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Autore: Winchester_Morgenstern    07/08/2015    1 recensioni
La vera difficoltà non sta nel cambiare se stessi, ma nel riconoscere ciò che si è realmente e, soprattutto, nell'accettarlo.
IN REVISIONE - CAPITOLI RISCRITTI 4/X (DA DEFINIRE).
POST COG, POSSIBILE RIVISITAZIONE DELL'INTRODUZIONE.
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Clarissa, Izzy Lightwood, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Veritas filia temporis'
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SHADOWHUNTERS — CITY OF MARBLE


XXVII - Di animali morti, incendi e incontri piccanti


La luce filtrava poco dalle pesanti tende di broccato, lasciando la stanza quasi in penombra. Forse era meglio, perché nascondeva parte dei problemi e dei guasti di quella stanza, ma allo stesso tempo sembrava che la polvere e l'ombra opprimente stessero per divorare tutto, compresa lei.
Clary sospirò e tirò le tende bordeaux ai lati della finestra, sollevando grosse nuvole di polvere. Scoraggiata, lanciò un'ultima occhiata alla camera: il letto a due piazze, un baldacchino, era più o meno intatto, mala scrivania traballava e aveva dovuto metterci sotto un calzino a pecorelle appallottolato. Il tappeto era praticamente diventato la lettiera degli animali che in quei lunghi anni di abbandono avevano popolato la casa - ed erano stati quasi del tutto brutalmente scacciati nemmeno mezz'ora prima da un'Isabelle più che decisa a non ospitare qualche topo rognoso nel suo letto (1) - e puzzava come una fogna. La cacciatrice l'aveva già arrotolato e aspettava solo l'arrivo di qualcuno per farsi aiutare a gettarlo via, dato che era alto almeno due volte lei e pesante più o meno come un materasso, visto quant'era doppio. 
C'erano due comodini con la vernice scrostata ai lati del letto e una lampada piena di ragnatele mentre, appeso al soffitto, il lampadario di cristallo e candele aveva perso molti pezzi finemente intagliati.
Ah, c'era anche un cactus ammuffito - davvero molto ammuffito - in un angolo, un armadio in cui aveva trovato la carcassa di un opossum (2) e una porta traballante che dava sul bagno più antigienico che avesse mai visto.
— Raziel, Clary, tu non puoi capire! Ho trovato una tana di scarafaggi nel mio letto! — praticamente urlò Jace, facendo irruzione nella stanza della fidanzata. Si grattava da tutte le parti, quasi come se temesse di avere ancora gli insetti addosso, e il collo e i polsi stavano già incominciando ad arrossarsi.
La rossa gli rivolse un piccolo sorriso: — Be', credo che sia la scusa perfetta per farti rimanere qui con me, allora. — ribatté, prendendogli il borsone dalle mani e poggiandolo accanto al suo, poco lontano dall'armadio e dall'opossum di cui ancora non si era liberata.
— Mi sembra una magnifica idea… — Jace si chinò a baciarle piano il collo, stringendole i fianchi: — … Mia cara futura signora Herondale. 
— Ottimo. Ora sbarazzati dell'opossum, amore. — Clary sbatté le palpebre ripetutamente, con un sorriso angelico che non avrebbe ingannato nemmeno un cieco. 
Il cacciatore sgranò gli occhi, atteggiando i lineamenti in una smorfia esageratamente oltraggiata: — Ma… ma io… vengo qui, inizio a coccolarti e tu… tu mi dici di sbarazzarmi di un animale morto?! — starnazzò, falsamente esterrefatto.
— Mi sembra il minimo, considerando che sei venuto qui pretendendo d'infilarti nel mio letto senza nemmeno un invito a cena o un mazzo di fiori. — scherzò debolmente la shadowhunter, aprendo le ante dell'armadio. — Forza, prendi questo coso. 
Jace entrò nella stanza, lasciando che la porta si richiudesse alle sue spalle, e fece una smorfia alla vista dell'animale putrescente. Si guardò intorno e afferrò la coperta impolverata sul letto per avvolgerci dentro la carcassa, avvolgendola ben bene dentro la stoffa verde pisello. 
