tutti con lui?
-Fammi capire, uno sconosciuto di dice cosa fare e tu lo ascolti, quando Sabo ed io ci abbiamo messo un anno per farti capire come nascono i bambini?- fece il moro, fuori di sé per gli ultimi avvenimenti. Prima Marco gli aveva fatto perdere la concentrazione, facendo esplodere troppo in anticipo della polvere da sparo; poi Sabo che incolpava solo lui e infine suo fratello minore che decideva di abbandonare l’età dell’adolescenza e diventare uomo nel bel mezzo della rivolta.
Proprio allora, Sabo, con uno sguardo omicida e con Koala che ridacchiava al suo fianco, si schioccò le nocche con fare minaccioso. -Giuro che pesterò a sangue quell’idiota che ti ha messo in testa certe idee.-
-Oh, sono certa che a Nami non sarà dispiaciuto.- puntualizzò Bonney, ignorando le proteste della ragazza che arrivarono non appena si lasciò scappare quella frase. Diede le spalle al gruppo, lasciando i due palesemente innamorati a litigare, una che sbraitava parole senza senso riguardanti la lontananza, e l’altro che ridacchiava, stringendosi nelle spalle come se volesse giustificare quella sua impulsività con il carattere infantile che si ritrovava.
La pausa stava finendo, se ne accorse perché dal ponte proveniva un rumore di spari sempre più forte e la gente si stava riversando proprio verso di esso nel tentativo di placare un’altra ondata di militari. Ma quanti erano, dannazione?
-Ehi, Bonney, ti ricordi come si usa una di queste?- le chiese Ace, raggiungendola con una spada che le mise in mano.
-Fidati, ho imparato bene.-
-Ti ha insegnato il migliore.- affermò il ragazzo, ammiccando e augurandole buona fortuna prima di riunirsi ai fratelli per riprendere l’assalto.
Si annodò velocemente i capelli in una coda alta e si tolse di dosso la giacca troppo larga che le ostacolava i movimenti, rimanendo con una camicetta senza maniche bianca. Certo, non aveva nessun tipo di protezione, ma aveva intenzione di rimanere dietro le quinte e aiutare come poteva da quella posizione di sicurezza. Sapeva combattere, era vero, Ace le aveva insegnato bene, ma lo aveva fatto solo un paio di volte da ubriaco e stenderlo non era stato difficile, soprattutto prendendolo a bastonate con i manici di scopa che usavano come armi, ma non aveva mai affrontato un combattente esperto e temeva di essersi esaltata troppo e di aver confidato esageratamente nelle sue capacità, ma ormai era lì, in quella piazza e in mezzo alla battaglia e per niente al mondo si sarebbe tirata indietro.
Ritornò sui suoi passi al limitare della barricata che chiudeva ogni passaggio alle vie interne per impedire ai soldati di infiltrarsi, affrettandosi lungo la parete dove i vetri infranti facevano presumere che il proprietario del negozio non avrebbe riaperto il giorno seguente.
Aveva quasi raggiunto i ribelli, pronta ad esibire la coccarda che Sabo le aveva consegnato prima di separarsi, quando un braccio uscì dalla porta sfondata alla sua destra, afferrandola e trascinandola con forza al suo interno, disarmandola prima ancora che sollevasse la spada per difendersi e puntandole una rivoltella alla tempia mentre veniva sbattuta contro la parete.
-Cosa diamine ci fai qui?-
Bonney aprì gli occhi che aveva serrato per lo spavento, scoprendo che si era mezza rannicchiata su se stessa, un gesto involontario e inconscio dovuto al trauma subito da piccola, alzando lo sguardo sul suo aggressore e lasciandosi scappare un sospiro di sollievo. Ormai lo conosceva così bene che lo avrebbe riconosciuto ovunque quell’ufficiale.
Stava per sorridere e chiamarlo per nome, ma si ricordò del particolare riguardante la pistola che era ancora puntata contro di lei e del tono freddo a duro che aveva usato per parlarle, perciò rispose allo stesso modo, non volendo dimostrarsi debole e indifesa.
-Combatto con il popolo.- disse fiera, incrociando le braccia sotto al seno e fissandolo dritto negli occhi, quasi a volerlo sfidare.
Drake strinse la mano libera in un pugno, guardandola in maniera, se possibile, più truce di prima. -Torna subito a Montmartre.- le ordinò, ma aveva fatto male i suoi calcoli se pensava che Bonney lo avrebbe ascoltato.
-No.- rispose infatti, inflessibile e arrabbiata. Non si erano più visti, lui non aveva più fatto nessuna ronda da quelle parti e lei aveva ancora la pistola che aveva dimenticato quella notte. Però non poteva dirgli quelle cose, non poteva esporsi e ammettere che la decisione di uscire dal suo luogo sicuro e rischiare tanto era stata presa in parte con la speranza di incontrarlo e di vedere come stava, se era ferito o peggio. Ad ogni modo, solo allora si rese veramente conto di com’era la situazione: erano parti di due fazioni opposte, combattevano per ideali e motivi diversi ed erano nemici a prescindere dai loro sentimenti.
-Vattene via, non farmelo ripetere.-
E’ impossibile, pensò la ragazza, rattristata e incapace di mantenere l’espressione dura, mentre tutti i suoi stupidi sogni di ragazzina si sgretolavano, lasciando nient’altro al loro posto.
La scrollata che ricevette, ritrovandosi schiacciata ulteriormente addosso al muro, la riportò alla realtà, scuotendola il necessario per farle ritrovare un po’ di verve.
-C’è un’uscita, attraversando il negozio ti ritroverai dall’altra parte della barricata.- parlò svelto Drake, indicandole la strada, -Appena sei fuori, corri più veloce che puoi e allontanati, hai capito?-
Bonney lesse un sacco di emozioni nei suoi occhi quando ritornò a guardarla. Era stanco, nervoso e impaziente, ma quell’ordine nascondeva una preghiera che, per un attimo, pensò di esaudire, accontentandolo e dandogli un pensiero in meno.
Ma così non fu.
Si divincolò dalla sua presa, colpendolo all’improvviso allo stomaco, abbastanza forte da farlo allontanare di qualche passo e avere il tempo di sgusciare fuori e dirigersi verso i suoi compagni. Doveva avvisarsi della falla sulla barricata o si sarebbero ritrovai i soldati all’interno senza rendersene conto. Doveva muoversi, erano in pericolo un sacco di persone e dipendeva tutto da lei.
Quando, però, qualcuno alle sue spalle urlò il suo nome, tanto forte e distintamente da farle venire i brividi, fu costretta a fermarsi, bloccandosi all’improvviso e rischiando di cadere. Ebbe solo il tempo di voltarsi per vedere Drake che puntava la pistola verso di lei e sparava.
 
 
 
Angolo Autrice.
E’ tardissimo, lo so. Mi dispiace, davvero. Mi dispiace un sacco, ma ci sono. Adesso ho due capitoli pronti, buttati fuori con sudore e ansia, ma ci sono e il prossimo non tarderà, promesso!
Sono di fretta, perciò niente immagini, slittano al prossimo incontro, settimana prossima, non so quale giorno ;___________;
Faccio schifo come tempistiche, sono la ritardataria numero 1 al mondo su tutto, ma sto continuando a lavorarci, non ho mollato nulla.
Sono ancora qua e la porto avanti.
Non sono convintissima del capitolo, volevo aspettare ancora, ma ho deciso che stavolta va così. Metterò più sangue e più stragi nel prossimo, promesso, LOL.
 
Un abbraccio infinito e grazie alle povere anime che continuano a seguire la ff ;__________;
See ya,
Ace.
  
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