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Autore: Jupiter_    08/08/2015    1 recensioni
Priscilla è una bambina sola da duecento anni, strappata troppo presto alla vita e private dell'opportunità di costruirsi un futuro e diventare adulta. Avvolta nella sua corazza dura e apparentemente inscalfibile, trascorre i suoi anni spostandosi di paese in paese per sfuggire ai suoi genitori che da secoli ormai le danno la caccia. Nulla l'aveva mai scalfita, finché un giorno non si imbatte in un gelataio goffo e maldestro di nome Hug.
I due sin da subito stringono una strana e insolita amicizia, portando Priscilla a fidarsi ciecamente e inconsapevolmente di quell'omone tanto buono quanto divertente. Era il suo primo e vero legame con un umano finché, un giorno, le circostanze portano la bambina a perdere il controllo di se stessa fino a rendere Hug un suo simile: un vampiro facendo crollare miseramente tutto quello che di buono era stato creato fino ad allora.
Riuscirà quell'omone tanto buono a perdonare la sua giovane amica? Che fine farà questa strana coppia quando il male si avvicinerà a loro?
Genere: Drammatico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una giornata di sole nella calda e afosa cittadina di Third. Nella parte vecchia e antica della piccola città in una casetta che dava sulla grande distesa verde, una bambina esile e minuta stava spazzolando i suoi lunghi e biondi capelli, annoiata. Si chiedeva cosa ci facesse ancora lì, non c’era nulla che potesse soddisfare le sue necessità, i suoi bisogni, le sue aspettative.
Eppure avrebbe trovato qualcosa, o meglio qualcuno, a cui dare fastidio e che magari potesse diventare suo amico. Perché Priscilla era sola da ormai duecento anni ed è seppur vero che i gatti hanno sette vite, prima o poi la lasciavano anche loro. Nonostante la sua giovane età, era molto temuta da tutti non tanto per la sua forza, quanto per la sua spiccata intelligenza e furbizia.
Ammaliava chiunque con i suoi grandi occhioni color nocciola, la sua carnagione olivastra e il suo sorriso apparentemente molto dolce. In fondo non era una cattiva bambina, aveva pur sempre otto anni, ma i due secoli trascorsi a scappare dai genitori l’avevano resa dura come la roccia e la costringevano a nascondersi in paesini dimenticati da Dio e sudice topaie.
Priscilla osservava il suo riflesso allo specchio e – come ogni giorno – si costringeva a passarci almeno un’ora ad immaginarsi come sarebbe diventata se mai fosse diventata grande.
Era perfettamente consapevole che non sarebbe mai diventata adulta, che il suo metro e trentasette aumentato, che i suoi seni non sarebbero mai cresciuti, che non avrebbe mai indossato un paio di tacchi, che non sarebbe mai diventata una donna, ma l’idea di fantasticare su se stessa con almeno vent’anni in più le piaceva e la torturava allo stesso tempo.
Era una lama a doppio taglio che ogni giorno si impegnava ad affilare.
Dopo aver fantasticato abbastanza, decise di uscire a passeggiare e a godere del sole estivo. Optò per un abitino rosa confetto e delle scarpine bianche, guanti bianchi in pizzo e una piccola borsetta in tinta. Le era sempre piaciuto vestirsi a modo e non ci avrebbe certo rinunciato per nulla al mondo, le cose di cui si era privata erano fin troppe, ma al gusto di vestire mai. Avrebbe preferito cavarsi gli occhi e mangiarli piuttosto che vestire come una sempliciotta di quartiere.
Sentiva gli schiamazzi dei bambini fuori dalla porta mentre si divertivano a giocare e a sudare nella calura estiva, ma a lei non gliene fregava niente di immischiarsi con loro. Aveva otto anni sì, ma il suo cervello ne aveva duecento e non gli pareva proprio il caso di mettersi a giocare a nascondino. «Sono come una matriosca» si ripeteva «che funziona al contrario».
