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Autore: Sognatrice_2000    06/08/2015    1 recensioni
Cosa è accaduto veramente tra Shiho e Gin,prima che la scienziata abbandonasse l'organizzazione?
Un giorno,dopo un inaspettato incontro per le vie del centro,entrambi rievocheranno i loro ricordi,accorgendosi che dentro di loro continuano a palpitare leforti emozioni del passato.
Ai dovrà affrontare una scelta difficile,che metterà in discussione il suo futuro,ma che sarà resa più piacevole dall'amore di una persona speciale.
(GinxSherry)
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 13: Crudele realtà
 
 
Conan aprì le palpebre, lentamente, e i contorni presero consistenza piano piano. Dov’era? Le pareti erano bianche, il letto su cui era adagiato leggermente scomodo e il cuscino morbido. Doveva essere in ospedale. Non aveva più i suoi occhiali, né la giacca azzurra. Era rimasto con la sola camicia bianca, e aveva una fascia ben stretta attorno alle tempie. Ma cos’era successo? Aveva un solo pensiero in testa: l’antidoto. Dov’era finito? L’aveva messo in tasca, se non si sbagliava. Appena tastò la piccola pillola, si sentì di nuovo al sicuro, ma si pentì subito di quel pensiero così egoistico. Cercò di ricostruire con la mente gli eventi appena trascorsi. Era finito nella casa di Gin, deciso a proteggere Ai… ma poi aveva trovato Vermouth e, successivamente, anche Vodka. Era riuscito ad addormentarli e a chiamare la polizia, ma aveva trovato un uomo ferito. Una lampadina si accese nella sua mente. Era proprio Gin quell’uomo, e sembrava stesse proteggendo un altro corpo. E se quel corpo fosse stato proprio quello di Ai? Conan scosse la testa. No, non era possibile. Si rifiutava di crederci con tutte le sue forze. Doveva chiedere spiegazioni, avere conferma ai suoi dubbi. Si mise a sedere a fatica, guardandosi intorno. Ma perché non c’era nessuno accanto a lui?
Stava per alzarsi a perlustrare i dintorni, anche se la ferita alla testa faceva ancora male, quando vide la testa di una persona appoggiata sul letto su cui era sdraiato lui. Probabilmente stava dormendo e gli stringeva la mano. Conan la guardò meglio ed ebbe un tuffo al cuore. Lunghi capelli mori… era Ran. La sua Ran. Si sentì stringere il cuore in una morsa di tenerezza, e mosse le dita per farle vedere che era sveglio. Gli dispiaceva svegliarla, ma voleva in qualche modo tranquillizzarla, senza far cessare quel meraviglioso contatto. In un attimo Ran sobbalzò e fissò gli occhi su di lui. Lo stava guardando in modo diverso: più dolce, più consapevole. Gli occhi lucidi di gioia e commozione.
Non passò neanche un attimo, che lo abbracciò con forza, mentre le sue esili spalle non smettevano di essere percorse dai singhiozzi e tremiti convulsi. Quando finalmente riuscì a calmarsi, si staccò e lo guardò con un sorriso e due lacrimoni che spuntavano dai suoi occhi.
“Sono così felice che tu ti sia svegliato, Shinichi.” 
 