— Anche quello? — chiese, indicando il tappeto.
— Ce la fai? Non è esattamente il momento esatto per cadere dalle scale, sai? 
— Certo che ce la faccio. Fosse solo anche per non farmi due viaggi con addosso puzza di pipì e putrefazione. Raziel, i miei capelli potrebbero cascare tutti solo a un metro di distanza da quel tappeto! Avrò bisogno di qualcosa come tre docce per togliermi l'odore di dosso! — borbottò, piegandosi sulle ginocchia e caricandosi il tappeto su una spalla.
Bussarono alla porta proprio mentre il cacciatore si stava dirigendo verso essa, e fu costretto a bloccarsi all'ultimo secondo con un borbottio indistinto. 
— Clarissa? — La voce di Valentine era poco chiara anche da dietro la spessa barriera di legno – Jace si ritrovò a pensare oziosamente che sarebbe stato un ottimo isolante per le loro attività notturne. Perlomeno qualcosa di buono c'era, in quella camera che stava crollando a pezzi.
Valentine non attese una conferma ed entrò, mentre Jace riuscì a scansarsi appena in tempo e roteò su se stesso, costringendo Clary ad abbassarsi per non venire colpita dal tappeto – diamine, per quanto era grande avrebbe potuto abbatterla.
— Cosa diavolo… ? — L'ex Hitler versione shadowhunter scosse il capo ed avanzò lo stesso nella stanza, guardandosi per qualche attimo intorno: — Preparati. — aggiunse poi in direzione della figlia. — Oggi ci sarà un'esercitazione speciale nell'allenamento.
Jace aggrottò le sopracciglia. Tutto quello non presagiva niente di buono.
— Cioè? — chiese Clary, mordendosi le labbra.
— Andiamo a riprenderci tua madre, mi sembra ovvio. — rispose Valentine.
— Bene, vengo anch'io. — aggiunse Jace, lasciando cadere a terra il tappeto e la coperta. L'uomo rise: — Oh, Jonathan, non ne avevo dubbi.
— Jace. — sibilò a denti stretti il diciannovenne, ma l'altro parve non udirlo. — Ovviamente hai bisogno di Clary per le rune. E non hai protestato a portarti dietro me perché sai che sarei utile. Hai intenzione di coinvolgere qualcun altro? — Il biondo fece una pausa, aggrottando le sopracciglia come per riflettere, e poi continuò: — Penso che non sarebbe di grande aiuto. Insomma, se siamo in pochi potremmo riuscire a entrare e uscire senza farci notare, se siamo fortunati.
— Ma se ci scoprono saremo in tre. — fece notare Clary.
— Oh, be', potrebbero esserci situazioni molto peggiori. — Jace fece spallucce e si accovacciò accanto al suo borsone, iniziando a tirare fuori quella che era, uhm, praticamente tutta l'armeria dell'Istituto.
— Ma che hai lì dentro, un arsenale? Dove diavolo hai ficcato i vestiti? — chiese la rossa, perplessa.
Il ragazzo le sorrise e le indicò il suo stesso borsone mentre lo apriva: tra una maglietta rosa e una divisa da cacciatrice erano infilati anche i suoi abiti: — Il resto li ho sul fondo della mia borsa. — concluse.
— Non abbiamo tutto il giorno, sapete? Se ho ragione, Jia passerà qui in serata o al massimo domattina. — li rimproverò Valentine.
— Perché mai dovrebbe farlo? — Clary arricciò le labbra.
— Be', amore, non ti sei resa conto che ci ha sistemato qui per tenerci ben sotto controllo e ad una buona distanza dagli altri? — le fece notare il fidanzato, ridacchiando, mentre lei afferrava i suoi pugnali e qualche spada angelica dalla scorta pressoché infinita di Jace. 
— Mi dai il tempo di mettermi una divisa o pretendi che venga in maglietta e pantaloncini? — chiese poi sarcasticamente al padre, prendendo una delle sue aderenti tute nere e dirigendosi verso il bagno. Oh, poteva essere costretta a collaborare con lui, poteva anche essere obbligata a riconoscere che aveva una mente brillante… ma ciò non voleva dire che non poteva continuare a odiarlo e a lanciargli frecciatine. In quel momento, Valentine non era altro che tutto fumo e niente arrosto.