Prima di uscire si accertò che la casa fosse in ordine, che le sedie avessero una distanza esatta fra loro, che i fiori avessero l’acqua e che tutto fosse al suo posto. Questa era un’altra cosa che non sopportava, il disordine. La faceva uscire letteralmente fuori di testa, urlava, piangeva e si disperava quando tutto era un perfetto caos, le mancava il respiro e vomitava prima di correre a mettere tutto in ordine. Per questo evitava di stare così male e usava pochi oggetti per volta.
Aprì la porta e si trascinò fuori dove un raggio di sole la illuminò riscaldando quella pelle perennemente fredda. Le era sempre piaciuta la sensazione e ogni volta si aspettava che si sciogliesse come ghiaccio. Salutò cordialmente tutte le vecchine sedute sulle loro sedie pieghevoli in legno mentre si dilettavano a spettegolare di chi aveva fatto cosa in paese e proseguì per la sua strada. Di tanto in tanto la omaggiavano di saggi e vecchi consigli del tutto inconsapevoli che Priscilla ne era esattamente a conoscenza, ma non avrebbe mai risposto in modo sgarbato perché prima di tutto c’era l’educazione e poi si divertiva nel vedere quelle simpatiche signore essere soddisfatte della loro saggezza maturata con una vita di sacrifici e lezioni di vita.
Proseguì il suo giro di routine all’interno del Borgo Antico in cerca di qualcuno che potesse farle compagnia, qualcuno che, magari, sarebbe potuto diventare come lei. Era abituata alla solitudine, ma aveva bisogno di qualcuno in primis per evitare le domande sul perché una bambina così piccola vivesse sola e poi perché aveva bisogno di qualcuno con cui parlare e stare in compagnia anche se non l’avrebbe mai ammesso.
Era troppo orgogliosa e testarda per ammetterlo e di tornare a casa non se ne parlava. Una parte di se sperava che, dopo tanti anni, avessero smesso di cercarla e che magari l’avessero creduta morta mentre l’altra parte di se sapeva che non era così e che quelle due persone che l’avevano concepita non si sarebbero mai dati pace.
Il vento le smuoveva appena quel manto biondo mentre faceva oscillare la borsetta tra le dita mentre sorpassava pigramente la seconda chiesa di fila. Non si spiegava come mai un paese così piccolo potesse avere così tante chiese, ogni volta che ci pensava si sbellicava in grasse risate.
Superò il solito gruppetto di ragazzetti volgari e cafoni che tanto odiava e già sapeva che l’avrebbero importunata, che si sarebbero presi gioco di lei e che l’avrebbero derisa per l’ennesima volta ma il terrore che poi gli leggeva sui volti ne valeva la pena.
Questa volta decise di esagerare, li voleva provocare perché il caldo e la noia non erano una buona combinazione e la facevano diventare sciocca. Si mise a saltellare e a canticchiare come una qualunque bambina della sua età e dopo alcuni istanti, ecco i pesci abboccare all’amo. Com’erano stupidi quei poveri umani, tu facevi qualcosa e loro prontamente ci cascavano. Sorrise con fare maligno sentendoli alle sue spalle con le loro risate, i loro scherni, il loro “divertimento”.
Due di loro alzarono il passo piazzandosi davanti a lei intralciandole la strada e i restanti tre si fermarono alle sue spalle costringendola a fermarsi, si sorprese a pensare che se l’avessero lasciata in pace non gli avrebbe fatto nulla e che gli facevano una pena infinita, ma la loro natura non di certo si negava, mai.
«Ed ecco chi abbiamo qui» Will come al solito parlò per primo e Priscilla sin dalla prima volta aveva capito che era lui il capetto di quella baby-gang che faceva solo ridere. «Non credo tu sia sorpreso di vedermi, visto che ogni pomeriggio ci imbattiamo in questi alquanto sgradevoli incontri.» ribatté secca la bambina aggrottando la fronte per il sole. Tutti scoppiarono in una fragorosa risata e sentì il sangue ribollirle nelle vene.
