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Autore: VmpAnna    07/08/2015    3 recensioni
"Prima che l’abisso ti divorasse completamente, in una fredda giornata di Novembre, con lo sguardo triste fissavi il mare mentre io ti seguivo sovrapponendo le mie impronte alle tue e tu, con quelle mani che si facevano giorno dopo giorno più sottili, tiravi la sciarpa sul viso a nascondere la tua anima malata."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono tornata dopo un po' di tempo e dopo un periodo un po' particolare.

Come al solito brevissima, il punto di vista di Reita in una storia che ho già pubblicato, vi lascio il link anche se non è fondamentale leggerla prima, ma se avete tempo e vi va, NIL: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2968452&i=1

E' anche connessa ad un video Reituki che ho realizzato tempo fa, sempre se non avete nulla da fare: https://vimeo.com/126040706

Grazie a Valeria che è stata la prima a leggerla...anche se le storie di questo tipo le fanno venire il magone! 

Grazie a tutte voi che leggerete e a chi recensirà!

 

Anna

 

In questo mondo marcio non c’era posto per quel tuo piccolo cuore di vetro.

Mentre lo scenario gocciolante nel nero soffoca il mio respiro, ti chiedo scusa, ma le albe senza di te stavano perdendo i loro colori allargando quel vuoto che lentamente mi stava ingurgitando.

Mantengo una promessa, ne infrango un’altra, ti sto raggiungendo.

 

In un istante più breve di un battito di ali, ho visto la tua anima in frantumi portata via dalle onde del mare.

E quella luce al di là dello specchio divenire opaca e spegnersi lentamente, un burattino accartocciato a cui sono stati recisi i fili, la bocca spalancata in una smorfia muta, un grido a cui è stata strappata la voce, mentre il mio pianto invocava il tuo nome graffiandomi la gola.

Ma, come la fiamma di una candela lentamente rischiara una soffitta buia, così la tua luce a poco a poco tornava ad illuminare gli antri vacui dei tuoi occhi.

Ma non sei mai tornato davvero indietro.

Dopo quella notte ti guardavo come imprigionato all’interno di te stesso mentre sbattevi i pugni contro un vetro infrangibile, in una inascoltata richiesta di aiuto.

Delle volte sembrava tu sedessi immobile nel vuoto di un cubo bianco, nascosto da qualche parte nella tua mente e i quei momenti, nei tuoi occhi, qualcosa di simile alla pace prendeva il posto del solito opaco tormento, ero ignaro fosse il primo passo verso il nulla.

Prima che l’abisso ti divorasse completamente, in una fredda giornata di Novembre, con lo sguardo triste fissavi il mare mentre io ti seguivo sovrapponendo le mie impronte alle tue e tu, con quelle mani che si facevano giorno dopo giorno più sottili, tiravi la sciarpa sul viso a nascondere la tua anima malata.

Dopo aver acceso la sigaretta, ogni tanto rimanevi a fissare la fiamma che consumava il cerino, fin quasi a bruciarti le dita e nei tuoi occhi appannati vedevo il riflesso del tuo fuoco estinto.

Molte notti ti spiavo dalla porta socchiusa del bagno, ti contorcevi a terra coprendoti le orecchie e combattendo quel mostro che ti stava divorando o, con  la schiena al muro, restavo in ascolto dei tuoi lamenti soffocati, delle tue lacrime silenziose, mentre nel letto madido di sudore il tuo corpo si consumava.

 

「Andrà tutto bene」

 ti ripetevo

「perché siamo noi」

ma tu lentamente perdevi le forze mentre mi pregavi di liberarti dalla tua prigione.

 

Negli ultimi momenti, quando l’unica pace attraversava le tue vene sottili, io mi sentivo lacerato in due, ti rincorrevo senza riuscire a raggiungerti ma avevo paura di essere inghiottito dal tuo stesso buio e nell’istante in cui hai smesso di combattere, tramutandoti in una fossilizzata cicala invernale, la paura di guardare in faccia la tua fine, mi ha fatto fuggire.

Dopo averti abbandonato, spesso ti sognavo intrappolato in un castello di sabbia mentre un mare scuro e denso come melma ti divorava fino a che di te non restava altro che un cuore mummificato; allora il senso di colpa mi prendeva per mano e, nelle ore più cupe che precedono l’alba, mi trascinava fino al tuo portone blu, dove appoggiavo il viso aspettando di poter percepire anche solo un flebile respiro lasciare le tue labbra martoriate.

Povero illuso.

Al di là, la tua pelle alienata stava marcendo, ferite purulente, stigmate dei nostri peccati.

Nel giorno in cui mi sono scontrato con il destino, ho perso il mio baricentro.

 

In questa casa vuota rimane solo il muto pianoforte nero; lo accarezzo nell’illusione di trovare ancora un flebile ricordo del tuo calore, ma avverto solo fredda morte e il tuo fantasma che mi guarda triste.

Perdo la vista nel cielo che lentamente s’intorbidisce e ogni cosa annega nel buio liquido della fine.

 

「NIL」

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