Circa dieci minuti dopo erano stavano scendendo uno alla volta le scale per arrivare al seminterrato.
— Ehi, Clary, dove vai? — chiese Isabelle, mentre trascinava Ian fuori dalla cucina per costringerlo a farsi un bagno dopo che si era completamente sporcato di purea di spinaci e carote. 
— Uhm, io… io stavo cercando delle coperte. Quelle nella mia stanza erano piene di ragni. — borbottò la rossa, cercando di non distogliere lo sguardo da quello dell'amica.
— Non credo che le troverai in cantina, sai? Vieni in camera mia, forse io ne ho qualcuna in più. — propose la mora.
— Oh, be', magari dopo. Ho convinto Jace ad andare a cercare nel seminterrato, anche perché dobbiamo sbarazzarci di un tappeto e di un opossum e non avevo idea di dove metterli, così per ora li sistemiamo qui. — Clarissa fece spallucce e le rivolse un ultimo sorriso, continuando a scendere le scale di pietra. Raziel, quanto odiava le scale a chiocciola.
Giunta finalmente alla base dei gradini, prese la fiaccola che Valentine, avanzando, aveva fissato al muro per lei, e raggiunse gli altri due: — Dovremmo andare un po' più in fondo, credo. Se qualcuno scende si accorgerà subito delle rune per il portale. — osservò, passando la rudimentale torcia alla mano sinistra per prendere con la destra il suo stilo. 
Continuarono ad avanzare per qualche minuto nel più completo silenzio. La ragazza non si aspettava che lì sotto ci fosse così tanto spazio… magari non era gigantesco, e i passaggi li costringevano a stare stretti come sardine in scatola, ma c'erano abbastanza pareti e vicoli ciechi da far perdere le speranze di riemergere a chiunque non conoscesse il posto. Comunque Valentine, alla testa del piccolo drappello, sembrava sapere dove stava andando. Diamine, se qualcuno le avesse detto appena sei mesi prima che in un futuro prossimo si sarebbe ritrovata a collaborare col suo malvagio e folle padre, gli avrebbe riso in faccia dandogli del pazzo visionario e l'avrebbe mandato alla Città di Ossa per farsi curare dai Fratelli Silenti.
Si fermarono alla fine di un vicolo cieco appena più ampio degli altri, e Clary passò la sua fiaccola a Jace per iniziare a tracciare le rune sul muro di mattoni. Chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro e incominciò a disegnare sulla pietra, salvo poi bloccarsi all'ultimo secondo.
— Aspettate, ma dove dobbiamo andare? Non possiamo certo pensare di arrivare da Melchizedeck e basta. 
— Credi sia un idiota? Ho fatto le mie ricerche, Clarissa. Voi non dovete fare altro che seguirmi, ci ritroveremo lì, non preoccuparti. 
Cinque minuti dopo, i tre attraversarono per la seconda volta in un solo giorno un Portale. Clary rabbrividì alla sensazione di varcare quella soglia, ma nell'arco di un secondo si ritrovò completamente a proprio agio, e qualche attimo dopo si ritrovarono in una stradina laterale di una città che la shadowhunter non riconosceva.
Comunque, strinse forte il suo pugnale circense e prese ad avanzare a piccoli passi tra gli altri due. A dire il vero, c'era parecchio da dire su quel pugnale, oltre al fatto che faceva parte della coppia che molti anni prima apparteneva a Valentine e Luke - alla fine, era proprio vero che i parabatai erano diversi ma simili in tutto e per tutto… loro due si erano anche inconsciamente messi d'accordo sul tradimento al Conclave! -. In un primo momento, la ragazza era rimasta piuttosto stupita nello scoprire che quello che aveva lei, cioè quello rosso, era appartenuto proprio a suo padre. Fino a qualche giorno prima aveva desiderato ardentemente che il suo fosse quello di Luke, anche se ormai lo sapeva, ma… ma dopo gli ultimi eventi, sinceramente, preferiva quello che aveva. Almeno, Valentine non l'aveva ferito tanto quanto Lucian, dopotutto col suo pazzo padre biologico non ci aveva avuto quasi nulla a che fare… cioè, fino a quel momento. 