«Che cosa significa “alquanto”?» Burgher intervenne parlando a bocca piena sporcandosi di briciole ovunque e mostrando i denti sporchi di senape. Ovviamente quello non era il suo vero nome, si chiamava Ted ma tutti gli avevano affibbiato quel soprannome perché ogni volta che lo incontravano per strada stringeva per la mani un panino con Hamburger e una lattina di Cola o qualsiasi altra schifezza ricca di grassi, zuccheri e topi morti. Non si faticava a capire il perché della sua stazza nonostante la sua giovane età. A Priscilla venne un conato e dovette portarsi la mano sulla bocca per non vomitarsi sulle scarpe.
Respirò a fondo e si costrinse a distogliere lo sguardo incredula del fatto che più una cosa faccia schifo, più gli occhi si rifiutano di guardare altrove. «Sei il solito cafone, ignorante e sudicio.» bofonchiò alzando gli occhi al cielo e posando lo sguardo sulle increspature della parete della chiesa e si chiese quanto fosse antica, appuntandosi mentalmente di avvicinarsi al cartello per soddisfare quella curiosità inopportuna.
«Sta un po’ zitta ragazzina» riprese secco lo spilungone che aveva sempre la parola arricciando il naso e avanzando verso di lei «fammi vedere cosa c’è in quella borsetta principesca» proseguì allungando il braccio cercando di strappargliela di mano senza alcun successo.
Ormai conosceva la sequenza a memoria, la circondavano, tentavano di prenderle la borsetta e i pochi spiccioli che teneva all’interno, non ci riusciva mai a primo colpo, perdeva subito la pazienza, diventava paonazzo e poi chiedeva ai suoi amichetti di “finire il lavoro”.
Ma questa volta fu diverso perché Will si fermò in piedi davanti a lei sorridendo e l’apparecchio ai suoi denti brillò alla luce del sole, il riflesso catturò inevitabilmente la sua attenzione e la disgustò. Lui assunse un’aria da boss della malavita che perse miseramente non appena si grattò i brufoli della guancia e Priscilla dovette trattenere altri conati per non macchiare il suo bel vestito.
Quel genere di cose l’avevano sempre disgustata e trattenersi era una fatica enorme. «Facciamo un accordo, ti va? Ogni pomeriggio ci vedremo qui alla stessa ora e tu mi darai quello che hai nella borsetta e noi non ti faremo nulla » disse facendosi passare la chewing-gum dal suo amico avvicinandola ai biondissimi capelli. La rabbia iniziò a ribollirle nelle vene e si odiò per essersi spinta fino a quel punto «una signorina non deve mai provare tanta rabbia, deve mantenere un comportamento sobrio ed equilibrato» le parole di sua madre le riecheggiavano nelle orecchie come ronzii di mosche.
Si guardò intorno accertandosi che nessuno li stesse guardando, non aveva voglia di dare spettacolo e la discrezione non le era mai dispiaciuta. Alzò una mano come per fermarlo con la sola forza del pensiero e indietreggiò di qualche centimetro.
Cercò di auto controllarsi e di calmarsi perché non poteva permettersi di perdere il controllo, tantomeno in pubblico e ancora meno per degli sciocchi ragazzetti che si divertivano a fare i bulli. Portò davanti a se la mano chiudendola quasi a pugno incanalando tutta l’energia che aveva in corpo formando un bagliore color del ghiaccio
. Come previsto quegli inetti indietreggiarono spaventati non riuscendo a distogliere lo sguardo da quella strana “cosa” finché una musichetta non giunse alle loro orecchie.
Era un carretto che non aveva mai visto, cigolante e dai colori sgargianti guidato da un omone panciuto quanto goffo e affaticato. Tutti lo guardarono, specie la bambina che restò a fissarlo più del dovuto dando così la possibilità a Timmy (il più piccolo della banda, suo coetaneo) di sferrargli un calcio appena sopra la caviglia e permettendo a Will di appiccicarle la chewing-gum nei capelli.