**
Non appena Ran era uscita dalla stanza per annunciare che Shinichi si era svegliato con un sorriso smagliante ancora umido di lacrime, i visitatori seduti fuori in attesa avevano cominciato ad affollare la stanza. Entrò subito Heiji, felicissimo e sollevato che il suo migliore amico stesse bene, ma arrabbiato per non aver potuto essergli utile, seguito da Kazuha, più controllata ma ugualmente felice, che aveva abbracciato Ran ancora in lacrime. Subito dopo anche l’ispettore Megure si fece largo, sorridendo con rinnovata simpatia a Conan. Probabilmente anche lui sapeva. Il Dottor Agasa spuntò dietro di lui, con un’andatura mesta e lenta certo non tipica da vecchio burlone qual era. Era felice anche lui, naturalmente, ma Conan scorse un’ombra sul suo sorriso, mentre lo avvertiva che i bambini sarebbero venuti nel pomeriggio. Non si sbagliava: i suoi occhi erano più opachi, e il viso tirato. C’era qualcosa che non andava.
Era venuta persino Jodie, con un sorriso a trentadue denti, stretta al braccio di Shuichi Akai. Conan si meravigliò non poco nel vederlo: perché non indossava più il suo travestimento? Significava forse che l’Organizzazione era stata sconfitta e che lui poteva mostrarsi in tutta tranquillità e senza pericoli, abbandonando definitivamente la messinscena che aveva creato con lui per fingere la sua morte? Jodie pareva al settimo cielo, e lo stava stringendo guardandolo con un’espressione dolce negli occhi. Da parte sua Akai non mostrava particolari emozioni, come sempre, ma non sembrava che la vicinanza della donna gli desse fastidio. Ad un certo punto gli parve di scorgere persino un piccolo sorriso sul suo volto. Conan si sentì felice per loro, e d’istinto guardò la sua Ran. Non era arrabbiata, né delusa… lo stava solo guardando con sollievo, e tanto, tanto amore. Amore infinito che aleggiava nei suoi occhi. Ma come faceva a sapere…? Conan aveva molte domande che gli affollavano la mente. Tante, troppe, confuse una sull’altra, accavallate tra loro, desiderose di ricevere subito una risposta, tutte insieme. Poi, all’improvviso, una fitta gli attraversò il cuore e avvertì un senso di vuoto. C’erano tutti riuniti in quella stanza. Ran, Heiji, Kazuha. L’ispettore Megure, il professor Agasa, Jodie, Akai. Dov’era Shiho?
“Shiho?” Chiese con un filo di voce, smanioso di ricevere la risposta ma allo stesso tempo bloccato da uno strano timore e da un’angoscia che lo paralizzava.
Nessuno parlò. Non ci fu bisogno di parlare. Negli sguardi dei suoi amici Conan lesse la risposta.
Una risposta crudele, spietata, ingiusta. Una risposta più dolorosa di mille proiettili che gli trapassavano il cuore, tutti nello stesso momento.
Un dolore soffocante che non gli lasciava scampo, una sensazione che non aveva e  mai avrebbe voluto provare.
Shiho se n’era andata per sempre.
 