Qualche tempo dopo, Clary si ritrovò a strisciare in un sudicio cunicolo, probabilmente ricoperto di muffa a giudicare da quello che toccava, e ancor più probabilmente brulicante di insetti a causa dei rumori intorno a lei.
Non pensarci non pensarci non pensarci. Non pensarci non pensarci non pensarci. 
Una parte di lei non voleva fare altro che rimanere ben salda a quella stupida scaletta arrugginita per non piombare giù tutto d'un colpo, ma un'altra voleva soltanto lanciarsi per non dover sopportare ancora quel supplizio. Non aveva mai avuto paura dei luoghi chiusi, ma quella specie di passaggio sotto lo stupido tombino avrebbe fatto diventare claustrofobica anche l'aria.
— Clarissa, muoviti! — sibilò Valentine, dal basso.
La ragazza roteò gli occhi, esasperata, e alla fine scelse l'opzione B: semplicemente mollò la presa che aveva su una delle sottili barre di metallo e si lasciò cadere, atterrando sulle ginocchia. Non si sbilanciò, ma non fu nemmeno un finale degno del salto: aveva sentito l'eco rimbombare nelle fogne con un frastuono assordante, e si era beccata un'occhiataccia sia dal suo fidanzato che da suo padre. Ancora una volta, perché diamine non aveva un po' della grazia naturale di Jace? Mondo crudele.
— Una caduta un po' più silenziosa no, eh, Clarissa? — si sentì quindi rimproverare da Valentine. 
— Sai, mi sono sempre chiesta perché tu abbia quest'odio insensato verso i diminutivi. Clary e Jace sono bei nomi, sai? — lo rimbeccò mentre si rialzava in piedi.
Solo in quel momento si accorse del fetore che proveniva dal canale di scolo a pochi passi da loro, poco più in basso rispetto al piccolo marciapiede sotterraneo su cui si trovavano. Era un odore nauseabondo, abbastanza da indurla a respirare silenziosamente con la bocca, per non parlare dell'immondizia più strana e orripilante che galleggiava nell'acqua praticamente marrone.
Valentine si rimise in testa al gruppo mentre Jace prendeva una Stregaluce dalla sua divisa per illuminare il luogo, e la cacciatrice si affrettò a seguirli. Come lo stupido ex dittatore avesse avuto il tempo di impararsi a memoria la piantina di una fogna non lo sapeva, sfortunatamente, ma sperava solo che ricordasse la strada giusta. Non ci teneva a inoltrarsi chissà dove per non ritrovare più l'uscita.
Camminarono per quella che le sembrò un'infinità, soprattutto considerando l'orrendo odore che permeava le gallerie e il silenzio pesante che c'era fra loro. Ad un certo punto, quando incontrarono un tubo che scaricava altre schifezze nel canale, Jace roteò gli occhi e sbuffò lievemente: — Dalla puzza di putrefazione a quella dei tubi di scarico, fantastico! Il mio corpo non si riprenderà mai da questa esperienza.
Clary si morse le labbra per non ridacchiare. Se c'era una cosa che apprezzava di lui era proprio quel suo accorgersi delle situazioni penose e sdrammatizzarle con una battuta – anche se doveva ammettere che all'inizio la sua ironia quasi perenne l'aveva più volte irritata.
Finalmente si fermarono davanti a una scaletta di metallo simile a quella che avevano usato per scendere, ugualmente sporca ma fortunatamente non circondata da quattro mura larghe a stento cinquanta centimetri. 
Jace si sporse in avanti e fece girare quella che sembrava una grossa manopola, e poi una piccola botola di ferro si aprì sopra di lui.
— Perché questo passaggio non è sorvegliato? — bisbigliò Clary.
— Oh, ma lo è. — le rispose il ragazzo, saltando all'interno di quella che presumibilmente doveva essere una stanza. Immediatamente si sentirono delle urla d'allarme che le fecero temere che tutto sarebbe andato a monte, ma per il momento in cui era arrivata anche lei Jace aveva già sistemato le due guardie armate di spade corte. 