Priscilla urlò più per la rabbia che per il dolore, gli occhi si fecero gialli e fiammanti e l’omone panciuto accorse in suo aiuto correndo a fatica e cercando di arrivare su due gambe invece che rotolante come una palla.
«Cosa state facendo a questa povera bambina?» biascicò con il fiato corto e le labbra eccessivamente carnose per il suo viso. Tutti scapparono e lei dovette calmarsi chiudendo istintivamente gli occhi facendo sgorgare lacrime non sentite, quasi radiocomandate. Finse di singhiozzare coprendosi il viso con le mani sentendo quell’omone darle leggeri colpi sulla spalla cercando, imbarazzato, di calmarla.
«Su su, ti passerà e per questi bei capelli… possiamo tagliarne una ciocca! La differenza non si noterà, sono così tanti!» esclamò con quell’aria da bonaccione facendo scattare la bambina, che lo guardò negli occhi. Notò che non aveva gli occhi rossi o segnati dal pianto il che lo stranì, ma senza darci troppo peso.
Lei continuava a fissarlo con gli occhi umidi, ma visibilmente arrabbiata il che lo fece sentire a disagio e fuori luogo. A cinquantaquattro anni non ti aspetti che una ragazzina di giovane età possa farti sentire a disagio, nemmeno fosse il presidente degli Stati Uniti.
«Okay.. La mia soluzione non è di tuo gradimento, certo. Che sciocco che sono!» esclamò portando una mano sul ventre grassottello sorridendo di gusto lasciando la bionda ragazzina sgomenta. “Si divertono veramente con poco questi umani.” Pensò in attesa di qualcosa.
«Per rimediare al danno che ti hanno fatto quei teppistelli e al caldo di questa giornataccia, ti andrebbe un gelato? Te lo offro io e puoi scegliere qualsiasi gusto tu voglia! Anche tre o quattro, non importa. Posso fartene una piramide, eh eh.» le diede delle gomitate aspettandosi una rispostaccia che invece non arrivò. Anzi, lei gli sorrise annuendo energicamente. Amava il gelato, avrebbe mangiato solo quello per sempre se solo bastasse.
Seguì l’omone al carretto, indicando con l’esile indice i gusti che gradiva e attese impaziente che venisse servita. Si ritrovò a dondolare su stessa tra la punta dei piedi e i talloni, lo faceva sempre quando era assorta e questa volta era intenta ad osservare quel gelataio tanto strano.
Capelli neri e mossi, molto disordinati, grandi occhi marroni, una stazza di almeno una tonnellata, grosse guance e un grembiule tutto macchiato legato in vita a fatica.
«Ed ecco a te» disse, distogliendola da tutti i suoi pensieri e porgendole un cono gelato con almeno quattro gusti uno sull’altro «una bella torre-gelato!» sorrise ancora e lei si accorse di quanta bontà avesse quell’omone.
«Prima di lasciarti mangiare in santa pace, posso sapere il tuo nome piccola?» disse con aria curiosa.
«Piacere, mi chiamo Priscilla, ma non chiamarmi piccola perché non lo sono affatto. E tu?» disse fissandolo dritto negli occhi nascosti da due grandi sopracciglioni neri e porgendogli la mano. «Oh oh» rispose divertito stringendole la mano «il mio nome è Hug, il piacere è tutto mio.»



Angolo Autrice:
Ed eccoci qui con una nuova fan-fiction!
Inizio col ringraziarvi per essere arrivati a leggere fin qui! Che la storia sia di vostro gradimento o meno, almeno l’avete letta ed è già qualcosa.
Il primo capitolo è così corto perché vorrei prima vedere i responsi dei lettori e verificare se piace o meno. Voglia che sia una storia un po’ diversa dalle altre, per questo, all’interno della trama ci sarà questo nuovo, strano e insolito legame.
Che dire di più! Siate crudeli e brutalmente sinceri.
Grazie ancora!
Baci Jupiter_
   
 
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