**
 
 
Aveva dormito una settimana intera, ma si sentiva a pezzi lo stesso. E il suo cuore sanguinava, e non c’era benda o medicina che potesse arrestare quell’emorragia. Solo il ritorno di Shiho avrebbe potuto farlo, ma Conan sapeva bene che non sarebbe più tonata. Non poteva più tornare.
Da quando aveva saputo della morte di Shiho, si era sentito svuotato, privo di tutto. Privo di forza di lottare, privo di forza di fare qualsiasi cosa. Gli sembrava tutto inutile, niente aveva più senso. Quella guerra assurda, quella lotta tra il bene e il male, tra bianco e nero si era finalmente conclusa, certo. Ma a quale prezzo? Quanta sofferenza, quante vittime innocenti erano state sacrificate per arrivare a questo punto? Shiho non c’era più. La sua migliore amica, l’unica che aveva condiviso con lui quel periodo difficile, con la quale aveva condiviso emozioni, speranze, desideri, risate e lacrime, non ce l’aveva fatta. E lui sì. Perché era ancora vivo e lei no? Qual era la logica che regolava tutto questo? Ma poi, esisteva davvero, una logica? Probabilmente no, perché non poteva spiegare con la ragione ciò che era successo., riusciva solo a misurarla con i suoi sentimenti e il suo dolore.
L’ispettore Megure gli aveva detto che, grazie a  Sharon Vineyard, nome in codice Vermouth, avevano trovato il capo della banda. E dopo averlo arrestato, anche gli altri membri della banda erano stati catturati dalla polizia. Era stata proprio Vermouth, inavvertitamente, a rivelare la sua vera identità, ma ormai non c’erano più pericoli e nessuno dei due aveva più niente da perdere. Aveva confessato il duplice delitto di Shiho e Gin, affermando di averli uccisi entrambi per ordine del suo capo.
Conan aveva voluto restare da solo con lui nella stanza, per discutere in tranquillità e capire finalmente che cosa fosse successo esattamente. Megure aggiunse che Sharon, durante l’interrogatorio, rivelò chiaramente la dinamica dei fatti: Shiho si era messa davanti a Gin per proteggerlo, ed era stata colpita al suo posto. Poi aveva freddato anche lui, approfittando di un suo momento di distrazione.
Conan era a bocca aperta, ma forse doveva aspettarselo: Shiho era morta per salvare l’amore della sua vita, e lui si era lasciato uccidere senza cercare di difendersi quando aveva capito che lei non c’era più. Si sentì improvvisamente troppo piccolo di fronte a quell’immenso sentimento che era riuscito ad annullare anche la morte. Quel sentimento che aveva portato dolore ma anche gioia nelle loro vite. Quel sentimento talmente potente che alla fine li aveva distrutti insieme.
Non aveva più ascoltato una parola di ciò che gli aveva detto l’ispettore Megure. Sapeva solo che anche l’FBI era intervenuto per catturare gli altri membri della banda, se ce n’era ancora qualcuno da qualche parte nel mondo che si stava nascondendo, ma che lui non correva più nessun rischio.
L’agente Jodie gli aveva assicurato che avrebbe ricevuto protezione dall’FBI e anche dalla polizia giapponese. Gli aveva fatto anche l’occhiolino, dicendogli che era felice di vederlo in salute e che sarebbe ritornata a salutarlo prima che lui fosse dimessa, con il suo fidanzato. E Akai non fece obiezioni di fronte al suo entusiasmo, si limitò ad annuire lievemente e a rivolgerle uno sguardo carico di tenerezza.
Conan era felice di vedere che in mezzo a tanta tristezza ci fosse ancora qualcuno capace di sorridere e di conservare la speranza per il domani. Lui, invece, non riusciva a farlo. Si sentiva sempre più vuoto, e quando nessuno poteva vederlo, pianse. Pianse per aver perso un’amica speciale, pianse per i sogni che lei non aveva mai potuto realizzare. Si chiese se fosse mai stata veramente felice in tutta la sua vita.
Nel pomeriggio, i bambini gli portarono un po’ di sollievo con la loro travolgente allegria. Loro non sapevano ancora che Conan fosse Shinichi, e forse nessuno gliel’avrebbe mai detto nemmeno in futuro. Ma quando gli chiedevano di Ai, Conan sentiva una fitta al cuore e il suo sguardo si oscurava. Alla fine disse loro che Ai era partita per l’America con i suoi genitori, e che presto l’avrebbe raggiunta anche lui. Disse anche che sarebbero rimasti a studiare là, ma chissà, forse un giorno, si sarebbero incontrati di nuovo. Volle lasciare loro quell’illusione. Riteneva inutile che soffrissero e rimanessero turbati. Ci sarebbe stato molto tempo per scoprire che la realtà era ben diversa dal mondo delle fiabe in cui loro vivevano ancora.
La sua realtà era cambiata per sempre, adesso. Lui era cambiato, ed era come se una nuova pelle stesse strappando quella vecchia. E faceva male. Male da morire. Gli sarebbe piaciuto riavere la sua vita normale, essere il solito detective presuntuoso che si credeva infallibile. Ma sapeva che anche se avesse preso l’antidoto e fosse ritornato alla sua vita di sempre, niente sarebbe mai più stato come prima. La lotta contro l’Organizzazione lo aveva cambiato profondamente, e lui non sarebbe più stato quello di una volta.
Il dottor Agasa fu l’ultimo a fargli visita. Adesso Conan capiva l’infinita tristezza che permeava i suoi gesti e il suo sguardo. Gli aveva confessato che gli sembrava di aver perso una figlia, e che l’ultima volta che l’aveva vista sembrava così felice.
Conan si stupì, e chiese altri dettagli. Agasa gli rispose che Shiho era venuta a suonargli il campanello il giorno stesso che era stata uccisa, e gli aveva lasciato una lettera. Gliela consegnò con un sorriso triste, e Conan si affrettò a spiegare la carta.
 
Caro Dottor Agasa, lei per me è stato come un padre e non la ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che ha fatto per me. Ma adesso è giunta l’ora di prendere la mia strada, e devo farlo da sola, anche se mi addolora profondamente lasciarla. Ci tenevo soltanto a dirle che non dimenticherò mai com’è stato gentile con me, e tutto l’affetto che ha saputo donarmi. Spero davvero di rivederla, un giorno. Nel frattempo, mi auguro che manterrà vivo il mio ricordo e terrà buona compagnia ai bambini.
Grazie di tutto,
Shiho Miyano.”
 