Quando furono tutti e tre nella grossa stanza, Jace premette piano la stregaluce, cercando di non attirare su di sé l'attenzione di altri possibili soldati. Avanzarono silenziosamente e nel modo più veloce possibile: tutto doveva essere fatto in poco e nessuno doveva accorgersi di loro. 
La villa in cui si trovavano aveva una pianta mastodontica, eccessiva, di certo non era un tipo di abitazione che ci si aspettava di trovare in pieno centro città: — Noti qualcosa di strano? — chiese Jace alla fidanzata.
Lei aggrottò le sopracciglia: — Cosa intendi?
— Hai visto la casa quando siamo arrivati, no?
— Jace, ma che dici? Da dietro il muro della stradina si vedeva solo un condomin… oh. — La rossa sgranò gli occhi: era un incantesimo. Sembrava un palazzo, ma in realtà era quasi un piccolo maniero. — Perché non me ne sono accorta?
— Gli shadowhunter vedono con facilità il Mondo Invisibile che è celato ai mondani, ma proprio per questo non rimangono all'erta per cercare possibili sotterfugi: ci sono magie che alterano anche le percezioni di un nephilim. È possibile oltrepassarle, se sei allenato e hai un buon occhio… ma devi farci caso, altrimenti ti sembrerà solo qualcosa di perfettamente ordinario in un mondo non così ordinario. 




Quando Lucian uscì dal portale aperto sulla parete in mattoni di quell'attico in uno dei tanti grattacieli di New York, per la prima volta dopo giorni sorrise. Dapprima erano piccoli rumori lontani, poi divennero sempre più forti, e poi ancora si accesero incendi microscopici che si espansero sempre di più.
Il licantropo poteva facilmente vedere gli edifici più bassi nel cuore della Grande Mela che venivano ricoperti da lingue di fuoco sempre più alte, e mentre i minuti scorrevano senza che lui si muovesse li vedeva annerirsi mentre il fuoco si ingrandiva sempre di più.
Si sedette su una delle poltrone in pelle bianca posta davanti alla grande porta finestra, che dava su un terrazzo piuttosto ampio pavimentato in parquet di pietra, e lanciò un'occhiata allo stregone rimasto accanto al portale.
— Asa — incominciò, non distogliendo lo sguardo dallo spettacolo davanti a lui. — Melchizedeck non si è ancora fatto sentire?
— Conoscete i suoi ordini, signore. Aspettare fino al suo segnale e poi andare a dirigere la squadra di nephilim. — rispose il nascosto dalla pelle color pomodoro, impassibile. Luke sbuffò: quanto odiava i piccoli soldatini del re dei nascosti. Insomma, mai un po' di iniziativa, mai uno sbilanciamento personale, mai una gentilezza, niente di niente, sembravano solo vuoti e senza emozioni. 
Scosse lievemente il capo, aspettando impaziente il messaggio grigio che Melchizedeck avrebbe dovuto mandare di lì a poco. Non vedeva l'ora di scendere in campo, e sperava ardentemente che i cacciatori di New York si presentassero a far fronte a quella nuova ondata di attacchi. Oh, quanto avrebbe goduto nel vedere lo sguardo tradito di Jocelyn e nell'ucciderla, sì! Aveva passato i migliori anni della sua vita a seguirla come un cagnolino, e questo soltanto perché doveva farsela amica e monitorare la mini piattola con i capelli rossi. Solo perdite di tempo, secondo lui, ma si sapeva, agli ordini del suo dispotico fidanzato non si poteva disobbedire.
Era anche ironico che Lucian non si rendesse conto che, pur avendo paragonato i nascosti al soldo di Deck a soldatini vuoti, anche lui non era altro che una marionetta nelle mani di qualcuno molto più potente di lui.
Se solo fosse riuscito a vedere le cose da un punto di vista oggettivo, be', di sicuro tutto sarebbe stato molto più chiaro. Il licantropo era sempre stato in cerca di fama, da quando Valentine l'aveva raccolto e aveva fatto di lui un buon combattente, ma… ma non era stato abbastanza.
Era bravo, godeva della luce riflessa di persone più importanti e affascinanti di lui, era addirittura il parabatai di Valentine Morgenstern, colui che a quei tempi era forse una delle maggiori promesse dei cadetti di Idris e che godeva di una considerevole buona nomea anche fra gli anziani, eppure non era abbastanza, il problema era proprio il suo ex-migliore amico. Doveva sempre essere oscurato dalla sua luce, tutti che lodavano l'albino ogni santo giorno, neanche fosse stato Raziel in persona, e lui… lui riceveva sorrisi condiscendenti solo perché gli faceva da spalla. 
La cosa divertente era che odiava Valentine con tutto se stesso, e allo stesso tempo non poteva fare a meno di idolatrarlo all'inverosimile. Vedeva in lui il diavolo e un santo, reincarnati insieme nello stesso corpo.
Aveva incontrato Melchizedeck poco tempo prima di compiere diciott'anni e quindi, poco prima di diventare uno shadowhunter a tutti gli effetti. All'inizio gli era sembrato soltanto uno sporco nascosto in cerca di gloria, pieno di idee deliranti e strampalate, qualcuno da disprezzare – dopotutto, le convinzioni che il suo parabatai gli aveva inculcato in testa erano dure a morire e ancor più ad essere sradicate, per quanto lo odiasse… 
Ma alla fine, l'ibrido - il primo vero ibrido, all'epoca, almeno a quanto gli aveva raccontato - era riuscito a convincerlo. Piano piano e con sottili lusinghe, si era insinuato in lui come poche altre persone avevano fatto.
Ci teneva a precisare, comunque, che era stato un lavoro difficile anche per Melchizedeck. Non perché lui fosse una persona particolarmente forte o determinata, no, dopotutto gli ideali del Circolo contavano ma non quanto giorni e notti di lusinghe, dimostrazioni, regali, chiacchierate sempre più impegnate sui vari punti di vista dei nascosti e dei nephilim.
No, quello che davvero aveva contato era la dichiarazione del fidanzamento ufficiale tra Jocelyn e il suo cosiddetto parabatai. Oh, quanto li aveva odiati, con tutto il suo cuore, con l'intera sua anima. Era stato quello a buttarlo tra le braccia del re dei nascosti.
Ma no, lui non amava Jocelyn, non li aveva certo detestati per questo. Lui, be'… lui voleva Valentine. La persona che più odiava e più amava al mondo, che lo oscurava con discorsi grandiosi, e in quel modo l'aveva fatto innamorare, un amore pieno di veleno, questo era certo. E sarebbe anche stato disposto a lasciare le cose come stavano, a seguirlo in silenzio senza dire nulla, perché se c'era una cosa che il Morgenstern non avrebbe accettato dopo i nascosti era probabilmente proprio quella, ma… ma non l'aveva nemmeno sfiorato l'idea che prima o poi l'altro potesse decidere di sposarsi con la sua storica fidanzata. Oh, era stato così ingenuo.
Ma per fortuna Melchizedeck l'aveva fatto rinsavire, gli aveva mostrato quanto, effettivamente, avesse sbagliato a credere in quello sciocco shadowhunter. 
Da lì le cose si facevano sfocate: ricordava vagamente degli incontri tra lui e l'ibrido, ma non sapeva cosa avessero fatto in quel lasso di tempo, poi c'erano stati dei baci, delle prime notti di fuoco, parole sussurrate che non riusciva a rammentare e poi… c'era qualcosa, qualcosa nascosto sotto la superficie di quei brandelli poco importanti, eppure non riusciva a capire cosa. 
Stava iniziando a interrogarsi sulla faccenda quando Asa si schiarì la gola: — Il nostro signore ha mandato il messaggio. Ha il via libera. — disse.
E Lucian semplicemente lasciò perdere la questione.
Quello fu solo l'ennesimo dei suoi tanti sbagli, perché se solo avesse insistito, se avesse scavato sotto la soglia dell'incantesimo, avrebbe scoperto che sotto i baci e le carezze e i discorsi c'era ben altro.
L'unica cosa che continuò a tormentarlo durante la battaglia, comunque, mentre lasciava libero  il suo istinto ed entrava nelle case massacrando i civili, fu una manciata di parole che non ricordava di aver mai pronunciato, e a cui non riuscì a dare un senso.