 
Conan l’aveva letta a voce alta, e quando terminò vide due grosse lacrime solcare le guance del professore, seguite da altre. “Quando l’ho trovata, ho capito subito che aveva intenzione di abbandonare la città per vivere come le era sempre stato negato. Una vita felice, colma di sogni e affetti. La vita che si meritava.” Agasa tirò su col naso, mentre le lacrime continuavano a scendere. “Mi dispiaceva moltissimo non vederla più, ma l’avrei sopportato, se l’avessi immaginata felice, da qualche parte nel mondo. E invece…” Agasa si interruppe, non riuscendo a proseguire. Adesso stava singhiozzando, e anche rumorosamente. Non si vergognava di mostrare il suo dolore a Shinichi. Sapeva che avrebbe capito, perché anche lui provava le stesse emozioni.
Conan sapeva di non essere forte, almeno non in quel momento. E per quanto dolore provasse, anche se non aveva alcuna voglia, né tantomeno la forza, provò ad infondersi un briciolo di coraggio. Lo doveva al dottor Agasa, che aveva condiviso il suo segreto, l’aveva distratto con i suoi indovinelli e le sue buffe invenzioni, e l’aveva aiutato tante volte a tenere nascosta la sua identità. Lo doveva a quel vecchietto buono e gentile a cui era sinceramente affezionato.
Sorrise sicuro, uno di quei sorrisi spavaldi tanto tipici della sua indole sbruffona. “Le basterà immaginarla come l’ha vista l’ultima volta. Felice, sorridente. Sono certo che ha lasciato serenamente questo modo, e con la stessa speranza di sempre nel cuore.”
“Hai ragione.” Disse Agasa, asciugandosi le lacrime. Era troppo scosso per accorgersi che la voce di quel piccolo che si credeva invincibile si era rotta sotto il peso delle emozioni. Conan stava lottando per trattenere le lacrime, eppure non ci riusciva. Era passato troppo poco tempo per poter soffocare così il proprio dolore, ma Conan arrivò a chiedersi se ne sarebbe passato mai abbastanza.
Il dolore lo stava divorando dentro, ma per quanto gli sembrasse assurdo, doveva farsi coraggio per le persone che aveva intorno. Per chi ava continuato ad aiutarlo in modo disinteressato. I suoi amici, la sua famiglia, Ran… già, Ran.
Era ormai il crepuscolo quando la ragazza si era presentata, aveva bussato alla sua porta ed era entrata con un mazzo di fiori. Li aveva posati sul comodino, poi si era seduta sul letto e con dolcezza gli aveva chiesto come stava. Non gli fece domande, non si arrabbiò, né il suo atteggiamento nei suoi confronti era in qualche modo diverso. Era gentile e amorevole come sempre, più di sempre. Forse Ran sapeva fin dall’inizio, e aveva compreso quale sentimento l’aveva spinto ad ingannarla. Già, lui l’aveva ingannata. Aveva ingannato una creatura così bella, così generosa… non meritava di starle accanto. Il minimo che poteva fare era spiegare come stavano veramente le cose con le sue labbra, e lasciare, per una volta, che fosse il suo cuore a prendere il sopravvento. Doveva dirle cosa provava, cosa aveva sempre provato per lei.
“Ran, ascoltami… ti devo parlare.” Disse, lo sguardo basso, la voce seria e risoluta. Ran gli sorrise con la solita dolcezza, e gli afferrò le mani, così piccole, ma incredibilmente calde. Conan non sapeva da dove cominciare, era imbarazzatissimo e la lingua non voleva proprio saperne di staccarsi dal palato e di formare una frase. Ma quando sentì la presa di Ran, aumentò la stretta, mettendo la propria manina su quella affusolata della ragazza. E la strinse, sorridendo sicuro.
“D’ora in poi affronteremo insieme qualsiasi prova la vita ci metterà davanti. Qualsiasi cosa succeda, in ogni circostanza, nei momenti dolorosi e in quelli più lieti, io sarò sempre al tuo fianco, Ran. E ti amerò fino al mio ultimo respiro, con tutto me stesso.”
Era curioso, ma in qualche modo quelle parole in qualche modo gli erano familiari. Forse le aveva già sentite, in un sogno lontano, salutando una ragazzina castana dallo sguardo finalmente felice, che lo stava lasciando per sempre. Ma che aveva lasciato nel suo cuore un’impronta indelebile quanto un marchio a fuoco, che niente sarebbe mai riuscito a cancellare.
  
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