"Io giuro di mettere al servizio del mio signore il mio corpo, la mia mente e la mia anima, volontariamente e dolorosamente, e così sia."




Jia ansimò, passando una mano sul petto di Robert. Oh, quanto amava il suo corpo: così tonico ed allenato, nonostante gli anni che passavano, proprio come il bravo soldatino che era. 
Aveva parlato con Maryse, certo, le aveva assicurato che tra loro due non c'era più niente… ma la verità era che non sarebbe mai riuscita a smettere. Non amava Robert Lightwood, per carità, con il carattere schifoso che si ritrovava era stupita di come la sua carissima amica si fosse potuta innamorare di lui, ma non poteva negare che fosse un amante eccezionale.
Strinse forte il corsetto da battaglia che l'altro ancora indossava, iniziando a slacciare velocemente tutte le cinghie che la separavano dal suo magnifico corpo nudo. Giunta quasi alla fine diede un ultimo strattone, sistemando così gli ultimi impedimenti, e facendo crollare la protezione. Si sbarazzò in breve tempo anche della sua camicia, e poco dopo lui la fece voltare per liberarla dalla semplice tunica che indossava quel giorno.
Cinque minuti dopo erano entrambi stesi sulla sua scrivania, gementi.
— Oh, Robert… — sussurrò, baciandogli con passione il collo. La verità era che si divertiva immensamente a lasciargli dei succhiotti, sebbene il nephilim le avesse imposto di non farlo: era proprio quello il bello, disobbedirgli. Perché lei poteva. Era il Console, dopotutto, e l'Inquisitore era tenuto ad obbedirle.
Sorrise mentre si strusciava contro di lui, lasciandosi slacciare con cura il reggiseno – alla fine, Robert era sempre stato più pacato di lei, nonostante tutto.
Occhieggiò con malizia i suoi boxer di seta, ridacchiando al pensiero di quanto fosse maniaco dei dettagli, e prese a giocherellare con il bordo elastico quando la porta si spalancò.
Vide quasi tutto al rallentatore: uno dei messaggeri, uno dei pochi incaricati di rimanere fuori dalla protezione fornita da Alicante, era entrato di botto nella stanza, senza nemmeno bussare. Cosa più importante, era la spia rimasta a New York. 
Il ragazzo, che non doveva avere più di ventott'anni circa, rimase pietrificato sulla soglia, boccheggiante, mentre Robert si accorse dell'altra presenza maschile nella stanza, scattando immediatamente verso la sua camicia lanciata su una sedia poco lontana per poi drappeggiarla addosso all'amante. Era sempre stato un vero cavaliere, dopotutto. Uno viscido e strisciante, come un piccolo verme affamato, ma comunque un cavaliere.
— Quindi? — chiese Jia, cercando di recuperare il contegno perduto. Riusciva solo a pensare che avrebbe dovuto costringere quell'idiota a non rivelare a nessuno quello che aveva visto.
— G-gli ibridi s-s-tanno attaccando N-new York, Console… I-i-nquisitore. — balbettò il ragazzo, con ancora gli occhi sgranati.
Nonostante tutto, quelle parole fecero riprendere a Jia il pieno controllo delle sue facoltà mentali. Poteva essere una bugiarda, poteva avere una relazione extra-coniugale, ma non si fosse mai detto che non era una buona Console. 
— Robert, fa entrare il ragazzo. Poi rivestiti e vai ad avvisare gli Shadowhunters di Los Angeles dell'attacco, digli di intervenire.— fece una pausa per riprendere fiato, lo sguardo deciso e sicuro di sé: — Il gruppo dei Morgenstern non deve venire a sapere nulla, ci siamo intesi?
—  Sissignora. — Oh, quanto amava vederlo sottomesso. 




Clary non pensava che aggirarsi in quello che era praticamente il palazzo privato di Melchizedeck fosse facile, no, per carità, ma non pensava nemmeno che fosse così difficile. Insomma, doveva essere una missione veloce, ma anche se erano lì da appena dieci minuti si erano visti venire addosso due fate-vampire, uno stregone parecchio potente, quattro licantropi perfettamente trasformati, tre vampiri assetati di sangue, poi due cani neri non bene identificati che Jace aveva chiamato Incubus e, sorpresa delle sorprese, uno shadowhunter che ora stavano fronteggiando – anche se comunque i mostri non avevano attaccato tutti in quest'ordine, ma era lo stesso.
La ragazza sgranò gli occhi, esterrefatta: trovarsi a fronteggiare un altro nephilim, era… strano. Improvvisamente ritornò ad essere la mondana di qualche anno prima, e ricordò le guerre viste da occhi completamente umani, non contaminati dal sangue angelico: soldati posizionati su due schieramenti diversi che si uccidevano l'un l'altro come se niente fosse, soltanto perché appartenevano a due fazioni diverse, pur essendo tutti semplicemente umani.
Si sentì come loro. Piccola, spaventata, soltanto una formica in qualcosa di troppo grande.
Tutto finì in fretta, troppo in fretta, comunque. Quasi non vide Valentine estrarre una spada - non avrebbe saputo dire se era angelica o meno, di certo non aveva la caratteristica luminosità e non bisognava evocarla - e preparare il colpo roteando la spada come una mazza da baseball che deve colpire la palla. Semplicemente, al posto di infilzarla, gli colpì il collo, tranciandogli di netto la testa con una forza quasi disumana.
Clarissa spalancò la bocca, esterrefatta. Jace, accanto a lei, sembrava più composto, ma non ebbe il tempo di preoccuparsene, perché venne strattonata in avanti dal padre. 
— Non abbiamo tutto il giorno, e non ho intenzione di restare allo scoperto a farmi attaccare. 
Avanzarono velocemente e il più silenziosamente possibile, aprendo ogni porta che incontravano - e certe volte richiudendole subito dopo, esterrefatti -. Alcune non si aprivano, nemmeno con delle rune, forse a causa di alcuni incantesimi che probabilmente erano stati apposti sopra esse, e nemmeno le spade facevano nulla. Potevano solo sperare che Jocelyn non fosse dietro una di quelle porte.
Poi incominciarono i rumori, piccoli passi che si propagavano ovunque, e Clary scattò in avanti, portandosi alla testa del gruppo, non volendo essere attaccata per l'ennesima volta.
Dopo una decina di minuti passati praticamente correndo si fermò, esterrefatta, indicando un punto davanti a sé. Oh, Melchizedeck era ironico. Molto. Troppo. 
La porta della "cella" di sua madre era aperta, e lei era legata alle colonnine di un baldacchino, con manette in quello che sembrava adamas. Praticamente indistruttibile, ottimo. 




Dall'alto di brulle colline verdi, poco lontano da un gigantesco lago attorniato da alberi secolari e maestosi, Melchizedeck sorrise. Sì, alla fine stava andando tutto secondo i suoi piani. 




 
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(1) = Qualsiasi riferimento a Simon Lewis è puramente casuale, eh XD
(2) = Riferimento al primo racconto delle Cronache Dell'Accademia, che se non sbaglio - non ricordo XD - si chiama Benvenuti all'accademia.



 
A.A:
Mi scuso umilmente per il ritardo di sedici giorni - contati, sì -, ma sono purtroppo ancora impantanata in una situazione di merda e la voglia di scrivere è ben poca. Nonostante questo, comunque, sto cercando di andare avanti e come vedete, per ripagarvi dell'attesa ho cercato di postare un capitolo abbastanza corposo ^^
Che cosa ne pensate? Me la lasciate una recensioncina, anche piccina piccina?
Ancora una volta, non so dirvi con precisione quando aggiornerò, ma inizierò a scrivere il prossimo capitolo questa sera stessa, quindi rimaniamo con la solita scadenza di quindici giorni - sì, è tanto, ma ripeto, ultimamente per problemi personali la voglia è poca :( -.
A presto,
Winchester_Morgenstern
P.S: Piccolo spoiler: nel prossimo capitolo ci sarà qualche dettaglio in più su Jean e qualcosina su Simon e Ailinn, di cosa pensate si tratterà? ;) 
P.P.S: Dov'è Melchizedeck? LOL
   
 
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